CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE ABRUZZO – Sentenza 26 settembre 20001 n. 820/2001 - Pres. Minerva - Rel. Calamaro - Procuratore Regionale Di Stefano c. C. A. (Avv. L. Trippetta).
Giudizio di responsabilità - Responsabilità contabile e amministrativa – Agente contabile – Illecita appropriazione di somme dell’amministrazione - Quantificazione del danno – Attività di omessa vigilanza – Non incide – Oneri per attività di ricostruzione delle pratiche amministrativo contabile – Rientrano nella quantificazione del danno.
Nelle attività che presuppongono il maneggio di denari e valori, i controlli, ancorché periodici, sull’attività posta in essere dal singolo agente, costituiscono una valida misura di verifica della correttezza della gestione o, quanto meno, un deterrente per la superficiale gestione o malaccorta.
Nel giudizio di responsabilità contabile anche quando sussista una responsabilità per omessa vigilanza, la stessa avrebbe natura sussidiaria e, conseguentemente, non inciderebbe sulla quantificazione della condanna del responsabile in via principale.
L’attività di ricostruzione amministrativo-contabile di una vicenda legata ad illecite sottrazioni di pubblico denaro consumate da un agente contabile, consistente nell’impegno di unità di personale a cui viene erogato un compenso per lavoro straordinario, indennità di missione etc…, comporta una prestazione lavorativa del tutto diversa dalle mansioni che avrebbe, invece, dovuto espletare il personale a ciò impiegato, con la conseguenza che gli oneri derivanti vanno addebitati al responsabile del danno contabile.
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n.186/R promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di C. A. elettivamente domiciliato in Teramo – Via Primo Riccitelli n. 11, presso lo studio dell’Avvocato Lorenzo TRIPPETTA che lo rappresenta e difende;
Visti gli atti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 6 febbraio 2001, con l’assistenza del Segretario dott.sa Antonella LANZI, il relatore nella persona del Cons. Luciano CALAMARO e il Sostituto Procuratore Generale dott. Massimo DI STEFANO; assente il difensore del convenuto.
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione in data 2 marzo 1999, la Procura Regionale presso questa Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, ha convenuto in giudizio il Signor C. A. per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale -, della somma di lire 2.922.598.858 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio.
Espone in fatto parte attrice che il convenuto è stato assegnato all’ufficio legale della Sede di Teramo dell’INPS, dal 1977 e sino alla data di sospensione cautelare dal servizio disposta in relazione alla vicenda penale che lo ha riguardato e che concerne i fatti oggi sottoposti al vaglio della Sezione.
Il C. svolgeva le funzioni di coordinatore dell’ufficio recupero crediti e, inoltre, dal 1990, le funzioni di referente regionale delle procedure automatizzate recupero crediti operanti presso gli uffici legali della regione.
Sostiene il requirente che al convenuto erano affidati sin dal 1986, come rilevato dagli ispettori della Direzione Generale dell’INPS, adempimenti relativi alla compilazione degli ordinativi di incasso ed alla formazione e gestione delle scritture contabili; a lui facevano, inoltre, capo, i rapporti con i vari uffici interessati alle scritture stesse.
Con nota 8 agosto 1996, l’Avvocato Antonio ANTONELLI, responsabile dell’ufficio legale della Sede di Teramo dell’INPS, riferiva al Direttore della Sede, il quale a sua volta informava l’autorità giudiziaria, che avendo avuto il sospetto che gli onorari incassati nel mese di giugno 1996 fossero inferiori a quanto stimato, aveva proceduto a verificare la conformità delle copie degli ordinativi di incasso giacenti nelle pratiche con le corrispondenti note elaborate dall’ufficio contabilità, riscontrando che la copia restituita a detto ufficio recava un importo minore, per onorari e per altri titoli, rispetto a quello risultante dalla copia giacente nelle pratiche legali.
A seguito di tale esposto venivano svolte indagini con interrogatori di Funzionari dell’INPS nonché dello stesso C., il quale, tra l’altro, ammetteva di essersi appropriato nel corso del tempo di somme di denaro che potevano ammontare, a suo avviso, dai 200 ai 400 milioni di lire.
Venivano inoltre disposti accertamenti da parte dei Funzionari della Sede di Teramo – Direttore e Capo dell’ufficio legale – in esito ai quali veniva indicato di lire 1.307.800.131 l’ammontare delle falsificazioni contabili poste in essere dal C..
Detto importo veniva poi rettificato, a seguito di ulteriori accertamenti effettuati dai Funzionari della stessa sede di Teramo, in lire 1.373.208.090.
Le verifiche dei Funzionari della sede e degli Ispettori della Direzione Generale dell’Istituto, permettevano di rilevare le modalità dell’attività posta in essere dal C..
Il dipendente, con grave violazione dei suoi compiti istituzionali, era solito ricevere pagamenti in contanti dagli utenti ovvero con assegni di conto corrente con in bianco il nome del beneficiario del titolo o con intestazione a nome dello stesso traente, tenendo all’oscuro il coordinatore dell’ufficio di tale anomalo modo di operare. Egli, inoltre, secondo parte attrice, manipolava anche assegni circolari, sia quelli che venivano trasmessi all’Istituto per corrispondenza, sia quelli che pervenivano per recapito diretto presso l’area affari generali o presso l’ufficio legale.
Approfittando della circostanza che gli assegni circolari non recavano il nominativo del cliente, il C. era solito, tra l’altro, formare falsi ordinativi di incasso. In sostanza le somme riportate sull’assegno venivano talvolta attribuite, anche in misura frazionata, a ditte diverse da quelle che avevano tratto il titolo di pagamento.
Più in generale, ed anche per le somme riscosse con altre modalità, in contanti o con assegni bancari, il dipendente era solito versare importi inferiori di quelli da lui riscossi nelle casse dell’amministrazione, in contanti o con assegni circolari da lui stesso procurati.
In alcuni casi le somme di denaro incassate dal convenuto, quali desumibili dagli estremi contabili falsificati e rinvenuti dagli Ispettori nelle pratiche o nella stanza di lavoro del dipendente, non erano pervenute neanche in parte all’ufficio di ragioneria.
Ad avviso della Procura Regionale, quindi, il convenuto gestiva da solo l’attività di recupero crediti e versava di volta in volta nelle casse dell’Istituto somme per importi notevolmente inferiori a quelli effettivamente da lui incassati ed attestati come incassati, mediante falsificazione dei documenti contenuti nei singoli fascicoli.
Il C., in sintesi, come accertato dagli Ispettori centrali dell’INPS, ricorreva ad un complesso sistema di falsificazione combinata delle scritture contabili, tali da rendere non possibile l’evidenziazione degli illeciti attraverso gli ordinari riscontri operati sulle scritture contabili.
Sulla base di tali fatti, la Procura Regionale ritiene sussistente la responsabilità amministrativo-contabile del C. per essersi lo stesso, nella sua qualità di coordinatore dell’area recupero crediti della sede di Teramo dell’INPS, reso responsabile di attribuzione di somme di denaro di pertinenza dell’Istituto, che incassava, deteneva e maneggiava in ragione delle sue funzioni.
La contestata responsabilità sarebbe, comunque, ravvisabile con riferimento all’ammanco di somme di denaro di cui veniva fatto risultare l’incasso da parte dell’INPS nei singoli fascicoli, ma che in realtà non erano state riscosse da parte dell’Istituto.
Su tali basi sarebbe evidente la responsabilità del C. per l’illecita appropriazione accertata in lire 1.373.208.090.
Il risarcimento del danno, peraltro, sarebbe ben più ampio dovendo comprendere la somma relativa agli interessi pari a lire 941.594.036, il risarcimento del maggior danno subito dall’Istituto previdenziale per la svalutazione monetaria e per il mancato utilizzo delle somme di denaro pari a lire 483.353.586, nonché il risarcimento dell’ulteriore danno sopportato dall’INPS per i costi e le spese inerenti all’attività di accertamento del danno per l’attività di revisione delle pratiche manipolate ammontanti a lire 124.443.146, oltre rivalutazione monetaria dal 22 maggio 1998 e interessi legali.
Rileva in proposito parte attrice che il maggior danno subito dall’INPS, ragguagliabile alle somme per rivalutazione monetaria e interessi, rappresenta l’ordinaria e naturale conseguenza della perdita di disponibilità di ingenti somme di denaro cagionato all’Istituto previdenziale dalle illecite appropriazioni attuate dal C., con conseguente sottrazione, quindi, di tali somme, agli impieghi propri inerenti alle attività istituzionali dell’INPS, che, com’è noto, da un lato eroga prestazioni previdenziali ed assistenziali, per le quali, in caso di indisponibilità di cassa, deve ricorrere ad anticipazioni del Tesoro, dall’altro utilizza le proprie disponibilità con utilizzi produttivi disciplinati dalle regole proprie della gestione dei fondi previdenziali.
Conclusivamente viene richiesta la condanna del C. al pagamento della somma indicata nell’atto di citazione.
In data 23 novembre 1998, il Presidente della Sezione ha autorizzato il sequestro conservativo dei beni appartenenti al C. sino alla concorrenza di lire 2.900.000.000.
Con ordinanza numero 22/29 depositata il 27 gennaio 1999, il giudice designato per la convalida del sequestro, lo ha confermato nella misura di lire 1.373.208.090.
Il convenuto si è costituito in sede di procedura cautelare innanzi al predetto giudice designato.
Con atto presentato all’udienza del 19 ottobre 1999, il C. si è costituito in giudizio rappresentato e difeso dall’Avvocato Lorenzo TRIPPETTA.
In data 23 novembre 1999, la Procura Regionale ha depositato ulteriore documentazione proveniente dall’INPS e relativa alla quantificazione del danno erariale.
Alla pubblica udienza del 29 febbraio 2000, l’Avvocato TRIPPETTA ha precisato che il responsabile dell’ufficio legale, Avvocato ANTONELLI, ha dedotto che l’ammanco era di dimensioni contenute, relativo ad onorari, mentre il più rilevante danno è stato accertato in sede ispettiva.
Sembrerebbe, quindi, innegabile la corresponsabilità di altri soggetti.
Ha chiesto, conseguentemente, che l’indagine venisse estesa a tutti gli appartenenti dell’ufficio legale.
In particolare ha rilevato l’ omissione di vigilanza da parte dei responsabili preposti a tale attività, tenuto conto dell’accertamento di un minimo ammanco e non di quello determinato in sede ispettiva.
Quanto al danno ha assunto che le ammissioni del C. in sede penale, erano riferibili ai timori correlati al relativo giudizio penale.
Del resto la differenza tra la somma dichiarata dal convenuto e quella determinata dagli Ispettori è risultata notevolmente diversa.
Inoltre l’attività fraudolenta, era grossolana e non "fine" come asserito da parte attrice, tanto che gli Ispettori hanno facilmente riscontrato il maggior danno.
Conseguentemente non si vede a che titolo potrebbe riconoscersi il nocumento derivante dal costo degli accertamenti espletati dal personale dell’INPS.
Il Pubblico Ministero ha precisato che i primi accertamenti vennero effettuati dal Direttore della sede e dal Dirigente dell’ufficio legale della sede di Teramo.
La Procura si è, poi, rimessa alla valutazione del Collegio per eventuali integrazioni del contraddittorio nei confronti del soggetto o dei soggetti cui incombeva la vigilanza sulle attività poste in essere dal C., ancorché le stesse siano connotate da callidità.
Ha precisato, inoltre, che il danno è stato quantificato analiticamente dall’Amministrazione.
L’Avvocato TRIPPETTA, ai fini della determinazione del danno, ha lamentato che non è stato possibile avere accesso agli atti da cui è disceso il danno erariale.
All’esito dell’udienza, la Sezione pronunciava ordinanza n. 119/2000 con la quale riteneva necessario acquisire le disposizioni sul servizio di riscossione espletato dal convenuto, elementi di giudizio in ordine all’organizzazione del servizio con particolare riferimento ai controlli e ai compiti del Dirigente dell’ufficio nonché gli eventuali ordini di servizio vigenti presso la sede INPS di Teramo.
Con nota in data 28 luglio 2000, corredata da allegati vari per complessive 157 pagine, l’INPS ha fornito gli elementi richiesti.
La Procura Regionale, a seguito del supplemento istruttorio, ha depositato in data 9 gennaio 2001, memoria conclusionale con la quale dopo aver illustrato le modalità organizzative del servizio di riscossione nella sede INPS di Teramo, ha chiesto l’accoglimento della domanda giudiziale avuto anche riguardo alla piena ammissione di responsabilità effettuata dal C., in sede penale; conclusioni confermate al pubblico dibattimento.
Considerato in
DIRITTO
A seguito del supplemento di istruttoria disposto con ordinanza n.119/2000 depositata il 29 febbraio 2000, è stato possibile appurare che il servizio di riscossione dei crediti nella sede INPS di Teramo, è disciplinato dalla circolare della Direzione Generale n. 462 in data 11 febbraio 1978 e, in particolare dal punto C).
Si tratta di disposizioni che hanno delineato le modalità organizzative del servizio e, in dettaglio, gli adempimenti da curare nel caso di ricezione da parte della struttura periferica dei diversi tipi di valori.
Questi ultimi, secondo il paragrafo C 1, devono essere ricevuti dal Dirigente che sovrintende ai servizi generali che può, peraltro, avvalersi di dipendenti di sua fiducia.
Con vari ordini di servizio, ripetuti nei vari anni, il convenuto venne preposto all’ufficio recupero crediti.
Egli aveva, quindi, la piena disponibilità degli incassi che avrebbe dovuto poi versare.
Di fatto, accettava pagamenti in contanti assolutamente non consentiti come ribadito dall’ordine di servizio n. 9/94 del 18 gennaio 1994 ovvero assegni bancari con in bianco il nome del beneficiario.
Ciò al fine di trattenere tutto o parte del denaro e degli assegni incassati.
Manipolava, inoltre, anche assegni circolari approfittando del fatto che i titoli di pagamento non recavano il nominativo del traente.
In tali occasioni provvedeva a formalizzare falsi ordinativi di incasso a favore di ditte diverse da quelle che avevano effettuato il pagamento.
Emblematica, a tale riguardo, è la vicenda legata alla ditta SIMONETTI Manifatture che aveva effettuato pagamenti con assegni circolari per lire 59.931.987, a fronte di un accredito di soli 10.000.000 risultando gli altri versamenti disposti in favore di altre ditte a parziale o totale sistemazione delle proprie posizioni debitorie.
Una delle ditte beneficiate (DI GREGORIO Sergio) aveva stipulato un preliminare di compravendita di un locale rustico con il convenuto (vedasi relazione ispettiva pagina 14).
Le suddette conclusioni, già formulate dal Dirigente della sede INPS di Teramo e ribadite dalla relazione ispettiva, hanno poi trovato conferma negli atti del giudizio penale e, segnatamente, nel verbale di interrogatorio reso in data 16 agosto 1996 innanzi al G.I.P. presso il Tribunale di Teramo.
In quell’occasione l’odierno convenuto, dopo aver precisato che dal 1994 era soltanto lui a gestire il servizio recupero crediti, ammetteva di provvedere in prima persona a cambiare gli assegni consegnatigli in pagamento, trattenendo per sé parte del contenuto, poi versato sul conto corrente della società sportiva di cui faceva parte.
Nel verbale di interrogatorio del 7 febbraio 1997 presso la Questura di Teramo, confermava la falsificazione delle scritture contabili e degli ordinativi di incasso ritenendo che le stesse avessero consentito la sottrazione di 200 – 250 milioni.
Tanto premesso ritiene il Collegio ampiamente provata la responsabilità del convenuto in ordine ai fatti contestatigli con l’atto introduttivo del giudizio.
Invero, è rimasto comprovato che il medesimo dolosamente falsificò scritture contabili e ordinativi di incasso per trarre personale profitto ovvero per favorire ditte diverse da quelle che avevano effettuato i pagamenti.
La difesa di parte convenuta ha contestato la pretesa attrice assumendo che le ammissioni in sede penale erano riferibili ai timori correlati alla celebrazione di quel giudizio.
La suddetta prospettazione va del tutto disattesa tenuto conto della piena coincidenza delle risultanze ispettive e di quelle seguite alle indagini compiute dal Dirigente della sede INPS di Teramo proprio con le ammissioni, del resto puntuali, in sede penale.
Parimenti destituito di fondamento è l’assunto secondo cui il convenuto consumò un falso grossolano, come tale agevolmente riscontrabile.
Al contrario risulta dagli atti di causa che l’attività fraudolenta posta in essere dal dipendente, era molto complessa.
Egli, inoltre, fu agevolato nella sua attività delittuosa ed illecita, dal fatto di essere considerato un funzionario modello.
Ma, a parte tali rilievi, se deve ammettersi che un adeguato monitoraggio avrebbe consentito probabilmente di conoscere il sistema ordito dal C., tuttavia, non certo per tale ragione quest’ultimo può ritenersi affrancato da responsabilità per i fatti posti in essere e per i danni provocati.
Del resto va osservato che il sistema delle riscossioni dei crediti dell’INPS, era organizzato in via generale dalla Direzione Generale dell’Istituto. (Circolare n. 462 in data 11 febbraio 1978)
In detta disciplina non sono contemplati controlli o attività di vigilanza.
Quest’ultima del resto, pur esistendo in via generale in ogni rapporto di gerarchia in capo al superiore, non può essere considerata alla stregua di una puntuale verifica di tutta l’attività posta in essere dagli uffici dipendenti, ma quale strumento per verificare, specie a seguito delle innovazioni in materia di controlli, l’efficienza, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa.
Il Collegio è perfettamente consapevole che nelle attività che presuppongono il maneggio di denari e valori, i controlli, ancorché periodici, sull’attività posta in essere dal singolo agente, costituiscono una valida misura di verifica della correttezza della gestione o, quanto meno, un deterrente per la superficiale o mala gestione.
Ma, nel caso in cui la normativa dello specifico settore non contempli dette misure, deve ritenersi che le stesse non possano, ora per allora, essere invocate al fine di evitare, o quanto meno limitare, la responsabilità di chi ha maneggiato denaro e valori.
Il difensore del convenuto, inoltre, facendo riferimento a concorrenti responsabilità che avrebbero consentito l’attività fraudolenta, ha, sotto un primo aspetto, messo in discussione la stessa realizzazione dell’evento dannoso, quanto meno nelle dimensioni contestate; sotto altro profilo, connesso al primo, ha dedotto che il nocumento erariale è stato originato anche dall’inerzia di chi doveva esercitare la vigilanza con la conseguenza che soltanto una parte di esso può essere addebitato al convenuto.
Quanto alla prima obiezione, si richiamano le considerazioni prima formulate in ordine alla complessità dell’attività fraudolenta e al sistema dei controlli vigenti presso l’INPS nella materia della riscossione dei crediti.
In merito al secondo profilo di doglianza, e sempre richiamando le stesse considerazioni, va osservato che, comunque, quand’anche si aderisse alla prospettazione di parte convenuta, secondo cui sussisterebbe una responsabilità per omessa vigilanza, la stessa avrebbe natura sussidiaria, ma non inciderebbe sulla quantificazione della condanna del responsabile in via principale. (ex multis Sez. II Centrale 25 maggio 2000, n. 194; 7 luglio 2000, n. 242)
Parimenti infondata risulta la doglianza con la quale si contesta la quantificazione del pregiudizio erariale.
In particolare si assume che il convenuto ha ammesso di aver sottratto denaro pubblico, ma nei limiti notevolmente inferiori alla contestazione in via giudiziale.
Inoltre, proprio in ragione della "grossolanità" della attività illecita, risultava agevole ricostruire la vicenda per definire rigorosamente il danno patito dall’INPS.
In siffatto contesto non potrebbe far parte del danno, il costo degli accertamenti compiuti dall’Istituto di previdenza.
Osserva in proposito il Collegio, che il primo profilo di censura è del tutto generico e privo di ogni supporto probatorio a sostegno di quanto addotto.
L’Avvocato TRIPPETTA, nel corso dell’udienza del 29 febbraio 2000, lamentò che non era stato possibile contestare la determinazione del danno erariale, non avendo consentito l’INPS di accedere alla documentazione sulla cui base il nocumento era stato quantificato.
In disparte la circostanza che non risulta siano state avanzate alla sede INPS di Teramo istanze di accesso a detta documentazione, risulta dagli atti trasmessi con nota in data 18 luglio 2000 della menzionata sede, e segnatamente dalla nota prot. 2303425 in data 17 novembre 1997, di contestazione degli addebiti al C., per gli stessi fatti di cui è controversia, che gli atti sui quali si incentrava il giudizio disciplinare, erano a disposizione del dipendente che avrebbe potuto "……visionare o acquisire il fascicolo di interesse…..".
Anche a prescindere dalla descritta vicenda, va, comunque, osservato che il difensore del convenuto, pur avendo ottenuto con l’ordinanza della sezione n. 119/2000 depositata il 6 giugno 2000 il riconoscimento del diritto di accesso ai documenti in possesso dell’INPS e relativi alla controversia, non ha esercitato tale diritto, si ripete invocato in tale sede giudiziale, limitandosi, poi, a genericamente contestare la quantificazione dell’addebito.
Per dovere di completezza, poi, va soggiunto che gli atti di causa ricostruiscono la vicenda, per cui già la consultazione degli stessi avrebbe potuto consentire eventuali puntualizzazioni dalla parte interessata.
La doglianza, quindi, va respinta.
Ciò in quanto, a parte la genericità della prospettazione, gli atti di causa, come ribadito dal Pubblico Ministero nel corso del dibattimento, danno ragione di un’analitica quantificazione del danno erariale.
In tale contesto l’obiezione della difesa, secondo cui in sede penale il convenuto confessò di aver sottratto somme, per 200 –250 milioni e non quelle addebitate da parte attrice, si appalesa del tutto fragile avuto riguardo alla risultanze degli atti di causa e, in particolare, alle indagini ispettive e a quelle condotte dalla sede INPS di Teramo.
Anche il secondo profilo di censura, con il quale si lamenta l’erronea quantificazione del pregiudizio erariale per aver ritenuto parte del medesimo, il costo degli accertamenti compiuti dall’INPS per verificare la latitudine delle sottrazioni operate dal C., si rivela inconsistente.
L’attività di ricostruzione della vicenda legata alle illecite sottrazioni consumate dal convenuto, è stata condotta con la revisione completa di tutte le pratiche trattate dal medesimo nel periodo 1986 – 1996, impegnando unità di personale cui sono stati erogati compensi per lavoro straordinario e indennità di missione.
A ciò si aggiunga che alle stesse è stata erogata la retribuzione per una prestazione lavorativa del tutto diversa dalle mansioni che avrebbero dovuto espletare.
Il danno relativo alle spese sostenute dall’INPS per gli accertamenti di cui si tratta, ed analiticamente indicati in atti, si è consumato e, pertanto, va addebitato al convenuto.
Conclusivamente quest’ultimo va ritenuto responsabile del danno contestato nell’atto introduttivo del giudizio e, pertanto, condannato alla complessiva somma di lire 2.886.449.182 (duemiliardiottocentottantaseimilioniquattrocentoquarantanovemila182lire) così distinta:
Lire 1.373.208.090 quale danno derivato dalle falsificazioni contabili;
Lire 941.494.036 e Lire 447.353.910 (e non Lire 941.594.036 e lire 483.353.586 come indicato nell’atto di citazione) rispettivamente per interessi e rivalutazione monetaria calcolata alla data del 15 ottobre 1998;
Lire 124.443.146 per spese sostenute per la revisione delle pratiche manipolate.
Le anzidette somme sono quantificate con riferimento alla nota G/18/98 in data 7 aprile 1999 della sede INPS di Teramo, con la quale, tra l’altro, sono stati resi intelligibili i calcoli effettuati per rivalutazione monetaria ed interessi.
Sulla complessiva somma di Lire 2.886.449.182, cui viene condannato il convenuto, sono dovute la rivalutazione monetaria dal 16 settembre 1998 sino alla data di pubblicazione della presente sentenza.
Da tale ultima data e sino all’integrale soddisfo, sono altresì dovuti gli interessi legali.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo- condanna C. A. al pagamento in favore dell’INPS della somma di Lire 2.886.449.182 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali da calcolarsi con le modalità di cui in parte motiva, nonché delle spese di giudizio in favore dell’erario che sino all’originale della presente sentenza si liquidano in Lire 3.561.360 (Tremilionicinquecentosessantunomila360).
Così deciso in L’Aquila nella Camera di Consiglio del 6 febbraio 2001.
Omissis