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n. 4-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, COMMISSIONE SPECIALE - Parere 17 gennaio 2001 n. 1242/2000 - Pres. Salvatore, Est. Cintioli - Oggetto: valenza giuridica del silenzio-rigetto L. 205/2000, art. 2, comma 1; disposizioni in materia di giustizia amministrativa.

Giustizia amministrativa - Silenzio della P.A. - Disciplina prevista dall'art. 2 della L. 205/2000 - Applicabilità ai soli casi di silenzio-rifiuto - Inapplicabilità ai casi di silenzio significativo ed in particolare ai casi di silenzio-rigetto a seguito di ricorso gerarchico.

Giustizia amministrativa - Silenzio della P.A. - Disciplina prevista dall'art. 2 della L. 205/2000 - Ratio - Previsione in unico contesto di una pronuncia di accertamento e di una di condanna.

Giustizia amministrativa - Ricorso gerarchico - Formazione del silenzio-rigetto - Ex art. 6 del d.P.R. n. 1199 del 1971 - Effetti - Sono solo processuali.

Giustizia amministrativa - Ricorso gerarchico - Previsto dall'art. 87, comma 6, del d. lgs. n. 77 del 1995 - In materia di formazione della massa passiva degli enti locali in stato di dissesto - Natura giuridica - E' di ricorso gerarchico improprio - Applicabilità della disciplina prevista in generale dal d.P.R. n. 1199 del 1971 sul ricorso gerarchico proprio - Sussiste.

L'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, aggiunto dall'art.2 della legge 21 luglio 2000, n. 205, il quale ha introdotto un rito speciale per la decisione dei ricorsi giurisdizionali proposti avverso il silenzio dell'Amministrazione, si applica ai soli casi di silenzio inadempimento (o silenzio-rifiuto), mentre non si applica ai casi di silenzio significativo, ossia a quelli in cui la norma attribuisce al comportamento inerte dell'Amministrazione protratto per un certo termine il valore legalmente tipico di assenso o di rigetto della domanda; la predetta norma, in particolare, non può ritenersi applicabile al silenzio-rigetto, formato ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n.1199 del 1971 e delle altre norme che si riconducono alla medesima matrice (1).

Nella nuova disciplina dell'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, aggiunto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205, la sequenza tra giudizio di cognizione per la dichiarazione di illegittimità del silenzio inadempimento e giudizio di ottemperanza per la pronuncia positiva è assorbita in un giudizio unitario, che ha duplice oggetto, misto di accertamento e di condanna, e che supera in via definitiva l'interpretazione che affidava alla decisione del giudice una mera efficacia demolitoria del silenzio dichiarato illegittimo. Il nuovo modello, invero, consente non solo di pronunciare sull'inadempimento dell'Amministrazione, ma anche di ordinarle di provvedere sull'istanza e di nominare un commissario ad acta alla scadenza del termine all'uopo assegnatole.

In conformità ai principi espressi dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisioni 27 novembre 1989, n. 16, e 4 dicembre 1989, n.17), deve ritenersi che - pure a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2 L. 205/2000 -  il decorso del termine per la formazione del silenzio-rigetto sul ricorso gerarchico non produce effetti sostanziali, ma solo processuali: il decorso del termine non dà luogo alla perfezione di un provvedimento amministrativo fittizio, ma integra solo un presupposto processuale, che consente al ricorrente in via gerarchica di proporre immediatamente il ricorso giurisdizionale od il ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso il provvedimento originario, inizialmente impugnato col ricorso gerarchico.

L'Amministrazione adita con il ricorso gerarchico conserva il potere di provvedere anche dopo la formazione del silenzio-rigetto e, del pari, al ricorrente è concesso di scegliere se avvalersi della facoltà di proporre immediato ricorso giurisdizionale o straordinario contro il provvedimento iniziale o se attendere la decisione gerarchica, eventualmente proponendo in seguito apposito ricorso contro di essa, qualora avesse contenuto di rigetto.

Deve inquadrarsi nell'istituto del ricorso gerarchico improprio il ricorso amministrativo previsto dall'art. 87, comma 6, del d. lgs. n. 77 del 1995 (sul procedimento di formazione della massa passiva degli enti locali in stato di dissesto), secondo cui i provvedimenti di diniego dell'istanza di inserimento del credito nel piano di rilevazione o di mancato riconoscimento delle cause di prelazione, possono essere impugnati in via amministrativa, mediante ricorso proposto al Ministero dell'interno entro 30 giorni.

Nella figura del ricorso gerarchico improprio si comprendono i casi in cui la legge predispone un rimedio di giustizia speciale interno alla P.A., che si concreta nella proposizione di un ricorso davanti ad un'autorità amministrativa diversa da quella che ha emanato il provvedimento impugnato, ma non gerarchicamente sovraordinata e concerne un rapporto tra due organi non riconducibili ad un unico apparato organizzato in senso verticale ed ai quali competono poteri funzionalmente diversi e per il quale, dunque, non valgono gli effetti abrogativi riconducibili al comb. disp. degli artt. 14 e l'art. 16, comma 1, lettera i), del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, testualmente riferibili solo al ricorso gerarchico in senso proprio (1).

Tale figura di ricorso, pur se soggetta a disciplina specifica sui termini per la decisione e per la formazione del silenzio-rigetto, si coordina con la fattispecie generale disciplinata dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. La comune radice delle due figure fa sì che il regime speciale dell'art. 87, comma 6, venga integrato da quello generale e, soprattutto, consente di riproporre nella materia in esame i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla natura e gli effetti del c.d. silenzio-rigetto formato ai sensi del medesimo art. 6 del d.P.R. n. 1199 del 1971.

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(1) V. in tal senso in dottrina S. FANTINI, Il rito speciale in materia di silenzio della P.A., in Giustizia amm.va n. 4-2001, pag. 417, spec. a p. 418, sub punto 2).

(2) V., in proposito, Cons. Stato, Ad. Gen, parere 10 giugno 1999.

 

 

N. Sezione 1242/2000

La Sezione

Vista la relazione del 14 novembre 2000, n.3056-C51(11), avente ad oggetto la richiesta di parere al Consiglio Stato formulata dal Ministero dell'interno, Direzione Generale dell'Amministrazione civile, Direzione Centrale per la finanza locale e per i servizi finanziari, Ufficio Studi per la finanza locale;

Vista l'autorizzazione del Signor Ministro dell'Interno per l'inoltro al Consiglio di Stato della predetta richiesta;

Vista la nota di trasmissione del 23 novembre 2000;

ESAMINATI gli atti e udito il relatore-estensore Consigliere Fabio Cintioli;

PREMESSO:

Con la relazione anzidetta il Ministero dell'interno richiede la pronuncia di un parere sui rapporti che corrono tra l'art. 87, comma 6, del d. lgs. 25 febbraio 1995, n.77, recante norme in tema di Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, e la nuova disciplina processuale di cui all'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n.1034, aggiunto dall'art.2 della legge 21 luglio 2000, n.205, recante Disposizioni in materia di giustizia amministrativa.

In particolare, osserva l'Amministrazione che l'art.87, comma 6, del detto d. lgs. n.77 del 1995, nel quadro della disciplina sull'accertamento del passivo degli enti locali in stato di dissesto, prevede che nei confronti dei provvedimenti di diniego di inserimento nel piano di rilevazione della massa passiva ovvero nei confronti del mancato riconoscimento delle cause di prelazione, provvedimenti entrambi pronunciati dall'organo straordinario di liquidazione, è ammesso ricorso, in carta libera, entro il termine di giorni 30 dalla notifica, al Ministero dell'interno. Si aggiunge che il Ministero si pronuncia sui ricorsi entro 60 giorni dal ricevimento, decidendo allo stato degli atti, e che "la decorrenza del termine per la decisione vale quale rigetto del ricorso".

Riferisce l'Amministrazione di aver sempre interpretato ed applicato questa disposizione in conformità ai principi enunciati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle decisioni 27 novembre 1989, n.16, e 4 dicembre 1989, n.17. Sicché si è ritenuto che il decorso del termine per la formazione del silenzio-rigetto non produce effetti sostanziali, ma solo processuali: il decorso del termine non dà luogo alla perfezione di un provvedimento amministrativo fittizio, ma integra solo un presupposto processuale, che consente al ricorrente in via gerarchica di proporre immediatamente il ricorso giurisdizionale od il ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso il provvedimento originario, inizialmente impugnato col ricorso gerarchico.

Si è, altresì, ritenuto che l'Amministrazione adita con il ricorso gerarchico conserva il potere di provvedere anche dopo la formazione del silenzio-rigetto e che, del pari, al ricorrente è concesso di scegliere se avvalersi della facoltà di proporre immediato ricorso giurisdizionale o straordinario contro il provvedimento iniziale o se attendere la decisione gerarchica, eventualmente proponendo in seguito apposito ricorso contro di essa, qualora avesse contenuto di rigetto. La decorrenza del termine, invero, non avrebbe comportato, secondo lo scrivente, alcun esercizio del potere da parte dell'Amministrazione, né avrebbe definito la posizione soggettiva del ricorrente.

In breve, il Ministero dell'interno non ha dubitato fino ad oggi che il silenzio-rigetto costituito a norma dell'art.87, comma 6, del d. lgs. n.77 del 1995 sia, anziché un atto amministrativo, un mero comportamento al quale la legge collega gli effetti che si sono poc'anzi richiamati.

Ciò premesso, il Ministero ipotizza che l'art.21 bis della legge n.1034 del 1971, che ha introdotto un rito speciale per la decisione dei ricorsi giurisdizionali proposti avverso il silenzio dell'Amministrazione, possa aver modificato il quadro di regole appena descritto.

Nel disciplinare un procedimento speciale per questo tipo di domanda giudiziale, il legislatore non ha delineato la tipologia di silenzio contro cui è possibile ricorrere, sicché l'Amministrazione si chiede se l'ambito applicativo dell'art. 21 bis, oltre a comprendere il caso del silenzio inadempimento (o silenzio-rifiuto), si estenda fino ad assorbire il silenzio-rigetto, inteso non più come mero comportamento avente effetti processuali, ma come autonomo provvedimento amministrativo.

Nel formulare il quesito finale, relativo all'"esatta valenza legale tipizzata" da attribuire al silenzio-rigetto alla luce del comb. disp. degli artt. 87, comma 6, del d. lgs. n.77 del 1995, e 21 bis della legge n.1034 del 1971, l'Amministrazione, in specie, richiede che questo Consiglio chiarisca nel suo parere la sorte dei ricorsi attualmente pendenti ed i poteri di decisione rimasti in capo al Ministero nei casi di sopravvenuto decorso del termine di 60 giorni.

CONSIDERATO:

1. Il ricorso amministrativo previsto dall'art. 87, comma 6, del d. lgs. n.77 del 1995 si inserisce nel quadro della disciplina sul procedimento di formazione della massa passiva degli enti locali in stato di dissesto, la quale affida il compito di accertare le posizioni di credito e le cause legittime di prelazione all'organo straordinario di liquidazione nominato ai sensi dell'art.85 del medesimo d. lgs..

Si prevede che i provvedimenti a contenuto negativo per l'interessato, di diniego dell'istanza di inserimento del credito nel piano di rilevazione o di mancato riconoscimento delle cause di prelazione, possono essere impugnati in via amministrativa, mediante ricorso proposto al Ministero dell'interno entro 30 giorni. Questi provvede nei 60 giorni successivi e "la decorrenza del termine per la decisione vale quale rigetto del ricorso".

2. Questo speciale rimedio giustiziale deve inquadrarsi nell'istituto del ricorso gerarchico improprio.

Il ricorso rimette all'autorità ministeriale un riesame dell'istanza che involge sia questioni di legittimità sia questioni di merito e ciò per effetto di una norma che esprime una peculiare valutazione legislativa circa l'opportunità di concedere un rimedio avverso i provvedimenti in oggetto. E' questa previsione normativa l'esclusivo fondamento di un ricorso rivolto ad un'autorità che non è gerarchicamente sovraordinata all'organo che ha emesso il provvedimento impugnato.

L'organo straordinario di liquidazione, ancorché nominato con d.P.R. su proposta del Ministro dell'interno, è titolare di un ufficio cui sono devolute competenze a titolo originario, descritte all'art. 85, comma 4, del d. lgs. n.77 del 1995. Esso opera in posizione di autonomia, senza vincoli né precise direttive da osservare ed assume questi poteri a garanzia del corretto svolgimento delle fasi di accertamento del passivo e di liquidazione, nel rispetto della par condicio creditorum e delle specifiche esigenze di pubblico interesse che questa disciplina mira a realizzare.

Come recentemente ribadito da questo Consiglio, nella figura del ricorso gerarchico improprio si comprendono i casi in cui la legge predispone un rimedio di giustizia speciale interno alla P.A., che si concreta nella proposizione di un ricorso davanti ad un'autorità amministrativa diversa da quella che ha emanato il provvedimento impugnato, ma non gerarchicamente sovraordinata. Si tratta di un istituto che rinviene la propria giustificazione di diritto positivo in norme che prescindono dall'esistenza di un rapporto di gerarchia in senso proprio tra Amministrazioni diverse o tra organi della medesima Amministrazione. Esso concerne un rapporto tra due organi non riconducibili ad un unico apparato organizzato in senso verticale ed ai quali competono poteri funzionalmente diversi e per il quale, dunque, non valgono gli effetti abrogativi riconducibili al comb. disp. degli artt. 14 e l'art. 16, comma 1, lettera i), del d. lgs. 3 febbraio 1993, n.29, testualmente riferibili solo al ricorso gerarchico in senso proprio (v., in proposito, quanto affermato da Cons. Stato, Ad. Gen. del 10 giugno 1999).

3. Da tale inquadramento discende l'esattezza della prassi applicativa seguita fino ad oggi dal Ministero richiedente.

Tale figura di ricorso, pur se soggetta a disciplina specifica sui termini per la decisione e per la formazione del silenzio-rigetto, si coordina con la fattispecie generale disciplinata dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n.1199. La comune radice delle due figure fa sì che il regime speciale dell'art. 87, comma 6, venga integrato da quello generale e, soprattutto, consente di riproporre nella materia in esame i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla natura e gli effetti del c.d. silenzio-rigetto formato ai sensi del medesimo art. 6 del d.P.R. n.1199 del 1971.

Il regime dell'art.6, oltretutto, è più ampio rispetto alla norma dell'art.87, comma 6, poiché si spinge fino ad individuare nel "provvedimento impugnato" l'oggetto del ricorso giurisdizionale esperibile dopo la formazione del silenzio rigetto; ed il provvedimento impugnato coincide, per l'appunto, con quello inizialmente impugnato in via gerarchica.

Siffatta precisazione vale anche per la fattispecie in esame e qualifica l'eventuale ricorso giurisdizionale o straordinario proposto dopo la scadenza dei 60 giorni come rivolto all'impugnazione del diniego pronunciato dall'organo straordinario di liquidazione.

4. Le ragioni che hanno indotto l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle citate decisioni del 1989 a configurare il decorso del termine come mero presupposto processuale anziché come provvedimento legalmente tipizzato, oltre che connesse ad argomenti letterali, sono lo sviluppo di un'interpretazione volta a rafforzare l'effettività della tutela delle situazioni soggettive del privato, in armonia con i valori costituzionali.

In particolare, secondo l'Adunanza Plenaria, se si fosse ravvisata alla scadenza del termine la formazione di un provvedimento amministrativo di rigetto, si sarebbero verificate le seguenti conseguenze, lesive delle aspettative del ricorrente: a) questi avrebbe potuto dedurre con il ricorso giurisdizionale proposto avverso il rigetto del ricorso solo i motivi di legittimità, con la definitiva perdita della tutela di merito pure accordata dal rimedio di giustizia interno alla P.A.; b) il ricorrente sarebbe stato obbligato ad impugnare nel termine di decadenza di 60 giorni il silenzio-rigetto, a pena di immediata e definitiva perdita della tutela giurisdizionale; c) la decisione tardiva di accoglimento del ricorso sarebbe stata esposta all'impugnativa dei controinteressati per il solo fatto della sua comunicazione oltre il termine dei 90 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico.

Tali conseguenze, a ben vedere, vengono meno se si collega al decorso del termine quell'effetto processuale consistente nell'attribuzione al ricorrente di una facoltà, in luogo di un obbligo di impugnazione: egli può ricorrere immediatamente in sede giurisdizionale avverso il provvedimento originario, ma può anche attendere la pronuncia tardiva sul ricorso gerarchico, al fine di sollecitare eventualmente una revisione dei profili di merito della questione, ovvero adoperarsi per far pronunciare l'Amministrazione adita col ricorso, mediante la formazione del c.d. silenzio-inadempimento.

Nei principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa è stato, invero, chiaramente esposto quello per cui l'Amministrazione investita del ricorso non solo conserva il potere di provvedere dopo la scadenza del termine di 90 giorni, ma è anche titolare dell'obbligo di provvedere, sia pur tardivamente. Il principio di fondo, insomma, è quello che il regime del c.d. silenzio-rigetto non può essere ricostruito in maniera da sopprimere per l'interessato un rimedio di giustizia apprestato dall'ordinamento.

Alla base di questi argomenti v'è la netta percezione di una specialità della situazione che si determina allorché l'inerzia dell'Amministrazione si manifesta su di un ricorso interno e che sconsiglia interpretazioni tali da collegare al decorso del termine l'effetto della formazione di un rigetto legalmente tipizzato.

Tali considerazioni valgono anche per la fattispecie in esame.

Se, invero, si collegasse alla scadenza del termine di 60 giorni previsto dall'art.87, comma 6, la formazione di un provvedimento amministrativo di rigetto del ricorso, si verificherebbero quelle medesime situazioni che la giurisprudenza amministrativa ha inteso scongiurare in termini generali rispetto alla disposizione dell'art. 6 del d.P.R. n.1199 del 1971.

5. Deve adesso valutarsi quale incidenza abbia su questo istituto la nuova disciplina dell'art.21 bis della legge n.1034 del 1971.

La novella ha introdotto un modello processuale specifico per i ricorsi giurisdizionali proposti in costanza dell'inerzia tenuta dall'Amministrazione nei riguardi della domanda od istanza dell'interessato. Si è dettato per questo tipo di controversie un regime ad hoc che, in funzione correttiva della precedente esperienza, si propone due obiettivi primari: quello di accelerare tali processi e quello di concentrare in un unico rapporto processuale le due fasi che spesso si rivelavano necessarie per costringere l'Amministrazione ad ottemperare.

La sequenza tra giudizio di cognizione per la dichiarazione di illegittimità del silenzio inadempimento e giudizio di ottemperanza per la pronuncia positiva è assorbita in un giudizio unitario. Esso ha duplice oggetto, misto di accertamento e di condanna, che supera in via definitiva l'interpretazione che affidava alla decisione del giudice una mera efficacia demolitoria del silenzio dichiarato illegittimo. Il nuovo modello, invero, consente non solo di pronunciare sull'inadempimento dell'Amministrazione, ma anche di ordinarle di provvedere sull'istanza e di nominare un commissario ad acta alla scadenza del termine all'uopo assegnatole.

Si tratta di un processo che vuole sopperire all'inerzia della P.A. e che si rivela comunque strumento sussidiario, giacché il potere-dovere di questa di pronunciarsi positivamente, lungi dall'essere attenuato, è rimarcato dall'inciso del comma 3, che incarica il commissario, all'atto dell'insediamento e prima di operare in via sostitutiva, di accertare se l'Amministrazione abbia già provveduto anteriormente all'insediamento medesimo, ancorché in data successiva a quella assegnata dal giudice. Lo scopo primario del legislatore resta quello di indurre l'Amministrazione ad esprimersi positivamente sull'istanza del privato.

La norma di cui si discute, dunque, per un verso assume come immediato punto di riferimento quel fenomeno descritto come silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto e, per altro verso, opera esclusivamente sul piano processuale, senza diretta incidenza sul piano sostanziale o procedimentale.

Restano pertanto esclusi dal suo ambito applicativo i casi di silenzio significativo, ossia quelli in cui la norma attribuisce al comportamento inerte dell'Amministrazione protratto per un certo termine il valore legalmente tipico di assenso o di rigetto della domanda. In essi è l'autorità della legge che sostituisce al comportamento silente un provvedimento, il quale soggiace al regime di impugnazione ed ai poteri di ritiro in autotutela comuni a tutti gli atti amministrativi.

Resta, altresì, escluso dall'orbita di azione dell'art. 21 bis l'istituto del silenzio-rigetto, formato ai sensi dell'art.6 del d.P.R. n.1199 del 1971 e delle altre norme che si riconducono alla medesima matrice, tra cui anche quella oggetto del presente parere.

Ciò in duplice senso, poiché non solo lo speciale processo di cui all'art.21 bis non è applicabile al silenzio-rigetto, ma soprattutto la disposizione processuale non scalfisce il quadro di regole tratteggiato dall'Adunanza Plenaria nelle sentenze del 1989.

Le ragioni ispiratrici della tesi che affida alla decorrenza del termine la funzione di mero presupposto processuale non vengono certamente meno per effetto del nuovo rito sull'impugnazione del silenzio. Piuttosto, sia l'uno che l'altro sistema di norme e principi confermano che, quando il legislatore ha previsto la possibilità per il privato di utilizzare un ricorso interno alla P.A., l'autorità investita della decisione sul ricorso è obbligata a pronunciarsi su di esso, senza che siffatto obbligo possa essere surrettiziamente vanificato dalla configurazione di un provvedimento fittizio, con la segnalata deminutio di tutela a danno del ricorrente. Ed invero, si è rilevato che sia nell'interpretazione dell'Adunanza Plenaria sull'art. 6 del d.P.R. n.1199 del 1971 sia nella nuova norma dell'art. 21 bis, il potere-dovere dell'Amministrazione di pronunciarsi sul ricorso è operativo anche dopo il decorso del termine ed il cui sollecito esercizio, oltre a riposare su principi costituzionali, è presidiato da molteplici e differenziate norme presenti nell'ordinamento.

6. Ad ulteriore chiarimento di quanto esposto, si risponde al quesito conclusivo precisando che, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 21 bis della legge n.1034 del 1971, il Ministero dell'interno conserva anche con le implicazioni suaccennate il potere-dovere di provvedere sui ricorsi proposti ai sensi dell'art.87, comma 6, del d. lgs. n.77 del 1995, ancorché sia scaduto il termine di 60 giorni ivi indicato.

P.Q.M.

Nelle esposte considerazioni è il parere della Sezione.

Per Estratto dal Verbale

Il Segretario della Sezione

(Licia Grassucci)

Visto

Il Presidente della Sezione

(Paolo Salvatore)

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