CORTE DEI CONTI - SEZIONE DEL CONTROLLO – I COLLEGIO – Deliberazione 19 dicembre 2000 n. 112/2000 (adunanza del 7 dicembre 2000) – Pres. Delfini, Rel. Meloni – Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dei Lavori Pubblici – D.P.R. 30 agosto 2000 n. 412 (G.U. n. 12 del 16.1.2000) – Regolamento recante disposizioni integrative del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 concernente il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, con esclusione:
· dell’art. 1, nella parte in cui introduce il comma 2 dell’art. 52 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554;
· dell’art. 2, nella parte in cui introduce nell’art. 75, comma 1, lett. c) del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 la seguente frase «Le disposizioni di cui alla presente lettera, nei limiti in cui innovano nella materia, si applicano in relazione a pronunce di condanna emesse successivamente all’entrata in vigore del presente regolamento».
Lavori pubblici – Regolamento recante disposizioni integrative del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 - Controllo preventivo di legittimità.
Non è legittimo spogliare l’Amministrazione appaltante del potere di valutare la gravità degli errori professionali, atteso che, ciò che rileva è l’esigenza di affidare gli appalti di progettazione a soggetti professionalmente capaci.
Appare, dunque, lesivo della potestà valutativa, spettante alla stazione appaltante, la fissazione di un rigido criterio correlato non alla gravità intrinseca dell’errore (cfr. l’art. 25, comma 5 - bis, della legge n. 109 del 1994), bensì unicamente alle conseguenze pecuniarie derivate dall’errore compiuto dal progettista (un errore lieve, se viene accertato in epoca tarda, può comportare un notevole pregiudizio economico, mentre viceversa un errore gravissimo accertato in tempo utile - ad es. prima della realizzazione dell’opera - può comportare un danno economico lievissimo, se non addirittura non produrre alcun pregiudizio.
Poiché la normativa comunitaria tende ad evitare che possano risultare vincitori delle gare di appalto soggetti condannati per reati incidenti sulla "moralità professionale", non sembra dubitabile che dovrebbe essere imposto all’amministrazione l’obbligo di richiedere d’ufficio il certificato del casellario giudiziale.
Viene in rilievo che, in ogni caso, le stazioni appaltanti, per garantire il sostanziale rispetto della disciplina comunitaria e in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento dell’agire amministrativo sanciti dall’art. 97 Cost., debbano porre in essere tutti gli adempimenti diretti a garantire il corretto svolgimento delle gare d’appalto per l’esecuzione dei lavori pubblici, e in particolare quelli finalizzati a verificare l’assenza di precedenti penali in capo ai concorrenti.
LA
CORTE DEI CONTI IN SEZIONE DEL CONTROLLOI° COLLEGIO
nell’adunanza del 7 dicembre 2000
Visto il decreto del Presidente della Repubblica in data 30 agosto 2000, con cui è stato emanato il regolamento recante disposizioni integrative del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici;
visto il rilievo istruttorio n. 16/2000, in data 24 ottobre 2000;
vista la relazione, prot. n. 111/2000 del 23 novembre 2000, redatta dal Consigliere istruttore dell’Ufficio di controllo sugli atti di governo;
vista la nota prot. n. Dec/n.72, in data 24 novembre 2000, del Consigliere delegato al controllo sugli atti di governo;
vista l’ordinanza in data 30 novembre 2000, con la quale il Presidente della Corte dei conti ha deferito alla Sezione del controllo - I Collegio, convocato per l’adunanza odierna, la pronuncia sulla legittimità del provvedimento suindicato;
vista la nota della segreteria della Sezione del controllo prot. n. 1552/2000 del 30 novembre 2000, con la quale è stata data notizia del predetto deferimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato Generale, al Ministero dei lavori pubblici -Gabinetto, al Ministero dell’ambiente -Gabinetto, al Ministero per i beni e le attività culturali - Gabinetto, al Ministero del tesoro, bilancio e della programmazione economica - Gabinetto e Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.
visto l’art. 24 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 21 marzo 1953,n. 161;
visto l’art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20;
visti gli articoli 2 e 5 del decreto legge 23 ottobre 1996 n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639;
udito il rappresentante del Ministero dei lavori pubblici;
udito il relatore consigliere Maurizio MELONI;
ritenuto in
FATTO
In data 4 ottobre 2000 è pervenuto alla Corte dei conti, per il controllo preventivo di legittimità, il decreto del Presidente della Repubblica in data 30 agosto 2000 recante disposizioni integrative del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 (regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni).
Il predetto decreto presidenziale è stato adottato (cfr. il preambolo) a seguito della deliberazione della Corte dei conti, Sezione del controllo - I Collegio - n. 40/2000, adottata nell’adunanza del 30 marzo 2000, con la quale il regolamento generale di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici (emanato con il citato D.P.R. n. 554 del 1999) è stato parzialmente ammesso al visto ed alla conseguente registrazione, con l’esclusione - tra l’altro -degli articoli 52 e 75, ritenuti dalla Corte non conformi alla disciplina contenuta nelle vigenti direttive comunitarie in tema di appalti di servizi e di appalti di lavori pubblici.
In sede istruttoria l’Ufficio di controllo sugli atti di governo ha censurato:
1) l’art. 1 del regolamento, nella parte in cui inserisce nel regolamento n. 554 del 1999 l’art. 52, secondo comma, che detta disposizioni in tema di "errore grave nella progettazione". Ciò in quanto:
a) la legge quadro in tema di lavori pubblici (art. 17, comma 10) per gli appalti di progettazione di valore superiore ai 200.000 ECU, ha fatto un rinvio "secco" alla normativa comunitaria e nazionale in tema di appalti di servizi e, conseguentemente, non ha in alcun modo "delegificato" la materia oggetto della disposizione in esame;
b) la disposizione in esame contrasta con la normativa comunitaria (art. 29, primo comma, lett. d), direttiva 92/50/CEE) e nazionale (art. 12, primo comma, lett. e), del D.lg. n. 157 del 1995, nel testo introdotto dall’art. 10 del D.lg. n. 65 del 2000).
2) in relazione all’art. 2 del regolamento (che introduce l’art. 75 nel D.P.R. n. 554 del 1999 il cui testo originario non è stato registrato dalla Corte dei conti), è stato rilevato, anzitutto, che il testo emanato dal Governo non appare conforme al dettato dell’art. 24, primo comma, della direttiva 93/37/CEE che, alla lett. f), non richiede che le violazioni tributarie siano state "definitivamente accertate" (le sentenze di primo grado sono "esecutive").
E’ stato inoltre fatto presente che alla fine della lett. c) del comma 1 della disposizione regolamentare in esame sono state inserite due frasi con contenuto innovativo del precedente testo, che non rinvengono il loro fondamento nella deliberazione n. 40/2000 della Sezione del controllo: in relazione a tali frasi il Governo avrebbe dovuto porre in essere un procedimento eguale a quello previsto dall’art. 3 della legge n. 109 del 1994.
Nel merito, altresì, è stato rilevato che la disposizione in esame contrasta con l’art. 24, primo comma, lett. c), della direttiva 93/37/CEE, poiché prevede che l’esclusione dalle gare può essere sancita unicamente in caso di sentenze di condanna emesse (a seguito di "patteggiamento") successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento in esame.
Da ultimo, in relazione al comma 2 dell’art. 75 è stato rilevato che la produzione da parte dei concorrenti di un certificato del casellario giudiziale o dei carichi pendenti non serve a rendere note all’amministrazione tutte le condanne penali da loro subite dai concorrenti (cfr. l’art. 689 c.p.p.). Le Amministrazioni hanno una perfetta conoscenza di tali condanne soltanto quando esse stesse richiedano il predetto certificato (cfr. l’art. 688, comma 1, c.p.p.).
Il Ministero lavori pubblici - Ufficio studi e legislazione, con nota prot. n. 1939/400/19 deI 7 novembre 2000, ha effettuato una serie di controdeduzioni alle osservazioni formulate dall’Ufficio di controllo sugli atti di governo.
In sintesi, l’Amministrazione ha fatto presente quanto segue:
1) art. 1: in termini generali la tesi dell’Ufficio di controllo è qualificata "condivisibile e nella sostanza condivisa dall’amministrazione", la quale tuttavia ha rappresentato la necessità di riprodurre la norma nel regolamento per disciplinare gli appalti di servizi di ingegneria sotto soglia comunitaria. Con particolare riferimento al secondo comma dell’art. 52, inoltre, l’Amministrazione ha chiarito che la disciplina in tema di errore grave risulta necessaria soprattutto per agevolare le predisposizione di valutazioni uniformi nelle polizze assicurative con cui dovranno essere garantite, nei confronti della stazione appaltante, le attività di progettazione.
2) art. 2: anzitutto, è stato posto in luce che l’integrazione della direttiva 93/37/CEE, nel senso che le irregolarità fiscali risultino "definitivamente accertate", deriva dalla circostanza che il regolamento sulla qualificazione, adottato con decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000 n. 34, in tema di qualificazione delle imprese ai fini degli appalti di lavori pubblici, all’articolo 17 comma 1 lettera e) fa testuale riferimento alla "inesistenza di irregolarità, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle tasse ed imposte secondo la legislazione italiana o del paese di provenienza": non è sembrato pertanto ragionevole, in sede di gara, imporre alla stazione appaltante un accertamento diverso e più complesso di quello richiesto ad operatore specifico (SOA) in sede di qualificazione.
Con particolare riferimento al comma 2 dell’art. 75 è stato precisato testualmente che "la presentazione dei documenti di cui si tratta (certificato del casellario giudiziario e carichi pendenti) costituisce mero supporto (non esaustivo) a dichiarazioni impegnative di autocertificazione e non preclude una verifica successiva da parte della stazione appaltante".
Infine per le frasi introdotte alla fine della lettera e) del comma 1 dell’art. 75, esse, ad avviso dell’Amministrazione, non innovano nella disciplina della materia e non costituiscono pertanto "scelte discrezionali del Governo": le stesse troverebbero la loro giustificazione nella necessità di precisare puntualmente il limite della "delegificazione" operata dall’articolo 3 della legge n. 109 del 1994 in una materia di particolare delicatezza in quanto involgente primarie posizioni di diritto soggettivo.
Le considerazioni svolte dall’Amministrazione non sono sembrate idonee a superare i dubbi di legittimità insorti in sede istruttoria.
Nella relazione di deferimento alla Sezione del controllo, inoltre, riguardo alla verifica della conformità a legge dell’art. 1 del regolamento in esame, sono stati espressi dubbi in ordine alla legittimità costituzionale - per contrasto dell’art. 76 Cost. - dell’art. 10 del D.lg. 25 febbraio 2000, n. 65, che, sostituendo l’art. 12 del D.lg. 17 marzo 1995, n. 157, ha modificato la normativa concernente le cause di esclusione dalle gare attinenti agli appalti di servizi.
Il consigliere delegato al controllo sugli atti di governo, con nota n. 72 del 24 novembre 2000, sulla base della relazione del consigliere istruttore n. 11 del 23 novembre 2000, ha rimesso gli atti al Presidente della Corte, il quale, con ordinanza in data 30 novembre 2000, ha deferito la pronuncia sulla legittimità del regolamento alla Sezione del controllo, convocando, a tal fine, per l’adunanza odierna il primo collegio della Sezione stessa.
Nel corso dell’odierna adunanza il rappresentante dell’Amministrazione ha ribadito, ed ulteriormente illustrato, le considerazioni contenute nelle controdeduzioni, concludendo per la richiesta di ammissione al visto del regolamento.
Considerato in
DIRITTO
Preliminarmente la Sezione ritiene di dover procedere, in sede di esame dell’art. 1 del regolamento, alla verifica della legittimità costituzionale - per contrasto con l’art. 76 Cost. - dell’art. 10 del d.lg 25 febbraio 2000 n. 65, che, sostituendo l’art 12 del D.lg. 17 marzo 1995, n. 157, ha modificato la normativa attinente alle cause di esclusione dalle gare concernenti gli appalti di servizi.
In proposito, nella relazione di deferimento è stato osservato che:
- il D.lg. n. 65 del 2000 è stato emanato in base alla delega legislativa contenuta negli artt. 1 e 2 e nell’allegato A della legge 5 febbraio 1999, n. 25 (legge comunitaria per il 1998) recante delega al Governo per l’attuazione delle direttive 97/52/CE e 98/4/CE, modificative, rispettivamente, delle direttive 92/50/CEE (in materia di appalti pubblici di servizi) e 93/38/CEE (sulle procedure di appalti nei "settori esclusi");
- per quel che qui interessa, la direttiva 97/52/CE non ha modificato l’art. 29 della direttiva 92/50/CEE (che individua le cause di esclusione dalla partecipazione alle gare relative agli appalti di servizi): la direttiva 97/52/CE, infatti, ha modificato soltanto gli artt. 7, 12, 13, 18, 19, 23 e 39 della direttiva 92/50/CEE, ed ha introdotto in questa direttiva l’art. 38 - bis;
- l’art. 2, comma 1, lett. e), della legge n. 25 del 1999 stabilisce che "all’attuazione di direttive che modificano precedenti "direttive già attuate con legge o decreto legislativo si "provvede apportando le corrispondenti modifiche alla legge o "al decreto legislativo di attuazione della direttiva "modificata";
- conseguentemente, il Governo avrebbe ecceduto dalla delega conferitagli con la legge n. 25 del 1999, poiché non si sarebbe limitato ad "attuare" la direttiva 97/52/CE, bensì avrebbe esteso il suo intervento anche ad istituti da questa non disciplinati (in altri termini, ad avviso dell’Ufficio di controllo, l’art. 12 del D.lg. n. 157 del 1995 avrebbe dovuto essere modificato tramite una legge formale).
Al riguardo, la Sezione, ritiene che non sussistano dubbi non manifestamente infondati in merito alla legittimità costituzionale del menzionato art. 10 del D.lg. n. 65 del 2000, poiché l’intervento dèl Governo sembra rinvenire la sua giustificazione nell’art. 2, primo comma, lett. b) della legge di delega n. 25 del 1999, secondo cui "per evitare disarmonie con le "discipline vigenti per i settori interessati dalla normativa da "attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o "integrazioni alle discipline stesse.
La Sezione reputa pertanto possibile procedere all’esame della conformità a legge dell’art. 1 del regolamento nella parte in cui introduce il secondo comma dell’art. 52 nel decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. In base a tale disposizione costituiscono errore grave ai sensi dell’articolo 12, primo comma, lett. e), del d. lg. 17 marzo 1995, n. 157 (come modificato dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 65), gli errori o le omissioni di progettazioni di cui all’articolo 25, comma 5 - bis della legge quadro in tema di lavori pubblici, se essi hanno comportato un aumento superiore al 10% dell’importo originario del contratto. In tal caso l’esclusione non può essere disposta decorsi 18 mesi dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento dell’errore o dell’omissione di progettazione, ovvero decorsi nove mesi dalla data di comunicazione del responsabile del procedimento prevista all’articolo 2, comma 1, lett. d), della citata legge quadro se il professionista non vi si è opposto nel termine di trenta giorni.
In merito, la Sezione manifesta un avviso pienamente conforme alle considerazioni espresse dall’Ufficio di controllo sugli atti di governo, e ritiene pertanto che la disposizione in esame non possa essere ammessa a visto.
In proposito, come correttamente rilevato in sede istruttoria, anzitutto, è da porre in rilievo che in base all’art. 17, comma 10, della legge n. 109 del 1994 "per l’affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia pari o "superiore ai 200 mila ECU, si applicano le disposizioni di cui "alla direttiva 92/50/CEE del Consiglio del 18 giugno 992 e al "decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157" (attualmente, deve anche trovare applicazione la disciplina contenuta nella direttiva 97/52/CE (tra l’altro) modificativa della direttiva sopra indicata).
Da tale norma risulta agevole dedurre che la legge quadro in tema di lavori pubblici - per quel che concerne gli appalti per la progettazione dei lavori pubblici - ha operato un rinvio "secco" alla normativa comunitaria e nazionale in tema di appalti di servizi.
In base a tale norma, altresì, risulta evidente che la materia oggetto della disposizione regolamentare in esame non è stata in alcun modo "delegificata" dall’art. 3 della legge n. 109 del 1994 (in quanto non attinente ai lavori pubblici) e che per gli appalti (sopra soglia) concernenti la progettazione dei lavori pubblici deve valere immodificata la normativa generale in tema di appalti di servizi: per conseguenza la disposizione in esame è da considerare sostanzialmente estranea al corpo del regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici.
Sotto altro profilo, la Sezione rileva che la disposizione in esame contrasta con le regole fissate dal Parlamento per quel che concerne l’attuazione delle direttive in tema di appalti di servizi.
Il Parlamento, infatti, con l’art. 1 della legge (comunitaria 1993) 22 febbraio 1994, n. 146, ha delegato il Governo per l’attuazione della direttiva n. 92/50/CEE (è stato emanato il D.lg. n. 157 del 1995) e con l’art. 1 della legge n. 25 del 1999 (comunitaria 1998) (è stato emanato il D.lg. n. 65 del 2000), ha ripetutamente manifestato la volontà di mantenere la normativa di attuazione delle direttive comunitarie in tema di appalti di servizi ("sopra soglia") al livello "primario" (norme con forza di legge) e non a quello "secondario" (norme regolamentari).
Per quel che attiene al merito della disposizione in esame, la Sezione osserva, altresì, quanto segue:
a) l’art. 29 della direttiva 92/50/CEE non prevede quale causa di esclusione l’errore grave nell’esercizio della propria attività professionale, limitandosi a disporre l’esclusione dalla partecipazione ad un appalto del prestatore di servizi il quale (cfr. lett. d) "si sia reso responsabile di gravi violazioni dei "doveri professionali, provate con qualsiasi elemento "documentabile dall’Amministrazione" (il medesimo art. 29 non prevede l’allegazione di alcuna "prova negativa" da parte dell’appaltatore);
b) l’art. 12, comma 1, lett. c), del D.lg. n. 157 del 1997 (nel testo introdotto dall’art. 10 del D.lg. n. 65 del 2000) dispone l’esclusione dall’appalto di coloro "che nell’esercizio della "propria attività professionale hanno commesso un errore grave, "accertato con qualsiasi mezzo di prova addotto "dall’Amministrazione aggiudicatrice".
Pertanto, non risulta legittimo spogliare l’Amministrazione appaltante del potere di valutare la gravità dell’errore professionale di per sé, in base soltanto alle regole professionali (di ingegneria, di architettura, di fisica, di urbanistica, ecc.) che si assumono violate; poiché ciò che rileva è l’esigenza di affidare gli appalti di progettazione a soggetti professionalmente capaci, appare lesivo della potestà valutativa, spettante alla stazione appaltante, la fissazione di un rigido criterio correlato non alla gravità intrinseca dell’errore (cfr. l’art. 25, comma 5 - bis, della legge n. 109 del 1994), bensì unicamente alle conseguenze pecuniarie derivate dall’errore compiuto dal progettista (un errore lieve, se viene accertato in epoca tarda, può comportare un notevole pregiudizio economico, mentre viceversa un errore gravissimo accertato in tempo utile - ad es. prima della realizzazione dell’opera - può comportare un danno economico lievissimo, se non addirittura non produrre alcun pregiudizio).
In termini generali, inoltre, è da considerare che sia la norma comunitaria che quella nazionale di rango primario conferiscono all’Amministrazione ampia libertà di valutazione, non ponendo limiti in merito al momento di commissione dell’errore e non assoggettando la potestà di esclusione ad alcuna condizione.
La disposizione regolamentare in esame, pertanto, appare in contrasto con la normativa di riferimento, atteso che:
a) impone la necessità di una "sentenza passata in giudicato" (ciò non si verifica in tutte le ipotesi di errore, ma soltanto nei casi in cui sorga un contenzioso giudiziario tra le parti);
b) impedisce che l’Amministrazione appaltante possa escludere l’errante qualora siano decorsi 18 mesi dalla sentenza definitiva;
c) sancisce una (non prevista) rilevanza, al "decorso di 9 mesi dalla data…."
In relazione all’art. del regolamento l’Ufficio di controllo sugli atti di governo, anzitutto, ha censurato la disposizione nella parte in cui - introducendo la lett. g) del primo comma dell’art. 75 del d.P.R. n. 554 del 1999 - al fine di poter escludere un concorrente dalla gara di appalto, richiede il definitivo accertamento di violazioni tributarie: il testo emanato dal Governo, infatti, non risulterebbe conforme al dettato dell’art. 24 della direttiva 93/37/CEE che, alla lett. f), non richiede che le irregolarità siano state "definitivamente accertate" (le sentenze di I grado, seppur non definitive, sono esecutive).
In proposito l’Amministrazione ha fatto presente che la disposizione risulta giustificabile in virtù del disposto dell’art. 17, comma 1, lett. e), del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 che, individuando i requisiti d’ordine generale occorrenti alle imprese per poter conseguire la c.d. "qualificazione" (cfr. l’art. 8 della legge n. 109 del 1994), richiede l’inesistenza di irregolarità, "definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al "pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana "o del paese di provenienza".
La Sezione ritiene di poter condividere le considerazioni svolte dal Ministero dei lavori pubblici.
Ulteriore questione deferita all’esame della Sezione del controllo e quella attinente alla legittimità dell’art. 2, del regolamento nella parte in cui introduce la lett. c) del primo comma dell’art. 75 del d.P.R. n. 554 del 1999. In tale ‘lettera’ infatti, sono state inserite due frasi non contenute nel testo del medesimo articolo non ammesso al visto dalla Corte (cfr. la deliberazione n. 40/2000 adottata nell’adunanza del 30 marzo 2000). Tali frasi testualmente dispongono "Le disposizioni di cui "alla presente lettera, nei limiti in cui innovano nella materia, si "applicano in relazione a pronunce di condanna emesse successivamente all’entrata in vigore del presente regolamento. "Resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del "codice penale e dell’articolo 445, comma 2, del codice di "procedura penale".
Al riguardo la Sezione ritiene che la seconda frase (da "Resta salva" fino a "procedura penale") non abbia un significativo contenuto innovativo, atteso che essa sostanzialmente ha la funzione di chiarire che in materia trovano applicazione l’art. 178 c.p. (riabilitazione) e l’art. 445, secondo comma, c.p.p. (estinzione del reato per decorso del quinquennio).
Per contro la Sezione ritiene che l’inserimento della prima frase (da "Le disposizioni" fino a "presente regolamento") non possa in alcun modo ritenersi correlata alla menzionata deliberazione n. 40/2000, atteso che l’originario testo dell’art. 75 non limitava in alcun modo l’applicabilità della disciplina contenuta nella lett. c) alle sole sentenze di condanna emesse (specialmente a seguito di "patteggiamento") in epoca successiva all’entrata in vigore del regolamento (peraltro, che "l’innovazione della materia" operata dalla disposizione in esame si sostanzi soprattutto nella menzione del ‘patteggiamento’ previsto dall’art. 444 c.p.p. risulta chiaro ove si effettui la comparazione tra il testo in esame e l’art. .11, lett. b) del D.lg. 24 luglio 1992, n. 358).
Stante la innovazione introdotta (in base alla disposizione in esame - come detto - le sentenze di condanna, specialmente se emesse a seguito di patteggiamento, intervenute prima dell’entrata in vigore del regolamento all’esame non determinano l’esclusione del concorrente dalla gara di appalto) il Governo ha senz’altro effettuato una significativa scelta discrezionale. Da ciò discende, anzitutto, che per l’emanazione della disposizione in esame avrebbe dovuto essere posto in essere un procedimento eguale a quello previsto dall’art. 3 della legge n. 109 del 1994.
In proposito è infatti da porre in debita luce che, come posto in evidenza anche nel preambolo del decreto, la mancata adozione del procedimento previsto dall’art. 3 della legge n. 109 del 1994 (parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici; parere delle competenti Commissioni parlamentari; parere del Consiglio di Stato) risulta giustificata soltanto nel caso in cui tramite la normativa in esame il Governo dia mera esecuzione a quanto statuito dalla Sezione del controllo con la menzionata deliberazione n. 40/2000.
La disposizione in esame, altresì, risulta illegittima nel merito, per contrasto con l’art. 24, primo comma, lettera c) della direttiva 93/37/CEE, del 14 giugno 1993, secondo cui "può essere escluso "dalla partecipazione all’appalto ogni imprenditore nei confronti "del quale sia stata pronunziata una condanna, con sentenza "passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla "moralità professionale".
La disposizione regolamentare, infatti, nonostante la citata direttiva comunitaria sia in vigore dal 1993, rende totalmente ininfluenti ai fini dell’esclusione dalle gare di appalto - le sentenze di condanna (specialmente quelle emesse a seguito di patteggiamento) pronunciate prima della entrata in vigore regolamento di che trattasi.
In relazione al secondo comma dell’art. 75 del d.P.R. n. 554 del 1999, nel testo introdotto dall’art. 2 del regolamento in esame, nella relazione di deferimento è stato osservato che la produzione di un certificato del casellario giudiziale (o dei carichi pendenti) da parte dell’interessato non serve a rendere concorrente (così, ad es., nel caso in cui sia stata disposta la "non menzione" delle condanne ovvero qualora la sentenza di condanna sia stata emessa a seguito di "patteggiamento": cfr. in materia l’art. 689 c.p.p. che contiene la elencazione completa delle ipotesi in cui il certificato del casellario non riporta le condanne subite). Le amministrazioni, invece, hanno facoltà di conoscere tutte le condanne quando il certificato è necessario -come nel caso delle gare di appalto - per provvedere ad un atto delle loro funzioni, in relazione alla persona cui il certificato stesso si riferisce (cfr. l’art. 688, comma 1, c.p.p.).
In proposito l’Amministrazione ha così controdedotto: "La "questione prospettata in relazione al comma 2 dell’articolo 2 è "nuova" per cui il Governo, in sede di deliberazione di
"adeguamento del provvedimento alla deliberazione n. 40/2000 "della Sezione di Controllo, non aveva necessità di appuntare la "propria attenzione sul punto.
"Ad ogni buon conto la presentazione dei documenti di cui "si tratta (certificato del casellario giudiziale e carichi pendenti) "costituisce mero supporto (non esaustivo) a dichiarazioni "impegnative di autocertificazione e non preclude una verifica successiva da parte della stazione appaltante".
Al riguardo, la Sezione ritiene che siano sostanzialmente condivisibili le perplessità manifestate dall’Ufficio di controllo in merito alla illegittimità della disposizione, poiché:
1) non appare corretta l’affermazione secondo cui la disposizione in esame oltre alla produzione da parte dell’interessato del certificato del casellario giudiziale richiede altresì la presentazione di "dichiarazioni impegnative di autocertificazione": infatti, in base alla disposizione in esame, la produzione del menzionato certificato serve proprio ad escludere necessità di ‘dichiarazioni dell’interessato in merito ai fatti certificati dal suindicato documento. Inoltre, deve essere tenuto presente che nessuna norma "nazionale" prevede (ed impone) la produzione di "dichiarazioni" in merito alle condanne subite e che l’art. 24 della direttiva 93/37/CEE prevede la presentazione di tali dichiarazioni soltanto nel caso in cui l’ordinamento ‘nazionale non conosce il certificato del casellario giudiziale;
2) ai sensi dell’art. 688. comma 1, c.p.p., il certificato di tutte le iscrizioni può essere richiesto unicamente da ogni organo avente giurisdizione penale e dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti incaricati di pubblici servizi quando il certificato è necessario per provvedere a un atto delle loro funzioni in relazione alla persona cui il "certificato stesso si riferisce". Tendendo la normativa comunitaria ad evitare che possano risultare vincitori delle gare di appalto soggetti condannati per reati incidenti sulla "moralità professionale", non sembra dubitabile che dovrebbe essere imposto alla amministrazione l’obbligo di richiedere d’ufficio il certificato del casellario giudiziale (peraltro, in base alla disposizione in esame, gli altri concorrenti non sono in grado di verificare se i partecipanti alla gara di appalto siano da escludere o meno).
Ciò premesso, tuttavia, la Sezione deve rilevare che una disposizione identica a quella in esame era contenuta nell’originario testo dell’art. 75 oggetto della menzionata deliberazione n. 40/2000, che pur non ammesso al visto non è stato censurato sotto il profilo qui trattato.
In conseguenza di tale circostanza, la Sezione ritiene che una dichiarazione di illegittimità della disposizione - nonostante che essa sia inserita in un nuovo regolamento adottato a seguito di una nuova deliberazione del Consiglio dei Ministri - sia ora preclusa in quanto, altrimenti, verrebbe frustrato l’affidamento sorto nel Governo in merito alla legittimità della disposizione.
Peraltro, la Sezione ritiene di non potersi esimere dal porre in rilievo che in ogni caso le stazioni appaltanti - al fine di garantire il sostanziale rispetto della disciplina comunitaria e in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento dell’agire amministrativo sanciti dall’art. 97 Cost. - debbano porre in essere tutti gli adempimenti diretti a garantire il corretto svolgimento delle gare d’appalto per l’esecuzione dei lavori pubblici, ed in particolare quelli finalizzati a verificare l’assenza di precedenti penali in capo ai concorrenti (non sembra da escludere, inoltre, un intervento dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, ai sensi dell’art. 4, quarto comma, lett. b), della legge n. 109 del 1994).
Le illegittimità riscontrate non impediscono che il decreto in esame possa essere ammesso parzialmente al visto nei limiti specificati nel dispositivo della presente deliberazione
P.Q.M.
Ammette al visto, e alla conseguente registrazione, il decreto del Presidente della repubblica in data 30 agosto 2000, con il quale è stato emanato il regolamento recante disposizioni integrative del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, con esclusione:
- dell’art. 1, nella parte in cui introduce il comma 2 nell’art. 52 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554;
- dell’art. 2, nella parte in cui introduce nell’art. 75, comma 1, lett. c), del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 la seguente frase:
"Le disposizioni di cui alla presente lettera, nei limiti in cui innovano nella materia, si applicano in relazione a pronunce di condanna emesse successivamente all’entrata in vigore del presente regolamento".
Omissis