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n. 11-2001 - © copyright.

CORTE DEI CONTI, SEZ.GIUR. REGIONE ABRUZZO - Sentenza 6 novembre 2001 n. 885/2001/EL - Pres. Minerva - Rel. Calamaro - Procura Regionale c, G.P. (Avv.ti Ranaldi, Milia e De Cata) – P.M. Di Stefano.

1. Giudizio di responsabilità - Responsabilità contabile e amministrativa – Oggetto della domanda – Comportamento illecito e maggiori oneri sopportati dalla p.a. – Ricorso alla quantificazione del danno in via equitativa – Consulenza tecnica d’ufficio – Per accertare questioni di fatto utilizzando cognizioni di carattere tecnico – Assunzioni di mezzi di prova.

2. Giudizio di responsabilità - Responsabilità contabile e amministrativa - Direttore dei lavori - Pagamenti in acconto all’appaltatore - Fuori dei termini stabiliti nel capitolato speciale dell’appalto - Costituisce danno – Contabilità provvisoria del direttore dei lavori – Quando l’opera viene eseguita lontano dalla residenza del direttore dei lavori – Esiguità personale ufficio tecnico e gravosità lavoro non costituiscono esimente per un’approssimativa gestione delle opere pubbliche.

3. Giudizio di responsabilità - Responsabilità contabile e amministrativa - Direttore dei lavori - Gestione verticistica e personale degli appalti pubblici per scopi concussori – Danno erariale connotato da dolo – Lesione all’immagine pubblica – Sussiste.

1. Nel giudizio contabile, in osservanza del disposto dell’art. 3 del R.D., n. 1038 del 1933, la causa petendi viene ravvisata nel comportamento del convenuto accertato analiticamente con riferimento alle singole illiceità prospettate e contestate dal P.M., mentre, il petitum viene individuato nei maggiori oneri sopportati dalla p.a. in dipendenza di quel comportamento.

In presenza di una complessità di contestazioni effettuate al convenuto che comporta la difficile quantificazione del danno è ben possibile chiedere la determinazione di esso ai sensi dell’art. 1226 del c.c., giacché la difficile quantificazione non esclude la mancanza di prova del danno.

Anche nel giudizio di responsabilità amministrativa, così come nel processo civile, la consulenza tecnica d’ufficio può essere disposta dal giudice a condizione che non abbia ad oggetto aspetti diritto, ma questioni di fatto il cui accertamento presuppone il possesso di cognizioni di carattere tecnico.

Sulla base della disciplina dei poteri istruttori del giudice contabile di cui all’art. 73 del R.D. n. 1214 del 1934 e agli artt. 14 e 15 del R.D. n. 1038 del 1933 è possibile assumere testimoni e ammettere gli altri mezzi di prova ritenuti necessari indicando le modalità con cui debbono essere eseguiti e applicando, per quanto possibile, le leggi di procedura civile in ragione del rinvio operato dall’art. 15 sempre del R.D. n. 1038 del 1933.

2. Costituisce danno, sotto il profilo della mancata disponibilità di risorse per l’ente pubblico, aver corrisposto pagamenti in acconto all’appaltatore al di fuori dei termini minimi stabiliti nel capitolato speciale dell’appalto.

Come stabilito dall’art. 48 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350 il direttore dei lavori può tenere la contabilità dell’opera pubblica in via provvisoria solo quando l’opera stessa venga eseguita lontano dalla residenza dello stesso direttore dei lavori al quale, nell’occasione, incombe l’obbligo di verificare le misurazioni al fine di rettificarle e completarle prima della visita e della trascrizione sul libretto.

In un giudizio sulla responsabilità amministrativa di un direttore dei lavori si deve far riferimento alla legge vigente al momento della realizzazione dei lavori e non ai principi introdotti successivamente con il nuovo regolamento dei lavori pubblici che ha consentito l’ammissione della contabilità provvisoria in maglie più ampie rispetto a quelle poste dalla previgente disciplina del regolamento del 1895.

L’esiguità dell’organico dell’ufficio tecnico di un comune e la gran mole di lavoro non costituiscono un’esimente per l’irregolare tenuta della contabilità dei lavori, dal momento che è sempre possibile affidare la direzione lavori a professionisti esterni al fine di evitare un’approssimativa gestione delle opere pubbliche da realizzare.

3. Quando un direttore dei lavori opera con una gestione verticistica e personale degli appalti pubblici a lui affidati, al fine di porre in essere le premesse per attività di tipo concussorio, risponde per una condotta caratterizzata dal dolo e non da colpa grave, anche se questa deve essere, comunque, ravvisata a causa della vistosa approssimazione, trascuratezza e negligenza nell’espletamento delle funzioni di direttore dei lavori.

Deve essere affermata la responsabilità amministrativa per danno all’immagine di un ingegnere capo e direttore dei lavori per la realizzazione di un’opera pubblica quando le vicende penali contro la p.a. che lo hanno visto coinvolto hanno realizzato un’eco negativa presso la generalità dei consociati per l’evidente sviamento dalle funzioni pubbliche affidate allo stesso.

 

 

SENTENZA

sul giudizio di responsabilità ad istanza del Procuratore Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale, iscritto al n. 172/E.L. del registro di Segreteria nei confronti di G. P. elettivamente domiciliato in L’Aquila - Via Sassa n. 40 presso lo studio dell’Avvocato Anna Maria RANALDI – rappresentato e difeso dagli Avvocati Giuliano MILIA e Carlo P.M. DE CATA;

Visto l’atto introduttivo del giudizio e gli altri atti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 9 gennaio 2001, con l’assistenza del Segretario dott.sa Antonella LANZI, il relatore Cons. Luciano CALAMARO, l’Avv. DE CATA per il G., nonché il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Massimo DI STEFANO;

Ritenuto in

FATTO

(omissis)

DIRITTO

1.La difesa del convenuto, ha formulato alcune eccezioni di ordine preliminare al merito della controversia.

1.1. Lamenta innanzitutto parte convenuta che l’atto di citazione altro non rappresenterebbe che un mero rinvio alla sentenza n. 53 del 3 aprile 1995 pronunciata dal Tribunale penale di Chieti su richiesta dell’interessato ex art. 444 codice procedura penale.

Detta sentenza è stata, peraltro, annullata dalla Suprema Corte di Cassazione all’udienza del 23 ottobre 1995.

Conseguirebbe, secondo la prospettazione difensiva, una duplice inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio perché fondato su una sentenza annullata ed in quanto posto in violazione dell’art. 445 codice procedura penale, avendo trasferito nel giudizio contabile, l’esito di un procedimento penale sprovvisto del carattere della completezza e della oggettiva certezza processuale.

Entrambi i profili della doglianza risultano infondati.

L’atto di citazione, pur richiamando l’esito del procedimento penale celebrato, tra l’altro, a carico del convenuto, ha configurato la responsabilità del medesimo sulla base "degli accertamenti svolti dai Carabinieri di Chieti, corredati da ispezioni ed acquisizioni documentali nonché dalla consulenze tecniche fatte svolgere dal P.M. in sede penale".

Inoltre ha contestato una serie di omissioni o comportamenti illeciti (pagina 2 dell’atto di citazione), alla cui stregua ha chiesto la condanna per i danni patrimoniali e morali conseguiti ai comportamenti medesimi.

Si tratta, quindi, di una chiamata in giudizio del tutto autonoma rispetto all’esito del procedimento penale.

L’annullamento della sentenza n.53 del 1995 pronunciata ex art. 444 codice procedura penale, è del tutto irrilevante ai fini della ammissibilità dell’atto di citazione. Per solo debito di completezza, va soggiunto che il Tribunale di Chieti, con sentenza n. 108/96 depositata il 13 maggio 1996, rilevata la mancata ricorrenza di una delle ipotesi prevista dall’art. 129 codice procedura penale, su richiesta dell’imputato, odierno convenuto, ha applicato ex art. 444 codice procedura penale la pena indicata nella sentenza stessa.

Avuto riguardo al secondo profilo di doglianza, va osservato che la giurisprudenza della Corte dei conti, con indirizzo consolidato, ha ritenuto che la condanna pronunciata ex art. 444 codice procedura penale, non vincola con efficacia di giudicato il giudice contabile, al quale è consentito valutare autonomamente i contenuti probatori degli atti penali. (per tutte Sezione II Centrale 13 aprile 2000, n. 134).

In controversia, come accennato, parte attrice, valutando gli atti del procedimento penale, ha ritenuto di poter contestare addebito per responsabilità amministrativa, con modalità immuni dalle censure avanzate dalla parte resistente.

1.2. Parimenti da disattendere è la censura con la quale si denuncia la nullità dell’atto di citazione per violazione dell’art. 45 r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, con riferimento agli articoli 1 e 3 dello stesso regio decreto nonché dell’art. 163, comma 3 numeri 3,4 e 5 codice procedura civile.

L’atto introduttivo del giudizio contiene tutti gli elementi previsti dall’art. 1 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, disposizione applicabile in fattispecie, avuto riguardo alla previsione contenuta nel successivo art. 26.

Nessuna violazione dell’art. 45 dello stesso r.d. n. 1038 del 1933 è ravvisabile con riferimento all’atto di citazione, tenuto conto che con lo stesso è stata chiesta la fissazione della udienza di discussione della causa.

Parimenti non si vede quale possa essere "l’assoluta incertezza sull’oggetto della domanda", vizio cui la censura sembra riferirsi, sostenendo la violazione dell’art.3 del r.d. n.1038 del 1933, tenuto conto che la causa petendi è ravvisata nel comportamento del convenuto, analiticamente individuato con riferimento alle singole prospettate illiceità; il petitum, poi, è altrettanto chiaramente individuato nei maggiori oneri sopportati dall’Amministrazione comunale in dipendenza di quel comportamento.

Maggiori oneri, quantificati nella misura minimale di lire 56.286.599 e per i quali si chiede una condanna in via equitativa ex art. 1226 codice civile attesa la difficoltosa quantificazione del pregiudizio erariale.

E con lo stesso strumento parte attrice chiede la determinazione del danno morale, avuto riguardo alla risonanza dei fatti che hanno connotato la vicenda.

Si tratta, quindi, di domanda non affetta da genericità e che risulta conforme alle prescrizioni contenute nell’art. 163 codice procedura civile, quanto meno a quelle applicabili al giudizio per responsabilità amministrativa.

1.3 Connessa alla precedente è la censura di mancata prova dell’esistenza del danno.

Anche per tale doglianza va rilevato che la Procura Regionale agisce sulla base degli atti di causa e, in particolare delle consulenze tecniche, indicando, quale nocumento erariale minimale, la liquidazione di stati di avanzamento di consistenza superiore ai lavori eseguiti.

In siffatto contesto, venendo in rilievo un complesso di contestazioni (emissione del certificato di pagamento dell’anticipazione prima della stipula del contratto, emissioni di certificati di pagamento in violazione dell’art. 27 del Capitolato Speciale di Appalto, liquidazioni in partita provvisoria di SAL, mancata contestazione all’appaltatore di inattività sebbene sussistesse un verbale di ripresa dei lavori dopo un termine di sospensione degli stessi), parte attrice ha ritenuto di dover chiedere la determinazione del danno ex art. 1226 codice civile.

Orbene, tale richiesta non evidenzia affatto una mancanza di prova del danno, ma soltanto, una difficile quantificazione dello stesso.

2. Parte convenuta, a seguito della ordinanza n. 35/2000 "depositata il 15 febbraio 2000", ha dedotto eccezioni di inammissibilità o nullità della consulenza tecnica di ufficio , che asserisce essere stata disposta con il suddetto provvedimento giudiziale, sotto diversi profili e segnatamente:

- per essere il mezzo istruttorio stato disposto in carenza di un principio di prova osteso dalla parte onerata;

- violazione e falsa applicazione degli articoli 191-195, 201 codice procedura civile, 90 e 92 delle disposizioni di attuazione dello stesso codice con riferimento all’art. 26 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038.

Ciò, in quanto non risulterebbe fissato alcun termine per la nomina dei consulenti di parte; inoltre il consulente nominato, non avrebbe prestato giuramento e non risulterebbe redatto il verbale di cui all’art. 195 codice procedura civile.

Infine, dal sopralluogo del C.T.U., tenuto oltre la scadenza del mandato e prima della disposta proroga stabilita con ordinanza n. 181/2000 "depositata il 20 ottobre 2000", non sarebbe stata data comunicazione all’arch. Stella la cui consulenza tecnica era stata prodotta dal convenuto.

2.1. In proposito è necessario premettere che con l’ordinanza n. 35/2000 depositata il 15 febbraio 2000, non è stata disposta una consulenza tecnica di ufficio, ma, esclusivamente demandato al Provveditore alle opere pubbliche per l’Abruzzo, o a un suo delegato, di "procedere alla verifica dei lavori eseguiti e della relativa spesa" alla stregua anche delle consulenze già depositate.

Ciò in presenza di un evidente contrasto tra le parti in ordine alla consistenza, o alla stessa esistenza, del danno erariale.

Dette verifiche sono state disposte in applicazione degli articoli 14 e 15 del r.d. 13 agosto 1933, n.1038.

Ma, a prescindere della natura degli accertamenti richiesti, va considerato che la consulenza tecnica può essere ordinata dal giudice anche d’ufficio (Cass. civ. 28 aprile 1999, n. 4265) purché non abbia ad oggetto aspetti di diritto, ma questioni di fatto il cui accertamento presuppone il possesso di cognizioni di carattere tecnico (Cass. civ. 4 febbraio 1999, n. 996)

Orbene la disciplina dei poteri istruttori del giudice contabile , è contenuta nell’art. 73 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e negli articoli 14 e 15 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038.

Sulla base della stessa la Corte dei conti può disporre l’assunzione di testimoni ed ammettere gli altri mezzi di prova che ritenga necessari (art. 73 del r.d. n. 1214 del 1934), indicando le modalità con cui debbono essere eseguiti ed applicando, per quanto possibile, le leggi di procedura civile (art. 15 r.d. n. 1038 del 1933).

Tanto premesso va considerato che nella ordinanza che ha disposto gli accertamenti richiesti al Provveditore alle Opere Pubbliche, sono state stabilite le modalità a garanzia della trasparenza delle operazioni, prevedendo che le stesse fossero effettuate in contraddittorio tra le parti.

La specialità del giudizio amministrativo contabile rispetto a quello civile, non consente, peraltro, l’applicazione della normativa richiamata dalla difesa del convenuto.

A tal fine è sufficiente osservare che gli articoli 191 e seguenti del codice di procedura civile, disciplinano l’istruzione probatoria innanzi al giudice istruttore, le cui funzioni ben si inquadrano nel giudizio civile, ma non certo in quello di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, ove l’istruttoria è svolta dal Procuratore Regionale.

La disciplina speciale contenuta nell’ordinamento nella Corte dei conti, troverebbe, conclusivamente, applicazione anche se si fosse disposta una vera e propria consulenza tecnica di ufficio, come sostenuto da parte convenuta..

2.2. Tanto premesso, va ancora considerato, che gli accertamenti di cui si contesta la ritualità da parte del convenuto, sono stati disposti, come accennato, avendo le parti opposto argomentazioni relative all’esistenza o alla misura del danno.

Peraltro parte attrice ha fornito elementi di prova a sostegno della domanda giudiziale, per cui il supplemento di istruttoria si atteggia alla stregua di uno strumento volto a garantire una decisione che tenga conto di tutti gli elementi possibili per la corretta definizione della controversia.

2.3. Viene, infine, in rilievo l’asserita illegittimità del sopralluogo sia perché fissato senza convocare l’arch. Stella, della cui consulenza il convenuto si è avvalso per le proprie difese, sia perché effettuato dopo la scadenza del termine per l’espletamento dell’incarico e prima della proroga concessa con ordinanza n. 181 del 2000.

Al riguardo si osserva, con riferimento al primo profilo di doglianza, che l’Ing. COLANGELI, delegato dal Provveditore alle Opere Pubbliche per la Regione Abruzzo ad effettuare le verifiche chieste con ordinanza n. 35 del 2000, con nota in data 4 ottobre 2000 ha comunicato ai difensori del convenuto che le operazioni di verifica e misura sul luogo ove doveva essere realizzata l’opera pubblica, sarebbero iniziate il 9 ottobre 2000.

In tale giorno il suddetto funzionario, ha trovato ad attenderlo l’Ing. P. G. che è stato ammesso alle operazioni di verifica e misura citate.

Non si vede, quindi, la ragione per la quale la difesa lamenti la mancata convocazione di un professionista che in precedenza aveva redatto una consulenza tecnica, quando lo stesso convenuto era presente al sopralluogo e non ha sentito la necessità di avvertire il suddetto professionista.

Le operazioni di verifica sono state condotte, quindi, con assoluta regolarità e nel rispetto dei diritti della difesa.

In merito al secondo profilo di censura, va osservato che l’ordinanza n. 181 risulta depositata il 27 settembre 2000 e non il 20 ottobre 2000, come sostiene la difesa.

Le operazioni di verifica sono iniziate il 9 ottobre 2000 e dell’avvio delle stesse è stata data comunicazione il 4 ottobre.

Non si vede, quindi, in quale irregolarità possa essere incorso il funzionario del Provveditorato alle Opere Pubbliche.

3. Passando all’esame del merito della controversia, ritiene il Collegio che la domanda attrice sia fondata nei limiti di seguito indicati e con riferimento alle specifiche contestazioni.

a. Consegna dei lavori senza le prescritte autorizzazioni del CONI.

La contestazione risulta infondata.

I progetti dei lavori per la realizzazione del complesso sportivo, 1° e 2° lotto, vennero approvati con delibera consiliare n.1029 del 12 luglio 1989.

Il 16 giugno 1990 veniva richiesto dall’ente locale il parere del CONI; quest’ultimo ente, il 25 giugno successivo, chiedeva una serie di modifiche agli elaborati progettuali.

Il relativo adeguamento era richiesto ai progettisti dell’opera dall’Ing. G. il giorno seguente.

Il progetto veniva, infine, inviato il 23 aprile 1992 al CONI che rilasciava parere favorevole il 24 giugno 1992.

Orbene l’acquisizione del suddetto parere non era funzionale alla realizzazione del primo lotto dei lavori,quanto al finanziamento del secondo. Ove quest’ultimo non fosse stato conseguito, appare verosimile ritenere che il progetto relativo al primo lotto avrebbe dovuto essere ridimensionato e, comunque, reso funzionale.

Di qui l’esigenza della sospensione dei lavori, imputabile, peraltro, più che al convenuto, che trasmise tempestivamente le prescrizioni del CONI, ai progettisti che definirono l’elaborato soltanto nel 1992.

Sul punto si ritiene che nessuna responsabilità possa essere addebitata al G..

b) Emissione del certificato di pagamento dell’anticipazione prima della stipula del contratto.

Ai sensi dell’art. 3 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 l’anticipazione, per i lavori aggiudicati va "accreditata" all’impresa, indipendentemente dalla sua richiesta, entro sei mesi dalla data dell’offerta.

Anche tale contestazione, quindi, risulta infondata, essendo irrilevante che l’anticipazione sia stata erogata prima della stipula del contratto di appalto.

c) Sospensione dei lavori pur in presenza di un verbale di ripresa.

La circostanza non risulta provata dalla parte attrice, per cui il convenuto risulta affrancato dall’addebito.

Gli ulteriori addebiti risultano tutti fondati.

Peraltro va valutata la loro idoneità a determinare un danno per l’erario.

Vengono in rilievo, a tal fine, l’emissione di due certificati di pagamento inferiori al minimo previsto dall’art.27 del capitolato speciale, le modifiche delle opere non formalizzate con variante e la tenuta della contabilità provvisoria.

Si tratta di evidenti irregolarità.

L’art.27, comma 1, del capitolato speciale di appalto prescrive che i pagamenti in acconto in corso d’opera, non possano essere effettuati se non quando il credito dell’appaltatore, detratto l’aumento o il ribasso d’asta, raggiunga la somma di L.100.000.000.

Evidente, quindi, è l’illegittimità dei pagamenti.

Sul versante del danno, peraltro, lo stesso può essere identificato con la mancata disponibilità per l’ente locale delle anzidette risorse.

Non appare verosimile ritenere che in virtù di detta disposizione, l’Impresa non avrebbe potuto reclamare e conseguire il proprio credito con il passare del tempo e per cause non imputabili alla stessa, con probabili maggiori oneri. Va, poi, osservato che, nella sostanza, soltanto il secondo dei pagamenti era inferiore ai 100 milioni, posto che il primo, anche se non alla data di liquidazione, comunque, avrebbe raggiunto detta soglia in ragione delle opere eseguite.

Parimenti illegittima è la mancata predisposizione di una perizia di variante per le modifiche apportate all’opera.

Peraltro parte attrice non ha saputo indicare quale danno abbia provocato l’anzidetta irregolarità, né, dagli atti di causa, è dato comprendere l’eventuale pregiudizio patito dall’ente locale.

Quanto alla contabilità tenuta in via provvisoria, va considerato che la stessa è disciplinata dall’art.48 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 ed è consentita quando l’opera si esegua lontano dalla residenza del Direttore lavori e non sia possibile fare eseguire le misurazioni al personale ivi indicato.

Al Direttore dei lavori, in tal caso, incombe di verificare le misurazioni al fine di rettificarle e completarle prima della visita e prima di trascriverle sul libretto.

Il successivo art.58 prescrive che lo stato di avanzamento dei lavori debba essere ricavato dal registro di contabilità o, in caso di riconosciuta impossibilità di aggiornarla, e purché siano in regola e firmati dall’impresa i libretti delle misure, possa essere redatto in base a misure e computi provvisori.

Di fronte a una disciplina che non consente interpretazioni ambivalenti, parte convenuta ha opposto che il nuovo regolamento sui lavori pubblici ammette la contabilità provvisoria in maglie ben più ampie di quelle del regolamento del 1895 e che le condizioni in cui agiva l’ufficio tecnico del Comune di Chieti erano disagiate, dovendo far fronte, con la collaborazione di soli quattro tecnici, ad un numero considerevole di appalti da seguire.

Ha, poi, soggiunto, che formalmente l’Ing.G. figurava quale Direttore dei lavori, ma di fatto, gli stessi erano seguiti dal Geom. M. G. .

Quanto alla prima obiezione è sufficiente osservare che la legge vigente al momento della realizzazione dei lavori andava rispettata, per cui non è consentito applicare principi recepiti nell’ordinamento soltanto nel luglio 2000 (nuovo regolamento sui lavori pubblici).

Anche l’esiguità dell’organico dell’Ufficio tecnico e la gran mole di lavoro non costituiscono un’esimente per la irregolare tenuta della contabilità dei lavori, posto che, in tale evenienza, è consentito affidare la direzione lavori a professionisti esterni in luogo di una approssimativa gestione delle opere pubbliche da realizzare.

Del resto le elementari operazioni da compiere, e omesse dalla Direzione Lavori, non consentono di ritenere giustificata l’inerzia con riferimento alla asserita insufficienza dell’organico dell’Ufficio tecnico.

Infine, ai sensi dell’art.3 e 47 del r.d. 25 maggio 1895, n.350, il direttore dei lavori ha la piena responsabilità della buona e puntuale esecuzione dei lavori, e della tenuta dei libretti di misura, responsabilità che permane anche quando i libretti siano aggiornati da personale a ciò delegato.

In sintesi l’assunto che il geometra M. di fatto esercitasse le funzioni di direttore dei lavori, resta, ai fini della responsabilità dedotta in controversia, del tutto irrilevante.

Del resto proprio la approssimativa tenuta delle contabilità lavori, ha generato la differenza tra i lavori eseguiti e quanto liquidato all’Impresa.

3.1. L’esito delle operazioni di verifica condotte dal Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Regione Abruzzo, ha evidenziato uno scostamento pari a L.31.445.361=.

La difesa del convenuto ha contestato le risultanze della verifica effettuata, sotto il profilo della mancanza di un obbligo di legge che prescrivesse di applicare il "Prezzario"regionale.

In realtà detto "Prezzario" è stato richiamato esclusivamente per le categorie di lavoro per le quali non esisteva prezzo contrattuale.

In tali evenienze l’art.21 del r.d. 25 maggio 1895, n.350, richiamato dall’art.13, comma 4, del d.P.R. 16 luglio 1962, n.1063, stabilisce che i nuovi prezzi si determinano ragguagliandoli ai lavori simili compresi nel contratto ovvero, quando sia impossibile l’assimilazione, ricavandoli in tutto o in parte da nuove regolari analisi.

Orbene non risulta dagli atti che dette analisi siano state condotte dalla Direzione Lavori, né, in questa sede giudiziale, è stata fornita la prova contraria da parte convenuta.

Il Collegio ritiene, dunque, che il riferimento al "Prezzario" regionale – edizione 1988 che contemplava la specifica voce n. A6-3, consentisse di poter definire il prezzo, non presente in contratto, relativamente al "trasporto e rifiuto del materiale proveniente dalle demolizioni".

Quanto all’ulteriore notazione, secondo cui il trasporto del materiale demolito fu portato in discarica distante oltre 10 chilometri, per cui non esisteva neanche sul Prezzario detta voce, va osservato che da nessun atto di causa si evince la distanza della discarica ove il materiale è stato trasportato.

Si tratta, quindi, di una mera prospettazione di parte non suffragata da idonea documentazione onere ricadente sul convenuto. Parimenti inconsistenti si rivelano le censure relative alla voce di costo "calcestruzzo per elevazione".

La difesa contesta l’omessa considerazione della spesa per il ferro, ritenendo che la voce n.433 dell’elenco prezzi sia equivoca e comunque non riferita alle strutture armate in elevazione, così come precisato nelle voci 26, 27 e 30.

Orbene, dall’elenco dei prezzi unitari, alla voce n. 433 è iscritto il calcestruzzo in cemento confezionato" con inerti di sabbia e pietrisco o ghiaia……. dato in opera per strutture di elevazione, compreso le casseforme, le armature di ogni altro onere".

Non sembra al Collegio che si tratti di una formulazione equivoca.

Al contrario il prezzo al metro cubo di L.190.000 è "dato in opera per strutture in elevazione" e comprensivo di armature, casseforme e ogni altro onere.

Le voci 26, 27 e 30, invece, non sono comprensive di casseforme, armature (e ogni altro onere), "valutati" a parte "con un costo al metro cubo, di gran lunga inferiore a quello della voce 433.

Del resto nella contabilità della direzione lavori, il calcestruzzo per elevazione è calcolato con riferimento alla voce 433 e non alle voci 26,27 e 30.

Pertanto corretta risulta la valutazione compiuta dal funzionario verificatore del Provveditorato alle Opere Pubbliche.

Da disattendere sono le considerazioni della difesa relative ai campi polivalenti e per il tennis.

Quest’ultima concentra la propria attenzione sul fatto che gli interventi difformi dal progetto non dovevano essere valutati applicando l’elenco prezzi, ma in percentuale rispetto al costo globale dell’opera.

Dalla relazione di verifica risulta che non era possibile applicare il prezzo a corpo, in ragione delle difformità progettuali, ma non certo i prezzi di elenco, trattandosi di opere previste (vedasi in particolare il computo metrico redatto dall’Ing. COLANGELI).

Su tale punto, quindi, le obiezioni difensive sono da respingere anche con riferimento alla omessa considerazione di lavorazioni ascrivibili alle voci 394 e 399, contenute invece nella voce "scavo di sbancamento".

Per questa ultima voce la difesa assume che i calcoli del Geometra M. erano esatti, ancorché non trascritti in regolare contabilità per questioni di forza maggiore legati all’allontanamento dal posto di lavoro.

La circostanza che lo scavo fosse di più ampie dimensioni rispetto ai calcoli dell’Ing. DI PRIMIO sarebbe comprovata da una perizia dell’Ing. SCIROCCO del 1993 e da una dichiarazione rilasciata dall’Architetto PASCUCCI in data 15 novembre 2000.

In proposito, peraltro, non può non osservarsi che sia la contabilità redatta dall’Ing. DI PRIMIO sia quella dell’Ing. COLANGELI sono concordanti.

Inoltre la stessa contabilità provvisoria indicava una quantità di 19.000 metri cubi e non 23.279 metri cubi come adesso sostiene la difesa del convenuto.

Tenuto conto degli elementi sopra indicati, deve concludersi che anche per lo scavo di sbancamento i calcoli effettuati dal funzionario incaricato della verifica, siano corretti. Del resto l’omessa tenuta secondo legge della contabilità dei lavori, è imputabile esclusivamente al convenuto.

Ove la stessa fosse stata aggiornata secondo le prescrizioni dettate dal regolamento del 1895 n. 350, probabilmente non sarebbe sorta alcuna questione.

Ma di fronte ad una situazione connotata da mancanza di atti ufficiali, pur previsti dalla normativa vigente, e da concordanti misurazioni rilevate nella contabilità dell’Ing. DI PRIMIO e in sede di verifica disposta da questa Corte, ben poco rilievo possono assumere gli argomenti opposti da parte convenuta e fondati su elementi non sorretti da obiettivi necessari riscontri in termini di misurazione.

Conclusivamente rimane accertato che la Direzione lavori liquidò all’Impresa L.194.674.411=, mentre il valore delle opere realizzate era pari a nette L.163.229.050= con una differenza L. 31.445.361= che costituisce danno per l’Ente locale.

4. Ai fini della configurabilità della responsabilità, infine, va verificata l’esistenza dell’elemento psicologico della colpa grave o del dolo.

Va premesso, al riguardo, che per la realizzazione del complesso polisportivo in località FILIPPONE di Chieti, l’Ing. G. rivestiva la posizione di Ingegnere Capo e direttore lavori.

Assommava, quindi, nella propria persona tutti i poteri relativi alla gestione dell’intervento.

Dagli atti penali si evince una gestione verticistica e personale che il tecnico aveva impresso agli appalti pubblici.

Egli manovrava le complesse vicende tecnico-amministrative inerenti ai lavori posti sotto il suo controllo, "ponendo altresì – con tutta una serie di favori all’imprenditore (nella specie S. L.)- le premesse per attività di tipo concussorio: trattavasi in altri termini di strumenti ora di premio (per i versamenti ottenuti) ora di convincimento (per quelli da ottenere)" (Sentenza del Tribunale di Chieti n.87 depositata il 17 luglio 1996 paragrafo relativo a S. L.).

Tutto ciò premesso, deve ritenersi che la condotta contestata al convenuto da parte attrice sia illecita e connotata da dolo e non da semplice colpa grave, comunque ravvisabile attesa la vistosa approssimazione, trascuratezza e negligenza nell’espletamento delle funzioni di Direttore dei lavori.

Tale conclusione risulta corroborata dagli accertamenti svolti dai Carabinieri, dalle ispezioni e acquisizioni documentali nonché dallo stesso comportamento del convenuto, chiaramente proiettato verso un estremo favoritismo nei confronti dell’appaltatore, come si evince, a titolo esemplificativo, dal pagamento di stati di avanzamento lavori, pur in difetto delle prescritte condizioni.

Resta, dunque, pienamente provata la responsabilità ascrittagli.

Quanto alla misura del danno risarcibile, ritiene il Collegio di poterlo quantificare in L.31.445.361=, ancorché sussistano circostanze per ritenere il nocumento ben più ampio.

Peraltro detti elementi offerti non assurgono al rango di prova né, tantomeno, si atteggiano alla stregua di indizi univoci e concordanti.

5. Parimenti fondata è la richiesta di affermazione di responsabilità per il danno all’immagine patito dalla Amministrazione comunale di Chieti, con riferimento al comportamento tenuto dal convenuto stesso, nell’esercizio delle funzioni di Ingegnere Capo e Direttore dei lavori di realizzazione del complesso sportivo in località FILIPPONE.

In proposito, il Collegio ritiene di aderire alla più recente giurisprudenza (Sez. II Centrale d’appello n. 298 del 13 ottobre 2000), secondo cui al danno non patrimoniale vanno ricondotte una valenza ed una configurazione ben precise ed autonome.

Invero la giurisprudenza contabile, mentre in un primo tempo è stata costante nel negare la propria giurisdizione in ordine al detto danno derivante da azioni illecite di pubblici dipendenti, ha recentemente mutato orientamento, assumendo una nozione più ampia di danno erariale, inteso come danno pubblico concernente la lesione sia dei beni pubblici patrimoniali in senso proprio, sia dei beni cosiddetti immateriali di interesse generale (quale ad esempio l’interesse generale al buon andamento dei pubblici uffici: cfr. Sez. II, 16 novembre 1993 n.281 e 27 aprile 1994 n.114) sia di quegli interessi pubblici non patrimoniali, consistenti nella lesione del prestigio, dell’immagine, della reputazione e, in definitiva, della personalità pubblica dello Stato (cfr. Sezioni Riunite, 28 maggio 1999, n.16/QM; Sez. II, 12 aprile 1999, n.119 e 3 dicembre 1999, n.26) e del discredito provocato alla Pubblica Amministrazione da comportamenti illeciti dei pubblici funzionari di particolare gravità e risonanza pubblica

Le Sezioni Unite della Cassazione (cfr., prima, con sentenze n. 5668 del 1997 e n. 12041 del 28 novembre 1997 e, poi con sentenza n.98 del 4 aprile 2000), hanno avallato il suddetto orientamento della giurisdizione contabile, ravvisando, peraltro, pur sempre, in siffatto danno (che non si identifica con il danno morale, il c.d. pretium doloris, cioè il ristoro di sofferenze fisiche e morali), il requisito della valutazione patrimoniale, con la possibilità peraltro che il pregiudizio economico intervenga anche in futuro, e, quindi, non consista esclusivamente in una diminuzione patrimoniale già verificatasi e, pertanto, certa ed attuale.

Dunque è ben ammissibile che, da un lato, il giudice contabile emetta pronuncia assolutoria in relazione ad un danno patrimoniale che, pur se accertato, sia stato ritenuto compensato con i vantaggi ottenuti dall’Amministrazione o dalla Comunità e, dall’altro, e contemporaneamente, condanni per l’accertata sussistenza di un danno non patrimoniale.

E’ stata, infatti, ammessa l’autonoma conoscibilità ed azionabilità del danno non patrimoniale, indipendentemente dall’esistenza di un danno patrimoniale "nella considerazione che l’autonoma risarcibilità discende ex se dal pregiudizio arrecato dall’evento lesivo e discende, altresì, dal comportamento produttivo di tale evento, che abbia comportato la dismissione di valore nel patrimonio della struttura pubblica" (cfr. Sezioni riunite, n.16/QM del 1999, citata).

In controversia, la sussistenza del danno non patrimoniale si evince non solo dalle risultanze del processo penale celebrato a carico del convenuto e conclusosi con sentenza pronunciata ex art.444 codice procedura penale; quanto, e soprattutto dalla gravità dei fatti e dalla diffusione raggiunta dalla notizia dei fatti di cui è causa.

Non può, infatti, dubitarsi dell’allarme sociale generato dalla vicenda sotto il profilo delle implicazioni penali correlate alla condotta del convenuto e del pregiudizio all’immagine dell’ente locale, le cui attribuzioni sono state sviate da parte di un dipendente della pubblica amministrazione che svolgeva funzioni di evidente rilevanza, ben note alla generalità dei consociati.

Altrettanto penetrante e vasta è risultata l’eco negativa della vicenda sugli strumenti di comunicazione.

Nel delineato contesto, l’immagine dell’Amministrazione è rimasta gravemente compromessa dall’azione – non solo delittuosa - di un proprio agente, sotto il profilo della perdita di prestigio e decoro nonché, e soprattutto, dell’affidamento che la collettività ripone nella Pubblica Amministrazione e nelle attività e funzioni per essa espletate dai suoi dipendenti.

Reputa, conclusivamente, il Collegio che l’esistenza del danno all’immagine, sotto il profilo ontologico, sia stata più che congruamente provata dalla parte attrice la cui domanda giudiziale va accolta anche nel petitum.

La Procura Regionale, con l’atto introduttivo del giudizio e con la memoria depositata nel corso del dibattimento, ha giustamente quantificato il danno di cui è causa, in via equitativa ex art. 1226 codice civile.

Il Collegio ritiene di aderire a siffatta costruzione nella considerazione che la perdita di prestigio dell’Ente pubblico necessita del suo ripristino ai fini della ricostruzione dell’immagine presso i consociati.

A tal fine non può ritenersi che il recupero del prestigio e del decoro, sia conseguibile con episodici strumenti di divulgazione di una netta presa di distanza dall’attività posta in essere dal funzionario infedele.

In estrema sintesi ben poca valenza potrebbero assumere comunicati stampa o notizie su altri efficaci canali di informazione, con i quali si condanna la suddetta attività.

Il ripristino dell’immagine della Pubblica Amministrazione, invero, si snoda attraverso una graduale e continua azione di miglioramento dell’efficienza della produttività dei servizi resi alla collettività, dell’organizzazione della pubblica amministrazione, per renderla più concretamente sollecita a soddisfare i bisogni e la domanda di servizi della collettività, trasparente e controllabile dalla pubblica opinione.

In tale prospettiva è ipotizzabile l’integrale recupero della fiducia nella Amministrazione.

Orbene, per pervenire all’indicato risultato, vanno adottati strumenti adeguati e, indubbiamente, onerosi.

Le surriportate conclusioni, già avanzate dalla giurisprudenza (Sez. II centrale d’appello 6 novembre 2000, n. 338), vanno intese nel senso che l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa, costituiscono altrettanti obiettivi che l’Amministrazione pubblica deve perseguire con le proprie risorse; peraltro l’azione delittuosa del pubblico dipendente, configura un elemento distorsivo del processo di miglioramento dell’attività della Amministrazione medesima, che necessita di ulteriori interventi, come precisato, onerosi, che non possono essere accollati alla collettività, e, quindi, devono essere addebitati a chi ha posto in essere l’azione stessa.

Nel suddelineato contesto la richiesta di condanna in via equitativa del convenuto, risulta coerente, ed agganciata alla consistenza dell’oggetto della attività illecita.

Quanto alla obiezione della difesa del convenuto secondo cui il danno di cui si tratta, andrebbe valutato nel contesto di tutte le attività illecite poste in essere, così come statuito in sede penale dalla Corte di appello dell’Aquila (ordinanza n.90/96 in data 27 febbraio 1997), va osservato che non esistono ragioni giuridiche e non, per poter ritenere non ammissibile una condanna per il danno all’immagine correlata ad una singola vicenda.

Eventualmente negli altri giudizi, parte convenuta potrà dedurre l’ideologica unicità di detto danno, ancorché riferibile a diverse vicende, e chiedere, in quella sede, una valutazione complessiva di detto nocumento.

Avuto riguardo ai fatti di cui è controversia, il Collegio reputa di condannare, ex art.1226 codice civile il convenuto al pagamento di L.10.000.000=(diecimilioni) a titolo di danno all’immagine.

Conclusivamente il G. va condannato alla complessiva somma di L.41.445.361= oltre rivalutazione monetaria – da calcolare dalla data della consumata attività illecita e sino alla pubblicazione della presente sentenza - e interessi legali dalla suddetta ultima data e sino all’integrale soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale per la regione Abruzzo, condanna G. P. al pagamento in favore del Comune di Chieti della somma di L.41.445.361 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali da calcolare con le modalità di cui in parte motiva.

Lo condanna, altresì, al pagamento, in favore dell’Erario delle spese di giudizio… omissis

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