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CORTE DEI CONTI - SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA - Sentenza 15 dicembre 1999 n.1551\99\R - Pres f.f.Gallicchio, Est. Venturini PM Evangelista

Giudizio innanzi alla Corte dei Conti - Proposta transattiva - Inammissibilità - Patteggiamento in sede penale - Autonoma valutabilità degli atti - Confisca delle somme costituenti dazione illecita - Valore accertativo della sentenza - Verbale ispettivo - Autonoma valutabilità - Elementi di fatto in esso esposti - Validità probatoria -

Ufficio del registro - Omessa tenuta del "cartolaro"- Omessa valutazione delle "liste" del Centro Informativo - Sussistenza in capo alla stessa persona della qualità di riscontrato e di riscontratore - Colposa disorganizzazione amministrativa - Sussiste.

Accordo corruttivo relativo ad alcune ipotesi costituenti danno patrimoniale - Dolo eventuale - Connotazione psicologica relativa all'intero nocumento arrecato - Sussiste.

INVIM - Omessa valutazione dei valori dichiarati e dei costi incrementativi - Dolo eventuale e danno erariale - Sussistono.

Agevolazioni acquisto prima casa - Omessa verifica dei presupposti - Dolo eventuale e danno erariale - Imposta successioni e donazioni - Negligenza nella formazione dei "coacervi" - Dolo eventuale e danno erariale - Sussistono.

Fattispecie configurante reato - Danno all'immagine - Sussiste - Natura - Danno patrimoniale - Costi per il ripristino dell'immagine lesa.

Nei giudizi davanti alla Corte dei conti non è ammissibile l'ipotesi transattiva, sia se la stessa è da intendersi come rivolta al Pubblico Ministero, attesa l'indisponibilità del diritto dall'azione dello stesso tutelato, posta a salvaguardia non solo dell'interesse patrimoniale dell'Amministrazione ma anche del principio costituzionale del buon andamento dell'azione amministrativa, sia se formulata nei confronti del Collegio giudicante, quale proposta di accordo sull'uso del potere riduttivo, in quanto l'esercizio dello stesso presuppone una cognizione completa dei fatti di causa.

La sentenza di patteggiamento non preclude, specie se resa ad istruttoria penale ultimata, un'autonoma valutazione dei fatti emersi in tale sede; la confisca della somma costituente "tangente" poi, non può, per intrinseca considerazione logica, non costituire accertamento di un fatto.

E' indice di grave colpevolezza la totale disorganizzazione dell'Ufficio del registro, ove non sia rispettato l'uso del registro degli atti in sospeso (cd. " cartolaro") e non siano utilizzate le liste di controllo fornite dal Centro Informativo e dove, altresì, all'attività di riscontro siano preposte le spesse persone assoggettate a tale attività di verifica. Nel caso di prassi corruttiva costituiscono danno erariale tutte le somme non introitate per omessa valutazione dei valori dichiarati ai fini dell'INVIM e dei costi incrementativi esposti, del mancato controllo ai fini della concesione dell'agevolazione sulla prima casa, dell'omessa formazione dei coacervi relativi all'imposta di successione, e per altri errori di tassazione inerenti la competenza dell'Ufficio del registro, anche non connessi direttamente ad accordo corruttivo, in quanto al soggetto responsabile è ascrivibile un atteggiamento di colpevolezza caratterizzato dal dolo eventuale; il verbale e gli atti tutti del procedimento ispettivo sono sottoposti ad autonoma valutazione dal Giudice della responsabilità amministrativa, ma i fatti ivi esposti sono, quando non destituiti di fondamento nel contraddittorio processuale e chiari nella loro certezza notiziale, idonea fonte di prova.

Il cd. "danno all'immagine", inteso come discredito di una pubblica istituzione e lesione della considerazione che la stessa ha nel contesto sociale, viene in valutazione nella giurisdizione della Corte dei conti nel suo profilo di danno patrimoniale, non dovendosi conseguire un arricchimento dell'Amministrazione lesa per il danno ad un bene non economico ma, invece, una riparazione per le perdite patrimoniali subite ( incremento dei comportamenti collusivi, mancata concorrenza nelle procedure concorsuali) e per i costi affrontati o da affrontare per la doverosa ricostituzione del prestigio venuto meno. Tali elementi, costituenti il danno-conseguenza, sono considerati nella loro valenza economica, anche se l'interesse leso, costituente il danno-evento, è di natura immateriale e non patrimoniale.

Quali parametri di riferimento ai fini dell'individuazione del "quantum" del danno in questione dovrà farsi riferimento al ruolo del responsabile nell'organizzazione amministrativa (profilo soggettivo) alla reazione causata nell'ambiente di esercizio dell'attività del comportamento lesivo ( aspetto oggettivo) ed allo sconcerto creato fra gli amministrati ( profilo sociale)

 

 

1551\99\R

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

La Corte dei conti

Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia

composta dai seguenti magistrati:

Dott. Angelo GALLICCHIO Presidente f.f.

Dott. Piero CALANDRA Consigliere

Dott. Leonardo VENTURINI Ref.relatore

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n.236\R del registro di segreteria, su istanza della Procura regionale nei confronti di:

F. G., rappresentato e difeso dall'Avv.to Sergio Pandolfi, el.te dom.to presso il di lui studio in Milano, via Freguglia 10;

M. G. rappresentato e difeso dall'avv.to Stefano Nespor, el.te dom.to presso il di lui studio in Milano, via Cellini 1;

C. A., rappresentato e difeso dall'Avv.to Giorgio Pes, el.te dom.to presso il di lui studio in Milano, via Del Piatti n.8;

S. A., rappresentato e difeso dall'Avv.to Marcantonio Guerritore, el.te dom.to presso lo studio dello stesso in Milano, via S. Antonio n.2;

L. C.A. e M. A., rapp.ti e dif.si dagli Avv.ti Cesare Ribolzi e Francesco Colaianni, el.dom.ti presso lo studio di quest'ultimo in Milano, via Cappuccini n.4;

F. V., S. G., I.A., rapp.ti e dif.si dall'Avv.to Cristiano Romano, el.te dom.ti presso lo studio dello stesso in Milano, via Fontana 25;

D.A. C., rapp.to e dif.so dall'Avv.to Pietro Ferrazzi, presso il di lui studio in Gallarate, via Settembrini n.4 el.te dom.to;

Udito, nella pubblica udienza del giorno 23.9.1999 il relatore, dott. Leonardo Venturini il Pubblico Ministero nella persona del SPG dott. Paolo Evangelista, gli avv.ti De Focatiis, su delega dell'avv.to Nespor, Pes, Colaianni, Romano, Guerritore,

Visti gli atti e i documenti tutti di causa;

Ritenuto in

FATTO

Con atto del 2 febbraio 1996 la Procura regionale ha citato gli odierni convenuti per sentirli condannare al pagamento della somma di £. 12.635.486.430 oltre rivalutazione, interessi e spese del procedimento.

Questi i fatti dai quali trae origine l'azione della Procura:

In data 31 maggio 1994 perveniva alla Procura regionale della Corte dei conti per la Lombardia denunzia da parte del Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, Direzione regionale per la Lombardia, nella quale si esponevano i risultati dell'indagine ispettiva condotta dal dr. Cozzella del SECIT con riguardo all'attivita' dell'Ufficio del Registro di Gallarate dal 1986 al 1988 (esame puntuale di tutti gli atti registrati) e nel periodo successivo (esame a campione) fino al 1992.

Secondo tale indagine ispettiva sarebbero state commesse gravi omissioni ed irregolarita' nell'ambito dell'attivita' dei soggetti addetti all'Ufficio di Gallarate e con riferimento anche all'esercizio del controllo ispettivo su di esso, fatti questi che hanno assunto altresì rilevanza penale in quanto teologicamente connessi, in alcuni casi, ad ipotesi di corruzione, e che avrebbero causato grave danno all'erario sotto il profilo dell'evasione fiscale dei contribuenti interessati.

In particolare, la suddetta relazione ha evidenziato, a seguito del controllo capillare effettuato su ogni singola operazione dell'ufficio dal 1986 al 1988, un danno erariale pari a £. 11.415.384.430 scaturente dall'abbattimento delle basi imponibili, dalla omessa registrazione di atti, dalla illegittima concessione di agevolazione fiscali, dall'applicazione della tassa fissa di registrazione in luogo di quella normativamente prevista e da altre minori entrate derivanti dalla concessione di illegittimi benefici ai contribuenti, danno come di seguito schematizzato:

imposta successioni Lit.2.614.465.550

omessa utilizzazione liste C.I.T.

con conseguente mancato recupero

coacervi ai fini

dell'imposta di successione Lit.276.411.360

denunce avveramento condizioni Lit 29.696.000

mancatirecuperi su

valutazioniUTE Lit.1.084.770.630

indebita concessione agevolazione

1^ casa Lit 2.043.718.530

omessa revoca

agevolazioni 1^casa Lit. 1.455.366.835

erronea tassazione

atti societari Lit. 405.928.545

erronea applicazione

INVIM Lit 1.885.449.115

altri errori di tassazione Lit. 1.624.577.875

Osserva la Procura che, da più sentenze di patteggiamento emesse dal Tribunale di Busto Arsizio, risulterebbe accertata la responsabilita' penale per specifiche ipotesi di corruzione e per delitti contro la fede pubblica relativamente a L. C. e M (sent. 144/93), D.A. (sent. 192/94), C. (sent. 194/94), S. (sent. 195/94), F. e M. (sent. 17/95). E ciò nonostante si tratti, nel caso di specie, come sopra menzionato, di sentenze di patteggiamento.

L'Amministrazione delle Finanze ha provveduto alla costituzione in mora di S. (13.4.95), di C. (22.9.95), di D.A. (2.6.95), di M (23.5.95), di F (10.6.95), di L C. (15.6.95), di M (13.6.95).

Le specifiche violazioni perpetrate dai convenuti, sottolinea l'Organo remittente, sono attinenti sia alla normativa tutta concernente l'accertamento e la liquidazione delle imposte, la tenuta e l'uso dei registri, sigilli e liste finalizzate al controllo dei tributi percepiti e percipiendi, sia agli elementari doveri di correttezza e fedelta' dell'impiegato dello Stato, e risultano accertate dall'indagine ispettiva su richiamata:

- omessa tenuta del campione unico delle tasse in sospeso istituito con D.M. 11.12.1876;

- omessa tenuta del registro cartolare per la valutazione degli immobili ex art. 23 del citato decreto;

- totale inutilizzazione delle liste CIT per il controllo della congruita' dei tributi versati;

- omessa compilazione delle bollette di quietanza in sede di vidimazione dei registri contabili;

- totale inosservanza delle norme relative alla custodia dei c.d. pezzi mobili;

- inammissibile concentrazione, in capo a due impiegati dell'Ufficio, della duplice funzione di addetti alle valutazioni e liquidazioni e di incaricati del riscontro amministrativo contabile sulle stesse pratiche;

- inosservanza delle norme sulla concessione delle agevolazioni;

- sistematica violazione, sempre a vantaggio del contribuente, della normativa tributaria di calcolo dell'imposta.

La responsabilita' amministrativa di F, M, C, DA emergerebbe inoltre con evidenza dagli elementi forniti con le confessioni rese al Tribunale di Busto Arsizio, dai quali è derivata una responsabilità di rilevanza penale. Per la Procura risulta ammesso pacificamente che le specifiche violazioni di cui al sopra sono state poste in essere nel periodo dal 1986 al 1992 con una frequenza tale da acquisire rilevanza di prassi.

Le violazioni contestate in sede penale risulterebbero perpetrate nell’ambito di una "consuetudine di rapporti similari" sin dal 1986, e ciò confermerebbe quanto acquisito dal SECIT nella indagine più volte citata: tali rapporti si incentravano sulla preminente figura del Direttore dell’Ufficio F, verso il quale gli impiegati prestavano accondiscendenza a richieste illegittime o si attivavano per ottenere illegittime concessioni: fra gli impiegati, in quanto legati da un accordo illecito - anche sulla base di quanto evincibile dalle risultanze penali - con il menzionato direttore F, l'Organo remittente sottolinea un ruolo di assoluto rilievo, quanto alla colpevolezza ed all'incidenza causale sul danno erariale cagionato, al M ed al C.

Quanto ai convenuti F, S e I, la Procura tratteggia la posizione di questi impiegati nell'ambito dell'attività dell'Ufficio del registro di Gallarate, ritenendo che agli stessi debba essere rivolto un minore addebito ( peraltro non definito sotto l'aspetto del "quantum" di cui gli stessi sono chiamati a rispondere) in quanto soggetti di qualifica inferiore che non avevano, presumibilmente, nella maggiore delle ipotesi, la competenza a porre in essere gli atti direttamente causativi del danno erariale, ma che purtuttavia rimangono imputabili di una responsabilità personale relativa all'attività tipica del loro profilo professionale, nella quale si rileverebbe una certa autonomia, e alle attribuzioni concretamente svolte.

La Procura ipotizza anche la responsabilità amministrativa del M, impiegato di V qualifica il quale, ancorché non addetto presso l’Ufficio di Gallarate ma in quello di Magenta, risulta coinvolto nelle violazioni suddette quale intercessore presso il Direttore dell’Ufficio F, al fine di ottenere il giudizio di congruità dei valori dichiarati dalla ditta Tovaglieri S.A.T., per la vendita del relativo complesso aziendale. Per questi la responsabilità troverebbe fondamento nella confessione dal medesimo resa davanti al GIP del Tribunale di Busto Arsizio, nella quale il M conferma la ricezione della somma di Lit. 60.000.000 per il proprio interessamento nella fattispecie sopra individuata

In identica maniera si argomenta in citazione al fine di fondare l'addebito di responsabilità nei confronti del S, alla stregua della confessione da questi resa al giudice penale, dalla quale si evincerebbe che egli riceveva somme di denaro da privati per agevolare presso l’Ufficio di Gallarate la definizione delle pratiche ad essi relative (e ciò in ossequio ad un permanente accordo con il F sin dal 1986); ed anche alla stregua degli elementi bancari acquisiti pure in sede penale ed ispettiva, che hanno rilevato la sussistenza per il S, come per gli altri pubblici ufficiali coinvolti, di depositi per valori di gran lunga eccedenti le normali disponibilità di soggetti con redditi di lavoro dipendente impiegatizio (per il S lit. 761.294.093, per M lit. 750.000.000).

Tali ultimi fatti specifici comportano l'addebito al S dell’ulteriore danno derivante da illecite percezioni. In base agli elementi di cui sopra, infatti, pur concludendosi il giudizio penale con il "patteggiamento", ex art. 444 c.p.p., il GIP di Busto Arsizio (sent. 195/94, pag. 9) ha quantificato presuntivamente l’ammontare minimo del frutto della corruzione perpetrata sin dal 1986 in lit. 110.000.000, importo che rappresenta ulteriore danno all’erario per la lesione di beni immateriali, come l’affidabilità, il prestigio dell’Amministrazione, dalla quale derivano tuttavia pregiudizi economicamente valutabili. L'esposta voce di danno, con utilizzo del parametro individuativo delle somme da ciascuno illecitamente ricevuta, come dappresso si dirà, è stata imputata a ciascuno dei convenuti imputati nel procedimento penale con l'accusa di corruzione.

Al L C, oltre alla generica responsabilità contestata in qualità di Ispettore per le omissioni e le negligenze nel controllo dell’Ufficio di Gallarate, la Procura addebita l’ulteriore danno erariale scaturente dall’episodio già citato per il M, relativo alla percezione indebita di somme dalla ditta Tovaglieri, definito con sentenza ex art. 444 c.p.p. del Tribunale di Busto Arsizio.

La Procura ritiene di disattendere, come per il M, la qualificazione di "compenso professionale" per la somma ricevuta, e conseguentemente di imputare al L C l’ulteriore danno di lit. 46.345.000 quale imposta non percepita dall’Ufficio di Gallarate e di lit. 60.000.000, come prima specificato, quale lesione a beni immateriali economicamente valutabili della Pubblica Amministrazione.

In conclusione, si sostiene in citazione, può allo stato quantificarsi un danno erariale complessivo ed attuale di Lit. 12.635.486.430 di cui:

Lit. 11.415.384.430 come in precedenza specificato, calcolato sulla base delle sole pratiche esaminate capillarmente dal SECIT nel triennio 1986/1988 ed in relazione ad atti non più suscettibili di accertamento in quanto si presentavano compiuti i termini di decadenza;

Lit.871.250.000 poiché, considerata l'impossibilità di individuare con precisione il danno relativo all’attività illegittima accertata dal SECIT per gli anni successivi al 1988, a motivo dell’indagine amministrativa (incarico all’ispettore Zangrilli, nota 24/95 al Direttore dell’Ufficio di Gallarate) in via di ultimazione per le difficoltà operative ricollegabili alla rilevante complessità della stessa, e per i molti atti ancora in via di accertamento suppletivo, con in corso recuperi di imposta (nota 13/95/SL del 27.3.95 del DRE Servizio Ispettivo), in via presuntiva, e con solo riferimento ai singoli episodi di corruzione accertati con confessioni rese in sede penale, la Procura utilizza un criterio quantificativo proporzionale ricavato sulla base dei dati di fatto emersi dalle indagini, i quali "rilevano una tangente di lit. 40.000.000 a fronte di un risparmio di imposta di circa lit. 100.000.000 (sent. 195/94 pag. 3)".

Da tale meccanismo presuntivo deriva l'esposta quantificazione di un danno di £ 871.250.000.

Lit 352.000 in quanto l'Organo citante rileva la sussistenza del danno di lit. 352.000 ascrivibile al D’A per il mancato assolvimento dei diritti di vidimazione su circa 88 atti (episodio di cui alla sent. 192/94)

Lit. 348.500.000 derivante da lesione di interessi economicamente valutabili della Pubblica Amministrazione, e equitativamente valutati nell’importo pari ai compensi, dichiarati o accertati in via presuntiva, illecitamente percepiti per l’attività illegittima dell’Ufficio di Gallarate.

Con atto del 21 agosto 1995 i convenuti in epigrafe sono stati invitati a fornire deduzioni ex art. 5 1.14/94, a seguito delle quali il predetto Ufficio requirente ha adottato atto di citazione degli stessi (in data 2 febbraio 1996 come sopra esposto), quantificando il danno, si ripete, nella somma sopra esposta (£. 12.635.486.430).

In occasione della pubblica udienza del 24.10.1996 i difensori dei convenuti hanno prodotto memoria ed illustrato ed articolato nella pubblica udienza quanto gia' esposto nelle memorie scritte, di cui si dà una succinta esposizione.

L'avv. Pandolfi ha sostenuto che la relazione del dr. Cozzella contiene numerosi errori di fatto e di diritto, nonché errori di calcolo e non tiene conto della legislazione vigente e delle circolari ministeriali, nonché delle condizioni in cui era costretto ad operare l'Ufficio per carenza di personale. Inoltre ha osservato che le presunte e contestate azioni e omissioni del dr. F. non avrebbero causato alcun danno all'Amministrazione finanziaria perché, alla data del 22 gennaio 1993 (data di cessazione dal servizio del dr. F.) erano ancora aperti i termini per gli accertamenti a carico dei contribuenti. Contesta peraltro anche il "quantum" del danno che sarebbe frutto di valutazioni unilaterali, generiche ed indeterminate, prive di riscontro probatorio. L'avv. Pandolfi ha infine ricordato che per quanto concerne gli episodi di corruzione, il G.I.P. di Busto Arsizio ha applicato al suo assistito la pena concordata di anni due di reclusione in esecuzione della quale il F ha versato l'importo di £. 367.000.000.

L'avv. Pes, difensore di C, ha chiesto invece, in via pregiudiziale, l'integrazione del contraddittorio mediante chiamata in giudizio del vice-direttore dell'Ufficio del registro di Gallarate, dr. A R'; in via istruttoria, di ordinare all'Amministrazione finanziaria di depositare gli allegati alla relazione del SECIT, più volte menzionati nella stessa ma mai depositati; sottolinea la genericità dell'atto di citazione, nei suoi motivi di fatto e di diritto e, quindi, chiede in via definitiva principale, di dichiarare improcedibile l'azione per nullita' dell'atto di citazione per sommaria quantificazione del danno; rileva altresì talune errate interpretazioni della normativa fiscale operate dall'Ispettore Cozzella, in materia di applicazione di penalità sull'INVIM e di concessione di agevolazione sull'imposta del registro per l'acquisto della prima casa, e che non sussiste relazione di causalità fra le mansioni del C ed il danno che si assume verificato; in conseguenza di quanto esposto, in via definitiva, gradualmente subordinata, ritiene si debba assolvere il predetto C per difetto di danno, per difetto di nesso causale ed eventualmente considerando la riduzione dell'ammontare del danno detraendo gli interessi gia' compresi nel danno quantificato dall'ispettore del SECIT, il danno ipoteticamente prodotto nel periodo 1989-92, le somme confiscate ai convenuti in sede penale, il c.d. "danno morale", circa il quale ritiene insussistente la giurisdizione di questa Corte.

L'avv. Romano ha sottolineato essenzialmente come la parte attrice non abbia indicato né la condotta addebitata ai convenuti né, di conseguenza, il nesso causale tra il danno lamentato e quella condotta. In particolare ha rilevato che i suoi assistiti non erano addetti ai servizi di organizzazione e valutazione censurati, né tantomeno sono stati addetti a tutti i servizi in esame, talché appare abnorme il loro coinvolgimento a titolo solidale per l'intero danno causato.

L'avv. Nespor, a difesa di M, ha a sua volta evidenziato come manchi la prova specifica del danno contestato nonché la prova dell'esistenza di concorso per ciascun comportamento produttivo del danno e che, comunque, va considerata, al fine della copertura del danno stesso, la somma gia' corrisposta in sede di patteggiamento.

L'avv. Ribolzi, per L C e M, ha poi in particolare ricordato come il primo non abbia mai lavorato presso l'Ufficio del registro di Gallarate, né tantomeno abbia mai effettuato accessi od ispezioni per periodi successivi al 1986, per la semplice ragione che nessuno aveva disposto di farli: in sostanza, per il triennio 1986/88, non esisterebbe minimamente un qualsivoglia nesso eziologico sulla base del quale considerare responsabile per danno conseguente a fatti attinenti all'Ufficio di Gallarate il dott. L C. Tale situazione riguarderebbe anche il M.

L'avv. Guerritore per S. ha sostenuto l'insussistenza di danni per l'erario nel periodo 1986/88, poiché al proprio assistito nessuno aveva conferito alcun incarico ispettivo sugli atti dell'Ufficio del registro di Gallarate ed anche in base alla considerazione che nessun danno è derivato all'Erario relativamente agli atti registrati nel 1990, in quanto tali partite potevano ancora essere definite in sede amministrativa, non essendo ancora spirati i termini di decadenza. Ha infine chiesto in via subordinata la specificazione dell'addebito mosso al rag. S., sia in termini di pratiche di cui lo stesso si sarebbe occupato, sia in termini di quantificazione del relativo danno.

All’esito di detta pubblica udienza il Collegio ravvisò la necessità di acquisire ulteriori elementi istruttori, anche al fine di valutare l’ipotesi di una possibile integrazione del contraddittorio.

Conseguentemente, l’ordinanza istruttoria così disposta chiedeva alla Procura di integrare i dati conoscitivi a disposizione del Collegio sviluppando le seguenti indicazioni:

1) produzione delle schede analitiche relative alla capillare ispezione del dr. Cozzella, allegata alla di lui relazione ma mancanti nel fascicolo processuale;

2) sempre con riferimento alle stesse, indicare per quali rapporti tributari, nelle stesse schede indicati, fosse preclusa per decadenza e/o prescrizione, l’attività di accertamento del Ministero delle Finanze; in via più generale, chiarire quali siano, nella presente fattispecie, gli elementi di prova del danno intervenuto, anche e soprattutto in relazione al periodo successivo al 1992 ed agli specifici incarichi ispettivi all’uopo conferiti;

3) per quanto riguarda le posizioni dei sigg. F, S e I, accertare, anche ai fini dell’attribuzione di una minore responsabilità, quale reale potere autonomo essi esercitassero nell’ambito delle loro funzioni, e in che misura tale potere, ove sussistente, poteva risultare causalmente determinante ai fini della causazione del danno;

4) ancora, l’ordinanza predetta richiedeva - in relazione alle posizioni dei sigg. L C e S - il possibile ruolo causale, sul danno arrecato, di eventuali irregolarità nell'attività ispettiva, ovvero se vi sia stata, da parte degli stessi, una violazione degli obblighi di servizio oppure comportamenti leciti in quanto l'esercizio di vigilanza sulle fattispecie dannose era estraneo agli incarichi conferiti.

In data 2 ottobre 1997 è pervenuta, a firma dell’avv. Pandolfi, difensore di F, la dichiarazione di decesso di quest’ultimo; la Procura, non ravvisando un arricchimento degli eredi conseguente ai fatti illeciti del de cuius, ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti di questi ultimi, non ritenendoli legittimati passivi.

Nell’arco di tempo che va dal giugno al novembre 1997 sono pervenute alla Procura, e da questo Organo prodotte in giudizio, più relazioni da parte del Servizio Ispettivo della Regione Lombardia, due note dei dott.ri Buonfiglio e Masi (21 e 16.6.1997), alleganti atti ispettivi dell’ispettore Ronga e Zangrilli ( 21.10.1996 e 10.1.1997), ed altre due note, sempre a firma dei medesimi dirigenti (11.11.1997, 10.11.1997) alleganti relazione degli ispettori Barbieri e Quintavalle (10.11.1997).

Con riferimento alle nuove posizioni probatorie i convenuti, presentando ulteriori memorie, hanno così ulteriormente esposto le proprie argomentazioni difensive.

M. sempre con l’assistenza dell’avv.Nespor, ha sottolineato l’incompiutezza quantitativa e di contenuto delle cd. "schede" allegate alla relazione Cozzella: quantitativamente perchè in numero inferiore alle 1000 indicate dalla Procura, nel contenuto perchè prive di riferimenti agli atti tributari cui afferiscono, altresì carenti di sicure indicazioni circa l’avvenuta decadenza e rappresentanti, nella somma delle cifre esposte, un danno nettamente inferiore a quello richiesto dalla Procura.

Rileva, inoltre, come l’Ufficio requirente non sia riuscito a dar conto delle singole responsabilità all’interno dell’Ufficio del Registro di Gallarate, in particolare risulterebbe carente l’individuazione del concreto rapporto di collaborazione e delle incombenze intercorse fra gli impiegati di detto Ufficio ed il Direttore F.. Propone istanza di transazione.

L'avv.to Pes insiste nel ritenere, soprattutto dopo le ultime allegazioni probatorie, la pretesa della Procura priva di fondamento, considerata anche la ritenuta inattendibilità della relazione dell'Ispettore Cozzella, sia per l'incompletezza dei dati evincibili dalle schede ad essa allegate, carenti nell'evidenziare il periodo, per ogni fattispecie esaminata, in cui sia eventualemente decaduta la potestà accertativa dell'Amministrazione finanziaria sia per il danno che si sostiene accertato che ammonterebbe, in realtà, alla somma di Lit. 5.041.616.425. Eccepisce poi l'avvenuta prescrizione parziale per il danno verificatosi dal 1.1.1986 al 19.4.1986.

L’avv. Romano, per F, S e I rileva come l’ulteriore attività istruttoria non abbia portato nessun elemento a suffragio della pretesa risarcitoria, avendo contribuito a definire se gli stessi, in relazione alle pratiche contestate, esercitassero un potere autonomo, per incarico direttoriale o di fatto, né l’indagine penale può portare a diverso esito, dato che lo stesso si è concluso, per gli stessi, con un provvedimento di archiviazione.

S, con il patrocinio dell’avv. Guerritore, in relazione agli ultimi esiti istruttori afferma:

1) che in qualità di ispettore non ha mai controllato gli atti presso l’Ufficio del Registro di Gallarate e che il danno ipotizzato con riferimento alle pratiche venute in rilievo in sede penale non è sussistente;

2) invita a valutare le confessioni rese davanti al giudice penale;

3) nega di essere stato parte di accordi di corruzione;

Gli Avv.ti Colaianni e Ribolzi, ritengono che, alla luce delle relazioni, appositamente richieste con la menzionata ordinanza, della Direzione regionale per le Entrate per la regione Lombardia, debba essere esclusa ogni responsabilità per gli assistiti L C e M.

Il DA, con L'avv.to Ferrazzi, esclude ogni propria responsabilità per il danno ipotizzato, ammettendo esclusivamente il nocumento derivante dall'illecita vidimazione di registri, ed ammontante a £352.000.

Nella pubblica udienza del 23.9.1999, il P.M, dott. Paolo Evangelista ha ribadito la fondatezza dell'azione della Procura, sottolineando la completezza, confermata dalle successive ispezioni, della relazione dell'Ispettore Cozzella, insistendo poi per la pretesa reintegratoria relativa al cd. "danno al'immagine", mentre i difensori dei convenuti hanno ribadito ed illustrato quanto più volte esposto nelle memorie defensionali.

Al termine della pubblica udienza del giorno 23 settembre 1999 la causa è stata trattenuta in decisione

Considerato in

DIRITTO

1. Interruzione del processo nei confronti del convenuto F.

In esordio deve essere dichiarata, ai sensi dell'art.299 c.p.c., l'interruzione del processo nei confronti del convenuto F., in conseguenza del decesso dello stesso, giusta comunicazione del difensore del medesimo.

2. L'ipotesi transattiva

Va, poi, in primo luogo, esaminata la proposta di soluzione stragiudiziale della presente controversia, avanzata dal M. tramite il proprio difensore avv.to Nespor. In essa, recante data 17.9.1999, il convenuto, rammentato di aver già versato la somma di Lit.486.073.000, sia per l'effetto del sequestro conservativo sugli emolumenti dovuti a titolo di trattamento di fine rapporto e di quiescenza, sia per quanto già corrisposto (Lit. 430.643.000) in occasione del patteggiamento penale, si dichiara disposto a versare a titolo di risarcimento di ogni danno patrimoniale e non una somma complessiva di £ 600.000.000, comprensiva delle somme già esposte. Su detta proposta transattiva si è pronunciato negativamente il PM nell'udienza, motivando con la considerazione che la normativa vigente non attribuisce facoltà transattive all'Organo di Procura.

La descritta istanza di transazione non è recepibile.

Infatti, se questa si configura come proposta di risoluzione stragiudiziale dell'odierna controversia, ad essa è estraneo il Collegio, essendo la proposta, per la predetta caratteristica di stragiudizialità, rivolta all'Ufficio requirente; va però aggiunto che, avendo l'atto di transazione (art.1965c.c.), per unanime considerazione, natura costitutiva e dispositiva ( le parti accedono a reciproche concessioni per evitare o porre fine ad una controversia, cfr. Cass.161\1983) questo richiede (art. 1966 c.c.) la disponibilità dei diritti dedotti nel negozio transattivo: poiché l'azione della Procura è caratterizzata dall'officiosità e dalla obbligatorietà ed è a tutela non solo dell'interesse patrimoniale dell' Amministrazione danneggiata, ma anche di interessi generali dell'Ordinamento, quale il valore costituzionale di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost; si v. questa Sezione, n. 1597\98) va affermata la natura indisponibile dei diritti difesi dall'azione della stessa.

Se poi la proposta di cui si discute deve essere intesa come finalizzata ad un'utilizzazione negoziata del potere riduttivo o ad una prospettazione di una forma atipica di patteggiamento ( quale accordo fra le parti con un momento di valutazione giurisdizionale), mutuata nei suoi canoni fondamentali dalla normativa penale, valgono, allora, le seguenti considerazioni.

In primo luogo, l'utilizzo del potere riduttivo va calato e compreso nella natura personale della responsabilità amministrativo contabile la quale, non essendo concepita solamente per il ristoro del danno all'erario, sottopone l'individuazione del "quantum" dovuto per la reintegrazione della lesione ingiustamente subita ad una valutazione anche con fine preventivo-sanzionatorio e ad una considerazione del concreto atteggiarsi della colpevolezza e dell'azione illecita; ne consegue, quindi, che, per ipotesi, anche non volendosi considerare la fondamentale ed ineludibile circostanza che la normativa vigente non consente un accordo inerente l'utilizzo del potere riduttivo, questo non può prescindere da un accertamento della responsabilità. In secondo luogo, la creazione di una forma di soluzione della controversia analoga al patteggiamento penalistico, oltre a dover essere prevista da espressa disposizione legislativa, è istituto legato a situazioni di gravità minore, dove l'esigenza di deflazione processuale, per economizzare le risorse processuali al fine di un compiuto vaglio delle ipotesi illecite di maggior rilievo, può giustificare la rinuncia ad un appuramento completo delle imputazioni, lasciando alla pena irrogata ed accettata senza "cognitio plena" la funzione di prevenzione e di sanzione. Nel caso di specie, già la gravità dell'illecito prospettato dalla Procura impone il vaglio delle relative responsabilità. Il Collegio non ritiene di doversi esimere, però, dal valutare l'istanza del convenuto M., e del suo difensore, l'avv.to Nespor, suggestiva ed efficacemente propositiva in una prospettiva "de iure condendo", ove non risulterebbe carente di pubblica utilità la previsione di soluzioni giudiziali - in talune ipotesi - che trovino fondamento, in tutto o in parte, in un accordo fra i soggetti processuali.

L'azione dell'Ufficio della Procura, nell'instaurazione del presente giudizio, trae fonte da due altri procedimenti di indagine, differenti per finalità e per contenuti: l'una di ispezione tributaria, condotta ad opera del Servizio Centrale degli Ispettori tributari, l'altra ad opera del Magistrato penale. La prima incentrata sulla buona organizzazione e conduzione dell'Ufficio del registro di Gallarate nell'attività di accertamento dei tributi di competenza, la seconda relativa ad ipotesi di corruzione perpetrata dai citati F, M, C, S, M e L C, e di falsità nella vidimazione di registri contabili, reato addebitato al DA. Le fattispecie di corruzione vedono coinvolti il direttore del menzionato ufficio, il F., deceduto, come poc'anzi detto, il M., il C. e il DA nella qualità di impiegati del medesimo ufficio del registro, il M., impiegato in altro ufficio dell'Amministrazione periferica del Ministero delle Finanze, il L. C. ed il S., quali Ispettori ritenuti omissivi nell'espletare l'attività di vigilanza a loro affidata.

Si anticipa già fin d'ora che il quadro probatorio delineato dall'Organo requirente idoneamente suffraga, in questo Giudice, la convinzione della fondatezza dell'ipotesi di illecito amministrativo e del connesso danno erariale, secondo le esposizioni, le puntualizzazioni e le precisazioni di cui, di seguito si da nozione.

3. La vicenda penale

In primo luogo, va detto che gli elementi ritraibili dal procedimento penale devono idoneamente essere ricostruiti e valutati dal Collegio, poiché detto procedimento non ha affrontato la fase dibattimentale all'esito della quale sola il giudizio sulla sussistenza del fatto ipotizzato e della colpevolezza di chi lo ha commesso si sarebbe dovuta imporre nella presente controversia; inoltre la circostanza che il termine della vicenda penale sia costituito da plurime sentenze dichiarative di patteggiamento, nei confronti di tutti i convenuti, ha eliminato la possibilità di sottoporre le fonti di prova connesse ai numerosi capi di imputazione spiccati da parte del Pubblico Ministero penale nei confronti degli attuali convenuti, al più compiuto esame - con il contraddittorio - al quale il dibattimento sottopone le stesse.

Ciò premesso, va però affermato che l'autonoma valutazione di questo Collegio sulle risultanze penali conduce ad un sicuro convincimento circa la presenza di una reiterata prassi corruttiva, ad opera dei soggetti coinvolti nel relativo procedimento, con le precisazioni che, nel motivare l'esposta affermazione, si forniranno.

La possibilità, però di utilizzazione autonoma degli elementi raccolti in sede penale, quando l'esito della relativa vicenda è costituito da una sentenza di patteggiamento, richiede delle precisazioni di carattere teorico sulla valenza probatoria di tale fattispecie. Il Collegio, infatti, non si può allora sottrarre all’obiezione – formulata dalla gran parte dei convenuti e che assume validità di eccezione difensiva di carattere generale – che la fattispecie processuale che viene assunta a riferimento, essendo terminata, appunto, con sentenza dichiarativa di patteggiamento è inidonea, di per sé, a fare stato (art. 445 c.p.p.) in altri giudizi.

Ma tale tipologia di sentenza, e il procedimento di cui costituisce l’esito, richiede una lettura più esaustiva; le argomentazioni che si vanno esponendo appaiono necessitate proprio dalla incerta definizione dei tratti strutturali dell'istituto insita nello stesso dettato normativo che, si ricorda, al citato art.445 c.p.p., "equipara" la sentenza su accordo tra le parti ad una sentenza di condanna.

E' ben vero - ed è tesi più volte precisata nella prassi giurisprudenziale - che la Corte di Cassazione puntualmente ammonisce affinchè il termine equiparazione non conferisca alla sentenza patteggiata l'identico valore accertativo della sentenza resa in dibattimento, affermando che la prima non evidenzia in maniera completa il fatto- reato e prescinde da un effettivo giudizio di colpevolezza e dall'affermazione di responsabilità dell'imputato ( cfr. Cass. Sez. Un 22.2.1999, Messina, 27.5. 1998, Bosio, 25.3.1998, Giangrasso e, per sottolineare la continuità dell'orientamento nel tempo, Cass. Sez. Un. 27.5.1992, Di Benedetto).

Ma, d'altro canto, già da tempo la Corte Costituzionale ha affermato che la disposizione che impedisce l’utilizzazione della stessa come atto accertativo di una colpevolezza va considerata alla luce dell’art. 27 della Costituzione, che inibisce l’irrogazione di una pena senza giudizio e sancisce il principio della presunzione di innocenza dell’imputato, oltre a prevedere la finalita' rieducativa di detta pena (cfr. Corte Costituzionale n. 66 e 313 del 1990 e 251 del 1991). Sempre la Consulta, nel riconoscere l'insussistenza di una "plena cognitio" del fatto e della colpevolezza, ritiene comunque di rilievo l'aspetto giurisdizionale - con il correlato sindacato del giudice - della procedura pattizia ( Corte Cost. 11.12.1995, n.499 e le già citate nn.313\90 e 251\91) e non ha mai derogato al principio che " il giudice è chiamato a svolgere valutazioni, fondate direttamente sulle risultanze degli atti, aventi natura di giudizio non di legittimità ma anche di merito" (Corte Cost. 20.5.1996, n.155)

Orbene, quindi, se si vuole interpretare in senso coerente con l'art. 27 Cost., già prima richiamato, la normativa in tema di patteggiamento, la quale diversamente sarebbe, con lineare procedimento logico, incostituzionale (e tale non è stata ritenuta dalla Consulta nelle decisioni sopra citate), si deve sostenere che, quando si verificano i presupposti di detta sentenza, viene evidenziata l’attività di indagine preliminare, la quale assume, senza il vaglio del dibattimento, valenza giudiziale, in virtù del consenso fra le parti e del controllo giudiziale su detto consenso.

Poiché l’imputato ha acconsentito a conferire valore alle indagini del Pubblico Ministero, in sostanza rinunciando a contestare le stesse, per ragioni premiali ( anche nell’ambito di una finalità deflattiva dell’attività processuale) e di giustizia oggettiva, e, poiché non vi è stato l’esaustivo vaglio del giudice del dibattimento, la sentenza di patteggiamento non può far pieno e incontrovertibile stato in altri giudizi, né l’imputato è condannato alle spese, ma, di contro, a conferma di quanto prima detto:

1. il giudice deve valutare che, allo stato degli atti, non si debba procedere al proscioglimento dell’imputato, la correttezza della comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e la congruita' della pena patteggiata ai fini educativi di cui all'art. 27 Cost. (Corte Cost. n. 313/90);

2. deve valutare altresì l’esatta qualificazione della fattispecie, non potendo, però, sindacare la sufficienza probatoria dell’attività del PM ( tale sufficienza deriva dal consenso delle parti);

3. la sentenza acquista valore ai fini della recidiva e della abitualità e professionalità del reo.

4. vi è il potere - dovere, da parte dell'Organo giudicante, di procedere alla confisca delle "res" mezzo o oggetto o scambio del reato (445 c.p.p.).

E’ opportuno allora richiamare indirizzo giurisprudenziale (Cass. I sez. ud. 19.2.1990, in Cass. pen. 1990, II, 44) che qualifica la sentenza di patteggiamento come "tertium genus" - o "sentenza in ipotesi" - fra quella di condanna e quella di assoluzione o, ancora, che individua il momento del vaglio di congruità, necessariamente motivato, da parte del giudice e quello, successivo, in cui "l'indagine entra nell'orbita, tutt'affatto particolare, del rito speciale ex art.444 c.p.p" ( Cass. Sez. Un 22.febbraio 1999, Messina): per sua natura, quindi, la tipologia di sentenza in esame – per le ragioni anzidette – esalta la fase preliminare del procedimento penale, dando ad esso non contestabile valore giuridico e piena valutabilità dei suoi elementi istruttori in altri giudizi, ove la sussumibilità di questi sia permessa e soddisfi le finalità della relativa disciplina.( cfr. Cass. Pen. Sez. IV 19.12.1997, n.3228).

Le tesi sopra esposte consentono di ritenere ogni procedimento penale terminato con sentenza di patteggiamento come fattispecie avente una valenza differenziata e specifica per ogni vicenda; infatti, se non si vuole concretare una disparità di trattamento, differente è il significato dell'accordo sulla pena raggiunto all'inizio delle indagini, con il profilo dell'ipotizzato fatto-reato appena tratteggiato, con una pronuncia dichiarativa resa al termine di dette indagini e, ancora, con quella adottata già in fase processuale, ove il giudice non può non tener conto di tutte le evenienze probatorie già giunte, per il già avanzato stato procedimentale, ad un complesso ed articolato grado di significatività. In tal senso, la stessa stesura motivazionale della sentenza può essere di conforto per valutazioni "aliunde" richieste.

Inoltre, soggiunge questo Collegio, qualora il Giudice penale proceda alla confisca ( come nei procedimenti a carico dei convenuti, aspetto di cui di seguito si darà maggior conto) per non insidiare la coerenza e la logicità dell'intrinseca affermazione recata dal provvedimento - sopratutto quando si tratti di confiscare il prezzo di un accordo corruttivo - non può negarsi a detto atto una valenza accertativa e una valutazione delle fonti di prova piena che, seppur non facente stato deve, qualora si voglia evitarne i pieni effetti probatori in altri giudizi, essere confutata con rigorosi e serrati elementi di contrapposizione.

Nei giudizi innanzi la Corte dei Conti la valutabilità di quanto emerso in sede penale, pur in presenza di esito patteggiato, è tesi più volte affermata (tra le altre, Sez. Riun.2.12.97 n. 68\A, Sez. I, 21 dicembre 1995, n. 34/A, n.12\93 Sez. II 23 ottobre 1995, n. 32/A; Sez. Veneto, 27 novembre 1996, n. 465; Sez. Lombardia 382\99, 657\99): il Giudice contabile può ricavare dal procedimento penale patteggiato elementi di valutazione ai fini del proprio convincimento, in presenza di altri concordanti fattori indizianti ( Sez.I 133\94, Sez. Puglia, 5 febbraio 1996, n. 11; Sez. Lombardia, 6 maggio 1996, n. 1028; Sez. Lazio, 11 aprile 1996, n. 26).

Si può quindi affermare che, anche in caso di patteggiamento gli elementi raccolti dal magistrato penale possono risultare, come nel caso di specie, idoneamente probatori; non si deve, altresì, sottacere che lo stesso Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, chiamato a svolgere il dovuto controllo sulla concreta formulazione degli accordi di patteggiamento ha esposto pregnanti considerazioni in sede di motivazione delle sentenze.

3.1 Tanto detto il Collegio rileva, quindi, che nell'Ufficio del registro di Gallarate, nel periodo dal 1986 al 1990, secondo l'ambito temporale recato dai capi di imputazione penale, ma in realtà, ben si può dire - secondo quanto si evince dagli atti penali stessi, dalle considerazioni dei magistrati di quel procedimento e da quanto esposto nella relazione ispettiva del superispettore tributario Alberto Cozzella - durante tutto il periodo della direzione di detto ufficio da parte del convenuto F. - si era creata una vera e propria consorteria, la quale aveva creato una prassi tale per cui, dietro compenso, i clienti dell'ufficio non vedevano mai contestati i valori dichiarati - in talune occasioni detti valori venivano alterati - o valutata la veridicità e l'inerenza delle spese dedotte al fine di "abbattere" la base imponibile.

E' opportuno, a questo punto, riprendere le notazioni in fatto riportate circa le vicende penali riportate dagli odierni resistenti, in primo luogo partendo dall'esame delle sentenze che di dette vicende hanno costituito l'esito.

Ai convenuti F. e M., con sentenza n. 17\95, il Giudice per le Indagini Preliminari di Busto Arsizio ha applicato la pena concordata di anni due di reclusione, con sospensione della pena stessa, ritenendo così corretta la qualificazione giuridica dei fatti sintetizzati nei capi di imputazione ove al F. veniva fatto carico ( oltre a contravvenzioni di carattere fiscale) di aver ricevuto denaro al fine di formulare giudizi di congruità o di omettere qualsivoglia accertamento sulla veridicità del dichiarato in occasione delle dichiarazioni ai fini dell'applicazione dell'INVIM, con particolare riferimento ad atti negoziali in cui parti erano l'"Immobiliare Suriname", l'"Investimenti Immobiliari s.r.l." ( in concorso con S. A.), la "Tovaglieri S.A.T. " (in concorso con M. A) la "Moonrise s.r.l.", ad altre pratiche segnalate, per il tramite del M., dal commercialista T. C.; inoltre, veniva allo stesso addebitato un concorso con i reati commessi dagli impiegati M. G. e C., "attuando con gli stessi, in modo pressochè continuativo, una cooperazione criminosa, fondata sulla reciproca conoscenza delle reciproche attività criminose", e con il già citato S., per concordare con talune persone non identificate "allegazioni non rispondenti al vero finalizzate ad abbattere l'imponibile per il calcolo dell'imposta".

Parimenti, al M. veniva fatto carico di aver ricevuto denaro per compiere atti contrari ai doveri di ufficio in plurime occasioni, in particolare in occasione di dichiarazioni INVIM concernenti l'"Immobiliare Suriname".

Il C. è stato condannato alla pena di 1 anno e mesi 2 di reclusione (sent.194\94) per aver ricevuto ( oltre alla contestazione relativa a contravvenzioni fiscali), in più occasioni, somme di denaro per compiere atti contrari ai doveri di ufficio, con riferimento all'attività di liquidazione dell'INVIM.

Il procedimento penale riguardante il S. si è in egualmodo concluso con sentenza su patteggiamento (sent 195\94) per ( oltre a fattispecie di contravvenzione a carattere fiscale) aver questi illecitamente ricevuto denaro, in concorso con F., nell'ambito di un consolidato rapporto personale e di ufficio, al fine di, in più occasioni, falsamente determinare i valori ai fini INVIM, ed attestare la congruità degli stessi. In particolare il magistrato penale segnala le pratiche relative all'"Immobiliare Suriname" ed alla "Tovalieri S.A.T". s.r.l.

M e L C ( sent. 144\93) sono stati imputati ed hanno patteggiato la pena per aver, in concorso fra di loro e con F, ricevuto illecitamente denaro per la formulazione di due giudizi di congruità in occasione delle compravendite poste in essere dalla Tovaglieri S.A.T.

Al convenuto DA (sent.192\94) la sanzione penale è stata irrogata per aver ( oltre alla perpetrazione di contravvenzioni a carattere fiscale) falsamente attestato la vidimazione di libri contabili

Gli interrogatori in sede penale

Il M, nell'int. del 29.1.1993, ammette di aver avuto trattamento di riguardo nell'esaminare alcune pratiche per le quali aveva ricevuto somme di denaro (" è chiaro che nei confronti di coloro che mi ricompensavano in tal modo usavo un trattamento favorevole, in particolare non approfondivo gli accertamenti sulla congruità dei valori dichiarati" ) sottolinea l'esclusività riservata al C nel trattamento delle pratiche relative all'imposta di successione, rileva l'interessamento del direttore F per talune fattispecie "le quali, evidentemente gli erano state segnalate) e per le quali cercava di non sollevare eccezioni riguardo alla congruità dei valori dichiarati ( " a quel punto cercavamo di risolvere il problema in modo di pervenire comunque al giudizio di congruità sulla base del valore dichiarato")

Chiarimenti maggiori vengono dall'interrogatorio del 5.2.1993, sempre del M: " in effetti devo dire che ogni tanto capitava che dei proventi da me ottenuti per favori che facevo alle persone le cui pratiche trattavo dessi una parte al direttore. Ciò peraltro non avveniva molto spesso, nel senso che si verificava (sic!) un paio di volte al mese………..A volte capitava che arrivavano tre o quattro milioni dalla parte …………..il direttore si fidava ciecamente di me, nel senso che se io gli dicevo che avevo preso "tot" e gli davo "tot" non metteva in dubbio che le cose fossero andate così. Ero io che spontaneamente fissavo la quota del direttore nella misura in cui sopra, vale a dire 3\4 del compenso, in considerazione del fatto che, in ultima analisi, era il direttore che firmava consentendo quindi anche a me di concludere la pratica.". Ed ancora, ad indicare l'assoluta noncuranza dei doveri di ufficio e lo spregio del pubblico interesse: " che cosa vuole, quando si entra in un certo giro di fare una pratica ad uno ed una pratica ad un altro, alla fine diventa inevitabile dire di sì alla gente anche quando chiedono favori illegali……non capitava mai che tenessi per me tutto il compenso o comunque una parte superiore dello stesso". Circa la responsabilità del C: "in effetti ho fatto moltissime volte io le valutazioni di pratiche raccomandatemi da C, usando gli stessi criteri delle pratiche raccomandatemi dal direttore ma solo poche volte il C mi dava una parte dei compensi che percepiva, e in genere non erano mai importi rilevanti". Nell'interrogatorio del 2.3.1993 lo stesso M descrive l'illiceità delle modalità di esame degli atti presentati dallo studio commercialistico "Tondini", dalla "Tovaglieri S.A.T.", della società "Le Gemme", per la quale utilizza l'espressione "cose incredibili", riferendosi all'inattendibilità delle valutazioni effettuate nelle vicende che riguardavano dettta società. Ammette di aver omesso per anni l'uso del cd. "cartolaro, facendo " a spanna" le valutazioni lasciando così spazio alla possibilità "che talune valutazioni mi (gli) parissero -sic- palesemente incongrui". Nell'occasione sottolinea sempre gli interessamenti di F.

Con riferimento ai metodi di accertamento il convenuto ha affermato(int.5.2.1993):"ero io che mettevo giù le metrature a fantasia, in modo da arrivare al valore indicato dalla parte"; per quanto riguarda le modalità di trattazione delle "pratiche non raccomandate" il M espone: "si andava ad occhio, in alcune occasioni si riteneva il valore congruo, in altre si faceva un avviso di accertamento, contro cui la parte faceva ricorso, a volte sì, a volte no. Se c'era il ricorso, quasi sempre l'amministrazione finanziaria era soccombente, per mancanza di motivazione nell'avviso di accertamento".

Ancora, pare utile riportare un'altra affermazione del convenuto, dall'interrogatorio nell'interrogatorio 29.1.1993: "premetto che risponde al vero il fatto che molte volte avevo accettato somme di denaro o assegni o anche altri regali da persone le quali avevano da registrare atti presso l'Ufficio del registro di Gallarate dove lavoravo. E' chiaro che nei confronti di coloro che mi ricompensavano in tal modo usavo un trattamento di favore nell'espletare le relative pratiche, in particolare non approfondivo gli accertamenti sulla congruità"

Le affermazioni del M. sono coerentemente confermate dal F., il quale rende confessione del proprio illecito operato, in occasione degli interrogatori del 3 e 18.2.1993. La responsabilità del C. è dallo stesso ammessa nell'interrogatorio del 4.2.1993, ove alla domanda (pag.5) circa la percezione di compensi per ciò che viene dallo stesso definita attività professionale in relazione a consulenze prestate al di fuori dell'orario di ufficio. L'affermazione in sé ambigua viene però contraddetta quando il C. ammette di aver dato denaro al M. ed al F., per atti di competenza dell'Ufficio in relazione alle consulenze fornite, al contempo non negando l'illiceità del comportamento (probabilmente omissivo) richiesto ai colleghi. Ancora di più, le indagini patrimoniali sul suo conto hanno rilevato la titolarità, da parte del C., di ingenti beni molto al di sopra delle possibilità fornite dalla retribuzione dello stesso; chiamato a giustificare la fonte dell'elevato patrimonio, il convenuto non ha disconosciuto, davanti al magistrato, la provenienza illecita di parte di esso.

M., nell'interrogatorio del 13.3.1993, peraltro di conferma di quanto già affermato nell'interrogatorio svoltosi il giorno precedente: " il sig. T. mi contattò chiedendomi se potevo intervenire presso l'Ufficio del registro di Gallarate in relazione alla pratica della "Tovaglieri S.A.T. al fine di ridurre il tributo INVIM. Io risposi che me ne sarei interessato e contattai L C A non conoscendo nessuno a Gallarate; successivamente il L C mi disse che si poteva ottenere questo risparmio agendo sulle spese…………..il sig. T mi ha consegnato 60 milioni su mia semplice richiesta senza discussioni." …..Il L C, in effetti, si è tenuto 40 milioni, dei quali non so quale percentuale abbia dato all'Ufficio del registro di Gallarate"(int.12.3.1993).
Della vicenda il L C, nell'interrogatorio del 9.3.1993, fornisce piena confessione, ed il T, dottore commercialista, operante nell'mbito di competenza dell'ufficio di Gallarate conferma, nell'interrogatorio da questi reso in sede di indagini preliminari, la dazione corruttiva al M, al F ed al L C .

La dinamica posta in essere nell'attuare le fattispecie di corruzione viene precisamente descritta, quasi come un procedimento codificato e scandito secondo prassi, dal S., il quale enuclea, nell'interrogatorio del 22.2.1993, nove momenti di tale comportamento illecito. E C. E., non sottoposto alla giurisdizione di questa Corte, afferma , in data 15.2.1993, di aver effettuato dazioni a funzionari dell'Ufficio del registro di Gallarate, in particolare : "ho trattato con l'ispettore S.. In particolare ho pagato lui in tre occasioni circa una novantina di milioni"; il giorno successivo, il 16 febbraio 1993, sostiene di aver dato, per conto della "Investimenti Immobiliari", 35 milioni al S..

Va detto, a conforto dell'autonomo convincimento formatosi in questo Giudice, che il Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, in occasione della fase di controllo giurisdizionale sull'accordo di patteggiamento, nella stesura motivazionale delle sentenze riguardanti il F., il M., il C. ed il S. ha delineato il quadro della vicenda penale in maniera molto chiara nella sua illiceità:

"Risulta, infatti, provato, in base alle confessioni rese da tutti gli indagati nella vicenda ( F., M., C., S, M.………..che, per agevolare la definizione delle pratiche che li interessavano, essi ricevevano somme di denaro direttamente dai privati, o ( per quanto riguarda il F.) quale cointeressenza sulle somme percepite dagli altri impiegati. Questo fenomeno, a dire degli stessi imputati, era così vasto da rasentare la normalità della trattazione delle pratiche". Segnala il G.I.P. che si era instaurata, nell'Ufficio del registro di Gallarate, una prassi radicata secondo la quale "venivano tenuti buoni i valori dichiarati" o ammesse spese "fasulle" (secondo M. andava bene "anche la carta del gorgonzola"); ancora lo stesso Giudice dichiara essere "pacifica" la responsabilità penale degli imputati, non da ultimo, oltre alle confessioni dagli stessi rese, risultando di rilievo gli accertamenti bancari effettuati, che hanno mostrato la sussistenza di depositi di gran lunga eccedenti le normali disponibilità di soggetti con redditi di lavoro impiegatizio.

Con riferimento alla posizione del M. e del L. C., nella relativa sentenza di patteggiamento, il giudizio del magistrato è risultato più attenuato nella valutazione della gravità, ritenuta non di particolare rilievo poiché " certamente trattasi….di un fatto isolato" non avendo altresì menzionato, lo stesso Giudice, anomali rilevamenti nei depositi bancari.

Come già accennato, di preminente importanza, delle citate sentenze di patteggiamento è l'aspetto relativo alla confisca, ex art. 445 c.p.p., delle somme percepite dai pubblici ufficiali costituenti il prezzo del reato, in sostanza le "cose date all'agente per indurlo a commettere il reato". Il procedere alla confisca, come atto reale su di un bene, altro non può significare che affermare con sentenza l'esistenza giuridica di essa, in questo caso l'accertamento processuale della dazione tangentizia.

In sede penale sono state confiscate le somme di ( in dette somme va ravvisata l'entità delle "tangenti" percepite da ciascuno dei sottoposti a confisca):

350.000.000 ciascuno a M. e a F.:

761.294.093 a S.

150.000.000 a C

30.000.000 a M

20.000.000 a L C

4. Il danno individuato - La relazione Cozzella

L'individuazione degli errori professionali compiuti dai convenuti nell'espletamento dell'attività di Ufficio è rilevata e segnalata in primo luogo dall'ispezione condotta dall' Ispettore tributario A. Cozzella, che ha dato luogo all' attivazione dell'Ufficio di Procura; le risultanze sono poi state confermate dalle ispezioni suppletive condotte dalla Direzione regionale delle Entrate su incarico dell'Ufficio requirente e, a seguito dell'ordinanza in fatto evidenziata, da questa Sezione.

L'Ispettore del Secit ha effettuato i controlli mirati verso le seguenti tipologie di atti:

- tutti gli atti di serie V (compravendite, donazioni, divisioni, permute);

- tutti gli atti serie 1 N (atti societari, procure, testamenti, mandati);

- successioni, con particolare riferimento a quelle di valore superiore a centoventimilioni di lire;

- denunce di cui all'art. 19 D.P.R. 131/86 con particolare riferimento agli aumenti di capitale sociale;

- appuramenti relativi alle agevolazioni previste per l'acquisto della prima casa e per la piccola proprieta' contadina;

- coacervi;

- INVIM ai sensi dell'art. 2, nonchè, a scandaglio, alcune dichiarazioni ai sensi dell'art. 3 del DPR 643/72.

Il lavoro di verifica è stato impostato ed espletato come segue:

1) sono stati controllati, uno per uno, tutti gli atti registrati nel periodo 1°.1.1986 - 31.12.1988;

2) per ogni atto in cui sono state riscontrate irregolarita' di ogni tipo, è stata redatta una scheda contenente: gli estremi dell'atto; l'irregolarita' rilevata; l'ammontare dell'imposta esatta dall'Ufficio; l'ammontare dell'imposta che, invece, l'Ufficio avrebbe dovuto a norma di legge, esigere; la differenza tra il versato ed il dovuto, calcolandosi, su quest'ultimo dato, anche gli interessi. La somma della differenza e degli interessi è stata ritenuta danno erariale, ma solo nel caso in cui essa non fosse più recuperabile per il maturare dei termini di decadenza di cui all'art. 76 DPR, 131/1986;

3) ove tale termine non fosse ancora maturato, l'atto è stato trasmesso all'Ufficio per quanto di competenza ;

4.1. Disfunzioni

L'ispettore tributario coordinatore della complessa attività ispettiva compiuta sull'operato dell'Ufficio del registro di Gallarate ha riscontrato, facendone compiuta, dettagliata ed esaustiva menzione nella propria relazione ispettiva, una serie di irregolarità gestionali e di disfunzioni le quali hanno impedito una diligente e seria attività di controllo sul corretto adempimento delle obbligazioni tributarie di competenza da parte dei contribuenti; le carenze e le omissioni organizzative sono state confermate dalle ispezioni poi succedutesi a quella del SECIT, su incarico della Direzione Regionale delle Entrate, anche a seguito, come detto, della citata ordinanza di questa Corte ( cfr., in particolare, rel. Isp. Zangrilli (10.1.1997). E' stata rilevata:

l'omessa tenuta del campione unico delle tasse in sospeso ( art.2 D.M. 11.12.1876; artt.41 e 42 Istruzioni per la Contabilità Demaniale, D.M. 7.4.1888) , registro che permette di avere pronta conoscenza delle agevolazioni richieste e concesse e garantisce una più agevole possibilità di controllo delle stesse nel tempo;

la mancata tenuta del registro cartolare ( art.33 del D.M. 11.12.1876), il quale è preordinato all'individuazione di uniformi ed obiettivi parametri di valutazione dei cespiti;

l'omessa utilizzazione delle liste C.I.T., rinvenute in mucchi disordinati, senza catalogazione ed esame delle stesse; queste segnalano dati e forniscono informazioni agli Uffici dipendenti dall'Amministrazione centrale ( trattasi, in sostanza, di tabulati contenenti dati conoscitivi con riferimento agli atti compiuti dal medesimo contribuente sul territorio nazionale) per rendere più incisiva l'azione di accertamento degli stessi;

omissioni relative alle procedure e alle certificazioni relative alla vidimazione e alla bollatura di registri e bollettari; il rispetto degli adempimenti prescritti ( in particolare, ai fini IVA, la normativa di riferimento è contenuta nell' art. 39 DPR 26.10.1972, n.633) tutela la possibilità di validi controlli, formalizzando l'utilizzo della documentazione contabile da parte del contribuente;

negligente custodia del timbro a calendario; questo veniva lasciato, senza vigilanza, al libero uso da parte dei privati; va segnalato che, in casa del convenuto D'Alterio, a seguito di perquisizione disposta dal magistrato penale, sono stati rinvenuti molti registri di imprese, ancora privi di intestazione ma già recanti l'impronta del sigillo dello Stato e la data apposta con il menzionato datario;

irregolarità nel funzionamento del servizio di riscontro ( art.1 D.M. 8.8.1984) che comporta un controllo interno di carattere amministrativo - contabile, affidato, nell'Ufficio del Registro di Gallarate, al M. e al C., che, in quanto impiegati con altre competenze, riunivano, irregolarmente, le mansioni di controllato e di controllore;

Una notazione va effettuata con riferimento alla mancata utilizzazione delle liste C.I.T.

Il Centro informativo tasse elaborava, periodicamente, ed inviava, ai competenti Uffici del Registro, delle liste contenenti determinate informazioni in base alle quali gli uffici medesimi possano valutare la congruita' e regolarita' dei tributi versati dai contribuenti in relazione a talune specie di atti posti in essere, magari anche in uffici diversi.

Trattasi di tabulati contenenti gli estremi, soggettivi ed oggettivi, dei singoli atti compiuti dal medesimo contribuente sul territorio nazionale, di tal che gli Uffici del Registro possono provvedere ai relativi controlli con conseguente, eventuale recupero d'imposta.

La mancata utilizzazione di tali liste ha avuto un immediato riflesso dannoso che l'Ispettore del SECIT ha così quantificato:

a) somme da addebitare all'Ufficio derivanti da coacervi ( in materia di formazione della base imponibile ai fini dell'imposta di successione) per i quali si sono compiuti i termini (triennali) di decadenza: £. 275.411.350;

b) somme recuperabili derivanti dall'appuramento liste CIT prima casa: £. 555.651.390 di cui £. 43.403.000 gia' riscosse nel corso della verifica in questione;

c) somme recuperabili derivanti da coacervi £. 770.182.700.

Quanto esposto riguarda l'inosservanza degli adempimenti che rendono più informata e puntuale l'azione accertatrice dell'Ufficio. Sotto il profilo delle rispetto delle norme impositive, invece, la relazione dell'Ispettore Cozzella ( relazione - va anticipato- confermata nei suoi contenuti da quelle dell'Ispettore Ronga, Zangrilli, Barbieri e Quintavalle, su incarico della Direzione regionale delle Entrate ed in esecuzione di ordinanza di questa Corte, come in narrativa esposto) ha rilevato plurime infrazioni.

In primo luogo l'attività di ispezione del nucleo ispettivo coordinato dall'Ispettore del SECIT Cozzella ha rilevato una serie di sostanziali violazioni delle norme impositive inerenti la competenza degli uffici del registro.

4.2. Agevolazioni per l'acquisto della prima casa

L'art. 2 DL 7 febbraio n. 12 convertito nella legge 5 aprile 1985 n. 118 concede a coloro i quali acquistano fabbricati o porzioni di fabbricato destinati ad abitazione non di lusso, di corrispondere all'Erario la relativa tassa di registro nella misura del quattro per cento, a condizione che:

a) l'immobile acquistato sia ubicato nel Comune ove l'acquirente ha la propria residenza;

b) il compratore dichiari, a pena di decadenza, di non possedere altro fabbricato o porzione di fabbricato destinati ad abitazione nel Comune ove è situato l'immobile acquistato, di volerlo adibire a propria abitazione e di non aver gia' usufruito delle agevolazioni previste dal presente comma. In caso di dichiarazione mendace sono dovute le imposte previste nella misura ordinaria.

Soltanto se la dichiarazione sia stata resa nel modo indicato il soggetto può beneficiare dell'agevolazione; ed in mancanza di essa, ovvero in caso di dichiarazione falsa, è dovuta l'imposta nella misura ordinaria nonchè una soprattassa del trenta per cento, ferma restando ogni eventuale ipotesi di reato.

Segnala il SECIT, che, dall'esame degli atti , nella grande generalita' dei casi, la richiesta dell'agevolazione prevista per la prima casa è sollecitata sempre e soltanto con l'adozione della seguente formula:

"si chiedono le agevolazioni fiscali per la prima casa ricorrendone i presupposti". La richiesta è, normalmente, inserita nel rogito "con una postilla vergata a mano, fra tante altre postille vergate, visibilmente, da altre mani. Ciò che appare preoccupante è che, troppo spesso, il rogito, prestampato e con l'aggiunta a mano, negli spazi lasciati vuoti, della indicazione dei contraenti, pur dopo l'inserimento delle generalita' delle parti, rechi ancora spazi vuoti. Tutto ciò lascia fortemente perplessi, poiché induce il dubbio che la postilla con cui si chiedono le agevolazioni sia aggiunta all'atto in momenti successivi, se non, addirittura, nell'Ufficio del Registro, da qualche mano generosa".

In alcuni casi, rileva ancora l'Ispettore Cozzella, si chiedono i "benefici 1^ casa" per due case: "In un notevole numero di casi l'agevolazione è stata, addirittura, concessa "d'ufficio"; vale a dire motu proprio, senza essere stata richiesta".

Le vistose, ripetute, generalizzate violazioni della norma sopra citata sono da porsi in relazione, anche, con l'assoluto sprezzo dell'uso delle "liste C.I.T.".

Infatti, in relazione a tale carenza, non risulta mai appurata la sussistenza di alcuna delle condizioni richieste dalla legge.

4.3. Applicazione dell'INVIM

L'incremento di valore immobiliare tassabile, ai sensi dell'art. 2 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 e successive modificazioni, è quello risultante dalla differenza tra il valore del bene al momento della sua alienazione e quello definito in occasione dell'ultimo atto di acquisto; ne discende, quale logica conseguenza, che, ove quest'ultimo valore (c.d. valore iniziale) sia artatamente maggiorato, l'ammontare dell'incremento tassabile subisce una aritmetica contrazione che da' luogo ad una diminuzione del gettito d'imposta. Motivo per cui, ai fini INVIM, l'accurato vaglio del valore iniziale dichiarato costituisce momento della massima importanza nell'attivita' dell'Ufficio.

Si afferma nella relazione del SECIT:

"nell'Ufficio del Registro ispezionato non risulta che un siffatto controllo sia mai stato accuratamente eseguito. Anzi, cura particolare dei funzionari addetti era profusa nella lievitazione di tale valore, anche ricorrendo al falso grossolano: vedasi, in proposito, l'atto gia' richiamato a pag. 40 n. 1635 registrato il 3.7.1991 ove il valore iniziale dichiarato, gia' di per sè esorbitante, di £. 350.000.000 viene modificato in £. 1.350.000.000 semplicemente premettendo la cifra "1" a penna, a quella sopra riportata scritta a macchina; il valore accertato da questo Ufficio Ispettivo sara' determinato in £. 50.000.000; fatto da cui si rileva un'imposta evasa di £. 514.310.000".

La casistica degli "errori" riscontrati è la seguente:

a) mancato controllo del valore iniziale dichiarato;

b) omesso invio delle copie delle dichiarazioni ai Comuni competenti per il giudizio di congruita' in ordine ai valori iniziali indicati ante 1963 e delle spese sostenute entro il 31.12.1972;

c) omessa richiesta di controllo dei valori iniziali agli uffici esterni presso i quali era stato definito il titolo di provenienza;

d) omesso controllo delle spese incrementative e di costruzione effettuate anteriormente al 1°.1.1973

c) ammissione di spese in assenza di idonea documentazione;

d) utilizzo del doppio incremento in assenza di impiego dell'area a scopi edificabili;

e) errato calcolo dell'imponibile con errato calcolo di imposta per riferimento agli scaglioni più bassi.

Le spese di acquisto ed incrementative da computare a maggiorazione del valore iniziale, se sostenute dopo il 1° gennaio 1973, devono essere dichiarate e documentate, a pena di decadenza, nello stesso termine di presentazione della dichiarazione (art. 18 DPR 643/72 - RM 24.3.1981 n. 4/807 RM 22.6.1981 n. 4/16665 - RM 4.10.1982 n. 4/2261 - RM 18.10.1982 n. 4/3080).

L'ammissione di tali spese comporta una riduzione di incremento imponibile e di conseguenza una esazione di minore imposta.

4.3.1. L' utilizzo del doppio incremento

Per applicare l'ultimo comma dell'art. 6 del DPR 643/72 occorre che sussista una ipotesi di utilizzazione edificatoria di una area, per cui l'incremento imponibile viene costituito dalla somma di due distinti incrementi:

1) quello dell'area, dalla data di acquisto alla data di inizio della costruzione;

2) quello del fabbricato, dalla data di ultimazione della costruzione a quella del trasferimento.

Tale metodo, meno gravoso di quello previsto dal primo comma del medesimo articolo, veniva utilizzato anche nel caso di trasferimento di fabbricato in corso d'opera.

4.4. L' Imposta di successione

L'Ufficio di Gallarate non ha posto in essere la corretta procedura relativa alla rettifica dei valori accertati mediante notifica di avviso di accertamento, poiché la variazione dei valori è stata fatta senza dettagliata e specifica richiesta del contribuente nel tempo concesso prima che l'atto acquistasse definitività ma solo in base a produzione di certificati non verificati e senza espressa esposizione della richiesta di modificazione.

I debiti della massa ereditaria devono essere portati in detrazione solo previa produzione dei titoli da cui traggono origine: la disposizione, contenuta nell'art.16 del DPR n.637 del 1972 è stata disattesa in più occasioni dalla prassi dell'Ufficio di Gallarate con ricezione, quindi , di passività ed oneri non certi.

È stata più volte concessa l'applicazione di "abbuoni", nell'ordine del 30% sui valori rettificati, concessione non più ammessa secondo le disposizioni della legge 17.12.1986 n. 880.

L'ispezione ha altresì rilevato la diffusa presenza di errori di tassazione concernenti:

l'indicazione, negli atti di divisione, della provenienza della comunione;

la mancata percezione dell'imposta proporzionale catastale per le cessioni di immobili ai comuni;

la mancata tassazione, alla corretta aliquota dell'8% della rinuncia semplice di usufrutto;

la mancata tassazione del riconoscimento di debito;

la mancata tassazione, negli atti di donazione della nuda proprietà, della riserva di usufrutto a favore del coniuge;

l'errata tassazione di terreni agricoli con l'aliquota dell'8% invece del 15%.

Il contenuto della relazione di cui si è data ora una sintesi appare al Collegio di sicura validità probatoria, anche alla luce delle conferme che la stessa ha ricevuto dalle successive ispezioni volte, tra l'altro, a precisarne i contenuti e a continuarne l'opera ispettiva.

Le contestazioni circa l'insufficienza probatoria delle conclusioni, dell'ispezione di cui si è dato conto, quindi, e dell'inidoneità delle successive ad integrare la prima o a consolidarne le risultanze, sollevata da più convenuti, risultano infondate, per più motivi.

L'ispezione condotta dal Secit, è stata accurata, ingente come impegno di tempo e di professionalità ( ha comportato l'attività non solo dell'Ispettore del Servizio - si rammenta che l'Organo, costituito da alti dirigenti dello Stato e da magistrati con grado non inferiore a quello di Corte di Appello è al diretto servizio del Ministro delle Finanze (L.146\80, in particolare artt.9 e 10) ed esplica, tra l'altro, attività di alta vigilanza sull'accertamento delle Entrate - ma anche di collaboratori di specifica competenza), dettagliata nella relazione, incentrata sull'esame di una elevatissima mole di atti - circa sessantamila - così da costituire un controllo a "tappeto" per un certo ambito temporale (86\88).

La funzione ispettiva, poi, nell'ambito dell'attività amministrativa, è finalizzata alla formazione - tramite attività accertativa e dichiarazione di scienza- di certezze conoscitive ( V. Corte dei Conti, SS.RR.n. 715/1991, ove la relazione ispettiva viene definita atto publico facente fede fino a querela di falso; si esprime in termini analoghi, "mutatis mutandis", Cass. Sez. V pen 18 dicembre 1968, n.1002; parimenti Cass. Sez. lav n.3148\85; nel senso del valore di atto pubblico del processo verbale di accertamento tributario si è espressa questa Sezione con sent. n.1659\98).

Anche qualora non si voglia accedere alla tesi che l'atto conclusivo del procedimento ispettivo, di sintesi dell'attività acquisitiva e di esposizione del contenuto conoscitivo, abbia valenza di pubblica fede fino a querela di falso, deve però sicuramente affermarsi che, prescindendo dal contenuto valutativo i fatti ivi affermati, se non idoneamente contraddetti, si impongono con ineludibile efficacia probatoria al giudicante. Non viene negata certamente un'autonoma possibilità di valutazione da parte del Collegio, ma questa può soffermarsi solo sulla logicità e la coerenza dei dati esposti, non potendo non essere recepiti i fatti affermati nell'atto ispettivo a meno che questi non vengano, per altra via, e con onere probatorio invertito, confutati. Va sempre, poi, controllato il rispetto del principio del contraddittorio anche nella fase amministrativa, imponendosi i principi di cui alla L.n.241 del 1990; nel caso di specie non risulta che questi siano venuti meno ( come evincibile dal tenore delle relazioni amministrative).

Va altresì aggiunto che nell'ambito dell'Amministrazione finanziaria, non vi sono preclusioni di rilievo, nel caso di specie, all'esercizio del diritto di accesso agli atti amministrativi, così come evincibile dalle disposizioni interne, in merito impartite con CM n.213 del 1997.

Va quindi conclusivamente detto che le allegazioni documentali alla relazione ispettiva, costituite, per quanto riguarda l'individuazione del danno patito dall'Erario, dalle schede, danno dettaglio in maniera congrua delle singole fattispecie di danno; l'erroneità accertativa delle stesse andava confutata dalle parti resistenti dimostrandone, per destituire di fondamento le stesse, la falsità.

Non valgono in merito le eccezioni sollevate dalla difesa di C., circa l'esatto computo del danno evincibile dalla somma delle singole fattispecie di danno rilevate dall'Ispettore Cozzella, in quanto la cifra evidenziata da detta difesa, sopra esposta, non risponde al vero poiché il computo è invece, anche dopo la verifica del Collegio, corretto.

Non ha parimenti valore la considerazione che, nelle citate "schede", non compare sempre, apposta a penna dagli Ispettori Barbieri e Quintavalle, che hanno riesaminato le stesse ( dalla relazione degli stessi, quindi, trae ulteriore conforto la considerazione del pieno valore accertativo degli atti in questione) la data dell'avvenuta decadenza del potere accertativo dell'Amministrazione Finanziaria; tale episodica carenza non ha (anche considerando dal tenore della relazione finale degli Ispettori menzionati) alcun valore di censura nei confronti della valutazione fatta dall'Ispettore Cozzella nella redazione delle schede in cui non compare tale annotazione ( sul punto, si veda rel. Barbieri e Quintavalle, pag.4 e 5: non su tutte le schede gli stessi hanno provveduto ad indicare la data dell'intervenuta decadenza).

5. Le responsabilità

Da quanto emerge dagli elementi probatori derivanti dal processo penale, e dalla ricostruzione di un quadro di totale disordine gestionale nell'attività dell'ufficio di Gallarate, si può rilevare che il F., il M. ed il C. non tenevano in nessun conto il buon andamento dell'Ufficio, ma utilizzavano il loro impiego a fini di illecita locupletazione alla quale, si potrebbe dire, il disordine gestionale era funzionale. Se per le fattispecie specificamente additate in sede penale deve essere rigettata la pretesa della Procura, poichè non vi è stato danno, come segnalato dalle inchieste amministrative, per quanto riguarda il recupero dell'imposta dovuta effettuato dall'Amministrazione, si può dire che il danno erariale individuato dall'Ispettore Cozzella e confermato dalle successive ispezioni sia addebitabile - escluso il F. in quanto deceduto - al M. ed al C., a titolo di dolo, qualificabile come eventuale, poiché, dal comportamento degli stessi , non può che rilevarsi una consapevole accettazione del rischio derivante dall'andamento dell'Ufficio in cui operavano.

Di contro, ai convenuti S, I, F e D'A, salvo per quest'ultimo quanto dappresso di dirà, deve essere respinto l'addebito mosso dalla Procura, perché questa non è riuscita a dimostrare la sussistenza di autonomi poteri decisionali, di diritto o per prassi in capo agli stessi, né l'Organo remittente ha individuato specifiche ipotesi di illiceità nei loro confronti.

Tuttavia, al danno quantificato vanno operate delle detrazioni: in primo luogo perché non tutto il danno verificatosi poteva essere evitato da un corretto operare dei responsabili individuati, dovendosi tener conto di una percentuale di danno ascrivibile alla carenza di organico dell'ufficio di Gallarate ( va però sottolineato che, come segnalato dall'Ispettore Cozzella, molti contribuenti, anche al di fuori dell'ambito territoriale di competenza, venivano invogliati - dalla prassi che ivi si era instaurata - a registrare l'atto presso l'ufficio menzionato) ed del fatto che episodi di così evidente negligenza (es.liste C.I.T. non catalogate) non possono non riflettere un comportamento di generale negligenza, anche se non di colpa grave, a causa mancanza di direttive ed indicazioni da parte del direttore ( circa la possibile responsabilità di altri impiegati dell'ufficio di Gallarate deve dirsi, con riguardo alla richiesta di integrazione di contradittorio nei confronti del vicedirettore R, che le note della Direzione Regionale delle Entrate, e gli atti della Procura, non gettano ombre sul suo operato);

in secondo luogo perché vi sono poi due aspetti di merito, segnalati sempre dalla difesa C, ove la valutazione dell'Ispettore Cozzella viene ritenuta da questo Collegio non univoca in maniera tale da non doversi configurare l'errore scusabile: si tratta della corretta applicazione dell'art. 51 del Dpr n. 637\72, ovvero la nozione di imposta dovuta ( se questa debba scontare la detrazione di quanto già pagato - si tratta comunque, di una sola fattispecie contestata), e degli esiti, ai fini dell'imposta di registro della mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica ( l'avv.to Pes. difensore del C sottolinea la nullità dell'atto privo dell'allegato e quindi la mancata verificazione degli effetti - si sottolinea, però, che l'Ispettore Cozzella ha allegato una sola scheda così contestata).

Con valutazione equitativa, quindi, il danno va individuato in Lit. 8.000.000.000 (ottomiliardi).

Di questo, si ripete, debbono risponderne il M. ed il C.

Sono estranei allo stesso, in quanto le fattispecie illecite che li vedono direttamente coinvolti non hanno prodotto danno per l'azione di recupero dell'amministrazione finanziaria, e, d'altro canto, per quanto riguarda il L. C. ed il S., come già detto, l'attività di ispezione dagli stessi svolta non ha comportato dovere di controllo sulle situazioni dannosamente illecite segnalate ( così riferisce la stessa Amministrazione finanziaria), gli stessi L C, S ed il M. Le censure relative all'omissione di vigilanza mosse dalla Procura, quindi, non sono recepibili poiché non è dimostrabile una loro dolosa o colposa disattenzione laddove, come relazionato dalla Direzione regionale delle entrate per la Lombardia, gli specifici incarichi ispettivi loro affidati su aspetti dell'attività dell'Ufficio del registro di Gallarate non riguardano atti per i quali sia stato poi appurato un nocumento all'erario.

Quanto, poi, a responsabilità di omesso controllo, da parte degli Organi competenti e gerarchicamente subordinati, sull'operato dell'Ufficio in questione, l'accusa, pur non priva di sostanza -anche alla luce delle critiche in tal senso rivolte all'allora Ispettorato Tasse per la regione Lombardia dall'Ispettore Cozzella - per un inizio di attività di appuramento di responsabilità, è, allo stato, del tutto generica.

Per quanto attiene alla posizione del M, vale la circostanza che lo stesso non era impiegato dell'ufficio in esame.

Il D'A, invece, deve rispondere, e di questo egli stesso ammette la responsabilità dichiarandosi pronto alla rifusione del danno, del nocumento di £ 352.000, derivante dall'illecito uso dei timbri di ufficio.

Va disattesa, poi, l'eccezione di prescrizione parziale, per quanto riguarda l'anno 1986, avanzata dall'avv.to Pes, poiché vi è stata efficace interruzione, nel 1995, della prescrizione medesima, tramite idonea messa in mora, nei confronti del M e del C.

6. Danno "all'immagine"

Così individuato, ed addebitato ai responsabili il danno patrimoniale legato alla dolosa ( per dolo eventuale, si ripete) disfunzione nell'attività di vigilanza e di accertamento sui tributi e sugli obblighi dei contribuenti rientranti nella sfera di competenza dell'Ufficio del registro di Gallarate, vi è, però, un’altra fonte di danno da valutare, relativamente alla quale va accolta l’istanza della Procura nei limiti e con le motivazioni di cui dappresso. Si tratta del nocumento – di cui già si è parlato in narrativa esponendo il contenuto dell’atto di citazione – usualmente denominato come "danno all’immagine", in senso patrimoniale, anche se talvolta, pur con riferimento alla stessa tipologia di pretesa, viene impropriamente utilizzato il termine di "danno morale" "danno non patrimoniale", "danno immateriale".

Si tratta, nei casi come quello di specie, che riguarda una persona giuridica non fisica, dei riflessi patrimoniali, secondo quanto dappresso si dirà, connessi al discredito provocato nel contesto sociale e nella pubblica opinione nei confronti di una Pubblica Istituzione, la quale si trova ad esser lesa nel suo prestigio e nel suo credito. Il termine immagine, quindi, non indica - differentemente da quanto può invece anche dirsi per un individuo- un modo di apparire con caratteristiche di corporeità, ma le modalità con cui un soggetto giuridico, alla stregua delle proprie finalità istituzionali, si conforma e viene percepito nella realtà sociale. La prospettazione di una lesione di carattere patrimoniale di tale situazione è dato che va sempre più avvalorandosi in giurisprudenza; nell'esposta tesi, nonostante contrarie pronunce ( cfr. Corte dei Conti, sez.II n. 207\98, Sez. I n. 5\94, sez. Umbria, n. 20\95) il giudicante trae conforto da importante sentenza della Corte di Cassazione (Cass. SU 21.3.1997 n. 5668, in sostanza rifacentesi, con puntualizzazioni, a precedente Cass. SU 3970\93), recentemente ribadita e consacrata dalle stesse S.U. della Suprema Corte ( 25.10.1999, n.744) che ha ritenuto tale tipologia di danno qualificabile in termini di patrimonialita', sia pure in senso ampio, conseguente alla grave perdita del prestigio e dell'immagine della personalita' pubblica; infatti, il pubblico impiegato che illecitamente - a seguito di accordo corruttivo o concussorio - percepisce una somma di denaro, o compie, animato da fini personali, violazioni di norme penali poste a difesa degli interessi della PA ( come ad esempio, per il caso di specie, comportamenti truffaldini) da' causa, con il proprio comportamento, lesivo di detti valori, ad un grave deterioramento dell'immagine della personalità pubblica dello Stato Amministrazione, immagine intesa come percezione e sentimento di rispetto e di appartenenza - e fiducia nel suo carattere di esponenzialità o nella sua capacità di curare il pubblico interesse affidatogli - nei confronti di una Istituzione.

E' per tale motivo che la Suprema Corte di Cassazione, già nella sentenza n. 5668 del 1997, sopra citata, ha precisato che, quando si parla di detto danno all'immagine nei giudizi innanzi alla Corte dei Conti, "non si fa riferimento al "pretium doloris", cioè al ristoro di sofferenze fisiche e morali, ma appunto al danno conseguente alla grave perdita di prestigio dello Stato, il quale, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale". Detta ricostruzione del danno da lesione del prestigio della PA, come danno patrimoniale, offensivo di interessi e valori che possono comportare profili di valutazione economica al di fuori dei danni non patrimoniali, trova conferma nella posizione della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 184 del 1986, ha ricostruito il concetto di danno non patrimoniale all’interno del "danno morale subiettivo" come tale riferibile solo alle persone fisiche.

I menzionati indirizzi giurisprudenziali della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione traggono ispirazione da orientamenti oramai invalsi in dottrina e in giurisprudenza civile sulla base dei quali viene limitata l'ampiezza dell'area dei danni non patrimoniali in senso stretto, rientranti nella disciplina di cui all'art.2059 CC, preferendo una interpretazione restrittiva di tale disposizione del codice civile che finisce per disciplinare il solo danno derivante, appunto, dalle sofferenze fisiche e morali patite da una persona fisica (pretium doloris), e ciò allo scopo di assicurare maggiore certezza di tutela ai diritti della personalità (tra cui l'identità personale, l'immagine, il nome, il prestigio, etc.), in conseguenza delle maggiori posssibilita' che offre la clausola generale di cui all' art. 2043 c.c., entro il quale vengono fatte rientrare dette categorie di danno risarcibile. Una compiuta e esaustiva puntualizzazione della tesi argomentativa che si va esponendo, è venuta, all'interno di questa Corte, dalla decisione di massima delle S:S.R.R. del 28.5.1999, n. 16\99\QM, che ha ripercorso e rinsaldato il valore di precedente giurisprudenza della Corte dei Conti ( v. Corte dei Conti, Sez. II, n.114\94, da ultimo Sez. Umbria 252\98; per questa Sez. v. n.31\94,133\96, 1290\96,436\998, 1458\98,1679\98, 381\99, 382\99) nella quale si è mostrata sensibilita' verso forme di tutela del pubblico erario non limitando la valutazione dell'integrita' dello stesso a considerazioni ragionieristico-contabili ma introducendo prospettive di maggior profondita' giuridica al fine di salvaguardare ogni interesse giuridicamente protetto correlato con il concetto di " contabilita' pubblica" di cui all'art. 103 della Costituzione, intendendo la nozione di patrimonio pubblico in maniera piu' esaustiva, come insieme di utilita' protette e di risorse facenti capo ai soggetti pubblici in luogo del restrittivo riferimento ai beni fisici, al denaro ed ai crediti (Corte dei Conti,Sez.II n.281\93:" E' danno qualunque violazione di un interesse pubblico generale che sia organizzato nell'ambito di un apparato pubblico ed economicamente valutabile").

I referenti normativi di tale profilo di responsabilità ammininistrativa possono ben rinvenirsi - hanno detto in sostanza le S.S.R.R. nella decisione di massima prima citata - nella lettura dell'art.52 del TU della Corte dei Conti e dell'art. 18 del TU sugli impiegati civili dello Stato, DPR n.3 del 1957, anche alla luce, aggiunge il Collegio, delle disposizioni della Carta Costituzionale ove si rinviene anche un intento di salvaguardia della personalità dello Stato, della sua immagine ed del suo prestigio: gli artt. 2,42,53, l'art. 98 che ha sancito il dovere di fedelta' e soprattutto l'art. 97 che ha costituzionalizzato il valore dell'imparzialità e del buon andamento e, quindi, anche dell' immagine della Pubblica Amministrazione. Cio' segna percio' un allineamento delle tecniche di individuazione del danno e delle forme di garanzia fra l'ordine giurisdizionale civilistico e quello amministrativo-contabile.

Per una più compiuta ricostruzione del danno di cui si discute in termini di patrimonialità questo Giudice espone poi le seguenti considerazioni: il danno all'immagine riguarda certamente la lesione di un bene immateriale cui sottosta un interesse ed un valore etico morale, non possibile oggetto di trattazione commerciale, come tale non riconducibile ad un concetto commercialistico patrimoniale; occorre pero' distinguere tra danno evento e danno conseguenza: sotto questo ultimo profilo il danno " de quo" è, si ripete, patrimoniale. Il danno non patrimoniale, infatti, comporta, per scelta di valore dell'ordinamento, un arricchimento del soggetto danneggiato, in termini economici: cio' a fronte della ritenuta opportunità di un atto satisfattivo di fronte alla perdita o alla menomazione di beni ed utilità non valutabili in termini aziendalistico-commerciali ( o, comunque, volendo la previsione normativa prescindere da tale valutazione, sia sotto il profilo dell'"an" essendo legata la sussistenza dell'obbligazione risarcitoria all'individuazione di altri parametri di rilevazione, sia sotto la prospettiva del "quantum" non più risultando la stessa legata ad indici di patrimonialità) e che, sotto il profilo del loro valore, attraggono interessi ritenuti da detto ordinamento di particolare importanza. Il danno patrimoniale, ha, di contro, come presupposto un dato, la lesione all'integrita' del patrimonio. Questa caratteristica si rinviene nel danno all’immagine nell'accezione che qui si recepisce: se, infatti, da un lato, l'imputazione di responsabilita' per detto danno ha aspetti preventivo-sanzionatori ( sull’aspetto della prevenzione, sia speciale che generale si v. questa Sez. n. 1679\98, 381\99, 657\99), valutazioni di carattere etico e connotati personali ( censura per un comportamento gravemente irrispettoso delle regole e dei doveri da seguire, v. sentenza di questa Sezione Lombardia, n.657\99), per l'aggancio all'art. 97, di cui si è già fatto cenno, d'altro canto questa ha anche un intento di carattere compensativo che, qualora si accedesse a tesi contraria a quella qui esposta, non risulterebbe correttamente evidenziato: e' infatti indubitabile che tale lesione ha ricadute economiche sia come perdita sia come necessita' di esborso per il rispristino del bene leso e, si noti bene, la decisione della Corte di Cassazione più volte citata ha utilizzato la locuzione " ripristino del bene leso" per indicare la doverosita' di una restaurazione del prestigio e della funzionalita' della Pubblica Istituzione, e non di una semplice riparazione ( dello stesso avviso Corte dei Conti Sez. Umbria 255\98;).

Si addebita, quindi, a tutti i convenuti che hanno dato luogo a comportamenti di particolare gravità, in quanto sanzionati in sede penale, un danno patrimoniale, la cui natura discende in maniera piana dall'esame delle rilevanti conseguenze patrimoniali e finanziarie che derivano dai comportamenti in esame, in termini di possibili effetti emulativi da parte di altri dipendenti, dello storno di richieste di servizi e prestazioni dal pubblico al privato, dell'induzione all'evasione nei confronti dei contribuenti, della possibilita' di alterazione delle regole che governano l'attività economica deviata dai suoi principi di concorrenzialità e trasparenza. Sottolinea questo Giudice che dette argomentazioni rilevano in sede di individuazione del danno all'immagine, poiche' valide considerazione di carattere generale quali fatto notorio, logico e statistico.

Delineati quindi i gravi fatti che si evincono dal procedimento penale e che sono stati sopra descritti, da ascrivere colpevolmente al M, al C al S al L , al M e al D'A, e configurata , sul piano teorico, la nozione del danno cui lo stesso è chiamato a rispondere, è compito del Collegio definire i criteri individuativi della perdita economica, nonche' della "spesa necessaria al ripristino del bene leso".

Se vi e' certezza circa ''"an" del danno in questione la sua quantificazione non potrà, proprio per la natura stessa del danno, non far ricorso a criteri valutativi di carattere generale o di ispirazione equitativa, ex art.1226 c.c.

Sotto il primo aspetto, e per quanto attiene al costo per il ripristino del bene leso, si deve sottolineare che la "lotta all'evasione", incrementata in maniera rilevante dagli episodi che hanno occupato il presente processo, vede il succedersi - oramai durevole e con spese a carico del bilancio dello Stato - di previsioni legislative, regolamentari e l'adozione di misure organizzative tutte tese verso tale finalità ( sul riferimento alle spese a carico del bilancio statale v. Cass. S.U. 25.10.1999, n.744, citata). Va anche detto che, poiché secondo il comune sentire, il prelievo fiscale è posto in diretto riferimento, quasi potrebbe dirsi, in maniera impropria ma significativa, di natura "sinallagmatica", con le prestazioni pubbliche nel loro complesso, il recupero di un valore etico-sociale dell'obbligazione fiscale coinvolge la necessità di una, anche costosa in senso patrimoniale, rinnovazione del credito di tutte le Pubbliche Istituzioni che dal prelievo fiscale traggono sostentamento.

Sotto l'aspetto dell'individuazione di indici equitativi, invece, si dovra' tenere conto:

della funzione svolta, ovvero il ruolo del soggetto nell'organizzazione amministrativa, la sua eventuale posizione di rappresentanza esterna e il carattere dell'ente, ovvero la sua capacita' esponenziale, il suo ambito territoriale, gli interessi di cui ha cura ( un profilo che si potrebbe definire soggettivo, cfr. Sez. Umbria 255\98): in tal senso nella presente fattispecie rileva la fondamentale importanza - anche costituzionale - dell'interesse fiscale;

la gravita' dell'illecito, le sua modalita' di perpetrazione, la reiterazione della condotta, l'arricchimento, l'induzione all'emulazione nei confronti dei colleghi ( aspetto soggettivo): tale criterio si rileva di particolare valenza nei confronti dei convenuti;

la reazione della collettivita', ed in particolare gli atteggiamenti conseguenti, anche collusivi, del mondo imprenditoriale e degli utenti dei servizi e delle prestazioni della PA ( profilo sociale).

Alla stregua di tali indici di riferimento, questa Sezione ritiene di dover condannare i convenuti coinvolti in sede penale al pagamento del danno di cui si è discusso, il cui "quantum", come da univoca giurisprudenza di questa Corte ( per questa Sez. "ex multis"436\98, 381\99, 382\99) trae indicazioni dalla tangente percepita; differentemente da altre fattispecie, questo referente, non può, in questo caso, essere utilizzato in maniera assoluta, poiché l'individuazione delle somme illecitamente percepite dai convenuti, così come accertate in sede penale, legate alle specifiche risultanze probatorie sul punto, possono creare sperequazioni di fronte a comportamenti lesivi di eguale gravità o non differenziantesi in maniera rilevante ( cfr. Lit.761.000.000 confiscati al S, in relazione alle Lit. 350.000.000 sottoposte a confisca nei confronti del M)

Vale allora considerare, in buona parte, la prospettazione, ancorchè formulata in maniera da lasciare spazi di determinazione autonoma al Collegio, ma chiara nella sua "causa petendi " e negli elementi di riferimento del "petitum", sul punto proposta dalla Procura.

Si ritiene allora che:

il M, il C ed il S debbano rispondere in solido della somma di Lit. 350.000.000;

il M ed il L C, in solido, con ripartizione interna secondo la dazione illecita percepita, della somma di Lit. 60.000.000;

benchè non vi sia stata "tangente", nell'episodio relativo al D'A, per la lesività del credito all'Amministrazione che il suo comportamento ha arrecato, questi debba rispondere della somma di Lit 5.000.000.

Le somme confiscate non vanno calcolate ai fini di cui sopra, perché sottratte non per fini risarcitori, mentre bisognerà tener conto, in esecuzione, di quanto versato in sede di patteggiamento.

I provvedimenti di sequestro vanno revocati o modificati in relazione alle statuizioni ( assoluzione o modifica del "quantum debeatur") della presente sentenza.

La condanna alle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, definitivamente pronunciando:

condanna

in solido M G e C A al pagamento della somma di £ 8.000.000.000 (otto miliardi) più rivalutazione per l'illecito danno all' Erario come individuato in parte motiva;

DA C al pagamento di £ 352.000.

M G, C A, S A al pagamento in solido della somma di £ 350.000.000 per danno patrimoniale all'"immagine", così come definito in parte motiva con uguale ripartizione nei rapporti interni, del carico della somma;

L C A e M A, in solido, al pagamento della somma di £ 60.000.000, cosi come in parte motiva, per la voce di danno di cui sopra;

D'A C al pagamento della somma di £ 5.000.000, così come in parte motiva, sempre per il danno "all'immagine"

rigetta

la pretesa della Procura nei confronti di S G, I A, F V.

Revoca o modifica il provvedimento di sequestro come in parte motiva.

Dichiara interrotto il giudizio nei confronti di F G

Sull'entita' totale delle somme vanno computati altresi' gli interessi dalla condanna al soddisfo.

Cosi' deciso in Milano nella Camera di Consiglio del giorno 23.9.1999 e del giorno 16.11.1999.

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Venturini F.to Gallicchio

IL Dirigente Superiore

F.to Dalla Ratta

La presente sentenza è stata pubblicata mediante lettura nell’udienza pubblica del 15 dicembre 1999

Ai sensi dell’art. 23 del Regolamento per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti, RD n. 1038 del 1933

F.to Garavaglia

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