C.G.A., SEZ. GIURISDIZIONALE - Sentenza 20 agosto 2002 n. 537 - Pres. Virgilio, Est. Tommasini - Gaito (Avv. Sergio Agrifoglio) c. Assessorato Regionale Enti Locali ed altro (Avv. Stato Tutino) - (annulla T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, sent. 26 maggio 1999, n. 1122).
1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse all'impugnazione - Nel caso di ricorso proposto dal legale rappresentante del Grande Oriente d'Italia - A tutela della capacità espansiva dell'associazione, a fronte di discriminazioni che possono colpire i propri attuali e potenziali aderenti e/o iscritti - Sussiste.
2. Amministrazione pubblica - Generalità - Attribuzione di incarichi - Requisiti richiesti - Debbono riguardare esclusivamente la qualificazione professionale ed essere attinenti all'incarico da ricoprire.
3. Amministrazione pubblica - Generalità - Attribuzione di incarichi - Provvedimento che richiede una dichiarazione circa l'appartenenza o meno alla Massoneria - Illegittimità - Ragioni.
1. Sussiste l'interesse del legale rappresentante dell'Associazione Grande Oriente d'Italia di agire in giudizio per tutelare gli iscritti come categoria lesa e a non vedere pregiudicata la capacità espansiva dell'associazione, a fronte di discriminazioni che possono colpire i propri attuali e potenziali aderenti e/o iscritti (alla stregua del principio il C.G.A., riformando sul punto la sentenza del T.A.R. Sicilia, ha ritenuto nella specie che era ammissibile un ricorso proposto dal legale rappresentante del Grande Oriente d'Italia avverso dei provvedimenti adottati dall'Assessorato reg.le EE.LL. nelle parti in cui prevedevano che i funzionari che intendevano essere nominati commissari ad acta presso le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza dovevano presentare apposita istanza, con allegata dichiarazione attestante, tra l'altro, di non essere appartenente alla Massoneria, ovvero indicare l'obbedienza e la loggia di appartenenza, anche se coperta) (1).
2. E' principio generale quello secondo il quale, ai fini della assunzione e della copertura di incarichi pubblici, non possono essere richieste altro che notizie e requisiti specificamente attinenti, anche sotto il profilo della qualificazione professionale, al ruolo o incarico da ricoprire.
3. E' illegittimo - ai sensi degli artt. 2, 3 e 18 della Cost. e dell'art. 8 dello Statuto dei lavoratori - un provvedimento con il quale, ai fini dell'attribuzione di un incarico pubblico (nella specie, di commissario ad acta), si chiede agli aspiranti di allegare una dichiarazione attestante, tra l'altro, di non appartenere alla massoneria, ovvero l'obbedienza e la loggia di appartenenza, anche se coperta; tale dichiarazione costituisce soltanto una illegittima interferenza nella sfera riservata dei soggetti interessati, creando i presupposti per indebite discriminazioni e per la divulgazione di notizie del tutto personali ed alle quali la P.A. non ha un interesse qualificato e meritevole di tutela (2).
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(1) Ha aggiunto il Consiglio di Giustizia Amministrativa che la lesività dei provvedimenti impugnati con il ricorso di primo grado "era duplice perché per un verso incide sulla possibilità degli iscritti alla associazione di potere essere nominati commissari, per altro verso si pretende che venga resa la dichiarazione di appartenenza unitamente ad altre dichiarazioni di non trovarsi in particolari condizioni (non avere riportato condanne, non avere ricevuto avvisi di garanzia, etc.), con una assimilazione che, anche nella forma, era gravemente lesiva della immagine della Associazione e della intera categoria degli iscritti".
Infatti gli iscritti alla massoneria non potrebbero essere nominati commissari al pari di chi ha ricevuto una condanna o almeno un avviso di garanzia con una chiara ed evidente qualificazione negativa per la categoria degli iscritti all'associazione. Inoltre la richiesta di indicare l'obbedienza e la loggia di appartenenza, anche se coperta, deve essere ritenuta illegittima proprio in quanto impone al socio di una associazione di rendere comunque pubblica tale appartenenza.
L'attualità e la concretezza dell'interesse, ad avviso del C.G.A., è da rinvenire nella palese violazione del diritto alla riservatezza ed all'immagine che derivava da tali provvedimenti.
(2) Ha aggiunto il C.G.A. che gli atti impugnati comportavano una evidente violazione di diritti - anche costituzionalmente protetti - degli iscritti al Grande Oriente d'Italia, nonché all'immagine stessa della associazione, e comunque una evidente discriminazione a danno degli iscritti alla associazione, senza che fosse possibile individuare una ragionevole tutela dell'interesse pubblico prevalente rispetto alla specifica conoscenza del dato personale.
E questo anche a prescindere dalla violazione dei principi recepiti dalla Direttiva Comunitaria 95/46/CE del 24 ottobre 1995, direttamente applicabile in Italia e dalle regole stabilite nella legge 31 dicembre 1996, n. 675, che hanno introdotto la nuova disciplina in tema di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.
FATTO
Con ricorso notificato il 28 gennaio 1994 e depositato il 02 febbraio successivo, l'Avv. Gaito Virgilio, nella qualità di legale rappresentante del Grande Oriente d'Italia, ha impugnato i seguenti atti:
1. decreto 9 dicembre 1993 dell'Assessorato agli Enti Locali della Regione Siciliana, contenente "determinazioni dei criteri e delle modalità per l'esercizio del controllo ispettivo e sostitutivo delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza";
2. deliberazione n. 445 del 12 novembre 1993 della Giunta Regionale di Governo.
Entrambi nelle parti in cui prevedono che i funzionari che intendono essere nominati commissari ad acta presso le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza devono presentare apposita istanza, con allegata dichiarazione attestante, tra l'altro, di non essere appartenente alla Massoneria, ovvero indicare l'obbedienza e la loggia di appartenenza anche se coperta.
Il ricorrente ha chiesto l'annullamento degli atti impugnati, previa sospensiva e col favore delle spese, deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 18 e 97 della Costituzione.
La possibilità di associarsi liberamente, senza autorizzazione, alla Massoneria rientra tra i diritti garantiti dagli artt. 2, 3 e 18 della Costituzione, e poiché l'Associazione ricorrente non soltanto non è "proibita" ma, in quanto lecita, è direttamente tutelata dalle norme costituzionali da qualunque ingiustificato attacco che attenti alla sua sopravvivenza, ai suoi diritti fondamentali, alla sua immagine e ai diritti fondamentali dei suoi associati, l'Amministrazione regionale non può chiedere ai suoi dipendenti alcuna dichiarazione di appartenenza o meno alla Massoneria.
2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Costituzione.
L'Amministrazione ha operato una illegittima discriminazione tra l'Associazione ricorrente e tutte le altre associazioni che pure operano nell'ambito della Regione siciliana e nel territorio nazionale. Inoltre, poichè la predetta dichiarazione viene chiesta congiuntamente a quella di non trovarsi nelle condizioni previste dalla legge regionale 18 gennaio 1992, n. 16, ed in particolare di non avere ricevuto avvisi di garanzia e di non essere sospesi dal servizio, con gli atti impugnati viene lesa la pari dignità sociale dei cittadini.
3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione.
L'Amministrazione, anziché perseguire il buon andamento e l'imparzialità, ha perseguito una finalità diametralmente opposta, non potendosi escludere che i dipendenti regionali iscritti alla Massoneria preferiscano non presentare la domanda in questione, al fine di evitare di subire persecuzioni da gruppi o partiti ostili.
L'Avvocatura dello Stato, costituitasi per la Regione siciliana depositando memoria, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, contestandone, nel merito, la fondatezza e chiedendone il rigetto, con vittoria di spese.
Con ordinanza n. 145 del 24 febbraio 1994 (confermata in sede di appello), è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati.
Con memoria depositata il 19 marzo 1999, il ricorrente ha ulteriormente illustrato quanto dedotto nell'atto introduttivo del giudizio.
Alla pubblica udienza del 9 aprile 1999 i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive tesi ed il ricorso è stato posto in decisione.
Con sentenza n. 1122/99 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sede di Palermo (I sezione), ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello, con ricorso notificato il 15 novembre 1999, l'Avv. Virgilio Gaito e l'Avv. Gustavo Raffi affidando il ricorso ad un motivo, e riproponendo i motivi già fatti valere in primo grado, chiedendo, incidentalmente, la sospensione della sentenza impugnata.
Si sono costituite in giudizio le amministrazioni appellate chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2001 le parti hanno insistito ciascuna nelle proprie domande, e la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
1.- Il ricorso in appello è fondato e deve essere accolto.
2.- In linea preliminare il Collegio ritiene di dovere affrontare la questione attinente la ammissibilità del ricorso. Infatti, il Tribunale Amministrativo Regionale ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'odierna appellante sul presupposto che non sussisterebbe in capo all'allora ricorrente nella spiegata qualità la legittimazione attiva a proporre impugnativa in presenza di una pretesa inidoneità lesiva degli atti impugnati nei confronti della Associazione rappresentata.
Peraltro non risulterebbe provato che a mente dello statuto dell'associazione stessa tra le finalità perseguite sia inclusa la difesa degli interessi morali e materiale della categoria, in tutti i settori di attività.
Avverso la suddetta decisione è insorto l'odierno appellante censurandone la fondatezza.
Il Collegio ritiene di non potere condividere sul punto la decisione dei primi giudici che pertanto deve essere riformata.
Nella specie la previsione dei provvedimenti impugnati assumeva una portata generale, tale da coinvolgere l'intera categoria degli iscritti alle associazioni massoniche. Sicchè vi è uno specifico e diretto interesse della Associazione in quanto tale a tutelare gli iscritti come categoria lesa e la stessa Associazione a non vedere pregiudicata la propria capacità espansiva, a fronte di discriminazioni che avrebbero potuto colpire i propri attuali e potenziali aderenti e/o iscritti. In questa specifica ottica, non possono esistere perplessità sulla circostanza che il legale rappresentante abbia il potere - a prescindere dalle previsioni statutarie - di tutelare l'Associazione e la categoria degli iscritti nelle opportune sedi (anche giurisdizionali).
La lesività dei provvedimenti impugnati è duplice perché per un verso incide sulla possibilità degli iscritti alla associazione di potere essere nominati commissari, per altro verso si pretende che venga resa la dichiarazione di appartenenza unitamente ad altre dichiarazioni di non trovarsi in particolari condizioni (non avere riportato condanne, non avere ricevuto avvisi di garanzia, etc.), con una assimilazione che, anche nella forma, era gravemente lesiva della immagine della Associazione e della intera categoria degli iscritti.
Infatti gli iscritti alla massoneria non potrebbero essere nominati commissari al pari di chi ha ricevuto una condanna o almeno un avviso di garanzia con una chiara ed evidente qualificazione negativa per la categoria degli iscritti all'associazione. Inoltre la richiesta di indicare l'obbedienza e la loggia di appartenenza, anche se coperta, deve essere ritenuta illegittima proprio in quanto impone al socio di una associazione di rendere comunque pubblica tale appartenenza.
Infine l'attualità e la concretezza dell'interesse, ad avviso del Collegio, è da rinvenire nella palese violazione del diritto alla riservatezza ed all'immagine già sopra implicitamente richiamate. Pertanto il Collegio ritiene di dovere riformare la sentenza di primo grado già sotto il profilo della dichiarata inammissibilità. Il ricorso è chiaramente ammissibile.
3.- Anche nel merito il ricorso di primo grado è fondato e meritevole di accoglimento.
Ed invero, ad avviso del Collegio, atteso che la Massoneria Italiana di Palazzo Giustiniani non può essere considerata facente parte delle associazioni di cui al 2° comma dell'articolo 18, comma 2° della Costituzione, i provvedimenti impugnati appaiono in aperto contrasto con le norme costituzionali invocate dagli appellanti e con l'articolo 8 dello statuto dei lavoratori (L. 300/70). Deve ritenersi principio generale quello secondo il quale ai fini della assunzione e della copertura di incarichi (quale quello di Commissario) non possono essere richieste notizie e requisiti specificamente attinenti, anche sotto il profilo della qualificazione professionale, al ruolo o incarico da ricoprire.
La pretesa volta ad ottenere la dichiarazione relativa alla appartenenza alla massoneria non assumeva alcun nesso o rapporto con l'incarico da ricoprire e costituiva soltanto una illegittima interferenza nella sfera riservata dei soggetti, creando i presupposti per indebite discriminazioni e per la divulgazione di notizie del tutto personali ed alle quali la pubblica amministrazione non aveva interesse qualificato e meritevole di tutela. E questo anche a prescindere dalla violazione dei principi recepiti dalla Direttiva Comunitaria 95/46/CE del 24 ottobre 1995, direttamente applicabile in Italia, e dalle regole stabilite nella legge 31 dicembre 1996, n. 675, che hanno introdotto la nuova disciplina in tema di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.
Per altro verso, taluni principi hanno trovato conferma anche nella recente decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo del 2.3.2001 in omologa controversia che ha contrapposto il Grande Oriente d'Italia allo Stato Italiano.
In conclusione gli atti impugnati comportano una evidente violazione di diritti - anche costituzionalmente protetti - degli iscritti al Grande Oriente d'Italia, nonché all'immagine stessa della Associazione, e comunque una evidente discriminazione a danno degli iscritti alla associazione senza che sia possibile individuare una ragionevole tutela dell'interesse pubblico prevalente rispetto alla specifica conoscenza del dato personale. Pertanto, il Collegio ritiene di dovere accogliere anche nel merito l'appello ed annullare gli atti impugnati nella specifica parte in cui si pretendeva la dichiarazione di non appartenenza.
4.= Considerata la particolarità della controversia, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, accoglie l'appello e per l'effetto annulla la sentenza del T.A.R., con conseguente accoglimento dei motivi di ricorso fatti valere in primo grado.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina all'Amministrazione di dare esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Palermo nella Camera di Consiglio del 25 novembre 2001 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, con l'intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Paolo Turco, Giorgio Giaccardi, Raffaele Tommasini, Estensore, Antonio Andò, Componenti.
Depositata in cancelleria il 20 agosto 2002.