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CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA – Sentenza 31 ottobre 2000 n. 502/EL/00Pres. PROTA, Est. SIMEON - P.M. SEVIERI c. O. (Avv. Claudio MUSSATO).

Giurisdizione e competenza – Danno all’immagine della P.A. (c.d. danno da tangente) – Giurisdizione della Corte dei Conti – Sussiste.

Giurisdizione e competenza – Danno all’immagine della P.A. (c.d. danno da tangente) – Termine di prescrizione – Decorrenza - Dalla data di rinvio a giudizio degli imputati in sede penale.

Sussiste giurisdizione della Corte dei Conti in materia danno erariale derivante dalla grave perdita di prestigio e dal grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica di un ente, anche se in ipotesi non si configuri, o non sia stato chiesto risarcimento di danno ad altro bene patrimoniale dell'ente (1).

Il dies a quo di decorrenza della prescrizione per il danno all'immagine ed al prestigio di un ente pubblico deve farsi decorrere dalla data di "scoperta" dei fatti illeciti dolosamente occultati (che è altresì data di scoperta dei danni alla personalità pubblica conseguenti ai fatti stessi), la quale "scoperta" va peraltro fissata, in ultima precisazione, nella data del rinvio a giudizio degli imputati in sede penale.

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(1) Cfr. Corte Conti, sentenza 28 maggio 1999 n. 16/99/QM; Cass., Sezioni Unite Civili, sentenza 25 giugno 1997 n. 5668 e sentenza 25 ottobre 1999 n. n. 744.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE

FRIULI-VENEZIA GIULIA

composta dai seguenti Magistrati:

Dott. Bruno PROTA Presidente

Dott. Rocco DI PASQUALE Consigliere

Dott. Paolo SIMEON Consigliere relatore

VISTO l’atto di citazione dd. 11.4.2000 del Procuratore Regionale Dott. Giovanni DE LUCA;

UDITI nella pubblica udienza del giorno 10 ottobre 2000, con l’assistenza del Segretario Dott.ssa Alessandra VIDULLI, il relatore Consigliere Dott. Paolo SIMEON, l'Avv. Claudio MUSSATO del Foro di Udine per il convenuto Nino O. ed il Pubblico Ministero in persona del Vice Procuratore Generale Dott. Enzo SEVIERI;

ESAMINATI gli atti ed i documenti tutti di causa;

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 327/EL del registro di Segreteria, promosso ad istanza del preindicato Procuratore Regio-nale nei confronti del:

- Sig. O. Nino, nato a Latisana il 6.12.1948, rappresentato e difeso dall'Avv. Claudio MUSSATO del Foro di Udine, altresì domiciliatario in Udine nello studio di via Dante n. 4.

F A T TO

Con atto di citazione dell'11 aprile 2000 la Procura Regionale ha convenuto in giudizio innanzi a questa Sezione il Sig. O. N., già componente del Consiglio di Amministrazione dell'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano, per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell'Azienda stessa, della somma di lire 240.000.000 asseritamente pari a danno da questi causato all'Amministrazione medesima, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio.

Ha riportato l’attrice Procura che con sentenza emessa dal Tribunale Penale di Udine n. 182 del 13 dicembre-20 dicembre 1996, il Sig. N. O. è stato condannato, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, a pena detentiva di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per i reati di istiga-zione alla corruzione, tentata concussione, concussione e millantato credito.

Ha riferito che l'O., abusando della propria posizione istituzionale:

a) aveva sollecitato una dazione di denaro pari a lire 30.000.000 da parte del titolare della "Società 2020", quale prezzo per garantire alla stessa di risultare assegnataria della gestione della "Terrazza a Mare" di Lignano Sabbiadoro;

b) aveva compiuto atti diretti in modo non equivoco ad indurre la società "Mr. Charly" di Lignano Sabbiadoro a consegnarli la somma di lire 80.000.000 quale prezzo per poter conseguire l'assegnazione in gestione di due bar siti sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro;

c) aveva indotto un altro imprenditore a consegnargli la somma di lire 60.000.000 quale prezzo per poter conseguire l'assegnazione in gestione di uno dei bar siti sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro;

d) aveva indotto altri a promettergli la consegna di lire 40.000.000 quale prezzo per poter conseguire l'assegnazione in gestione di uno dei bar siti sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro;

e) aveva ottenuto da altri la somma di lire 30.000.000 con il pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale in merito all'asse-gnazione di una concessione demaniale relativa ad un manufatto sito in località Scalo dei Pirati.

Il tutto tra il gennaio 1989 ed i primi mesi del 1991.

Ha riferito inoltre, l'attrice Procura, che nel 1993 l'O. fu tratto in arresto con grande pubblicità e notizie relative ai reati da parte dei giornali.

Ha sostenuto quindi sussistenza, nei fatti surriferiti, di danno all'immagine dell'ente di cui l'O. era amministratore, l'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano, ed indicato tale danno nell' "ammontare della spesa che sarebbe necessaria per superare il discredito di cui ha sofferto l'Azienda di Soggiorno per il comportamento delittuoso dell'O.".

Ha quantificato il danno stesso, in applicazione dell'articolo 1226 del codice civile per impossibilità di puntuale liquidazione, in lire 240.000.000, "pari all'ammontare complessivo delle somme pretese dal convenuto in ogni reato".

Peraltro ha contestato la Procura, in replica ad eccezione del convenuto formulata in risposta ad invito a dedurre, essere decorsa, in relazione a fattispecie dedotta a giudizio, prescrizione dell'azione di responsabilità, in quanto "ai sensi dell'articolo 2059 c.c. il c.d. danno morale (rectius non patrimoniale) deve essere risarcito solo nella ipotesi di fatti costituenti reato, non potendosi ritenere ammissibile una risarcibilità di tale tipo di danno sulla base di una responsabilità penale solo presunta … e poiché la qualificazione giuridica di un fatto quale reato spetta ad un giudice diverso da quello contabile e poiché la lesione di diritti non patrimoniali può essere risarcita solo in presenza di fatti definitivamente accertati, sembra ovvio dedurre che il termine dei prescrizione iniziale debba porsi al momento di definitività della sentenza di condanna" (citazione, pagg. 3-4).

Si è costituito in giudizio, con memoria depositata il 19 settembre 2000 il convenuto Sig. Nino O., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Mussato del Foro di Udine.

Il difensore ha chiesto in via preliminare che, accertata la decorrenza del termine di prescrizione ex articolo 1, comma 2, della legge 20/94, sia dichiarata inammissibile l'azione promossa dalla Procura.

Nel merito ha chiesto rigetto della domanda perché infondata in fatta e diritto; nella denegata ipotesi che sia ritenuta provata l'esistenza del danno, ha chiesto congrua riduzione della somma risarcitoria "in correlazione al pregiudizio effettivamente subito dall'Azienda Auto-noma di Lignano".

Quanto ad intervenuto decorso della prescrizione ha osservato che azione penale ed azione di responsabilità sono procedimenti "autonomi ed indipendenti", che in fattispecie la sentenza penale a presupposto dell'azione di responsabilità non è propriamente "di condanna", bensì, ex articolo 444 del codice di procedura penale di c.d. "patteggiamento" e che pertanto "se fosse accettabile il ragio-namento esposto dalla Procura, non vi sarebbe nemmeno spazio per la contestazione della responsabilità, visto che la sentenza che ha concluso il procedimento penale a carico del convenuto non darà come esito la definitività della condanna, ma, al contrario, l'estinzione dei reati contestati" (memoria pag. 4).

Con riferimento quindi all'oggettiva conoscibilità del danno, la difesa del convenuto ha così individuato il dies a quo della prescrizione dell'azione di responsabilità non nella data della richiamata sentenza penale, bensì nell'anno 1993, anno in cui "la carta stampata diede risalto all'arresto dell'O.".

Conseguente pertanto la formulata eccezione di tardività dell'azione procuratoria.

Nel merito la difesa del convenuto ha dedotto che il danno all'immagine va qualificato danno patrimoniale, che non è quindi pertinente il richiamo all'articolo 2059 del codice civile e che è infine danno da provarsi secondo le ordinarie regole in tema di onere della prova, non essendo sufficiente il solo richiamo all'articolo 1226 del codice civile, in relazione all'eventuale applicazione del quale ha comunque eccepito difetto di indicazione, in citazione, di concreti criteri di quantificazione.

Ha quindi assunto che la carica rivestita dal convenuto nell'Azienda di Soggiorno era all'epoca alquanto "defilata per l'opinione pubblica" e che il clamore suscitato dai fatti richiamati in giudizio derivò piuttosto dalla notorietà dell'O. come politico locale e sindaco, in passato, del comune di Latisana, così deducendo che l'immagine travolta dalla vicenda fu essenzialmente quella del convenuto.

All'udienza del 10 ottobre 2000 l'Avv. Mussato ed il Pubblico Ministero, in persona del Vice Procuratore Generale Dott. Enzo Sevieri, hanno ribadito tesi e conclusioni in atti.

D I R I T T O

Va preliminarmente precisato che sussiste indubitabilmente giurisdizione di questo giudice in fattispecie dedotta a giudizio.

E' da rilevare in punto che le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5668 del 25 giugno 1997, avevano già con chiara indicazione riconosciuto il potere cognitorio di questa Corte in materia di danno che ne occupa, conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica di un ente, e senza riferimento alcuno alla necessità di concorrenza con esso di altri tipi di danni.

La sentenza n. 16/99/QM del 28 maggio 1999 della Sezioni Riunite di questa Corte ha quindi definitivamente risolto che sussiste giurisdizione della Corte dei Conti in materia danno erariale derivante da lesione di un bene immateriale, anche se in ipotesi non si configuri, o non sia stato chiesto, come nel caso che ne occupa, risarcimento di danno ad altro bene patrimoniale dell'ente.

Ancora più di recente le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione hanno ribadito la giurisdizione di questa Corte in materia che ne occupa (sentenza n. 744 del 25 ottobre 1999).

Ciò premesso, ritiene questo Collegio di dover solo precisare che dette decisioni appaiono percorrere l'indirizzo della ricostruzione sostanziale del danno all'immagine ed al prestigio dello Stato o di altro Ente pubblico quale danno patrimoniale in senso ampio, da incisione di valori comunque suscettibili di una valutazione economica (il riferimento della sentenza n. 5668 del 25 giugno 1997 delle Sezioni Unite della Cassazione è ad una valutazione patrimoniale "sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso"; ancora più esplicita in punto di patrimonialità è la decisone della SS. UU. n. 744 del 25 ottobre 1999), ricostruzione che trova conferma anche nella giurisprudenza di merito di questa Corte (cfr. Sez. Giur. Basilicata n. 28 del 10 febbraio 1998) e che appare a questo Collegio indubitabilmente corretta (cfr. altresì precedente sentenza di questa stessa Sezione n. 435/EL/98 del 29 dicembre 1998).

E' noto del resto che l'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale è nel senso di limitare l'ampiezza dell'area dei danni non patrimoniali in senso stretto, rientranti nella disciplina dell'articolo 2059 del codice civile (di fatto all'attuale ritenuto disciplinare il solo danno derivante dalle sofferenze fisiche o morali, ovvero il "pretium doloris"), e che viene per contro estendendosi, secondo un percorso che ha una significativa premessa nella sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte Costituzionale in tema di danno biologico, l'ambito della tutela dei diritti della personalità, in articolata e compiuta individuazione (in primis l'identità personale, quindi l'immagine, il nome, il prestigio, ecc.), cui è riconosciuta valutabilità economica ed ordinaria azione ex articolo 2043 del codice civile.

Il contenuto di tale ultima disposizione va infatti valorizzato, come è stato puntualmente rilevato in dottrina, alla luce delle norme poste nella Carta Costituzionale ed a tutela, con completa estensione, dei diritti della personalità.

Tali norme, con riferimento alla fattispecie che ne occupa, riguardante richiesta di danno per dedotta grave perdita di prestigio e grave detrimento dell'immagine e della personalità di un ente pubblico, vanno peraltro in particolare individuate, ad avviso di questo Collegio, nell'articolo 2 (ivi intendendosi tutelata anche la personalità delle persone giuridiche) e soprattutto articolo 97 della Legge Fondamentale (che costituzionalizza i valori dell'imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, particolarmente incisi da vicende quali quella richiamata in odierno giudizio).

La premessa qualificazione del danno in argomento quale danno patrimoniale in senso ampio, riconducibile alla tutela generale di cui all'articolo 2043 (e non dell'articolo 2059) del codice civile o piuttosto, in termini pertinenti il presente ambito di risarcimento e di giurisdizione, alla generale tutela apprestata dalle norme che disciplinano l'azione di responsabilità della Corte dei Conti (quali l'art. 83 del R.D. 18.11.1923 n. 2440, l'art. 52 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214), mentre delinea piena giurisdizione di questo giudice in odierno decidere, assume peraltro sostanziale rilievo anche in sede di analisi, cui ora si accede, dell'eccezione di prescrizione dell'azione di responsabilità avanzata dal convenuto in giudizio.

In essenziale sintesi, l'assorbente questione sulla quale deve incentrarsi la decisione di questo Collegio consiste nella valutazione della tesi in tema di dies a quo prescrizionale premessa dalla Procura attrice alla proposta azione, tesi nella quale, come puntualizzato in citazione e ribadito dal Pubblico Ministero in udienza, si assume che il giorno da cui far decorrere la prescrizione del dedotto danno all'immagine ed al prestigio dell'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano, non può che essere il giorno in cui è divenuta definitiva, per sentenza del Tribunale di Udine pronunciata il 13 dicembre-20 dicembre 1996, la condanna in sede penale del convenuto amministratore O. Nino per i reati di istigazione alla corruzione, tentata concussione, concussione e millantato credito.

In effetti, poiché è fuori discussione in giudizio che non sussistono nei confronti del nominato atti interruttivi della prescrizione di alcun genere precedenti all'invito a dedurre del 17 dicembre 1999 (in disparte peraltro, in questa fase d'analisi, ogni indagine se il medesimo invito, nel concreto della sua articolazione, possa costituire o meno valido atto di interruzione del termine prescrizionale; cfr. Sez. Giur. Marche 12 maggio 1998 n. 1749), non vi è in sostanza altro "dies a quo" della prescrizione, diverso da quello di definitività della condanna penale, che renda tempestiva l'azione procuratoria ad odierno esame, proposta dalla Procura attrice con atto di citazione notificato all'O. il 20 aprile 2000.

Va infatti rilevato, in articolata analisi, quanto segue.

Gli illeciti in premessa all'azione procuratoria risultano essere stati perpetrati dall'O. tra il gennaio 1989 ed i primi mesi dell'anno 1991.

Trattandosi indiscutibilmente di illeciti (e danni alla personalità dell'ente agli stessi necessariamente inerenti) dolosamente occultati, il dies a quo di decorrenza della prescrizione, per nota indicazione interpretativa anche precedente l'espressa previsione dell'articolo 1, secondo comma, della legge 14 gennaio 1994 n. 20 (cfr. Corte dei Conti, Sezioni Riunite n. 929/A del 11.2.1994), dovrebbe individuarsi nella data di "scoperta" degli illeciti stessi.

Tale "scoperta" sembrerebbe quindi da fissarsi (con riserva di successive precisazioni) nell'anno 1993, nel quale il convenuto fu tratto in arresto, con grande rilievo di stampa, in relazione agli illeciti in argomento.

Ne conseguirebbe che un dies a quo prescrizionale così fissato nell'anno 1993, renderebbe palesemente prescritta l'azione di respon-sabilità che ne occupa, risultando la pretesa procuratoria notiziata al convenuto al più nel 1999.

Decorreva infatti all'epoca, in relazione al caso di specie, termine di prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità amministrativa, essendo l'ente danneggiato, l'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano, un ente regionale (cfr. art. 8 della L.R. del Friuli - Venezia Giulia 11.8.1980 n. 34) al quale, in interpretazione normativa coerente al sistema delle autonomie locali, era da ritenersi applicabile l'art. 1, comma 7, del D.L. 27.8.1993 n. 324 convertito nella legge 27.10.1993 n. 423.

Tale disposizione che estendeva agli amministratori e dipendenti delle regioni il regime di responsabilità previsto dall'articolo 58 della legge 8.6.1990 n. 142 per gli amministratori e dipendenti degli enti locali (ivi compresa la prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità amministrativa), venne intesa come mera specificazione dell'operatività, anche per gli amministratori e dipendenti delle regioni, della disciplina già operante per gli amministratori e dipendenti degli enti locali e questo sin a decorrere dalla entrata in vigore della legge n. 142 del 1990 (13 giugno 1990).

In tale premessa l'azione ad odierno giudizio apparirebbe quindi prescritta, ma non a diverse conclusioni si perverrebbe anche ritenendo non applicabile all'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano il prefato articolo 1, comma 7, del D.L. 27.8.1993 n. 324 convertito nella legge 27.10.1993 n. 423.

Infatti, anche assumendo per mera ipotesi decorrente, per i fatti in analisi, il più ampio termine decennale di prescrizione vigente, salvo eccezioni, prima della legge 14 gennaio 1994 n. 20, per la generalità degli enti pubblici, occorrerebbe rilevare che il comma 2 bis dell'articolo 1 della legge medesima, inserito dall'articolo 3 del D.L. 23.10.1996 n. 543 convertito in legge 20.12 1996 n. 639, fissa il termine ultimo del 31 dicembre 1998 per il compiersi della prescrizione riguardo a tutti i fatti verificatisi anteriormente alla data del 15 novembre 1993 e per i quali sia applicabile un termine di prescrizione decennale (per tutti i fatti successivi a tale data vale peraltro il nuovo generale termine quinquennale di cui, in prima vigenza, all'articolo 3 del D.L. 15 novembre 1993 n. 453 convertito in Legge 14 gennaio 1994 n. 19).

Nel caso, si rammenta ancora, l'O. risulta notiziato della pretesa procuratoria per la prima volta solo nel dicembre 1999.

Quindi il solo dies a quo della prescrizione che appare poter fondare la tempestività della proposta azione di responsabilità ammi-nistrativa, è dato dal giorno in cui è divenuta definitiva la sentenza penale di condanna del convenuto, sentenza pronunciata dal Tribunale Penale di Udine il 13 dicembre 1996 e divenuta irrevocabile il 28 gennaio 1997 (tale data di decorrenza esime peraltro questo Collegio dall'esame concreto della stessa eventuale valenza interruttiva dell'invito a dedurre notificato al convenuto nel dicembre 1999, in quanto la stessa citazione a giudizio risulta notificata all'interessato il 20 aprile 2000, prima del compiersi di un quinquennio prescrizionale così iniziato).

L'attrice Procura risulta fondare la tesi della decorrenza del termine prescrizionale dalla data di definitività della sentenza penale di condanna sulla base sostanzialmente di due argomenti: il primo ricollegato alla considerazione che l'articolo 2059 del codice civile dispone che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge, potendosi peraltro richiamare in tal senso, allo stato, solo l'articolo 185, secondo comma, del codice penale e quindi il necessario previo e definitivo accertamento ed addebito, in competente sede giurisdizionale, di un fatto-reato; il secondo ricolle-gato alla considerazione che non appare consentito procedere risarcitoriamente per danno al prestigio ed all'immagine di un ente se non quando (solo così concretandosi reale lesione della personalità pubblica) sia definitivamente accertata, in competente sede giuri-sdizionale, la penale responsabilità del prevenuto.

Rileva questo Collegio, quanto al primo dei riferiti argomenti, che non può aderirsi alla dedotta tesi per essere il danno al prestigio ed all'immagine di un ente pubblico, come si è già avuto modo di rilevare in sede di precisazioni su questione di giurisdizione, da ritenersi non già un danno non patrimoniale da ricondursi, come tale, alla disciplina dell'articolo 2059 del codice civile, bensì un danno patrimoniale in senso ampio, da azionarsi in base a norme concernenti la tutela risarcitoria patrimoniale ordinaria e nello specifico, in materia di responsabilità amministrativa, in base a generali norme fondanti l'azione di responsabilità della Corte dei Conti.

Peraltro l'azione di risarcimento per un danno derivante da un fatto costituente reato si attua notoriamente senza attendere il formarsi di un giudicato in sede penale, così in sede civile (per i rapporti tra azione civile e azione penale v. art. 75 c.p.p.), come in sede di giurisdizione di responsabilità amministrativa, ove per l'autonomia del giudizio di responsabilità avanti a questa Corte, particolarmente valorizzata, com'è noto, dopo il nuovo codice di procedura penale (cfr., ex pluribus, Sez. I^ n. 69 del 25.2.1991; Sez. I^ Centr. App. n. 239/98/A del 16.7.1998), non va ordinariamente disposta (se non, per parte della giurisprudenza, in ipotesi di ritenuta necessità od oppor-tunità ai fini del decidere) la sospensione del giudizio in pendenza di procedimento penale sui medesimi fatti.

Tali sicura autonomia dei giudizi verrebbe invece sostanzialmente negata nella riferita tesi attorea, mentre occorre invece ritenere che ogni autonomo accertamento fattuale (peraltro anche mediante utilizzo degli atti già formatisi nel corso del procedimento penale) sia possibile in ambito di giudizio di responsabilità avanti a questa Corte e questo anche in ipotesi di giudizio avente eventuale esclusiva finaliz-zazione, indipendentemente dall'evidenza di altri danni patrimoniali in senso stretto, nell'accertamento della lesione a quei diritti della personalità pubblica di cui si è portata evidenza in odierno giudizio.

Non può peraltro accogliersi nemmeno il secondo dei prospettati argomenti, non potendosi ritenere ammissibile che la presunzione costituzionale di non colpevolezza (la quale appare implicitamente richiamata in tesi attorea) possa paralizzare, sino al definitivo ed irrevocabile accertamento della responsabilità in sede penale, la giuridica tutela dei diritti lesi.

Quanto rilevato è tanto più evidente in ipotesi, quali la fattispecie ad odierno giudizio, nelle quali la sentenza penale definitiva in premessa all'azione è una sentenza cosiddetta di "patteggiamento", resa in applicazione degli articoli 444 e segg. del codice di procedura penale, la quale sentenza, com'è noto, non implica un pieno accerta-mento della penale responsabilità degli imputati e non si identifica con una sentenza di condanna in senso stretto.

Ad accogliere la tesi attorea difetterebbe quindi nel caso, allo stato delle cose, lo stesso asserito pieno presupposto per l'azione di responsabilità in deduzione.

L'assumere invece detta sentenza penale, come ha chiesto in udienza parte attrice, solo a premessa per diretti accertamenti di questo giudice volti a realizzare (sulla base delle disponibili risultanze istruttorie penali ed altre, in questa sede, se del caso disposte) un autonomo giudizio di colpevolezza, sembra ancora contraddire la dedotta tesi della necessaria pregiudizialità, in ipotesi di danno all'im-magine, di un definitivo accertamento in sede penale, e confermare invece la diretta azionabilità avanti a questa Corte del diritto a risarcimento dei danni alla personalità dell'ente pubblico, azionabilità possibile e legittima in tempi correttamente relazionati alla scoperta degli illeciti e non già all'irrevocabile accertamento di colpevolezza in sede giudiziaria penale.

Ritiene quindi questo Collegio, in conclusivo rilievo, che il "dies a quo" di decorrenza della prescrizione per il danno all'immagine ed al prestigio di un ente pubblico debba farsi decorrere dalla data di "scoperta" dei fatti illeciti dolosamente occultati (che è altresì data di scoperta dei danni alla personalità pubblica conseguenti ai fatti stessi), la quale "scoperta" va peraltro fissata, in ultima precisazione, nella data del rinvio a giudizio degli imputati in sede penale.

In punto condivide questo Collegio la così determinata individuazione del "dies a quo" effettuata dalla Sezioni Riunite di questa Corte nella sentenza n. 63/A del 25 ottobre 1996 in un'ipotesi, analoga ai fini che qui rilevano, di emersa evidenza di fatti illeciti concussivi.

Come si è correttamente osservato in quella decisione "stante la rilevanza penale dei fatti occultati e la subordinazione che la stessa esistenza dell'evento di danno trae dall'illecito penale (non potendosi affermare l'esistenza di un danno se non legato ai fatti concussivi) il "dies a quo" della prescrizione va fissato nella data di rinvio a giudizio in sede penale, momento nel quale vi è stata valutazione da parte dell'organo pubblico competente di elementi di dolo".

Con riferimento all'incisione del prestigio e dell'immagine di un ente, tale individuazione appare del tutto pertinente, per il sicuro concretarsi, con il rinvio a giudizio, di una lesione della personalità pubblica fondata su elementi congrui, atteso che a tanto non appari-rebbero idonee, sia pure anche se accompagnate da pubblico clamore, denunce di illeciti non adeguatamente vagliate dalla competente Autorità giudiziaria.

Ad esempio, come correttamente viene precisato anche nella appena riferita decisione n. 63/A delle Sezioni Riunite, "… non può essere sufficiente la mera denuncia di un privato, che può rivelarsi all'esame degli organi di giustizia del tutto infondata".

Allo stesso modo rileva questo Collegio che non apparirebbe corretto far decorrere il termine prescrizionale dalla data di comparsa sui giornali della notizia dell'incriminazione o dell'arresto del convenuto in corso di procedimento penale, atteso che il danno all'immagine o al prestigio della Pubblica Amministrazione deriva dal compimento dell'illecito da parte dell'amministratore o del dipendente, e non dal rilievo e dalla diffusione che dell'illecito stesso ne dà la stampa.

Tale diffusione, come ha ben puntualizzato la Sezione Giurisdizionale per la regione Umbria di questa Corte in sentenza n. 501/EL/98 del 28 maggio 1998, esprime semmai la rilevanza sociale che ha il fenomeno degli illeciti commessi dai dipendenti o ammini-stratori pubblici, sotto il profilo dell'attenzione che l'opinione pubblica, e in definitiva gli amministrati, prestano all'esercizio delle pubbliche funzioni.

Così il rilievo di stampa di un fatto illecito può costituire uno degli indicatori utilizzabili per l'individuazione quantitativa del danno arrecato all'ente, senza tuttavia potersi confondere con l'attività concretamente dannosa posta in essere dai responsabili, dalla quale sola si determina (con il temperamento, in caso di occultamento doloso, della decor-renza dalla scoperta del danno) il "dies a quo" della prescrizione.

In tal senso, va altresì incidentalmante e conclusivamente osservato, non sarebbe nemmeno da ammettersi una pretesa risarcitoria basata causalmente sul perdurare o sul riproporsi sulla stampa, anche a distanza di anni, del clamore suscitato dai fatti illeciti (e quindi fatta decorrere, quanto a termine prescrizionale, da date alquanto succes-sive alla scoperta degli illeciti), e nemmeno limitatamente agli ipotetici soli "danni" che si volessero ricondurre al più recente (e "non prescritto") clamore di stampa, posto l'evidente inammissibilità (ed iniquità) di una pretesa risarcitoria fatta dipendere e decorrere da variabili esterne non direttamente coniugate alla condotta lesiva dei responsabili.

Ciò premesso in termini generali (nei quali del resto si è ripercorso quanto già argomentato da questa Sezione, in analoga fattispecie, con sentenza n. 126 del 19 aprile 2000), deve osservarsi in concreto che in fattispecie l'atto di rinvio a giudizio in sede penale dell'odierno convenuto risale (decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Udine) al 3 dicembre 1993 e che decorreva senz'altro, da tale data, prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità amministrativa per danno all'immagine ed al prestigio dell'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano di cui l'O. era amministratore.

Pertanto non può non dichiarasi prescritta l'azione procuratoria di cui ad invito a dedurre notificato al nominato nel dicembre dell'anno 1999 e citazione notificata nell'anno 2000, con reiezione conseguente della proposta domanda.

P.Q.M.

la Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la regione Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione,

R E S P I N G E

la domanda per intervenuta prescrizione del diritto azionato.

Ordina alla Segreteria di provvedere alle comunicazioni di rito.

Così deciso in Trieste, nella Camera di Consiglio del giorno 10 ottobre 2000.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

(Paolo SIMEON) (Bruno PROTA)

Depositata in Segreteria il 31 ottobre 2000.

IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

(dott. Tommaso Panza)

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