CORTE DEI CONTI, SEZIONE CENTRALE DEL CONTROLLO DI LEGITTIMITA’ – Deliberazione 23 maggio 2001 n. 22 - Pres. Delfini, Rel. Rossi - (ricusa il visto).
Pubblico impiego - Dipendenti statali - Dirigenti - Conferimento incarichi dirigenziali - Per chiamata diretta - Ex art. 19, comma 6, del D.L.vo 29/93 - Nell’ambito della quota percentuale del 5% della pertinente consistenza del ruolo riservata alla chiamata diretta di soggetti dotati di particolare e comprovata qualificazione ed esperienza professionale - Presupposti per l’applicazione della norma - Individuazione.
E’ illegittima l’attribuzione di incarico dirigenziale – con la particolare procedura della chiamata diretta entro il 5% dei dirigenti di seconda fascia del ruolo unico ai sensi dell’art. 19, comma 6, del D.L.vo 29/93 – ad un funzionario i cui titoli, pur se meritevoli di apprezzamento, corrispondono alla ordinaria esperienza lavorativa maturata nell’esercizio di mansioni tipiche di una divisione amministrativa e di vigilanza della Pubblica Amministrazione ed il cui curriculum non presenti quei connotati che lo possano in alcun modo ricondurre in altra fattispecie legislativamente indicata (1).
L’art. 19, comma 6, del D.L.vo 29/93 (il quale prevede l’affidamento di incarichi dirigenziali nell’ambito della quota percentuale del 5% della pertinente consistenza del ruolo riservata alla chiamata diretta di soggetti dotati di particolare e comprovata qualificazione ed esperienza professionale), è inteso a realizzare una arricchimento delle professionalità operanti nell’ambito della pubblica amministrazione attraverso l’utilizzazione in funzioni dirigenziali – anche in aggiunta alle selezioni concorsuali - di personale dotato di spiccatissime doti di professionalità. Presupposto necessario per l’applicazione della norma de quo – quali che siano le fonti della provvista – è "eccellenza" culturale, professionale e di esperienza lavorativa dei soggetti destinatari della norma.
In particolare, la locuzione letterale dell’inciso normativo "concrete esperienze di lavoro" è da correlarsi, su una scala di valori, alla locuzione "pubblicazioni scientifiche", costituendo un "unicum" a sua volta equiparato alla ipotesi della formazione universitaria e postuniversitaria.
(1) Il conferimento degli incarichi dirigenziali senza concorso ai sensi dell'articolo 28 del d.lgs 165/2001, alla luce delle interpretazioni della Corte dei conti.
di LUIGI OLIVERI
Merita particolari attenzione ed apprezzamento la deliberazione della Corte dei Conti, Sezione centrale del controllo di legittimità del 23 maggio 2001, n. 22, che descrive sul piano della legittimità quelle regole necessarie all'accesso nella dirigenza pubblica che, invece, l'aria di deregulation spinta che si respira da qualche tempo tende ad ignorare.
In sostanza, l'articolo 19, comma 6 del D.lgs 29/1993, oggi trasfuso nell'articolo 19, comma 6, del D.lgs 165/2001, non può essere interpretato nel senso di una liberalizzazione degli accessi alla dirigenza, in quanto l'elencazione dei requisitivi ivi previsti è di stretta interpretazione e va analizzata alla luce del principio di "eccellenza" professionale, enunciato correttamente dalla Corte dei Conti.
La decisione della Corte dei Conti assume un rilievo fondamentale, dunque, nell'attuale contesto amministrativo, nel quale l'assegnazione di incarichi dirigenziali al di fuori delle procedure concorsuali tende ad estendersi sempre più e a divenire uno strumento per la costituzione di un apparato dirigenziale "fedele" all'apparato politico e dunque selezionato in base solo a requisiti fiduciari, prescindendo da qualsiasi seria valutazione della professionalità richiesta.
La disciplina dell'accesso alla dirigenza, come sottolinea la Corte dei Conti, è duplice.
La regola generale è quella stabilita dall'articolo 28, comma 1, del D.lgs 165/2001, a mente del quale "l'accesso alla qualifica di dirigente di ruolo nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene esclusivamente a seguito di concorso per esami". Detta disciplina si applica direttamente ed immediatamente anche agli enti locali, come sicuramente chiarisce oggi l'articolo 88 del D.lgs 267/2000, ai sensi del quale "all'ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali e provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993 e successive modificazioni ed integrazioni […]", norma immediatamente precettiva in conseguenza della quale le disposizioni dell'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono immediatamente operanti nell'ambito dell'ordinamento locale, senza che allo scopo occorra alcun adeguamento o recepimento degli statuti o dei regolamenti.
Detta regola di cui al citato articolo 28 è diretta applicazione dell'articolo 97, comma 3, della Costituzione, che dispone: "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge".
Il sistema del concorso, a torto o a ragione, è considerato dalla Costituzione il metodo migliore per la selezione del personale dotato delle migliori conoscenze e capacità a svolgere le funzioni alle quali deve essere adibito.
La Costituzione medesima prevede, comunque, un temperamento alla regola concorsuale. Detto temperamento è stato contemplato dal legislatore proprio per l'accesso alla dirigenza, appunto mediante l'articolo 19, comma 6, del D.lgs 165/2001, per quanto riguarda le amministrazioni statali e con l'articolo 110 del D.lgs 267/2000, per gli enti locali.
Il fine del citato temperamento è ben sintetizzato dalla deliberazione che qui si commenta: "realizzare un arricchimento delle professionalità operanti nell'ambito della pubblica amministrazione attraverso l'utilizzazione in funzioni dirigenziali – anche in aggiunta alle selezioni concorsuali – di personale dotato di spiccatissime doti di professionalità".
In sostanza, il legislatore ha preso atto che il sistema dei concorsi, poiché consente l'accesso alla dirigenza solo in relazione ai posti che si presentano liberi in un certo momento e alla piena conoscenza dei bandi, nonché in relazione agli esiti concorsuali, può impedire l'assegnazione di funzioni dirigenziali a soggetti che, pur non essendo inquadrati in tale qualifica, posseggono certamente una professionalità tale da consentire loro di ottenere gli incarichi dirigenziali, in base, appunto, a spiccatissime, ovvero ben evidenti, oggettive e dimostrate (non solo dimostrabili) attitudini professionali, definite dal legislatore con l'articolo 19, comma 6.
Risulta, pertanto, illegittima qualunque interpretazione di natura estensiva del citato articolo, che miri ad applicarne la fattispecie regolata a soggetti pur capaci di attendere in modo qualificato alla loro attuale occupazione, ma privi delle "spiccatissime" qualità professionali che il legislatore pretende.
L'illegittimità deriva dal fatto che solo il possesso delle spiccatissime doti di professionalità consente di attivare gli incarichi di cui all'articolo 19, comma 6, e dunque di porre in essere quel sistema di reclutamento della dirigenza che tempera l'obbligatorietà dei concorsi. Ma, proprio perché l'articolo 19, comma 6, consente al limite anche la chiamata diretta, come sottolinea la deliberazione che qui si commenta, il mancato utilizzo del sistema selettivo dei concorsi può essere considerato legittimo, solo se gli elementi di professionalità richiesti dalla legge siano così evidenti da evidenziare le capacità del soggetto destinatario dell'incarico dirigenziale non in base ad una selezione concorsuale, ma a seguito dell'esame del suo curriculum.
Ecco, allora, che non può non applicarsi il principio di eccellenza, sul quale la Corte dei Conti insiste parecchio. Il curriculum del dipendente pubblico, non in possesso della qualifica dirigenziale, cui l'amministrazione intenda assegnare un incarico dirigenziale deve essere assolutamente di spicco e dimostrare il possesso di conoscenze e capacità ulteriori e diverse rispetto a quelle evidenziate con l'ordinaria esperienza di lavoro.
Infatti, la prova concorsuale serve proprio a verificare che un dipendente abbia le conoscenze e le competenze ad assumere un ruolo superiore a quello esercitato in precedenza, proprio perché le abilità dimostrate nell'espletamento delle funzioni di appartenenza dimostrano solo la capacità di compiere al meglio il proprio lavoro, ma dicono poco sulle concrete capacità di accedere ad incarichi di maggior rilievo (maggiori indicazioni possono essere tratte dalla valutazione delle potenzialità espresse).
Pertanto, se un funzionario adempie bene al proprio dovere d'ufficio, comprendendo anche l'espletamento di incarichi di reggenza o supplenza, come bene mette in rilievo la Corte dei Conti, ciò non è sufficiente per evidenziare quella spiccatissima dote di professionalità o di eccellenza del curriculum, tale da poter far accedere il dipendente all'incarico. Né potrebbe giustificare la scelta diretta su quel soggetto, dato che, in mancanza di requisiti di eccellenza, con elevatissima probabilità, l'amministrazione potrebbe individuare parecchi altri dipendenti dotati di un curriculum che dimostri altrettanta dedizione e capacità a svolgere il proprio lavoro. Né il solo riferimento all'espletamento di incarichi di reggenza potrebbe essere ritenuto elemento discriminante. Infatti, se così fosse, si introdurrebbe surrettiziamente il principio della legittimità dell'accesso alle mansioni superiori per averle esercitate per un certo periodo di tempo, previsto dall'articolo 2103, ma contraddetto dall'articolo 52 del D.lgs 165/2001 (nel quale è confluito l'articolo 56 del D.lgs 59/1993): il che non è, evidentemente, ammissibile.
Per altro, l'articolo 19, comma 6, non è, per la verità, un sistema di reclutamento della dirigenza e, pertanto, la sua applicazione non consente ai soggetti interessati di accedere alla qualifica dirigenziale, bensì soltanto di accedere all'incarico dirigenziale. Infatti, solo col concorso si accede, ai sensi dell'articolo 28 del D.lgs 165/2001, "alla qualifica di dirigente di ruolo". A mente dell'articolo 19, comma 6, invece, si ottiene la titolarità di un incarico dirigenziale a tempo determinato, ferma restando la qualifica di appartenenza: infatti, il pubblico dipendente è collocato in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio, per il periodo di durata del contratto, alla scadenza del quale (a meno di rinnovi) il dipendente torna ad espletare le funzioni relative alla propria categoria professionale.
Pertanto, l'articolo 19, comma 6, non può essere utilizzato come strumento di progressione di carriera, ma metodo di copertura di posti di qualifica dirigenziale ricorrendo a soggetti dotati di un curriculum di eccellenza, senza che detti soggetti entrino definitivamente nel ruolo dei dirigenti pubblici.
Ora, poiché, comunque, l'articolo 19, comma 6, costituisce un'alternativa al sistema di reclutamento e un metodo per individuare i dirigenti ritenuti maggiormente qualificati all'espletamento di un certo incarico anche al di là degli iscritti al ruolo unico di cui al Dpr 150/1999, o, per quanto riguarda le amministrazioni locali, al di là dei dirigenti di ruolo presenti in servizio, appare assolutamente ovvio che i requisiti di eccellenza debbano essere ulteriori e diversi rispetto ai titoli minimi che qualsiasi dipendente pubblico (si vedrà in seguito ciò che concerne i soggetti privati) deve possedere per accedere alla carriera dirigenziale.
Dunque, se il sistema ordinario di reclutamento della dirigenza è il concorso, e a detto concorso possano accedere i dipendenti delle amministrazioni pubbliche che ai sensi dell'articolo 28 del D.lgs 165/2001 siano "muniti di laurea" e che "abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea", è ovvio che il possesso della laurea è un requisito, meglio, un presupposto necessario per accedere alla qualifica ma anche agli incarichi dirigenziali. La cui carenza, allora, impedisce in radice la possibilità di incaricare, legittimamente, un dipendente pubblico dell'espletamento di un incarico dirigenziale.
La mancanza del diploma di laurea di per sé ed oggettivamente rende impossibile il possesso di requisiti di spiccatissima professionalità, nel rispetto del principio di eccellenza richiesto dalla Corte dei Conti.
Del resto, analizzando le tre fattispecie di particolare e comprovata qualificazione professionale richieste dall'articolo 19, comma 6 del D.lgs 165/2001 e soffermandosi sulle seconde due si nota che:
il conseguimento di una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, non può, evidentemente prescindere dal possesso della laurea. Ciò, almeno, nella condivisibile accezione dell'inciso "concrete esperienze di lavoro" fornita dalla Corte dei Conti con la deliberazione che qui si commenta, secondo la quale le concrete esperienze di lavoro formano un unicum con la locuzione "pubblicazioni scientifiche" e, è il caso di aggiungere, con tutto l'inciso preso in considerazione, giacchè non può trattarsi di qualsiasi concreta esperienza di lavoro, ma di un'esperienza di lavoro concreta e qualificata nell'ambito delle specializzazioni professionali, culturali e scientifiche, come ad esempio il lavoro come ricercatore presso un ateneo, l'esercizio di una professione intellettuale, la partecipazione a gruppi universitari di sperimentazione e ricerca. Se così non fosse, allora, l'espressione "concrete esperienze di lavoro" potrebbe essere genericamente utilizzata per ritenere che qualsiasi esperienza di lavoro in posizione direttiva possa essere alla base dell'assegnazione di un incarico dirigenziale, il che appare francamente aberrante e, comunque, non coerente col principio di eccellenza;
per quanto riguarda la provenienza dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e dei procuratori dello Stato, fattispecie che non abbisogna di ulteriori commenti, vale lo stesso discorso, in quanto si tratta di ruoli ed attività non esercitabili se manchi la laurea.
Maggiormente complessa, almeno per quanto riguarda i soggetti non posti alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, è la prima delle tre fattispecie della comprovata e particolare qualificazione professionale, consistente nell'aver svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche e private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali.
Soffermandosi, in primo luogo, sui dipendenti pubblici, proprio alla luce della deliberazione della Corte dei Conti che si commenta, il possesso della laurea appare comunque imprescindibile presupposto anche per questa fattispecie. Le funzioni dirigenziali, infatti, negli organismi o enti pubblici o aziende pubbliche possono essere esercitate solo a condizione del possesso della laurea. E come condivisibilmente la Corte dei Conti ha sottolineato, un'anzianità quinquennale di servizio in una posizione funzionale per l'accesso alla quale sia richiesta la laurea non può essere considerato equipollente al possesso della laurea. Sicchè, se è possibile che personale non laureato possa accedere mediante le progressioni verticali alle categorie e posizioni economiche superiori, ciò è ammissibile nell'ambito della medesima area funzionale del personale non dirigenziale, giacchè per accedere all'area funzionale della dirigenza occorre necessariamente possedere la laurea.
Occorre, però, chiedersi, se quanto affermato fin qui sia valido anche per i soggetti non dipendenti da amministrazioni pubbliche: anche per costoro è necessario il possesso della laurea?
La risposta è certamente affermativa con riferimento alla seconda e alla terza fattispecie di particolare e comprovata qualificazione professionale.
Quanto alla prima, lo svolgimento di attività in enti privati o aziende private, con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, c'è da osservare che l'assegnazione di funzioni dirigenziali, nell'ambito privato, non sempre è basato sul presupposto del possesso della laurea. In linea teorica, pertanto, coloro che non dipendano dalle amministrazioni pubbliche potrebbero essere incaricati di funzioni dirigenziali, ai sensi dell'articolo 19, comma 6, anche se privi di laurea.
Ostano, però, con questa conclusione due circostanze:
la violazione del principio di parità di condizioni; non si capirebbe perché per il personale posto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche operi un impedimento, non applicabile, invece, agli altri soggetti;
l'articolo 28, comma 2, lettera b), indica i requisiti che i soggetti non dipendenti da amministrazioni pubbliche debbono possedere, per prendere parte ai concorsi finalizzati all'assunzione in ruolo dei dipendenti pubblici; ebbene, detta norma consente la partecipazione ai "soggetti muniti di laurea" nonché, addirittura, di ulteriori titoli, con la precisazione che "sono ammessi, altresì, soggetti in possesso della qualifica di dirigente in strutture private, muniti del diploma di laurea, che hanno svolto per almeno cinque anni le funzioni dirigenziali".
In linea, allora, con le rigorose interpretazioni fornite dalla Corte dei Conti, appare più corretto ritenere che anche per gli incarichi ex articolo 19, comma 6, del D.lgs 165/2001, i soggetti provenienti dalle strutture private debbano essere dotati della laurea. Altrimenti, il principio dell'eccellenza, enunciato dalla Corte dei Conti, subirebbe un vulnus irrimediabile.
In conclusione, pertanto, è fatto divieto alle amministrazioni pubbliche coprire gli incarichi dirigenziali, assegnandoli a soggetti che:
non siano in possesso della laurea;
non possiedano una spiccatissima professionalità, desunta dal curriculum, professionalità che deve necessariamente consistere in requisiti culturali, scientifici o nel pregresso svolgimento di attività dirigenziali o attinenti allo sviluppo culturale e scientifico universitario.
La carenza di detti requisiti non può essere colmata:
da un'anzianità quinquennale di servizio;
da un curriculum pur valido, che, però, non contenga traccia dell'eccellenza scientifica, culturale e professionale espressamente richiesta dalla legge.
In sostanza, l'articolo 19, comma 6, del D.lgs 165/2001 deve essere utilizzato per assegnare in modo flessibile incarichi dirigenziali a soggetti dotati di una professionalità veramente di rilievo, perché l'amministrazione interessata possa giovarsi dell'attività di costoro senza passare necessariamente per le complesse procedure concorsuali. Il che significa che la medesima norma non può essere utilizzata per aggirare l'ostacolo del concorso, ed assegnare incarichi dirigenziali ad amici e conoscenti, dei quali ci si fida, ma non in possesso di particolari professionalità.
Questo è l'insegnamento da trarre dalla fondamentale deliberazione della Corte dei Conti. Che merita un ulteriore esame con specifico riferimento all'ordinamento locale.
Nel quale è da ritenere che l'articolo 19, comma 6, del D.lgs 165/2001 non si applichi, nonostante l'articolo 88 del D.lgs 267/2000 renda immediatamente applicabili le disposizioni sull'ordinamento dei dipendenti dalle amministrazioni pubbliche anche all'ordinamento locale. Infatti, il D.lgs 165/2001 è immediatamente e direttamente applicabile, laddove non si riscontrino norme particolari dell'ordinamento locale, che disciplinino in modo specifico una fattispecie analoga.
Questo è il caso dell'articolo 110 del D.lgs 267/2000, che regolamenta gli incarichi a contratto in modo peculiare, rispetto all'ordinamento statale. Peculiarità dovuta al fatto che la dirigenza locale non è disciplinata da un registro unico, sicchè la procedura dell'articolo 19, comma 6, non è nemmeno lontanamente applicabile alla realtà locale, nella quale opera, invece, l'articolo 110 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali.
Il quale consente la copertura dei posti di dirigente, o l'assegnazione di incarichi dirigenziali extra dotazione organica, "fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire". Il che significa, allora, che a maggior ragione presso l'ente locale il dirigente esterno possa essere assunto (e ricevere l'incarico) con contratto a tempo determinato, solo se possieda i requisiti fissati, a questo punto, non dall'articolo 19, comma 6, ma esclusivamente dall'articolo 28 del D.lgs 165/2001. In mancanza di detti requisiti, ogni incarico, ogni contratto, apparirebbe illegittimo.
* * *
CORTE DEI CONTI,
SEZIONE CENTRALE DEL CONTROLLO DI LEGITTIMITA’
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214;
vista la legge 21 marzo 1953, n. 161 contenente modificazioni al predetto testo unico;
visto il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni;
visto l’art. 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20;
visto il decreto del Direttore Generale del Servizio Affari Generali e del Personale del Ministero dell’Ambiente n. 18/2001 del 7.03.2001, con il quale è stato attribuito, ai sensi dell’art. 19, 6° comma del decreto legislativo n. 29/93, al funzionario di VIII qualifica funzionale (area C2) dei ruoli del Ministero dell’Ambiente – rag. Francesco De Filpo – l’incarico temporaneo di direttore della Div. II – Bilancio e vigilanza sugli Enti – del Servizio AA.GG. e del Personale, con decorrenza iniziale dalla data di efficacia del provvedimento e finale del 31 dicembre 2006;
vista la nota prot. n. 0874 del 6 aprile 2001, con la quale il Consigliere delegato dell’Ufficio di Controllo sui Ministeri delle infrastrutture ed assetto del territorio – sulla base delle argomentazioni svolte dal magistrato istruttore, con l’apposita relazione n. 183 pari data – ha chiesto il deferimento alla sede collegiale del provvedimento sopraccitato per la pertinente pronuncia di conformità a legge;
vista la nota in data 12 aprile 2001 della Segreteria della Sezione, con cui la predetta ordinanza è stata comunicata al Ministero dell’Ambiente (Gabinetto e Servizio Affari Generali e del Personale); al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (Gabinetto e Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato) nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio del Ruolo Unico della Dirigenza;
vista la nota, prot. n. 11350/UD/2001 del 23 aprile 2001 del Ministero dell’Ambiente – Direzione Generale AA.GG. e del Personale;
uditi il relatore, Consigliere dott. Giovani ROSSI e il dott. Sergio Basile – Direttore Generale del Servizio Affari Generali e del Personale del Ministero dell’Ambiente; non rappresentato il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Ritenuto in
FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe sono state attribuite funzioni dirigenziali, al Rag. Francesco De Filpo, funzionario dell’area C2 dei ruoli del Ministero dell’Ambiente.
Il predetto incarico è stato affidato ai sensi dell’art. 19, comma 6, del D.L.vo 29/93, nell’ambito della quota percentuale del 5% della pertinente consistenza del ruolo riservata alla chiamata diretta di soggetti dotati di particolare e comprovata qualificazione ed esperienza professionale.
L’attribuzione dell’incarico in parola è motivata dalla "rilevante e significativa esperienza di lavoro", come risulta sia nella relazione di proposta al Ministro competente, che nelle premesse del decreto – dirigenziale e nel relativo contratto individuale, stipulato in data 7 marzo 2001.
Al riguardo, il ripetuto Ministro, nel condividere la scelta operata dal Dirigente Generale e la valutazione del funzionario effettuata sulla base del curriculum presentato e dalla "accennata non adeguatezza degli altri soggetti a disposizione del ruolo unico", ha chiesto e conseguito il nulla osta, da parte del Direttore del R.U.D., espresso con nota del 27 febbraio 2001. Nulla osta rilasciato pur in assenza dell’atto di indirizzo dell’autorità politica competente, già preannunciato con circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 7 del 5 agosto 1999 e successiva n. 8 del 18 aprile 2000.
L’Ufficio del controllo ha ritenuto di deferire la questione alla Sezione al fine di pervenire ad una uniforme applicazione della normativa "de qua", tenuto conto dell’ampiezza della formula legislativa sopraccitata, in carenza dei preannunciati criteri oggettivi e predeterminati della competente autorità politica.
In effetti, già la Sezione, Collegio I, nell’adunanza del 18 gennaio 2001, con delibera n. 7/01/p si è pronunciata – su fattispecie analoga – nel senso della estensibilità di tale istituto in favore di personale che abbia acquisito particolare e comprovata qualificazione professionale nell’ambito dell’Amministrazione, oltre che al suo esterno, non sussistendo ragioni di limitazione in mancanza di una esplicita preclusione da parte della legge.
Senonchè, con tale pronuncia è stato posto il principio che l’attribuzione di incarico dirigenziale – con la particolare procedura all’esame della chiamata diretta entro il 5% dei dirigenti di seconda fascia del ruolo unico – sia assentibile in favore dei funzionari interni, purchè abbiano i requisiti di servizio per l’accesso alla dirigenza, come disciplinati dall’art. 28 del D.L.vo 29/93 e successive integrazioni.
Poiché tale disposizione, nel disciplinare l’accesso alla qualifica di dirigente attraverso la procedura concorsuale include tra i requisiti di servizio anche il possesso del diploma di laurea, si è posto il problema di un ulteriore approfondimento – in punto di diritto – sulla delicata questione.
Questione che è stata deferita direttamente alla Sezione considerato che l’Amministrazione aveva prodotto tutta la documentazione pertinente allo "status" professionale del rag. De Filpo Francesco.
All’odierna adunanza il rappresentante dell’Amministrazione ha ampiamente illustrato il procedimento seguito e le pertinenti motivazioni sottese, dando, tra l’altro, conferma che il provvedimento è stato adottato in carenza dei preannunciati e preventivi atti di indirizzo.
Considerato in
DIRITTO
Si premette che il comma 6 dell’art. 19 del citato D.L.vo 29/93 individua tre categorie di destinatari: la prima è costituita da "persone di particolare e comprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi o enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali"; la seconda "o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro", la terza "o provenienti da settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato".
Appare evidente, dalla lettura di detto comma, che la "ratio" del legislatore è intesa a realizzare una arricchimento delle professionalità operanti nell’ambito della pubblica amministrazione attraverso l’utilizzazione in funzioni dirigenziali – anche in aggiunta alle selezioni concorsuali - di personale dotato di spiccatissime doti di professionalità.
Ciò al fine di realizzare una proficua sinergia con l’area della dirigenza del settore pubblico o privato, del mondo universitario, scientifico, della ricerca nonché delle magistrature e dell’Avvocatura dello Stato.
Viene dunque in evidenza – quali che siano le fonti della provvista – il connotato che le accomuna consistente nella "eccellenza" culturale, professionale e di esperienza lavorativa dei soggetti destinatari della norma.
Tutto premesso, in linea di principio, il Collegio è chiamato a verificare – anche alla luce della conformazione del decreto di nomina delle argomentazioni dell’Amministrazione di cui alla nota n. 11350/DG/2001 del 23 aprile 2001, ampiamente illustrate in corso di seduta dal rappresentante dell’Amministrazione medesima – in quale delle tre categorie di destinatari della sopraccitata norma sia inquadrabile il caso di specie e, quindi, se il nominato rag. De Filpo sia in possesso dei requisiti prescritti.
Al riguardo, l’Amministrazione ha prospettato due distinte tesi.
Con la prima viene sostenuto che la carenza del possesso del diploma di laurea da parte del De Filpo sarebbe superata dalla circostanza che il medesimo appartiene all’area C2 dell’Amministrazione, con una anzianità di servizio superiore al quinquennio.
Al riguardo viene fatto riferimento alla pronuncia del TAR LAZIO n. 1250 dell’8.07.1995 condivisa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 3.02.1998.
Secondo tali pronunce l’inquadramento alla VII q.f. sopperisce alla mancanza del possesso del titolo di laurea ai fini della ulteriore progressione nell’ambito della medesima carriera, attualmente area C.
L’argomento viene ritenuto dal Collegio non pertinente, giacchè le pronunce citate riguardano fattispecie diversa da quella in esame, ed in particolare la progressione nell’ambito della medesima area funzionale.
Trattasi di consolidato orientamento giurisprudenziale finalizzato ad evitare preclusioni nello scorrimento tra le diverse qualifiche al personale appartenente alla medesima area funzionale, e non certo di una regola che abbia stabilito – in linea di principio generale – una equipollenza tra una conseguita anzianità di servizio in posizione funzionale iniziale e possesso della laurea richiesta per l’accesso diretto dall’esterno a posizioni funzionali superiori.
La seconda tesi evidenzia che il nominato dipendente possiede il requisito delle "concrete esperienze di lavoro", titolo questo preso in considerazione dal decreto all’esame.
A sostegno di tale qualificazione, l’Amministrazione evidenzia che il nominato dipendente ha esercitato per due anni l’incarico di reggenza della Divisione III "Contratti" del Servizio Affari generali e del Personale.
Ritiene, in merito, il Collegio, che l’aver espletato in posizione di reggenza – peraltro per un periodo limitato e comunque inferiore al quinquennio, funzioni proprie della dirigenza – non realizzi di per sé la fattispecie ricavabile dal dettato legislativo.
Dalla norma in esame, infatti – come sopra accennato – si evince il principio della "eccellenza" dei requisiti richiesti, ponendo una equivalenza logica di valori tra le tre categorie di destinatari.
La posizione del De Filpo, sotto il profilo che qui interessa, poggia, come sopra detto, sulle "concrete esperienze di lavori" di cui occorre valutare la significatività e rilevanza in ordine all’arricchimento delle esperienze dirigenziali occorrenti all’amministrazione.
Al riguardo osserva il Collegio che la locuzione letterale dell’inciso normativo "concrete esperienze di lavoro" è da correlarsi, su una scala di valori, alla locuzione "pubblicazioni scientifiche", costituendo un "unicum" a sua volta equiparato alla ipotesi della formazione universitaria e postuniversitaria.
Senonchè i titoli vantati dal De Filpo, pur se meritevoli di apprezzamento, corrispondono alla ordinaria esperienza lavorativa maturata nell’esercizio di mansioni tipiche di una divisione amministrativa e di vigilanza della Pubblica Amministrazione.
Funzioni queste, non certo assimilabili alla "ratio" del legislatore che, come innanzi chiarito, privilegia la regola della particolare specializzazione professionale (1 ipotesi), culturale e scientifica (2 ipotesi) o della provenienza dai settori della ricerca dell’Università delle Magistrature e dell’Avvocatura dello Stato (3 ipotesi).
Né il curriculum del De Filpo, certificato dall’Amministrazione ed ulteriormente illustrato in corso di adunanza pubblica, presenta quei connotati che lo possano in alcun modo ricondurre in altra fattispecie legislativamente indicata.
Per tale prevalente motivo, peraltro assorbente di ogni altra connessa considerazione, il Collegio ritiene non conforme a legge il provvedimento all’esame.
P.Q.M.
Il Collegio, ricusa il visto e la conseguente registrazione al provvedimento in epigrafe.
Il Presidente
(Danilo Delfini)
Il Relatore
(Giovanni Rossi)
Depositata il 23 maggio 2001.