CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - Sentenza 1 febbraio 2001, n. 4012 – Pres. Malinconico, Est. Onorato - F.S. (annulla con rinvio Corte d'appello di Napoli 20.10.1999).
Ambiente – Vincolo paesaggistico e culturale – Imposizione – E’ possibile solo attraverso la procedura prevista dagli artt. 140 e ss. del t.u. 490/1999 o una dichiarazione del Ministero dei Beni Culturali, notificata all'interessato – Imposizione da parte dell’Autorità comunale attraverso strumenti urbanistici o norme regolamentari – Impossibilità.
Ambiente – Vincolo paesaggistico e culturale – Reato di cui all’art. 20 lett. c) legge 47/1985 (costruzione di opere edilizie in zona vincolata senza nulla osta) – Presuppone il preventivo accertamento sull'esistenza amministrativa del vincolo archeologico – Fattispecie.
Ambiente – Patrimonio archeologico – Reato di cui all'art. 733 c.p. – Accertamento dell’esistenza di un vincolo – Non occorre – Verifica del nocumento al patrimonio archeologico "nazionale" – Necessità – Fattispecie.
Come risulta confermato dal nuovo testo unico emanato in materia di beni culturali ed ambientali (artt. 5, 6 e 7 D.Lgs. 29.10.1999 n. 490), il vincolo paesaggistico e quello culturale possono nascere soltanto attraverso l'inclusione della zona in appositi elenchi, compilati con procedura garantista da una commissione provinciale, e approvata dalla regione (v. artt. 140 e ss. del t.u. 490/1999), ovvero da una dichiarazione del Ministero dei Beni Culturali, notificata all'interessato (v. artt. 6, 7 e 8 del t.u. 490/1999). Ne deriva che il vincolo, che è presupposto necessario per l'obbligo della previa autorizzazione di cui all'art. 7 della legge 29.6.1939 n. 1497, non può essere imposto dall'autorità comunale: né attraverso i piani regolatori (adottati dai comuni e approvati dalla regione) o attraverso gli altri strumenti urbanistici che provvedono a stabilire la destinazione d'uso delle varie zone del territorio comunale; né - a maggior ragione - dai regolamenti comunali, che propriamente non hanno neppure quest'ultima funzione.
E’ pertanto illegittima una sentenza con la quale si condanna l’imputato per aver costruito alcune opere edilizie (nella specie, un muro di recinzione e lavori di scavo per erigere un porticato) senza aver previamente ottenuto la autorizzazione prevista dall'art. 7 legge n. 1497 del 1939, che abbia omesso di motivare sul presupposto dei reati, e cioè sull'esistenza amministrativa del vincolo archeologico (alla stregua del principio è stata annullata con rinvio la sentenza del giudice di merito, affinché quest’ultimo accerti se in effetti la zona in cui l’imputato aveva costruito il muro ed effettuato gli scavi era sottoposta al vincolo e richiedeva, quindi, il previo nulla-osta della sovrintendenza).
Il reato contravvenzionale di cui all'art. 733 c.p. ("danni al patrimonio archeologico"), anche se non presuppone l'esistenza del vincolo storico, artistico o archeologico, richiede espressamente che l'agente proprietario della cosa danneggiata sia consapevole del suo rilevante pregio. Per irrogare una condanna ai sensi della richiamata norma occorre, quindi, motivatamente accertare se dal fatto è derivato nocumento al patrimonio archeologico "nazionale" (1); tale accertamento preliminare costituisce una condizione obiettiva di punibilità o - secondo un'opinione minoritaria - elemento essenziale del reato (2).
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(1) Cfr. Cass. Sez. III, n. 3967 del 12.4.1995, ud. 1.3.1995, Balzan, rv. 202074.
(2) Cfr. per la prima tesi Cass. Sez. III, n. 12215 del 12.12.1995, ud. 8.11.1995, P.G. in proc. Iannelli, rv. 203700.
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza del 20.10.1999 la corte d'appello di Napoli ha integralmente confermato quella resa il 1°.10.1998 dal pretore di Benevento, che aveva dichiarato S.F. colpevole di alcuni reati in materia urbanistica e ambientale, riuniti nella continuazione, e lo aveva condannato alla pena di un mese di arresto e lire 25.000.000 di ammenda, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi alterato da uno scavo eseguito nel terreno.
Più esattamente il F. era stato imputato dei seguenti reati:
a) art. 20 lett. c) legge 47/1985, in relazione agli artt. 1 lett. m) e 1 sexies legge 431/1985, perché in un fondo di sua proprietà, sito in zona di interesse archeologico, aveva costruito un lungo muro di recinzione, senza l'autorizzazione di cui all'art. 7 legge 29.6.1939 n. 1497 (accertato il 22.6.1996);
b) artt. 1 sexies legge 431/1985 e 20 lett. c) legge 47/1985, perché nella suddetta area, di interesse archeologico, aveva eseguito lavori di scavo senza la prescritta autorizzazione;
c) art. 733 c.p., perché, mediante i lavori di scavo di cui al capo precedente, aveva danneggiato il patrimonio archeologico (denuncia del 22.8.1996).
In sintesi, i giudici di merito hanno accertato che il F. aveva costruito nel suo fondo agricolo un muro di recinzione lungo 150 m. senza alcun titolo autorizzatorio o concessorio; che a opera ultimata la competente Sovrintendenza aveva rilasciato il relativo nulla-osta; che in epoca immediatamente successiva la stessa Sovrintendenza aveva scoperto che nello stesso fondo era stato eseguito uno scavo (finalizzato alla costruzione di un fabbricato), da cui erano derivati danni al patrimonio archeologico; che - a detta del funzionario della Sovrintendenza, dott.ssa Bisogni, sentita come teste - l'area, non vincolata, era di interesse archeologico, perché erano state rinvenute tombe pertinenti a una necropoli di epoca romana; che - secondo la deposizione del teste Romano, agente di polizia municipale - l'area era stata inclusa in zona archeologica dal regolamento comunale.
2 - Il difensore del F. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo inosservanza o erronea applicazione dell'art. 530, secondo comma, c.p.p. e mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta in sostanza che la corte territoriale non ha valutato
a) le contraddizioni in cui era incorsa la principale teste d'accusa, la sovrintendente dott.ssa Bisogni, nell'identificare il responsabile (avendo indicato ora l'imputato, ora il padre del medesimo);
b) l'elemento soggettivo del reato, non avendo considerato che per l'autorizzazione richiesta vigeva la procedura del silenzio-assenso;
c) la mancanza di prove in ordine all'effettivo danneggiamento del patrimonio archeologico.
Motivi della decisione
3 - In ordine al capo a) dell'imputazione, va anzitutto osservato che l'art. 7 legge 29.6.1939 n. 1497 prescrive la previa autorizzazione amministrativa della competente Sovrintendenza per qualsiasi intervento su beni che sono soggetti a vincolo paesaggistico, in quanto oggetto di notificata dichiarazione o iscritti in appositi elenchi ai sensi degli artt. 1 e ss. della legge stessa.
Peraltro l'art. 82 del D.P.R. 24.7.1977 n. 616 (nei commi da 5 a 9, aggiunti dall'art. 1 D.L. 27.6.1985 n. 312, convertito nella legge 431/1985) include nei beni sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della predetta legge n. 1497 del 1939 altri beni determinati, in sostanza estendendo la tutela paesaggistica a varie categorie di beni vincolati ex lege; e prescrive per conseguenza l'autorizzazione della Sovrintendenza di cui al citato art. 7 della legge 1497 per ogni interessato che intenda operare una qualsiasi modifica anche nelle zone così vincolate.
Tuttavia, nell'art. 82, alcuni beni tutelati sono determinati direttamente dalla legge mediante l'indicazione di precisi requisiti naturalistici di comune e universale accertabilità: cosí la fascia costiera entro 300 metri dal mare (lett. a) del comma 5), o quella entro 300 metri dai laghi (lett.b)), le montagne per la parte eccedente una determinata altitudine (lett.d)), i ghiacciai (lett. e)), i territori coperti da foreste e da boschi (lett. g)), i vulcani (lett. 1)).
Altri beni, invece, sono determinati solo indirettamente dalla legge, attraverso l'esplicito o implicito rinvio ad atti formali dell'autorità competente, che diventano perciò presupposto necessario dell'instaurazione del vincolo, il quale altrimenti resterebbe condizionato dalla valutazione soggettiva degli interessati. Così i fiumi e torrenti tutelati nella lett. c) sono quelli iscritti negli appositi elenchi di cui al R.D. 11.12.1933 n. 1775 (testo unico sulle acque); i parchi e le riserve tutelati sono quelli istituiti con appositi decreti presidenziali o ministeriali, ovvero con decreti regionali (lett. f)); le aree assegnate alle università agrarie presuppongono un atto amministrativo di assegnazione, mentre le zone gravate da usi civici presuppongono l'esistenza di uno dei modi di costituzione degli usi civici stessi (l'uso collettivo immemorabile, la concessione sovrana, contratti fra universitates) (lett. h); le zone umide tutelate dalla lettera i) sono quelle incluse nell'elenco di cui al D.P.R. 13.3.1976 n. 448; e infine le zone d'interesse archeologico di cui alla lett. m) non possono essere che quelle individuate da appositi provvedimenti delle autorità amministrative competenti in materia (così anche, in tema di zone archeologiche, Cass. Sez. III n. 2786 del 7.8.1996, c.c. 25.6.1996, Rao, rv. 205796).
In particolare, per i beni mobili e immobili appartenenti a privati, spetta al Ministero dei beni culturali imporre a mezzo decreto, da notificarsi al proprietario, il vincolo su quelli che hanno un interesse storico, artistico o archeologico particolarmente importante (art. 3 legge 1.6.1939 n. 1089), sicché i beni privati non possono qualificarsi di interesse storico-artistico se non quando il relativo vincolo sia notificato al proprietario. Il sistema è confermato dal nuovo testo unico emanato in materia (artt. 5, 6 e 7 D.Lgs. 29.10.1999 n. 490), che ha solo disciplinato più dettagliatamente la procedura per emanare la dichiarazione ministeriale da notificarsi al proprietario.
Da questo complesso sistema risulta, pertanto, che il vincolo paesaggistico e quello culturale possono nascere soltanto attraverso l'inclusione della zona in appositi elenchi, compilati con procedura garantista da una commissione provinciale, e approvata dalla regione (v. ora artt. 140 e ss. del t.u. 490/1999), ovvero da una dichiarazione del Ministero dei Beni Culturali, notificata all'interessato (v. ora artt. 6, 7 e 8 del t.u. 490/1999). Ne deriva che il vincolo, che è presupposto necessario per l'obbligo della previa autorizzazione di cui all'art. 7 della legge 29.6.1939 n. 1497, non può essere imposto dall'autorità comunale: né attraverso i piani regolatori (adottati dai comuni e approvati dalla regione) o attraverso gli altri strumenti urbanistici che provvedono a stabilire la destinazione d'uso delle varie zone del territorio comunale; né - a maggior ragione - dai regolamenti comunali, che propriamente non hanno neppure quest'ultima funzione.
Nella fattispecie di cui trattasi - come già accennato in narrativa - il competente funzionario della sovrintendenza, pur precisando che la sovrintendenza aveva rilasciato il nulla-osta dopo la costruzione del muro contestato, ha ammesso che la zona non era vincolata, anche se era oggettivamente di interesse archeologico. D'altra parte, l'agente della polizia municipale ha aggiunto che l'area era stata inclusa in zona archeologica dal regolamento comunale.
È solo sulla base di questi insufficienti elementi che i giudici di merito hanno ritenuto obbligatoria la previa autorizzazione della sovrintendenza, e quindi violata da parte dell'imputato la norma dell'art. 7 legge n. 1497 del 1939 e integrati i reati contestati a capo a) e b) della rubrica, per aver costruito un muro di recinzione ed effettuato lavori di scavo per erigere un porticato, senza aver previamente ottenuto detta autorizzazione. Ma per le ragioni dette una siffatta pronuncia è illegittima, giacché ha omesso di motivare sul presupposto dei reati stessi, e cioè sull'esistenza amministrativa del vincolo archeologico. Sicché a questo riguardo deve essere annullata con rinvio, affinché il giudice di merito accerti se in effetti la zona in cui il F. costruì il muro ed effettuò gli scavi era sottoposta al vincolo e richiedeva quindi il previo nulla-osta della sovrintendenza.
4 - In ordine al reato di cui all'art. 733 c.p. contestato sub c), la sentenza impugnata ha accertato semplicemente che i predetti lavori di scavo avevano determinato "danni al patrimonio archeologico". Ma ha omesso di motivatamente accertare se dal fatto era derivato nocumento al patrimonio archeologico "nazionale", che è una condizione obiettiva di punibilità o -. secondo un'opinione minoritaria - elemento essenziale del reato (cfr. per la prima tesi Cass. Sez. III, n. 12215 del 12.12.1995, ud. 8.11.1995, P.G. in proc. Iannelli, rv. 203700).
Questo reato contravvenzionale, a differenza di quello precedente, non presuppone l'esistenza del vincolo storico, artistico o archeologico, anche se richiede espressamente che l'agente proprietario della cosa danneggiata sia consapevole del suo rilevante pregio. Comunque, per accertare la sussistenza del reato, il giudice non può omettere ogni motivazione sulla rilevanza "nazionale" della cosa danneggiata (cfr. Cass. Sez. III, n. 3967 del 12.4.1995, ud. 1.3.1995, Balzan, rv. 202074), posto che - come già detto - il nocumento al patrimonio nazionale è condizione di punibilità.
Anche sotto questo profilo, pertanto, la sentenza impugnata incorre in vizio di motivazione ed erronea applicazione della norma incriminatice. Va quindi annullata con rinvio, perché il giudice di merito accerti se dalla condotta dell'imputato era derivato nocumento al patrimonio archeologico nazionale.
P.Q.M.
la corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Napoli per nuovo esame.
Cosí deciso in Roma il 29.11.2000.
Depositata il 01.02.2001.