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n. 5-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, COMMISSIONE SPECIALE DEL PUBBLICO IMPIEGO - Parere 5 febbraio 2001 n. 471/2001 - Pres. Quaranta, Est. Lipari - Oggetto: Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla Sig. Angela Borria avverso i provvedimenti di attribuzione di incarichi nell'ambito della Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte.

Pubblico impiego - Mansioni e funzioni - Incarichi di livello non dirigenziale - Conferimento - Obbligo di motivazione - Sussiste, pur a seguito della privatizzazione del rapporto.

Pubblico impiego - Mansioni e funzioni - Incarichi di livello non dirigenziale - Conferimento - Adozione di procedure che autolimitano la discrezionalità dell'Amm.ne - Obbligo di puntuale motivazione - Sussiste anche sotto questo profilo.

Atto amministrativo - Motivazione - Obbligo - In materia di atti riguardanti il rapporto di pubblico impiego - Atti di gestione ordinaria del rapporto e di "microorganizzazione" delle strutture dell'amministrazione - Non occorre - Atti organizzativi che incidono, in maniera stabile e significativa, sul contenuto delle mansioni del dipendente, sull'assegnazione definitiva (o comunque per un lasso di tempo apprezzabile) a determinati compiti o funzioni od a particolari sedi di servizio - Occorre.

Giustizia amministrativa - Ricorso straordinario - In materia di controversie rientranti nella giurisdizione ordinaria - Nei casi di atti che sono finalizzato alla cura di un interesse pubblico specifico - Ammissibilità.

Pur a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego (operata con i decreti legislativi n. 29/1993, 80/1998 e 387/1998), l'attività volta ad assegnare le funzioni del personale amministrativo non è connotata da una discrezionalità talmente ampia da eliminare, o quanto meno drasticamente ridurre, l'obbligo della motivazione. La maggiore flessibilità organizzativa imposta dall'esplicito rinvio normativo alla disciplina del lavoro nell'impresa e la natura "privatistica" dei poteri gestionali del datore di lavoro pubblico, infatti, si devono conciliare con i principi di trasparenza nello svolgimento del rapporto.

La discrezionalità delle pubbliche amministrazioni nel conferimento di incarichi di livello non dirigenziale non si traduce affatto nella insindacabile libertà di adibire il personale a compiti di rilevante responsabilità, senza darne conto nelle determinazioni finali adottate. Al contrario, proprio nelle ipotesi in cui l'amministrazione svolge un'attività discrezionale, si manifesta, con la massima intensità, l'obbligo di rendere chiaro e trasparente il percorso argomentativo compiuto e le ragioni della scelte conclusiva (1).

L'obbligo di fornire un'apposita adeguata motivazione può derivare anche dall'autovincolo al quale l'amministrazione abbia eventualmente subordinato la propria attività di scelta, nell'ipotesi in cui quest'ultima sia stata condizionata alla valutazione delle disponibilità manifestate dai soggetti interessati, entro un termine perentorio, ed all'esame dei curricula dei diversi aspiranti.

L'art. 3 della legge n. 241/1990, che riferisce l'obbligo della motivazione anche alle determinazioni in materia di organizzazione e di gestione dei rapporti di lavoro, non è immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano la gestione ordinaria del rapporto e la "microorganizzazione" delle strutture dell'amministrazione, affidate alla responsabilità del competente dirigente, in un'ottica di efficienza e di snellezza dell'azione del soggetto pubblico. La regola della motivazione, conserva invece intatta la sua valenza in relazione agli atti organizzativi che incidono, in maniera stabile e significativa, sul contenuto delle mansioni del dipendente, sull'assegnazione definitiva (o comunque per un lasso di tempo apprezzabile) a determinati compiti o funzioni od a particolari sedi di servizio.

L'esperibilità del ricorso straordinario in relazione a controversie rientranti nella giurisdizione ordinaria, ai sensi dell'articolo 68 del decreto legislativo n. 29/1993, va riconosciuta, tutte le volte in cui l'atto della P.A., indipendentemente dal suo regime giuridico formale, risulti direttamente ed immediatamente finalizzato alla cura di un interesse pubblico specifico (2).

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(1) Alla stregua del principio il Consiglio di Stato nella specie ha accolto un ricorso avverso un provvedimento con il quale era stato conferito un incarico non dirigenziale senza alcuna motivazione; è stata a tal fine respinta la tesi dell'Amm.ne, secondo cui l'incarico attribuito esprimeva l'opzione per una "soluzione interna" e si risolveva nel conferimento di "una sorta di mandato fiduciario".

Trattandosi di incarichi non dirigenziali, in ogni caso, secondo il CdS, nella specie non potevano trovare applicazione i principi interpretativi secondo cui il conferimento degli incarichi dirigenziali (specie se relativi ai massimi livelli dell'amministrazione) esprimerebbe valutazioni di carattere politico-discrezionali, connesse ad apprezzamenti fiduciari suscettibili di un controllo giurisdizionale limitatissimo (da taluno circoscritto alla verifica delle modalità procedimentali previste dalla normativa ed al riscontro del possesso, da parte del prescelto, dei soli requisiti minimi necessari per l'assegnazione al posto).

Dalla motivazione del parere comunque si evince comunque che anche per questi ultimi tipi di incarichi occorre motivazione, anche alla stregua dei principi civilistici che disciplinano il rapporto di lavoro.

In proposito, nella lunga e pregevole motivazione del parere in rassegna (che dà conto anche degli orientamenti della giurisprudenza civilistica), si richiama, tra l'altro, l'orientamento della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale, con le decisioni n. 4 e 5 del 1999 ha espressamente affermato la piena operatività delle regole della trasparenza (segnatamente della disciplina in materia di accesso ai documenti) anche in relazione all'attività di diritto privato dei gestori di servizi pubblici, pure se riguardanti i rapporti di lavoro con i dipendenti, ancorché assoggettati, sul piano sostanziale, alle comune normativa civilistica. Detta funzione della normativa resta indifferente alle forme giuridiche di esercizio dell'attività, imponendo solo di verificare il collegamento tra i documenti richiesti e l'interesse pubblico affidato alla cura del gestore.

I principi espressi dall'Adunanza Plenaria con la ricordata pronuncia, sono estensibili anche alla vicenda in questione, dato che "l'enunciazione della valutazione dei diversi aspiranti a posti di elevata responsabilità, secondo criteri di imparzialità e buon andamento concretizzati dall'amministrazione, risponde all'esigenza di assicurare il rispetto della funzione pubblica e rappresenta una forma di tutela dei soggetti direttamente coinvolti nel rapporto amministrativo".

E' stato pertanto affermato conclusivamente che:

- la mancanza della motivazione (se imposta da apposita norma o dagli accordi collettivi, o, unilateralmente, dallo stesso datore di lavoro) può tradursi in un vizio formale dell'atto;

- l'inadeguatezza o l'insufficienza della motivazione, relativa al profilo essenziale della comparazione tra i diversi aspiranti all'incarico, secondo i criteri prefissati, rende l'atto inidoneo a realizzare il suo scopo tipico, evidenziato un difetto strutturale della causa tipica dell'atto;

- nell'uno e nell'altro caso, le lacune o la radicale mancanza della motivazione determinano l'invalidità dell'atto emanato dal soggetto pubblico, ancorché la determinazione non assume carattere provvedimentale, ma si inquadra nell'esercizio dei poteri dell'imprenditore privato. (G.V.)

(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. generale, parere 10 giugno 1999, n. 9/1999.

 

 

N. prot. Terza Sez.: 1663/1999

N. prot. Comm. Spec.: 471

La Commissione Speciale per il Pubblico Impiego

Vista la relazione del Ministero delle finanze, pervenuta il 13 ottobre 1999, con la quale viene richiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine al ricorso in oggetto;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 471 del 12 giugno2000, con cui l'esame del ricorso è stato deferito a questa Commissione speciale;

Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore Cons. Marco Lipari;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

Premesso:

La ricorrente, dipendente del Ministero delle finanze, con la qualifica di direttore tributario, in servizio presso il 2° Ufficio imposte Dirette di Torino - Reparto V Accertamento, ha impugnato:

la nota 14 settembre 1998, prot. n. 713/RIS, con cui il capo Servizio Reggente della Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte aveva risposto alla sua richiesta di informazioni in merito alla definizione dei procedimenti per la attribuzione di incarichi nell'ambito della Direzione Regionale;

il provvedimento di nomina del Dottor Placido Caserta a responsabile della Sezione Staccata della Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte;

il provvedimento di nomina del Dottor Michele Magazzù a reggente dell'ufficio registro Bollo e Demanio di Torino;

il provvedimento di conferimento al Dottor Emanuele Siena (o Diena) dell'incarico di funzioni ispettive.

I controinteressati, pur ritualmente intimati, non hanno svolto attività difensiva.

In seguito alla pronuncia interlocutoria della Commissione, nell'Adunanza del 3 luglio 2000, l'amministrazione ha prodotto copia dei provvedimenti impugnati e della allegata documentazione ed ha sostenuto l'infondatezza del ricorso.

Considerato:

A sostegno del gravame, la ricorrente espone che la Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte, con tre distinti atti di analogo contenuto, aveva bandito le procedure selettive per il conferimento di tre incarichi (erroneamente qualificati come dirigenziali), relativi a posizioni di responsabilità riservate al personale di VIII e IX livello.

I tre atti (in data 17 marzo 1997, 18 febbraio 1998 e 14 marzo 1998), trasmessi a tutte le strutture dipendenti dalla Direzione, invitavano i soggetti interessati ad inviare, entro un breve termine, "eventuali disponibilità espresse" all'assunzione degli incarichi, "unitamente ad un curriculum personale che sarà oggetto di valutazione da parte di questa D.R.E.".

A fronte della richiesta di informazioni proposta dall'interessata, l'amministrazione rispondeva che i "procedimenti sono attualmente in fase istruttoria, essendo in corso la valutazione dei dati e/o documenti prodotti dagli interessati in una con le relative istanze".

Successivamente, l'amministrazione adottava l'atto 14 settembre 1998, oggetto di impugnazione, senza peraltro comunicare all'interessata il contenuto integrale delle determinazioni relative al conferimento degli incarichi.

La ricorrente propone un unico, complesso, motivo di gravame, con riserva della proposizione di motivi aggiunti.

L'amministrazione eccepisce, in linea preliminare, l'inammissibilità del ricorso, affermando che la nota impugnata non assume carattere lesivo, ma costituisce, semplicemente, la risposta alla richiesta di notizie formulata dall'interessata. L'eccezione è priva di pregio. Il ricorso si rivolge, esplicitamente, anche contro le specifiche determinazioni richiamate dalla nota dell'amministrazione, le quali presentano carattere potenzialmente lesivo degli interessi giuridici dell'attrice.

In tale prospettiva, il ricorso risulta pienamente ammissibile, anche in relazione all'incarico conferito al Dottor Siena (o Diena): il gravame è chiaramente rivolto contro la determinazione conclusiva del procedimento e non può essere arbitrariamente circoscritto alla sola proposta formulata dall'ufficio competente.

Sotto un primo aspetto, la ricorrente sostiene l'illegittimità delle determinazioni impugnate, per violazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, correlata alla mancata comunicazione personale degli atti conclusivi dei procedimenti. La censura è priva di pregio. La norma richiamata non sancisce un obbligo generalizzato di comunicare l'esito del procedimento a tutti i soggetti interessati. In ogni caso, la violazione del precetto potrebbe assumere un limitato rilievo in ordine alla efficacia dell'atto ed alla decorrenza del termine per l'impugnazione, ma non potrebbe mai determinare la invalidità del provvedimento: l'illegittimità riguarda, di regola, solo i vizi intrinseci dell'atto e non tocca vicende successive, afferenti agli adempimenti (di comunicazione, pubblicazione, ecc.) conseguenti alla definitiva formazione dell'atto.

La ricorrente lamenta, poi, il difetto di motivazione dei provvedimenti, sostenendo che, negli atti impugnati, manca qualsiasi indicazione della valutazione comparativa compiuta tra i diversi aspiranti ai posti oggetto delle selezioni.

Al riguardo, il collegio rileva che la censura è infondata, in fatto, limitatamente al procedimento relativo all'incarico di reggenza dell'Ufficio Registro, Bollo e Demanio. Infatti, in tale circostanza, l'amministrazione non ha effettuato alcuna selezione comparativa tra gli aspiranti alla funzione ed ha confermato la precedente reggenza affidata al Dottor Magazzù. In sostanza, la procedura selettiva, pur avviata, non ha avuto alcun esito ed è stata sostituita da una diversa modalità di copertura del posto. L'interessata non deduce alcuna censura volta a contestare la legittimità della interruzione del procedimento in precedenza avviato: ne deriva, pertanto, l'infondatezza parziale del ricorso, non essendo ipotizzabile il difetto di motivazione in ordine ad una inesistente valutazione comparativa.

Il ricorso è invece fondato nella parte in cui contesta le determinazioni concernenti gli altri due incarichi conferiti dall'amministrazione finanziaria.

Il Ministero incentra la propria difesa sui seguenti argomenti:

non sussiste l'obbligo di "esplicitare le modalità di conferimento degli incarichi in questione, modalità in merito alle quali la stessa gode della più ampia discrezionalità, pur nel rispetto dei principi di efficienza, economicità e buon andamento degli uffici", tenuto anche conto che le funzioni contestate non assumono rango dirigenziale;

l'incarico attribuito al Dottor Caserta esprime l'opzione per una "soluzione interna" e si risolve nel conferimento di "una sorta di mandato fiduciario";

detto funzionario è in possesso della specifica professionalità necessaria, a differenza della ricorrente, avendo sempre operato nel campo delle imposte dirette: pertanto "risulta evidente la valutazione comparativa tra i due funzionari effettuata in fase istruttoria".

In punto di fatto, va precisato che i tre incarichi oggetto del ricorso non hanno carattere dirigenziale, pur assumendo una elevata rilevanza organizzativa e professionale. Nella presente vicenda, pertanto, non possono trovare applicazione i principi interpretativi secondo cui il conferimento degli incarichi dirigenziali (specie se relativi ai massimi livelli dell'amministrazione) esprimerebbe valutazioni di carattere politico-discrezionali, connesse ad apprezzamenti fiduciari suscettibili di un controllo giurisdizionale limitatissimo (da taluno circoscritto alla verifica delle modalità procedimentali previste dalla normativa ed al riscontro del possesso, da parte del prescelto, dei soli requisiti minimi necessari per l'assegnazione al posto).

Anche mettendo da parte le riserve in ordine alla correttezza di una concezione così restrittiva del sindacato giurisdizionale sul conferimento degli incarichi dirigenziali, è sufficiente osservare, ai fini della decisione del presente ricorso, che esso si rivolge contro le determinazioni relativa alla attribuzione di mansioni di livello non dirigenziale, rispetto alle quali non assume rilievo il carattere fiduciario o politico della scelta compiuta.

Ciò chiarito, si tratta di stabilire se, nell'attuale assetto normativo, l'attività volta ad assegnare le funzioni del personale amministrativo sia connotata da una discrezionalità talmente ampia da eliminare, o quanto meno drasticamente ridurre, l'obbligo della motivazione. In una prospettiva generale, va considerato che la discrezionalità delle pubbliche amministrazioni nel conferimento di incarichi di livello non dirigenziale non si traduce affatto nella insindacabile libertà di adibire il personale a compiti di rilevante responsabilità, senza darne conto nelle determinazioni finali adottate.

Al contrario, proprio nelle ipotesi in cui l'amministrazione svolge un'attività discrezionale, si manifesta, con la massima intensità, l'obbligo di rendere chiaro e trasparente il percorso argomentativo compiuto e le ragioni della scelte conclusiva.

Nel caso di specie, poi, l'esigenza di un'apposita, adeguata motivazione, deriva dal vincolo che l'amministrazione ha preventivamente imposto alla propria attività di scelta, condizionata alla valutazione delle disponibilità manifestate dai soggetti interessati, entro un termine perentorio, ed all'esame dei curriculum dei diversi aspiranti.

Questa conclusione, del tutto coerente con i principi che governano la disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, non potrebbe essere mutata in relazione al nuovo contesto del lavoro privatizzato, delineato dai decreti legislativi n. 29/1993, 80/1998 e 387/1998. La maggiore flessibilità organizzativa imposta dall'esplicito rinvio normativo alla disciplina del lavoro nell'impresa e la natura "privatistica" dei poteri gestionali del datore di lavoro pubblico, si devono conciliare con i principi di trasparenza nello svolgimento del rapporto.

La maggiore snellezza degli strumenti giuridici offerti dal diritto privato non è incompatibile con la persistente applicazione di essenziali principi garantistici di carattere generale. Senza trascurare, poi, che anche la contrattazione collettiva del settore privato, ed in via interpretativa la giurisprudenza, hanno individuato regole e principi inderogabili, operanti in tutti i rapporti di lavoro, preordinati alla tutela dei dipendenti, che impongono all'imprenditore di adempiere a specifici obblighi di informazione e di chiarezza.

Il collegio è consapevole che alcune delle prime decisioni del giudice ordinario affermano un diverso orientamento. Secondo tale indirizzo, dal principio di contrattualità del rapporto di lavoro discende che la p.a. esercita i suoi poteri nella veste di privato datore di lavoro e che gli atti di gestione del predetto rapporto sono stati trasformati in atti di diritto privato; non essendo più qualificabili in termini di provvedimento amministrativo gli atti di gestione non sono soggetti alla disciplina generale anteriore alla privatizzazione del rapporto e, dunque, anche all'obbligo di motivazione che l'art. 3 l. n. 241 del 1990 estende anche ai provvedimenti concernenti il personale (P. Napoli. Napoli, 11-12-1998).

Ma la tesi esposta, tutt'altro che consolidata, trascura di considerare altri aspetti salienti della disciplina del lavoro pubblico e della normativa comunque applicabile alla organizzazioni complesse, di natura integralmente privatistica. In questo senso, occorre considerare, in primo luogo, che il valore assoluto della trasparenza trova una chiara enunciazione nell'articolo 3 della legge n. 241/1990, che riferisce l'obbligo della motivazione anche alle determinazioni in materia di organizzazione e di gestione dei rapporti di lavoro. La disposizione, riferita ai provvedimenti amministrativi, non è immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano la gestione ordinaria del rapporto e la "microorganizzazione" delle strutture dell'amministrazione, affidate alla responsabilità del competente dirigente, in un'ottica di efficienza e di snellezza dell'azione del soggetto pubblico.

La regola della motivazione, conserva intatta la sua valenza, invece, in relazione agli atti organizzativi che incidono, in maniera stabile e significativa, sul contenuto delle mansioni del dipendente, sull'assegnazione definitiva (o comunque per un lasso di tempo apprezzabile) a determinati compiti o funzioni od a particolari sedi di servizio.

In tali circostanze, l'atto assume un contenuto complesso, relativo tanto al momento strettamente gestionale del rapporto di lavoro (determinandone una vicenda modificativa), quanto al profilo organizzativo dell'assetto del soggetto pubblico. L'innegabile connessione funzionale con il perseguimento dell'interesse pubblico manifesta la rilevanza delle regole riferite all'attività amministrativa, anche prescindendo dalla qualificazione dell'atto come provvedimento amministrativo, anziché come determinazione a carattere civilistico.

È del resto significativo che l'articolo 68 del decreto legislativo n. 29/1993 (nell'attuale versione) ha conservato la giurisdizione amministrativa sulle controversie in materia di procedure concorsuali. La regola non ha una portata meramente processuale, ma si collega al profilo sostanziale del rapporto, che, in questa parte, manifesta il collegamento strettissimo con l'interesse pubblico al corretto espletamento delle procedure di reclutamento.

Questo principio sostanziale, seppure riferito espressamente alle sole procedure concorsuali in senso stretto, spiega influenza anche in relazione alla disciplina delle attività di scelta del personale, strutturate secondo moduli paraconcorsuali, od articolate nella valutazione contestuale di diversi aspiranti al posto, ancorché non riguardanti l'accesso all'impiego o la progressione in carriera.

Al riguardo, è utile ricordare che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le decisioni n. 4 e 5 del 1999 ha espressamente affermato la piena operatività delle regole della trasparenza (segnatamente della disciplina in materia di accesso ai documenti) anche in relazione all'attività di diritto privato dei gestori di servizi pubblici, pure se riguardanti i rapporti di lavoro con i dipendenti, ancorché assoggettati, sul piano sostanziale, alle comune normativa civilistica. La pronuncia ha sottolineato la finalità dell'accesso ai documenti amministrativi, preordinata a realizzare l'effettiva trasparenza delle attività di interesse pubblico. Detta funzione della normativa resta indifferente alle forme giuridiche di esercizio dell'attività, imponendo solo di verificare il collegamento tra i documenti richiesti e l'interesse pubblico affidato alla cura del gestore.

I principi espressi dall'Adunanza Plenaria sono estensibili anche alla vicenda in contestazione. L'enunciazione della valutazione dei diversi aspiranti a posti di elevata responsabilità, secondo criteri di imparzialità e buon andamento concretizzati dall'amministrazione, risponde all'esigenza di assicurare il rispetto della funzione pubblica e rappresenta una forma di tutela dei soggetti direttamente coinvolti nel rapporto amministrativo.

Per completezza, è utile rammentare che secondo l'Adunanza generale (parere del 10 giugno 1999 n. 9/1999), l'esperibilità del ricorso straordinario in relazione a controversie rientranti nella giurisdizione ordinaria, ai sensi dell'articolo 68 del decreto legislativo n. 29/1993, va riconosciuta, tutte le volte in cui "l'atto della P.A., indipendentemente dal suo regime giuridico formale, risulti direttamente ed immediatamente finalizzato alla cura di un interesse pubblico specifico".

L'esigenza della motivazione degli atti conclusivi di procedure selettive del personale, sia pure semplificate e largamente informali, risulta in ogni caso pienamente compatibile con la natura privatistica del rapporto di lavoro.

Nelle organizzazioni complesse di natura radicalmente privata (segnatamente nelle imprese mancanti di qualsivoglia proiezione finalistica verso il perseguimento di interessi di rango pubblicistico), i poteri del datore di lavoro sono sottoposti ai limiti generali della correttezza e della buona fede.

In tal senso, si è chiarito (Cass., sez. un., 17-05-1996, n. 4570) che nel rapporto di lavoro subordinato di diritto privato non opera il principio di parità di trattamento, né è possibile alcun controllo di ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale (quale nella specie un incentivo economico al prepensionamento), sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuale diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali (e tipizzate) di discriminazione vietate, a meno che il rispetto di tali clausole discenda dalla necessità di comparazione delle situazioni di singoli lavoratori da parte del datore di lavoro che, nel contesto di una procedura concorsuale selettiva, debba operare una scelta di alcuni di essi.

In tale prospettiva, non è dubitabile che il titolare del "potere privato" è tenuto a rispettare le regole preventivamente fissate riguardanti lo svolgimento delle procedure di selezione del personale e l'assegnazione a funzioni di particolare rilevanza, esplicitando l'esito della compiuta valutazione comparativa.

Detto principio è considerato indiscusso dal giudice ordinario (Cass., sez. lav., 03-02-1993, n. 1336). Con riguardo a contratto collettivo che riservi al potere discrezionale del datore di lavoro l'ammissione a corsi di addestramento finalizzati all'attribuzione di una qualifica superiore, l'obbligo dello stesso datore di esercitare detto potere secondo i principi (di correttezza e buona fede) stabiliti dagli art. 1175 e 1375 c.c. - con il correlativo diritto soggettivo dei lavoratori tutelabili in sede giurisdizionale - comporta che la motivazione scritta prevista dallo stesso contratto per i provvedimenti di esclusione si configuri come una condizione di legittimità di tali provvedimenti e non possa risolversi nella estrinsecazione della mera valutazione negativa di fatti o comportamenti non specificati, essendone invece necessaria l'indicazione (sia pure in modo sommario ed esemplificativo), attesa la funzione della motivazione di rendere possibile il controllo in ordine al corretto esercizio del potere discrezionale (non in senso assoluto ma vincolato) dell'imprenditore.

Indipendentemente dalla sussistenza (o no) di un principio di parità di trattamento (alla stregua della sentenza della corte cost. n. 103 del 1989) nei rapporti di lavoro privati, il giudice del merito, con riguardo a procedura concorsuale di promozione dei lavoratori, ha l'obbligo - soprattutto nel caso di datori di lavoro enti pubblici economici - di verificare l'esistenza delle motivazioni del trattamento differenziato dei promovendi, al fine di controllarne la ragionevolezza e la giustificatezza con riferimento alle disposizioni regolamentari o contrattuali disciplinanti le operazioni elettive nonché alle clausole generali di correttezza e buona fede (Cass., sez. lav., 04-11-1992, n. 11943).

Con riguardo al sistema di scelta del personale da promuovere alla qualifica superiore, ancorché le norme della contrattazione collettiva non lo abbiano previsto, l'obbligo da parte del datore di lavoro della motivazione, nell'esternazione della procedura selettiva va desunto dall'applicabilità al rapporto contrattuale dei generali principi di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., atteso che la mancata menzione dell'obbligo di motivazione configura una lacuna della clausola del contratto collettivo destinata ad essere integrata dagli stessi principi, dai quali deriva l'obbligo del datore di lavoro di fornire la motivazione delle proprie scelte, allo scopo di consentire un controllo sulla validità delle stesse e la repressione di quelle illecite e irrazionali in coerenza con il principio della dignità sociale del lavoratore, tutelato dall'art. 41 cost (Cass., 18-09-1991, n. 9701).

La giurisprudenza civile ha poi puntualizzato che l'accertata violazione delle regole fissate nei bandi di concorso, ed integrate dalla clausola generale di correttezza e di buona fede, non solo costituisce il presupposto della responsabilità risarcitoria del datore di lavoro (con riguardo alla perdita di chances) in relazione alla pretesa dell'interessato, ma può determinare anche l'invalidità dell'atto finale della procedura selettiva (Cass. , sez. lav., 13-06-1991, n. 6657).

Ove - secondo l'interpretazione compiuta dal giudice di merito - il bando di concorso interno indetto per la attribuzione di una qualifica dirigenziale riservi al datore di lavoro non la semplice attribuzione di un punteggio, con totale libertà di apprezzamento, bensì la valutazione comparativa, sia pure discrezionale, di determinati requisiti in relazione all'espletamento dei compiti della qualifica predetta, i candidati hanno un diritto soggettivo al compimento effettivo di tale valutazione secondo i criteri generali di correttezza e buona fede, la cui osservanza esige che il datore di lavoro esterni i criteri seguiti per pervenire alla quantificazione dei requisiti considerati, con la conseguenza, in caso di inadempimento e di riconosciuta nullità della graduatoria, dell'obbligo dello stesso datore di procedere ad un nuovo scrutinio dei candidati, essendo in contrario irrilevante la (eventuale) sopravvenuta copertura - per effetto della cosiddetta copertura automatica ex art. 2103 c.c. (applicabile anche in ipotesi di assegnazione di mansioni in conseguenza di una promozione invalida) - del prefissato numero dei posti messi a concorso, senza che dal nuovo scrutinio possano essere esclusi i candidati che abbiano fruito della promozione automatica.

Del resto, anche nell'ambito del diritto del lavoro, la motivazione di particolari atti del datore, destinati ad incidere unilateralmente sulla posizione del dipendente, è frequentemente imposta dalla legge ordinaria, oppure dalla contrattazione collettiva, a pena di invalidità.

In tale prospettiva, si può affermare sinteticamente, che:

la mancanza della motivazione (se imposta da apposita norma o dagli accordi collettivi, o, unilateralmente, dallo stesso datore di lavoro) può tradursi in un vizio formale dell'atto;

l'inadeguatezza o l'insufficienza della motivazione, relativa al profilo essenziale della comparazione tra i diversi aspiranti all'incarico, secondo i criteri prefissati, rende l'atto inidoneo a realizzare il suo scopo tipico, evidenziato un difetto strutturale della causa tipica dell'atto.

Nell'uno e nell'altro caso, le lacune o la radicale mancanza della motivazione determinano l'invalidità dell'atto emanato dal soggetto pubblico, ancorché la determinazione non assume carattere provvedimentale, ma si inquadra nell'esercizio dei poteri dell'imprenditore privato.

Va comunque ricordato che, in sede di ricorso straordinario, pur non potendosi escludere (secondo la più recente giurisprudenza della commissione speciale: parere 13 luglio 1998 n. 411/1998) la proposizione di azioni pure di accertamento, la struttura formalmente impugnatoria del giudizio comporta che l'accoglimento del gravame si traduce sempre nella pronuncia di annullamento dell'atto censurato, indipendentemente dalla sua natura autoritativa o paritetica.

Ciò chiarito, si tratta di stabilire se, in concreto, gli atti impugnati soddisfano i requisiti della adeguata motivazione imposti dal sistema normativo. Nel caso di specie, l'amministrazione delle finanze ha previsto una vera e propria selezione, a carattere paraconcorsuale, caratterizzata dall'esame dei curriculum degli aspiranti. Ne deriva l'obbligo, coerente con i principi generali e rafforzato in relazione alla particolare fattispecie considerata, di esteriorizzare, attraverso una esauriente motivazione, le ragioni della preferenza accordata a determinati candidati.

Il riferimento alle intrinseche qualità professionali del Dottor Caserta e del Dottor Diena non risulta affatto idoneo a soddisfare l'obbligo della motivazione, perché, in tal modo, non si esprime affatto un appropriato giudizio comparativo con gli altri candidati. Non è sufficiente affermare che i due dipendenti posseggono qualità astrattamente idonee all'assegnazione delle funzioni: occorre altresì spiegare perché i due funzionari sono preferiti agli altri aspiranti.

Per la stessa ragione, non vale a colmare la carenza della motivazione il riferimento alla preferenza accordata ad una soluzione "interna", intesa a premiare gli aspiranti dotati di esperienza specifica. In tal modo, l'amministrazione non solo ha arbitrariamente introdotto un criterio particolare di preferenza che non risulta preventivamente determinato, ma ha radicalmente omesso di spiegare per quale ragione le doti professionali maturate dal funzionario interno prevalgano sulle qualità della ricorrente e documentate nel suo curriculum.

In definitiva, quindi, il ricorso deve essere accolto, limitatamente agli atti di conferimento degli incarichi conferiti ai Dottori Emanuele Diena e Placido Caserta.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto, nei limiti oggettivi esposti in motivazione.

Per estratto dal verbale

Il Segretario della Commissione

Pier Maria Costarelli

Visto

Il Presidente della Commissione

(Alfonso Quaranta)

Depositato il 5 febbraio 2001.

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