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n. 6-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 16 giugno 1999 n. 15 - Pres. Laschena, Est. Di Napoli - Galle c. Regione Lazio

Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio - Computo in essa del periodo di sospensione cautelare - Necessità.

Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio - Ricostruzione della posizione giuridica ed economica per il precedente periodo di sospensione cautelare - Necessità - Limiti.

(D.P.R. n. 3/1957, artt. 96 e 97)

Nel caso in cui, a seguito di procedimento disciplinare, ad un pubblico dipendente sia stata irrogata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi, il periodo di sospensione cautelare precedentemente scontato in pendenza di procedimento penale va computato nella sospensione sanzionatoria.

Nel caso in cui, a seguito di procedimento disciplinare, ad un pubblico dipendente sia stata irrogata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi, con la sospensione dal servizio occorre operare la ricostruzione della posizione economica e giuridica per il precedente periodo di sospensione cautelare, fatta eccezione per i periodi di tempo corrispondenti all'irrogata sospensione sanzionatoria nonché alla condanna penale inflitta con il beneficio della sospensione condizionale.

 

 

FATTO

La Regione Lazio, in relazione alla pendenza di un processo penale a carico di un proprio dipendente, il sig. Fernando Galle, accusato di aver sottratto dotazioni di ufficio e di aver duplicate chiavi di alcuni locali di ufficio, sospendeva lo stesso a decorrere dal 25 aprile 1984, prima di diritto, in relazione allo stato di detenzione, poi facoltativamente.

Riammesso in servizio per decorso del quinquennio di sospensione il 13 febbraio 1991, il Galle veniva condannato, con sentenza del 27 marzo 1991, ad un anno e dieci mesi di reclusione, pena sospesa.

L'Amministrazione avviava il procedimento disciplinare e, con delibera della Giunta regionale 26 novembre 1991 n. 10221, infliggeva al predetto, per i fatti di cui al processo penale, la sanzione della sospensione per un semestre dalla qualifica, da scontare a partire dal prime giorno del mese successivo a quello della notifica del provvedimento. Con lo stesso provvedimento il periodo di sospensione cautelare dal 25 aprile 1984 al 13 febbraio 1991 veniva dichiarato servizio non prestato e, quindi, non utile ai fini della progressione in camera sotto gli aspetti giuridico, economico, assistenziale, di previdenza e quiescenza, ferme le somme erogate a titolo di assegno alimentare.

Successivamente, in relazione al sopravvenire della legge 23 gennaio 1992, n. 16, ritenuta da questo Consesso in sede consultiva di carattere retroattivo, il dipendente era dichiarato decaduto con delibera della Giunta Regionale 27 ottobre 1992 n. 9013.

Contro il primo provvedimento sanzionatorio il Galle proponeva al T.A.R. per il Lazio il ricorso nr. 872/92, deducendo la violazione dell'art. 96 del testo unico 10 gennaio 1957, n. 3, per non aver compensate la sospensione dalla qualifica con il periodo di sospensione cautelare (primo motivo) e per aver escluso la valutazione ai fini giuridici ed economici del periodo di sospensione dal servizio eccedente la sospensione sanzionatoria (secondo motivo).

Contro la pronuncia di decadenza il Galle proponeva altri due ricorsi sempre davanti al T.A.R. Lazio.

Con sentenza n. 1561/1993 la Sezione I-ter di detto Tribunale ha accolto tutte le impugnative:

. quelle riguardanti la decadenza, per il sopravvenire della sentenza della Corte costituzionale 27 aprile 1993, n. 197, che ha dichiarato incostituzionale 1'effet-to ope legis della decadenza legato al tipo di reati colpiti da condanna, senza passare attraverso un procedimento disciplinare;

. il ricorso numero 872/92 in parte qua, relativamente al primo motivo, riferito alla già avvenuta espiazione, durante il periodo di sospensione cautelare, della sospensione sanzionatoria irrogata.

Il ricorso in questione, invece, e stato respinto, quanto al secondo motivo, perché il rientro in servizio era dovuto soltanto al decorso del quinquennio di cui all'art. 9, secondo comma, della legge 7 febbraio 1990 n. 19, e perchè in sede penale non v'era state un proscioglimento con formula piena, solo in tal caso spettando la ricostruzione auspicata.

Contro le statuizioni assunte sul ricorso n. 872/92 hanno prodotto appello:

. il Galle (ric. n. 785/94), invocando il principio, affermatosi nella giurisprudenza di questo Consiglio, del diritto alla restitutio in integrum per il periodo ecce-dente la sospensione sanzionatoria;

. la Regione (ric. n. 2608/94), deducendo l'illegittimità dell'accoglimento del primo motivo per falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 96 e 97 del D.P.R. n. 3/1957, e richiamando a proprio sostegno la giurisprudenza della Corte dei conti.

La Regione si e pure costituita nell'appello proposto dal Galle, sostenendo tesi analoghe a quelle del proprio gravame.

La Quarta Sezione, con ordinanza 22 dicembre 1998 n. 1854, ha riunito i due ricorsi e ne ha deferito la co-gnizione all'Adunanza plenaria.

Le parti hanno ulteriormente illustrato con memorie le rispettive tesi difensive.

DIRITTO

La Regione Lazio, in relazione alla pendenza di un processo penale a carico del proprio dipendente, sig. Fernando Galle, sospendeva lo stesso a decorrere dal 25 aprile 1984, prima di diritto, in relazione allo stato di detenzione, poi facoltativamente. Riammesso in servizio per decorso del quinquennio di sospensione il 13 febbraio 1991, il Galle veniva condannato ad un anno e dieci mesi di reclusione, pena sospesa. L'Amministrazione, quindi, avviava il procedimento disciplinare e, per i fatti di cui al processo penale, irrogava la sospensione dalla qualifica per un semestre, a decorrere dal primo giorno del mese successive alla notifica del provvedimento, mentre il periodo di sospensione cautelare (dal 25 aprile 1984 al 13 febbraio 1991), da considerarsi servizio non prestato, veniva dichiarato non utile ai fini della progres-sione in camera sotto gli aspetti giuridico, economico, assistenziale, di previdenza e quiescenza, ferme le somme erogate a titolo di assegno alimentare.

Il ricorso dell'interessato avverso il provvedimento sanzionatorio e stato accolto dal T.A.R. limitatamente al primo motivo, riferito alla gia avvenuta espiazione, du-rante il periodo di sospensione cautelare, della sospensione sanzionatoria irrogata. E stato invece respinto il secondo motivo di gravame, con cui il Galle chiedeva la valutazione ai fini giuridici ed economici del periodo di sospensione dal servizio eccedente la sospensione sanzionatoria, perché il rientro in servizio era dovuto soltan-to al decorso dei quinquennio di cui all'art. 9, secondo comma, della legge 7 febbraio 1990 n. 19, e perché in sede penale non v'era stato un proscioglimento con formula piena.

Hanno proposto appello sia il Galle (ric. n. 785/94), invocando il diritto alla restitutio in integrum per il pe-riodo di sospensione cautelare eccedente la sospensione sanzionatoria, sia la Regione (ric. n. 2608/94), deducendo l'illegittimità dell'accoglimento del primo motivo per falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 96 e 97 del D.P.R. n. 3/1957.

La Quarta Sezione, riuniti i due ricorsi, ne ha deferito la cognizione all'Adunanza plenaria, profilandosi la possibilità, per le ragioni esposte appresso, di un contrasto giurisprudenziale.

La questione su cui questo Collegio e chiamato a pronunciarsi coinvolge l'interpretazione degli artt. 96 e 97 del testo unico sull'impiego civile dello Stato.

II primo prevede lo scomputo della sospensione sanzionatoria dalla sospensione cautelare sopportata in precedenza dal dipendente (primo comma) e la ricostituzione, dedotto l'assegno alimentare, della posizione economica «automatica» relativa al periodo eccedente la misura sanzionatoria o a tutto il periodo di sospensione, se vi sia stato proscioglimento disciplinare o irrogazione di una sanzione meno grave (secondo e terzo comma).

L'art. 97 si occupa espressamente della sospensione cautelare disposta in dipendenza di procedimento penale, per stabilire il diritto alla revoca della medesima ed alla ricostruzione della posizione economica spettante durante la sospensione nel solo caso di giudicato di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'impiegato non l'ha commesso.

Questo Consiglio (Sez. IV, 23 novembre 1985, n. 556; Sez. I, 7 ottobre 1992, n. 2361; Comm. spec. pubbl. imp. 14 marzo 1994, n.ri 317 e 322; idem 13 luglio 1998 n. 402; Sez. VI, 27 gennaio 1996, n. 137; idem 10 giugno 1996, n. 803) ha ritenuto che non vi debba essere diffe-renziazione fra i titoli della sospensione cautelare, agli effetti sia della compensazione dei tempi con la sospensione disciplinare, sia della necessita di restituzione economica per il periodo rimasto non coperto dalla sanzione sospensiva: tutto ciò, essenzialmente, sul fondamento logico costituito dalla lettera giudicata di portata generale, del citato art. 96, che non fa distinzione fra i tipi di sospensione. La giurisprudenza dei Giudici periferici e talvolta come nel caso in esame, almeno parzialmente in senso diverso.

Di segno opposto è invece la posizione della Corte dei conti in sede di controllo sullo Stato (3 marzo 1988, n. 1907; 27 novembre 1992 n. 69), la quale ritiene:

. che, avuto riguardo al tenore dell'art. 97 del testo unico, in caso di adozione di sospensione cautelare ricollegata alla pendenza penale, la misura in parola rimane ferma per gli effetti prodotti pur quando la P.A. si determini a non dar corso al procedimento disciplinare (semprecchè, s'intende, vi sia stata una pronuncia di condanna);

. che la condanna a pena detentiva del pubblico impie-gato, anche quando non scontata, causa l'interruzione, per colpa dell'impiegato, del sinallagma fra prestazione e retribuzione, con la conseguente inesistenza dei

Presupposti per condurre al ripristino dello status del dipendente a suo tempo cautelarmente sospeso. Queste ultime considerazioni sono apparse condivisibili al Collegio remittente, almeno quanto alla esclusione dalla restitutio in integrum del periodo corrispondente alla condanna a pena detentiva ancorché sospesa.

Ma l'impostazione della Corte dei conti non e condivisibile.

Essa, invero, muove da una valutazione del rapporto tra le disposizioni contenute nell'art. 96, che individuerebbe un'ipotesi di carattere generate, e nell'art. 97, che introdurrebbe una eccezione al principio, escludendo del tutto il diritto alla corresponsione degli arretrati non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare nel caso di condanna penale del dipendente.

Senonchè gli articoli citati non sono in rapporto di regola ed eccezione: si riferiscono a distinti momenti del procedimento disciplinare.

L'art. 96 riguarda un procedimento disciplinare gia concluso e dispone di computare il periodo di sospensione cautelare sofferta dall'incolpato nella sanzione comminata.

L'art. 97, invece, riguarda l'ipotesi in cui la sospensione cautelare sia stata disposta per effetto della pendenza di procedimento penale a carico del dipendente. Si comprende, allora, agevolmente come il proscioglimento dell'impiegato in sede penale con formula assolutoria piena tolga ogni giustificazione alla disposta sospensione cautelare ed imponga l'immediato ripristino della sua situazione giuridica ed economica.

Per le stesse ragioni, e facile intendere perché, nel contesto dell'art. 97, ogni altra pronuncia penale non spieghi alcun effetto immediate sulla misura cautelare. Essa, infatti, sc - dopo la pronuncia n. 971 del 1988 della Corte costituzionale - non e più idonea a comportare l'automatica destituzione del dipendente, consente l'avvio o la prosecuzione del procedimento disciplinare (e, se del caso, il permanere della sospensione cautelare dal servizio). Ma il procedimento disciplinare deve essere promosso o riattivato entro «centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna» (art. 9, 2° comma, legge 7 febbraio 990 n. 19): ove ciò non avvenga la sospensione decade ex tunc e l'impiegato ha diritto agli assegni non percepiti (detratto, come appresso si vedrà, il periodo corrispondente alla eventuale condanna a pena detentiva, pur se sospesa).

Tutto questo, pero, non comporta affatto che, una volta concluso il procedimento disciplinare e diventato definitive il giudizio amministrativo sulla condotta addebitata al dipendente, non debba trovare applicazione la regola contenuta nell'art. 96, che impone di restituire all'impiegato tutte le nomine non percepite durante il periodo di sospensione del rapporto.

L'ordinanza di rimessione, peraltro, non ha mancato di rilevare che, a ben vedere, un contrasto tra le pronunce di questo Consiglio e comunque gia in atto.

Il parere della Commissione speciale n. 402 del 13 luglio 1998, infatti, giunge a modificare la linea in precedenza seguita, laddove afferma: «Resta comunque inteso che, una volta intervenuta una sentenza definitiva di condanna, alla sospensione condizionale della pena in-flitta in sede penale non può riconoscersi l'effetto della

attribuzione di ulteriori benefici al pubblico dipendente c va in questi casi senz'altro esclusa l'applicazione del meccanismo della restitutio in integrum per il periodo di tempo relative alla condanna concretamente non scontata».

A ciò va aggiunto che di recente la Quinta Sezione, con decisione 17 dicembre 1998 n. 1808 (posteriore all'ordinanza di rimessione), ha affermato che in caso di estin-zione del procedimento disciplinare spetta al dipendente, gia sospeso cautelarmente, la restitutio in integrum, fatta eccezione del periodo corrispondente alla pena detentiva inflitta dal giudice penale ancorché essa non debba essere scontata per effetto dell'eventuale sospensione condizionale.

Siffatta limitazione all'operatività della restitutio in integrum e condivisa dal Collegio, dovendo escludersi che la sospensione della sentenza di condanna a pena detentiva valga a giustificare anche il ripristino del sinallagma e la riconduzione del corrispondente periodo di durata della sospensione cautelare nel servizio utile a tutti gli effetti.

In conclusione, l'Adunanza Plenaria e dell'avviso che nei confronti del dipendente, condannato dopo essere stato sospeso cautelarmente per pendenza di processo penale, il periodo di sospensione cautelare debba essere computato nella sospensione sanzionatoria irrogata in esito al procedimento disciplinare successivo alla condanna penale.

In favore del dipendente disciplinarmente sanzionato e possibile operare la ricostruzione della posizione giuridica ed economica per il periodo di sospensione cautelare, nonostante l'intervenuta condanna definitiva, previa deduzione dei periodi di tempo corrispondenti alla irrogata sospensione dalla qualifica nonché alla condanna penale inflitta, ancorché non scontata.

Per le suesposte considerazioni, l'appello della Regio-ne Lazio deve essere respinto. L'appello del Galle va parzialmente accolto, e, in parziale riforma della sentenza appellata, va annullato in parte qua il provvedimento impugnato con il ricorso originario e dichiarato il diritto del ricorrente alla restitutio in integrum per il periodo di sospensione cautelare dal servizio, previa detrazione dei periodi di tempo corrispondenti alla sospensione dalla qualifica (sei mesi) nonché alla condanna penale (un anno e dieci mesi). Sulle somme dovute vanno corrisposti rivalutazione monetaria ed interessi, secondo i criteri fissati con la decisione 15 giugno 1998 n. 3 di questa Adunanza Plenaria.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria: accoglie per quanto di ragione il ricorso proposto, come in epigrafe, da Fernanda Galle e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, annulla in parte qua la delibera della Giunta Regionale del Lazio 26 novembre 1991 n. 10221 e dichiara il diritto del ricorrente alla restitutio in integrum nei sensi di cui in motivazione. 

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