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Giurisprudenza
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CORTE DEI CONTI, SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO – Sentenza 8 febbraio 2001 n. 724/2001R Pres. Pensa, Est. Maggi Tardone, – P.R. c. A. (Avv. E. Pamphili), B. (Avv.ti L. Piscitelli e G.F. Romanelli) c. (Avv. P. Acccardo).

Giurisdizione e competenza – Azione di responsabilità amministrativa – Nei confronti di alcuni funzionari e del presidente di una Federazione sportiva nazionale – Dopo il D.l.vo 23 luglio 1999 n. 242 che ha riconosciuto la personalità giuridica di diritto privato alle federazioni sportive nazionali – Giurisdizione della Corte dei Conti – Non sussiste.

Giurisdizione e competenza – In genere – Momento determinativo – Ex art. 5 c.p.c. – E’ quello della domanda.

Non sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità promossa nei confronti di alcuni funzionari e del presidente di una Federazione sportiva nazionale per il danno erariale che sarebbe derivato dall’erogazione di compensi ad allenatori e tecnici sportivi senza l’osservanza della normativa di contabilità pubblica, dopo la riforma del settore operata dal decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242 che ha riconosciuto la personalità giuridica di diritto privato alle federazioni sportive nazionali (1).

Il rapporto processuale si instaura soltanto al momento di proposizione della domanda ed è a questa data che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., bisogna aver riguardo per determinare la giurisdizione.

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(1) La decisione in rassegna sembra interessante perché nega la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità promossa nei confronti di alcuni funzionari e del presidente di una Federazione sportiva nazionale per il danno erariale che sarebbe derivato dall’erogazione di compensi ad allenatori e tecnici sportivi senza l’osservanza della normativa di contabilità pubblica, dopo la riforma del settore operata dal decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242 che ha riconosciuto la personalità giuridica di diritto privato alle federazioni sportive nazionali.

La fattispecie si riferiva in realtà a fatti avvenuti prima della riforma, quando le Federazioni sportive erano qualificate dalla normativa di settore come "organi del CONI", ma l’atto di citazione era successivo al decreto legislativo n. 242 del 1999.

Per questa ragione la decisione si sofferma, con una articolata motivazione, sulla portata della previsione dell’art. 5 del codice di procedura civile, individuando, sulla base dell’interpretazione letterale e logica della norma, il momento determinante della giurisdizione nella legge vigente e nello stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, ed escludendo che la "qualificazione dei fatti alla stregua del diritto vigente all’epoca di essi radichi in via permanente la giurisdizione secondo le norme che in detta epoca erano applicabili".

 

 

DIRITTO

Il Collegio ritiene di dover esaminare, innanzi tutto, l’eccezione di difetto di giurisdizione.

Sostengono infatti le difese dei convenuti che, per effetto del decreto legislativo n. 242 del 23.7.1999 (pubblicato sulla G.U. del 29.7.1999), non può più ritenersi sussistente la giurisdizione della Corte dei conti avendo l’art. 15, 2° comma, di detta norma stabilito che "le federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo". L’art. 18, 3° comma, della medesima norma prevede poi che "le federazioni sportive nazionali, riconosciute alla data del 20.1.1999, acquisiscono la personalità giuridica di diritto privato alla data di entrata in vigore del presente decreto ed i loto statuti continuano ad avere efficacia sino all’approvazione degli statuti di cui all’art. 16, da effettuarsi entro centottanta giorni dall’approvazione dello Statuto del CONI".

Il combinato disposto da detti articoli con l’art. 5 del c.p.c. porterebbe, secondo i difensori al difetto di giurisdizione di questo giudice in quanto l’atto di citazione è successivo all’entrata in vigore del citato decreto legislativo.

Al riguardo occorre partire dall’esame dell’art. 5 del c.p.c. nel testo novellato che così recita: "La giurisdizione e la competenze si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad essa i successivi mutamenti della legge e dello stato medesimo".

Sostiene parte attrice, sulla scorta anche delle sentenze n. 20/95 e 143/1997 della I Sez. Giurisdizionale Centrale d’appello, che, al momento di proposizione della domanda, i danni arrecati al patrimonio pubblico rientravano nella giurisdizione di questo giudice essendone demandata la tutela al Pubblico Ministero presso questa Corte che era tenuto a promuovere la relativa azione di responsabilità. Ritiene pertanto il Procuratore Regionale che possa affermarsi la giurisdizione di questa Corte vertendosi in materia di danni arrecati ad ente all’epoca dei fatti pubblico nulla avendo innovato la normativa in materia di giurisdizione relativamente a detti risarcimenti.

Ciò, secondo la citata giurisprudenza, sarebbe confortato dal fatto che la norma di cui all’art. 5 c.p.c. non modificherebbe norme regolanti la giurisdizione, ma si limiterebbe a individuarne il momento determinante mentre la successione delle norme sostanziali che qualificano la giurisdizione sarebbe regolata dall’art. 11 delle pre-leggi che non consente retroattività.

Il Collegio ritiene che, ai fini del decidere, vertendosi in materia di interpretazione, debba aversi riguardo al principio, sancito dall’articolo 12 delle pre-leggi, che stabilisce: "Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore".

Tale principale criterio di ermeneutica giuridica, cui deve farsi ricorso al fine di interpretare le norme, prescrive pertanto di valutare innanzi tutto la cosiddetta "vox legis".

La novella dell’art. 5 del codice di procedura civile ha inserito una nuova locuzione nel testo previdente il riferimento, oltre che allo stato di fatto, anche alla "legge vigente" al momento di proposizione della domanda al fine di determinare la giurisdizione e la competenza. Da ciò consegue che deve darsi un significato alla nuova espressione "legge vigente" introdotta con la novella.

A tal fine si osserva che il titolo dell’articolo 5 del c.p.c. è il seguente: "momento determinante della giurisdizione e della competenza". La lettura del titolo indica che si è inteso individuare un discrimine oggettivo, costituito, appunto, dalla verifica della legge vigente e dello stato di fatto al momento della domanda, anche o, rectius soprattutto, in caso di successione di leggi nel tempo, per determinare la giurisdizione e la competenza e, quindi, il giudice da adire anche in situazioni in evoluzione fattuale e normativa.

La soluzione prescelta, non può che essere tesa ad eliminare qualsiasi dubbio e a consentire un’immediata identificazione relativamente al giudice cui rivolgersi; avere, in quest’ottica, fatto riferimento anche alla "legge vigente" non può che indicare una "voluntas legis" dirimente di ogni questione si successione di leggi nel tempo e, quindi, di diritto intertemporale privilegiando un dato certo costituito dalla situazione di fatto e di diritto vigente al momento della proposizione della domanda.

La "ratio legis" induce pertanto a preferire un’interpretazione letterale della norma.

Vero è che con l’articolo novellato si è anche inteso sancire il principio della "perpetuatio iurisdictionis", ma ciò non toglie che la norma debba essere intesa nel suo complesso e per tutto quello in essa e con essa statuito e, quindi, che debba darsi valenza alla novella introdotta a fini dirimenti di ogni questione in materia.

Si osservi che la norma, tra l’altro, non disciplina solo la giurisdizione, ma anche la competenza e, dal momento che non si vede come di possa stabilire, dalla lettura dell’articolo, un diritto intertemporale che consideri "ultrattiva" una competenza previdente, non si vede nemmeno come ciò possa affermarsi, invece, seguendo le interpretazioni giurisprudenziali sopra citate per la giurisdizione. Ora è evidente che le due fattispecie vanno risolte in via interpretativa in modo univoco cosicché si ritiene improponibile il ricorso ad una irretroattività della novella di legge in materia di norme sulla giurisdizione distinguendo norme sostanziali (ultrattive) e norme processuali (immediatamente applicabili) mentre non è dubitabile, per effetto della espressione "legge vigente", una modifica immediata della competenza da individuarsi secondo il diritto vigente all’atto di proposizione della domanda.

La sentenza della Cassazione, citata nella sentenza n. 143/1997 della I Sez. Centrale, ha, in effetti, statuito quanto segue: "l’autorità vincolante della sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo con la quale, in relazione a domanda proposta da un dipendente di un consorzio, sia stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario, sul rilievo della qualità di ente pubblico economico del datore di lavoro, non può essere esclusa per effetto della successiva entrata in vigore di legge regionale, implicante un mutamento dei compiti di detto consorzio idoneo a conferirgli la diversa veste di ente pubblico non economico, tenuto conto che la definitività di detta pronuncia è insensibile allo ius superveniens, che non investe direttamente la giurisdizione, ma qualifichi diversamente i fatti posti a fondamento della stessa. (Cass. civ., 4 maggio 1989, n. 2088). Dalla sentenza, comunque anteriore alla novella legislativa di cui all’art. 5 del c.p.c., consegue soltanto l’intangibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, pronunciato dalla Corte di Cassazione, per effetto della perpetuatio iurisdictionis, in caso di nuove norme di qualificazione dei fatti, principio sancito anche dall’art. 5 del c.p.c., ma non può dedursene che non costituiscano nuove norme sulla giurisdizione quelle all’attualità vigenti per effetto della novella legislativa sopra ricordata che individuano un discrimine oggettivo in caso di successione di leggi nel tempo.

E’ infatti evidente che la "novità" introdotta con la modifica dell’art. 5 c.p.c. in materia di giurisdizione non può che essere una modalità di regolamentazione di diritto intertemporale a mezzo di un parametro obiettivo e non dubitabile che, essendo finalizzato a certezza del diritto, non può che essere interpretato secondo il canone di ermeneutica costituito dal significato immediatamente fatto palese dalla lettura della norma.

Una distinzione, in sede interpretativa, tra nome sulla giurisdizione e norme che qualificano i fatti (sostanziali), nella fattispecie specifica, che, come detto, ha una precisa finalizzazione dirimente, sarebbe in contrasto con la ratio legis di semplificazione e chiarificazione di un momento determinante a fini di immediata intelligibilità della giurisdizione su un’ipotesi giudiziaria.

D’altro canto il c.d. principio del tempus regit actum, applicabile ad atti e fasi procedimentali realizzatisi nella vigenza di una certa legge, non si ritiene pertinente nel caso di specie di cui si verte, semmai, in tema di rapporti giuridici e, cioè, di relazioni tra parti regolate dal diritto.

Già detta definizione dà ragione di una dinamicità della fattispecie che, anche ove considerata scomponibile in una serie di relazioni ciascuna retta dal diritto vigente, in pratica si concretizza come rapporto giuridico processuale – che solo postula l’individuazione di una giurisdizione – soltanto all’atto di proposizione della domanda e, in tale momento, esso non può che essere regolato dalla legge vigente a tale data così come prescritto dalla norma novellata.

Tra l’altro, la qualifica di attore – che riveste il Procuratore Regionale nel giudizio di responsabilità – postula che sussista, nella sua iniziativa, l’interesse ad agire a tutela del patrimonio pubblico, mentre, nel caso, anche tale aspetto sfuma in quanto l’eventuale reintegro, derivante dal risarcimento, stante la successione tra soggetti giuridici, non attiene più alla sfera del pubblico ma a quella del privato.

Vero è, infatti, che sussiste, comunque, un diritto del nuovo soggetto a succedere in un patrimonio integro e che la relativa tutela potrebbe ritenersi "ultrattiva", ma è pur vero che, una volta mutata la natura del soggetto danneggiato, può ritenersi non più legittimata alla funzione la figura di un attore svolgente un munus publicum che, in effetti, si risolverebbe in favore di un soggetto privato arbitro della valutazione dei propri interessi e che, nella veste di successore a titolo universale di un ente, può valutare se tutelarsi o meno anche per il pregresso.

Da quanto sopra discende che non può affermarsi che una qualificazione dei fatti alla stregua del diritto vigente all’epoca di essi radichi in via permanente la giurisdizione secondo le norme che indetta epoca erano applicabili.

Il rapporto processuale si instaura, infatti, soltanto al momento di proposizione della domanda ed è a questa data che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., bisogna aver riguardo per determinare la giurisdizione e, tale norma, in definitiva, privilegia il momento di formazione del rapporto processuale al fine del radicamento e dell’individuazione di una o di un'altra giurisdizione.

Il Collegio, pertanto, ritiene di dover dichiarare, nel caso, il proprio difetto di giurisdizione.

P.Q.M.

La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando sul giudizio in epigrafe,

DICHIARA

il proprio difetto di giurisdizione sul giudizio n. 52944 istituito dal Procuratore Regionale nei confronti dei sig.ri …

Spese compensate.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 29 gennaio 2001.

Il Presidente (dott. Antonio Carlo Pensa

L’Estensore (dott.ssa Piera Maggi Nardone)

Depositata il Segreteria l’8 febbraio 2001.

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