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CORTE DEI CONTI, SEZ. II GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO - Sentenza 5 dicembre 2002 n. 360 Pres. De Pascalis, Est. Casaccia – P. M. Cottone c. M. G. G. (Avv. P. Ricci) - (conferma Corte Conti, sezione Veneto 26 aprile 2001, n. 930).

Giudizio di responsabilità amministrativa – Agente contabile di fatto- Nozione – Incasso di somme a titolo di pensione per il pagamento di rette presso strutture pubbliche – Natura di denaro pubblico – Sussiste – Interesse dell’autore del danno a titolo di dolo a evocare in giudizio i responsabili di omissioni e/o carenze di controlli – Non sussiste.

Per giurisprudenza costante, ogni qualvolta il dipendente pubblico viene a trovarsi a maneggiare denaro di pertinenza pubblica anche per errori altrui o, comunque, abbia ricevuto denaro sempre di pertinenza pubblica da altri in ragione del suo ufficio e delle sue funzioni, ricorre la figura dell'agente contabile di fatto sottoposto alla giurisdizione della Corte dei Conti.

A seguito della delega e/o autorizzazione conferita dal Presidente di una Casa di riposo all’economa dell’istituto stesso per l'incasso delle pensioni per conto degli ospiti e regolarmente comunicata all'I.N.P.S., nessun dubbio può sorgere sulla natura pubblica del denaro che veniva riscosso per conto degli ospiti, al fine di pagare le rette di soggiorno presso la struttura pubblica.

L’agente contabile evocato nel giudizio di responsabilità amministrativo – contabile a titolo di dolo per ammanchi di somme di pertinenza pubblica non trae alcuna utilità a invocare nel processo un’eventuale responsabilità di coloro che hanno avuto una qualche possibile responsabilità per omissione di controllo, da un lato, perché vi osta l'occultamento doloso del danno, addebitabile specificamente all’autore dell’ammanco, dall’altro lato, perché questa responsabilità assurgerebbe nei termini di una responsabilità sussidiaria, tale cioè che, in ogni caso, risulterebbe del tutto inutile ed irrilevante per la posizione del responsabile in via principale tenuto, comunque, a rifondere il danno erariale per l’intero.

 

 

SENTENZA

sull'appello, iscritto al n. 14194 del Registro di Segreteria, proposto dalla sig.ra M. F. G., avverso la sentenza n. 930/2001, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Veneto in data 28.2.2001 - 26.4.2001, notificata in data 30.5.2001.

Visti gli atti e i documenti di causa; uditi nella P.U. del 24 ottobre 2002 il Consigliere Relatore Mario Casaccia, nonché l'Avv.to Pietro Ricci in rappresentanza e difesa della sig.ra M. F. G., ed il P.M. nella persona del V.P.G. dott. Cottone Tommaso.

FATTO

Con atto di citazione del 5.10.2000 il P.M. per il Veneto conveniva in giudizio la sig.ra G. M. F. per sentirla condannare al risarcimento a favore dell'Erario della somma di L. 402.711.540, oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio.

La vicenda relativa alla responsabilità dell'appellante trae origine da un esposto del maggio 1999 del Presidente della Casa di riposo San Biagio di Bovolone (Verona), con il quale veniva segnalato alla Procura Regionale per la regione Veneto un ammanco rilevante di somme versate per il pagamento delle rette da parte degli ospiti.

A seguito di una ricostruzione delle entrate, fatte dai Revisori dei conti e dal Segretario dell'ente, risultava che tali ammanchi erano addebitabili alla sig.ra G., delegata al ritiro delle pensioni.

L'interessata eccepiva in prime cure il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto non rivestiva a suo giudizio la qualifica di agente contabile; riteneva che si trattava di somme di proprietà di terzi e non dell'Istituto, perché era delegata a ritirare le somme ed a consegnarle al personale amministrativo preposto all'incasso; sosteneva che i responsabili erano il Presidente del Consiglio di amministrazione, i Segretari che si erano succeduti nel tempo, nonché i vari impiegati addetti alla contabilità, sul profilo della omissione dei dovuti controlli ed in particolare della verifica tra la consistenza di cassa e le effettive entrate dell'Istituto.

Il P.M. regionale, a sua volta, respingeva queste deduzioni e riteneva non fondata la giustificazione che la restituzione della somma di L. 36.735.300, effettuata dopo la verifica da parte del Collegio dei Revisori dei conti nel marzo 1999, fosse dovuta al panico ed al senso di responsabilità dell'interessata di fronte alla scoperta dell'ammanco, causato, a giudizio della Galletto, da mera disattenzione per aver lasciato le chiavi nella cassaforte.

Il giudice di prime cure, con la sentenza impugnata, ha respinto l'eccezione relativa alla carenza di giurisdizione, in quanto per la giurisdizione contabile è sufficiente un semplice rapporto di servizio, che ricorre ogniqualvolta venga svolta in modo continuativo un'attività in favore della Pubblica Amministrazione; ha ritenuto che il danno patrimoniale era stato adeguatamente provato sulla base della ricostruzione effettuata dal Collegio del Revisori dei conti e fatta propria dall'Istituto con delibera n. 127 del 6.9.1999; parimenti ha respinto l'eccezione relativa alla prescrizione dell'azione risarcitoria per decorso inutile del termine quinquennale, previsto dall'art. 58 della legge 142/90, perché la responsabilità nella fattispecie, collegata al comportamento della G., deve essere qualificata a titolo di dolo, ossia dovuta ad un vero e proprio comportamento fraudolento, inteso ad abusare del rapporto di fiducia ed a sottrarre somme in modo sistematico, con la conseguenza che l'illecito difficilmente poteva essere rilevato al riscontro di una normale attività di gestione; infine, con l'esclusione del potere riduttivo dell'addebito, l'appellante veniva condannata alla somma di L. 372.212.460, maggiorata della rivalutazione, oltre gli interessi legali e le spese di giudizio.

Avverso tale sentenza ha proposto appello l'interessata deducendo in primis che rivestiva una qualifica di istruttore amministrativo e che dal 1991 venne delegata da alcuni ospiti non autosufficienti e con parenti lontani, per l'incasso della pensione; ciò avrebbe comportato in concreto che venivano incassate le pensioni in nome e per conto degli ospiti e versate nelle casse dell'Istituto per il tramite dell'impiegato a ciò addetto. Il danaro incassato, secondo la G., veniva consegnato alla Segretaria dott.sa Magalini, la quale poi personalmente o a mezzo di altri impiegati provvedeva al versamento in banca. Nel marzo 1999, essendo in corso negli uffici della Casa di riposo dei lavori di manutenzione e di ristrutturazione, avvenne l'episodio in cui la stessa G. dimenticò la chiave nella cassaforte e così, sotto la pressione del panico e del senso di responsabilità, versò all'Istituto L. 36.735.300, ammanco che invece sarebbe stato causato a suo giudizio da ignoti ladri.

In prime cure, come già ribadito, la G. deduceva il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, l'errata quantificazione del danno e le modalità del suo accertamento, il difetto dell'elemento soggettivo del dolo, la prescrizione dell'azione del danno e con l'atto d'appello di nuovo ha ribadito l'errata qualificazione di agente contabile o, comunque, di agente pubblico.

Prospetta la difesa che la sua assistita G. non aveva ricevuto alcuna delega da parte del Presidente della Casa di riposo o di qualsiasi altro organo; il rapporto di delega esisteva soltanto tra i singoli ospiti e la medesima sig.ra G., tant'è che ha ritirato le pensioni anche nei periodi di interruzione e sospensione del servizio. E infatti, durante i lunghi periodi di temporanea interruzione del rapporto di servizio, nessun amministratore dell'Ente ha mai sentito la necessità di revocare la presunta delega al ritiro delle pensioni alla sig.ra G.; perciò il danaro incassato su delega degli ospiti non poteva considerarsi automaticamente danaro di proprietà dell'Ente. Di qui la carenza di giurisdizione della Corte dei Conti.

La difesa ha aggiunto che la motivazione relativa alla prova del danno è del tutto insufficiente, come è del tutto insufficiente anche la prova acquisita al processo con violazione dell'art. 111 della Costituzione novellata. Il processo contabile rimane sempre un procedimento di natura civile, dove domina il principio della disponibilità delle prove, prove che devono essere valutate dal giudice ai sensi dell'art. 113 del c.p.c., nonché anche mediante un uso prudente del potere indagatorio. Orbene, nel giudizio de quo, dopo che la Sezione per il Veneto ha affermato più volte l'assoluta insufficienza del sistema di controllo interno, rinunciando a qualsiasi valutazione critica o riesame del contraddittorio delle parti, eventualmente ordinando una consulenza tecnica d'ufficio, ha considerato adeguata la prova e l'entità del danno sulla base della semplice relazione redatta da quel medesimo organo di controllo che, per ammissione della Sezione Veneto, ha svolto un controllo insufficiente. Mancherebbe, peraltro, qualsiasi motivazione circa l'adeguatezza della prova e le modalità di accertamento del danno, mentre la relazione del Collegio dei Revisori presenterebbe delle sospettabili dimenticanze, non essendo stati tenuti in debito conto i periodi di sospensione del rapporto di servizio e delle verifiche contabili svolte da diversi organi amministrativi.

Ai sensi dell'art. 1-quater della legge 14.1.1994, n. 20, la Corte condanna ciascuno per la parte che vi ha preso, se il fatto dannoso è causato da più persone; anche in relazione a tale articolo, la difesa sostiene che vi sia stata una insufficiente e contraddittoria motivazione; e ciò perché, da un lato, la Sezione Veneto rileva una carenza di controllo da parte degli amministratori e, dall'altro lato, poi addebita tutta la responsabilità alla Sig.ra G.. Ma la Sig.ra G. non provvedeva ad incassare pensioni, a determinare i controlli ed a gestire ed indirizzare i controlli di cassa; in pratica, la G. non gestiva l'intero processo amministrativo contabile, per cui occorreva quantomeno una gradazione di responsabilità dei vari organi con la pur denegata responsabilità della Sig.ra G., non essendo pensabile che il danno fosse attribuito solamente e interamente al comportamento contestato. Insufficiente e contraddittoria è anche la motivazione relativa alla falsa interpretazione dell'art. 1, comma 2, della legge 20/94 sul punto della reiezione dell'eccezione di prescrizione; viene contestato cioè che il dies a quo decorre dalla scoperta del danno, quando sussiste l'occultamento doloso dello stesso danno. Sostiene, al riguardo, la difesa che per occultamento doloso occorre che l'elemento psicologico sia più intenso del semplice dolo; ovvero per occultare è necessario porre in essere un'attività tesa a nascondere, a non far apparire e quindi a ritardare la scoperta e l'accertamento dello stesso dolo. Nella contestazione fatta alla sig.ra G. manca una qualsiasi prospettazione del P.M., da cui possa derivare un'attività del genere. Perciò, se ne deve dedurre che il termine di prescrizione deve decorrere dalla concreta oggettiva disponibilità per fatto produttivo del danno. L'ente, in altre parole, con la semplice opera di collazione tra l'incasso e l'effettivo versamento, avrebbe potuto immediatamente verificare i presunti ammanchi. Perciò la prescrizione dovrà decorrere da ogni singolo contestato atto appropriativo. Conclude l'appellante, in via principale, perché sia dichiarata la carenza di giurisdizione; in via subordinata, perché sia dichiarata la prescrizione dell'azione per ogni fatto produttivo di danno anteriore al 30.10.1995; sia accertata la responsabilità di coloro che erano preposti al controllo contabile dell'ente; sia accertata la misura del danno nella quantità che risulta provata in modo analitico da idonee istruttorie; sia condannata eventualmente la convenuta al risarcimento nella misura che sarà effettivamente accertata e in ragione del proprio grado di responsabilità e di partecipazione soggettiva. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di rito. La difesa, peraltro, rinnova tutte le istanze istruttorie già avanzate in prime cure, affermando che una compiuta istruttoria risulta necessaria per una reale ricostruzione e dei fatti e delle ragioni di diritto. Perciò formula istanza di assunzione di testimoni su 35 articolati di circostanze, indicando a testi i Signori Luisella Rossi, Stefania Chiaromonte, Franco Saggiorato di Zimella, il Rag. Giuseppe Zampieri, la Sig.ra Passarini Antonella di Salizole ed infine chiede anche la disposizione di una consulenza tecnica d'ufficio, tesa a ricostruire in contraddittorio l'entità delle pensioni incassate dalla Sig.ra G. per conto degli ospiti, delle somme depositate presso l'ente, delle somme incassate direttamente dall'istituto, nonché l'entità delle somme depositate presso la Tesoreria, autorizzando il consulente tecnico d'ufficio ad accedere ad ogni documentazione bancaria e/o amministrativa. Infine, chiede l'acquisizione al fascicolo delle delega all'incasso rilasciate dagli ospiti, dei bilanci dell'ente relativi agli anni dal 1992 al 1999, copia dei bilanci dell'ente approvati dal 1992 al 1999 compresi, copia della relazione del Commissario ad acta Rag. Zampieri.

Il 4.10.2002 sono state depositate le conclusioni con le quali il P.M. ha contestato i motivi di gravame dedotti dall'appellante, in quanto ritenuti del tutto infondati e tali da dover essere respinti.

Con riferimento al difetto di giurisdizione della Corte dei Conti il P.M. ricorda che la G. ha intrattenuto un rapporto di servizio sin dal 1988 con l'Ente presso il quale era stata inizialmente distaccata dal Comune di Bovolone. In data 8.3.1995 venne nominata Economo e in tale qualifica incassava la retta degli ospiti, per i quali aveva la delega a riscuotere la pensione; tutte attività che corrispondono ad un maneggio di denaro, appartenente alla Casa di riposo, sicché, sostiene il P.M., ricorrono pacificamente tutti i presupposti per la sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti: pubblico danaro, rapporto di servizio ed in ogni caso, come risulta dalla pacifica giurisprudenza, ricorre la qualifica di agente contabile di fatto, assoggettato allo stesso regime del contabile di diritto, allorché si maneggia danaro che comunque è pubblico, anche quando viene ricevuto dal dipendente pubblico per errore altrui. Pertanto, la G. avrebbe dovuto riversare le somme di pertinenza pubblica tutte presso il Tesoriere dell'Ente in conto entrate nel bilancio della Casa di riposo. Parimenti va disattesa, per il P.M. l'eccezione relativa alla prescrizione dell'azione; e ciò perché vi è stato occultamento doloso della riscossione, che ha impedito all'ente creditore di avere conoscenza del danno subito e di far valere il proprio diritto non prima della scoperta dei fatti dannosi accertati dalle verifiche effettuate dall'Ufficio amministrativo della Casa San Biagio con il supporto del collegio dei revisori; sicché la prescrizione per i fatti dannosi anteriori al 1995 comincia a decorrere soltanto dal momento della loro scoperta. Il comportamento doloso della G. risulta anche da quanto dichiarato dinanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Verona; e cioè a dire, la stessa G. aveva lasciato le chiavi per sua negligenza inserite nella cassaforte, da cui sarebbero stati trafugati 30 milioni. Al riguardo precisa la G. che non raccontò a nessuno l'accaduto, avendo l'intenzione di provvedere personalmente a riparare il danno. Con un'operazione però non chiara l'Economa versò in Tesoreria assegni per L. 36.735.300, inferiori di L. 4.697.800 al totale ammanco accertato nel primo trimestre 1999. Di qui la necessità di verificare la contabilità dell'Ente; e dalle operazioni di verifica emersero delle irregolarità come, per esempio, un blocco di ricevute dirette riscosse dall'Economo, alcune delle quali riguardanti ospiti che non avevano rilasciato alcuna delega. Molti documenti contabili addirittura non vennero mai rinvenuti, per la pessima organizzazione dei servizi contabili. Non ha pregio ancora per il P.M. la presunta violazione del principio del giusto processo, perché, vigendo il principio dell'inversione dell'onere della prova a carico del contabile a fronte delle prove portate dal P.M., non è stata fornita alcuna prova a discarico da parte della G.. Perciò il giudice di prime cure ha agito nel pieno rispetto dell'invocato principio costituzionale.

Per quanto riguarda il motivo d'appello, relativo all'applicazione del potere riduttivo nei confronti della contabile, tale esercizio viene rimesso alla prudente discrezionalità del giudice. Conclude il P.M. per la reiezione dei motivi d'appello, salvo un prudente uso del potere riduttivo e con la condanna alle spese anche del secondo grado di giudizio.

Agli atti risulta anche una nota della Casa di riposo San Biagio, indirizzata alla Procura Generale della Corte dei Conti, in cui si contestano come non veritiere tutte le motivazioni dell'atto d'appello della contabile G..

Infine, il P.M. fa rilevare che il danno erariale è stato determinato in L. 372.212.460, anziché in L. 304.211.825, così come richiesto dalla Casa di riposo nella riconvenzionale relativa alla causa di lavoro promossa contro l'ente dalla stessa economa G..

Nella pubblica udienza odierna è intervenuto l'Avv.to Ricci il quale nel riportarsi alle conclusioni scritte ha insistito nell'accoglimento dell'appello il P.M., il quale ricorda che è pendente nei confronti dell'appellante un procedimento penale e che la causa di lavoro è stata sospesa proprio in relazione alla pendenza del giudizio penale. Nel rimettersi alle conclusioni scritte, sottolinea l'irrilevanza delle prove istruttorie richieste e conclude per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata. Precisa in ogni caso che l'appellante non merita l'applicazione dell'esercizio del potere riduttivo, se non entro stretti limiti.

Diritto

L'eccezione relativa al difetto di giurisdizione della Corte dei Conti giuridicamente non ha pregio alcuno, in quanto nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti per la sussistenza della stessa giurisdizione; ovverosia la G. ha gestito danaro pubblico di appartenenza dell'Ente, con la qualifica di agente contabile di fatto e di diritto nell'ambito di un vero e proprio rapporto di servizio pubblico. Infatti, l'appellante sin dal 1988 prestava un servizio senza interruzione con l'Ente presso il quale era stata distaccata dal Comune di Bovolone. In data 8.3.1995 venne nominata addirittura economa dello stesso Ente e con tale qualifica aveva continuato ad incassare sino al 1999 le rette degli ospiti. Tale attività era stata svolta anche negli anni precedenti (1992-94) con coinvolgimento certo di maneggio di denaro pubblico, in quanto appartenente alla Casa di riposo.

Va rilevato al riguardo che lo stesso Presidente dell'Ente, con atto n. 12 dell'1.1.1992, conferì delega e/o autorizzazione alla G. per l'incasso delle pensioni per conto degli ospiti e di ciò dette con il precitato atto comunicazione all'I.N.P.S.. Nessun dubbio quindi può sorgere sulla natura del denaro pubblico che veniva riscosso per conto degli ospiti al fine di pagare le rette di soggiorno presso la struttura pubblica. In ogni caso, com'è ben noto, per giurisprudenza costante, ogni qualvolta il dipendente pubblico viene a trovarsi a maneggiare denaro di pertinenza pubblica anche per errori altrui o, comunque, abbia ricevuto denaro sempre di pertinenza pubblica da altri in ragione del suo ufficio e delle sue funzioni, ricorre la figura dell'agente contabile di fatto sottoposto alla giurisdizione della Corte dei Conti. Nella fattispecie, la G. anche nel periodo 1992-94 era tenuta a versare presso il Tesoriere dell'Ente in conto entrate tutte le somme riscosse, e ciò, si badi, anche al di fuori di una legale autorizzazione a maneggiare pubblico denaro e/o a custodire valori pubblici.

Parimenti va respinta l'eccezione preliminare di merito relativa alla prescrizione dell'azione.

Correttamente è stata applicata la normativa di cui all'art. 1, comma 2, della legge 20/94, così come modificato dalla legge n. 639 del 1996, vale a dire la prescrizione non può che decorrere dal momento in cui è stato scoperto il danno, stante il doloso occultamento che impedisce evidentemente al creditore di poter avere conoscenza del pregiudizio subito e quindi di far valere il proprio diritto non prima della scoperta degli stessi fatti lesivi dei propri interessi economici.

Nella fattispecie, il danno fu accertato soltanto quando l'Ufficio amministrativo ebbe modo di verificare nell'aprile 1999 un ammanco di circa 35 milioni relativo a rette di ospiti non versate dall'Economa. L'episodio risultante agli atti, relativo al furto avvenuto nel marzo 1999, in relazione al quale la stessa Economa ebbe a versare una somma di denaro inferiore di L. 4.697.800, per ripianare l'ammanco accertato nel primo trimestre 1999, e tutte le conseguenti operazioni di verifica contabile e di accertamento delle irregolarità sin dall'esercizio finanziario del 1992, stanno a dimostrare quel mix di raggiri ed artifici, atti ad impedire la conoscenza dell'illecito da parte dell'Ente creditore, con la conseguente realizzazione concreta dello "occultamento doloso del danno" di cui alla precitata normativa.

Essendo poi la stessa G. agente contabile di fatto, oltre che di diritto, ai sensi della normativa (art. 44 R.D. 1214/1934 ed anche art. 251-33/1934 n. 383, ora abrogato, nonché artt. 178 e 188 R.D. 23.5.24, n. 827 recanti il regolamento di C.G.S.) aveva l'onere di addurre prove contrarie a quelle esibite dal P.M. e quindi di aver versato tutte le somme direttamente presso il Tesoriere dell'Ente creditore; prove che non sono state fornite, limitandosi l'appellante soltanto ad invocare una eventuale responsabilità del Presidente del Consiglio di Amministrazione e dei Segretari che si sono succeduti nel tempo, nonché di vari impiegati addetti alla contabilità, sul profilo di una omissione di controllo e di verifica tra consistenza di cassa ed effettive entrate dell'Istituto. Tale doglianza non merita accoglimento in quanto, da un lato, vi osta l'occultamento doloso del danno di cui sopra, addebitabile e riferibile specificamente all'appellante e, da un altro lato, anche a voler considerare giuridicamente una responsabilità di tal fatta, questa non può che assurgere nei termini di una responsabilità sussidiaria, tale cioè che, in ogni caso, risulterebbe del tutto inutile ed irrilevante nei confronti della stessa Economa.

Infine, per quanto concerne l'esercizio del potere riduttivo, questo Collegio ritiene che, ricorrendo un'attività particolarmente dolosa dell'appellante, non si possa far luogo ad alcuna riduzione della somma già determinata in prime cure. Va comunque rilevato che la sentenza impugnata, a pag. 13, ha indicato come danno per gli anni 1995-96 L. 260.693.035, anziché L. 230.183.955 e per gli anni 1992-94 L. 142.018.505, anziché L. 104.516.950. Da tale somma così corretta, cioè L. 334.710.905, va poi detratto l'importo di L. 30.499.080 per farmaci e somme a disposizione degli ospiti, per cui in definitiva il danno ammonta a L. 304.211.825, oltre alla rivalutazione ed interessi dalla data di pubblicazione della sentenza di I grado.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, rigetta l'appello proposto dalla sig.ra M. F. G. e per l'effetto conferma la sentenza impugnata, rettificando la somma cui va condannata l'appellante in L. 304.211.825, anziché in L. 372.212.460, oltre alla rivalutazione ed interessi, questi ultimi dalla data di pubblicazione della sentenza di I grado, ed alle spese del presente giudizio che sino al deposito dell'originale di questa sentenza vengono liquidate in € 184,24 (centottantaquattro/24).

omissis

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