CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO - Sentenza 24 ottobre 2000 n. 13980.
Lavoro – Ferie – Disciplina prevista dall’art. 2109, comma 2°, cod. civ. – Potere del datore di lavoro di fissare le ferie – Va esercitato entro anno – Decorso dell’anno – Determina l’impossibilità di esercitare il relativo potere e l’obbligo di risarcire il danno al lavoratore.
Lavoro – Ferie – Disciplina prevista dall’art. 2109 cod. civ. – Prova circa l’effettivo godimento delle ferie – Incombe sul datore di lavoro.
Una volta decorso l’anno di competenza previsto dall’art. 2109, secondo comma, del codice civile, il datore di lavoro non può più imporre al lavoratore di godere effettivamente delle ferie e tantomeno può stabilire il periodo nel quale deve goderle, ma è tenuto al risarcimento del danno (1).
Il potere discrezionale del datore di lavoro in materia di ferie del dipendente è, infatti, limitato da norme inderogabili come, ad esempio, quella per la quale l’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie (terzo comma dell’art. 2019 del codice civile) e quella per la quale le ferie devono essere godute entro l’anno di lavoro e non successivamente (ex art. 2109, secondo comma, del codice civile). La ragione di quest’ultima norma dipende dalla funzione propria delle ferie annuali che è quella di assicurare il recupero delle energie fisiche e psichiche da parte del lavoratore; funzione che sarebbe compromessa se non avvenisse con periodicità almeno annuale (2).
La prova del godimento delle ferie da parte del lavoratore deve essere fornita, in base ai principi generali dell’onere probatorio, dal datore di lavoro.
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(1) Ha premesso in proposito la Corte che "il secondo comma dell’articolo 2109 del codice civile dispone che il prestatore di lavoro ha diritto, dopo un anno d’ininterrotto servizio, a un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto dell’esigenza dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La norma attribuisce al datore di lavoro un potere di natura discrezionale che non è del tutto arbitrario e privo di vincoli, ma deve tenere conto anche degli interessi del prestatore di lavoro. In sostanza l’imprenditore deve organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le esigenze dell’impresa, ma non ingiustificatamente vessatorio nei confronti del lavoratore e dimentico delle legittime esigenze di questi".
Ha aggiunto inoltre che, poiché datore di lavoro non può esercitare il suo potere di fissazione del periodo delle ferie oltre l’anno di riferimento, non può avere a tal fine alcuna rilevanza la situazione di crisi in cui eventualmente versa l’azienda.
(2) Cfr. Corte Costituzionale 19 dicembre 1990 n. 543, che ha dichiarato illegittimo il penultimo comma dell’art. 22 allegato a) del regio decreto 8 gennaio 1931 n. 148, nella parte in cui prevedeva che l’autoferrotramviere poteva non fruire delle ferie nel corso dell’anno lavorativo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 27 ottobre 1995 il Dott. V. conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Genova, quale giudice del lavoro, la A. e la B. , in persona dei loro legali rappresentanti pro-tempore.
Esponeva, tra l’altro, di essere stato preposto, fino al novembre del 1994, al settore montaggi esterni della (omissis). con la qualifica di quadro; che dal 22 febbraio al 28 aprile 1995 era stato posto unilateralmente in ferie dalla società convenuta per il parziale recupero delle numerose ferie non godute negli anni precedenti, nonostante le sue rimostranze per il periodo scelto; che in data 11 settembre 1995 gli era stata recapitata una comunicazione interna con la quale la società disponeva un nuovo periodo forzoso di ferie in attesa della definizione della sua posizione. Assumeva che il potere di fissazione unilaterale del periodo delle ferie da parte della società era stato illegittimamente esercitato.
Chiedeva che fosse dichiarata illegittima la messa in ferie dal 18 settembre al 17 dicembre 1995 unilateralmente disposta dalla (omissis), con ogni conseguenza in termini di qualificazione giuridica e trattamento economico e normativo nel relativo periodo di astensione lavorativa; che, di conseguenza, fossero condannate la A. e la B., in solido tra loro, a ricostituire il monte ferie arretrate del dott. V., senza tenere conto dell’astensione lavorativa predetta. Costituitesi in giudizio le società convenute ed espletata l’istruttoria, con sentenza depositata il 1° marzo 1997, il Pretore respingeva la domanda del V. per quanto riguardava la questione delle ferie.
La decisione del Pretore è stata riformata dal Tribunale di Genova che, con sentenza depositata il 25 settembre 1997, ha dichiarato illegittima la unilaterale messa in ferie del V. da parte della (omissis) dal 18 settembre al 17 dicembre 1995. Avverso la decisione propongono ricorso, articolato in due motivi, sia la A. in liquidazione, sia la B. Il dott. V. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le società ricorrenti denunziano la violazione degli articoli 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamentano che il dott. V. non abbia dimostrato che la società da cui dipendeva avesse rifiutato il godimento delle ferie nei relativi anni di competenza. Con il secondo motivo le società ricorrenti denunziano le violazioni degli articoli 1362 e seguenti del codice civile in materia di interpretazione dei contratti collettivi, e degli articoli 2109 e 2186 c.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamentano che il Tribunale di Genova abbia ritenuto che il collocamento forzoso in ferie del dipendente non può essere giustificato da situazioni di crisi del settore economico in cui opera l’impresa del datore di lavoro; e che non abbia tenuto presente che il potere del datore di lavoro di fissare unilateralmente il periodo di ferie deve contemperare le esigenze delle imprese con quelle del prestatore di lavoro. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e debbono essere dichiarati infondati.
Come è noto, il secondo comma dell’articolo 2109 del codice civile dispone che il prestatore di lavoro ha diritto, dopo un anno d’ininterrotto servizio, a un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto dell’esigenza dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro.
La norma attribuisce al datore di lavoro un potere di natura discrezionale che non è del tutto arbitrario e privo di vincoli, ma deve tenere conto anche degli interessi del prestatore di lavoro. In sostanza l’imprenditore deve organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le esigenze dell’impresa, ma non ingiustificatamente vessatorio nei confronti del lavoratore e dimentico delle legittime esigenze di questi.
Il potere discrezionale del datore di lavoro è, inoltre, limitato da norme inderogabili come, ad esempio, quella per la quale l’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie (terzo comma dell’art. 2109 del codice civile) e quella per la quale le ferie devono essere godute entro l’anno di lavoro e non successivamente (ex art. 2109, secondo comma, del codice civile).
La ragione di quest’ultima norma dipende dalla funzione propria delle ferie annuali che è quella di assicurare il recupero delle energie fisiche e psichiche da parte del lavoratore; funzione che sarebbe compromessa se non avvenisse con periodicità almeno annuale e che è stata affermata espressamente dalla Corte Costituzionale quando ha dichiarato illegittimo il penultimo comma dell’art. 22 allegato a) del regio decreto 8 gennaio 1931 n. 148, nella parte in cui prevedeva che l’autoferrotramviere potesse non fruire delle ferie nel corso dell’anno lavorativo (Corte Costituzionale 19 dicembre 1990 n. 543).
Deve concludersi che, una volta decorso l’anno di competenza, il datore di lavoro non possa più imporre al lavoratore di godere effettivamente delle ferie e tantomeno possa stabilire il periodo nel quale deve goderle, ma è tenuto al risarcimento del danno.
Nel caso in esame il datore di lavoro ha imposto al dott. V. di recuperare in un periodo determinato del 1995 le ferie non godute negli anni precedenti.
E’ evidente, quindi, che il datore di lavoro ha violato i diritti del lavoratore, in quanto gli ha impedito di godere delle ferie nell’anno di riferimento ed ha malamente esercitato il suo potere di fissazione del periodo delle ferie nell’anno successivo.
D’altra parte il primo motivo del ricorso non può essere accolto, in quanto la prova del godimento delle ferie da parte del lavoratore deve essere fornita, in base ai principi generali dell’onere probatorio, dal datore di lavoro; questi, nel caso, non soltanto non ha fornito la prova richiesta, ma in sostanza non ha neppure affermato che il lavoratore avesse goduto delle ferie negli anni precedenti e si è semplicemente limitato a richiedere la prova del rifiuto del godimento da parte del lavoratore.
Per quanto riguarda il secondo motivo del ricorso non è esatto dire, come afferma il ricorrente, che il Tribunale avrebbe negato qualsiasi rilevanza allo stato di crisi dell’azienda. In realtà il Tribunale ha affermato che il datore di lavoro non poteva esercitare il suo potere di fissazione del periodo delle ferie oltre l’anno di riferimento e che, a tal fine, non aveva alcuna rilevanza la situazione di crisi dell’azienda. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. La società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, spese che si liquidano come in dispositivo, e al pagamento degli onorari di avvocato, che si liquidano in favore del dott. G. V. nella somma di lire 3.000.000.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le società ricorrenti, la (omissis) in liquidazione, in persona del suo liquidatore, e la (omissis). in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare al dott. G. V. le spese di questo giudizio di legittimità, spese che si liquidano in lire 23.000 e al pagamento degli onorari di avvocato che si liquidano in lire 3.000.000. Così deciso in Roma, 13 giugno 2000.
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2000