CORTE DEI CONTI SEZIONI GIURISDIZIONALE PER IL PIEMONTE - Sentenza 20 ottobre 1999 n. 1635/EL/99 - Presidente DE FILIPPIS Estensore TRIDICO PM PERIN
Giudizio di responsabilità - Prove - Perizia tecnica redatta dall’amministrazione - Rilevanza.
Giudizio di responsabilità - Responsabilità - Direttore dei lavori e collaudatore - Lavori non eseguiti, o non realizzati a regola d’arte - Sussiste.
Giudizio di responsabilità - Rimborso spese - A favore dell’amministrazione interveniente - Non spetta.
Giudizio di responsabilità - Prescrizione - Decorrenza - Dalla consapevolezza del pregiudizio da parte dell’amministrazione.
La perizia tecnica redatta per conto dell’amministrazione da un professionista esterno è utilizzabile come prova, a nulla rilevando l’illegittimità del conferimento dell’incarico.Sussiste la responsabilità amministrativa del professionista incaricato della direzione lavori e del collaudo di un’opera per il danno causato all’amministrazione, avendo attestato come eseguiti a regola d’arte lavori inesistenti o realizzati con imperizia
È incompatibile con una corretta esecuzione dei lavori la circostanza che, a distanza di pochi anni, vengono riscontrati gravi difetti nell’immobile oggetto dell’intervento
Non si fa luogo al rimborso delle spese legali sostenute dall’amministrazione, che liberamente decide di partecipare al giudizio di responsabilità amministrativa mediante l’intervento adesivo dipendente.
Il dies a quo per il computo della prescrizione, nell’ipotesi di opere non realizzate a regola d’arte, decorre dalla completa obiettiva consapevolezza da parte dell’amministrazione, non solo della cattiva esecuzione dei lavori, ma anche del pregiudizio
Motivi della decisione
1. - L’organo requirente ha ravvisato l’esistenza di profili di responsabilità amministrativa a carico del sig. B. il quale, dopo aver progettato i lavori di ristrutturazione di un fabbricato civile, in qualità di direttore dei lavori ed anche, successivamente, quale collaudatore, non rilevava "gravi carenze strutturali" emerse successivamente, rilasciando, nel 1991, il certificato di regolare esecuzione dei lavori. I vizi e difetti delle opere svolte sarebbero attestati ed elencati in modo puntuale, a detta di parte attrice, nelle due perizie del 26 marzo e del 16 ottobre 1996, predisposte su richiesta dell’Amministrazione comunale. Segnatamente, la Procura regionale richiama stralci degli atti peritali, ove si evidenziano in particolare i gravi difetti del manto di copertura in coppi di cotto, con conseguenti dannose infiltrazioni di acque meteoriche, ed il fatto che, nella pratica di accatastamento del secondo piano mansardato, il convenuto ha indicato un’altezza di metri 3 quando, invece, dalle verifiche effettuate, è risultata un’altezza media di metri 2,40, insufficiente per ottenere il certificato di abitabilità, con conseguente attuale inutilizzabilità del bene. Il danno, pari a lire 103.768.000, corrisponderebbe alla spesa che l’amministrazione dovrebbe sostenere per rendere abitabile ed agibile l’immobile.
2. - La difesa del convenuto ha eccepito anzitutto la nullità dell’atto di citazione, reputandolo carente di una qualsiasi dimostrazione delle concrete situazioni generatrici del danno e della sua effettiva esistenza, e contestando il rilievo probatorio delle perizie, redatte a distanza di anni e per finalità diverse, peraltro sulla base di un incarico verbale e quindi non riferibili al Comune, stante la mancanza di deliberazione e del successivo contratto di locazione d’opera professionale ovvero qualsiasi altro incarico pubblico.
In proposito, in disparte le pur pregnanti considerazioni sul punto dell’organo requirente (il quale ha comunque escluso ogni rilievo nel presente giudizio della non perfetta rispondenza alle forme richieste dell’incarico commissionato), osserva la Sezione che le due perizie non sono state redatte da un quisque de populo estraneo all’Amministrazione comunale, bensì da professionista regolarmente iscritto all’albo dell’ordine degli architetti e tecnico comunale incaricato per l’anno di riferimento. L’affidamento dell’incarico di tecnico comunale è affatto idoneo ad instaurare un rapporto di servizio, che ricorre quando un soggetto venga comunque investito dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore dell’Amministrazione pubblica, con inserimento nell’organizzazione medesima, e con particolari vincoli ed obblighi diretti ad assicurare la rispondenza dell’attività stessa alle esigenze generali cui è preordinata. Ricorrendo i due fondamenti della continuità del rapporto e della sottoposizione a vincoli specifici, pare al Collegio non possa revocarsi in dubbio che sussista un rapporto di servizio tra il perito ed il Comune e che, di conseguenza, l’attività realizzata dal primo sia pienamente riconducibile al secondo, a nulla rilevando il fatto che sia stata commissionata verbalmente, così come non possono assumere alcun rilievo le asserite diverse finalità per le quali sono stati redatti gli atti peritali.
3. - Appurato, su un piano astratto, che le perizie redatte nel 1996 trovano ingresso nel presente giudizio, occorre ora precisarne lo specifico rilievo probatorio e l’ambito di incidenza ai fini del decidere, alla luce delle surriportate eccezioni difensive.
Negli atti peritali si accerta lo stato dell’immobile, con particolare riferimento al manto di copertura, operando dapprima un raffronto tra quanto riscontrato per le parti oggetto d’intervento e quanto indicato nel capitolato speciale d’appalto e nel registro di contabilità dei lavori, ed evidenziandone poi le differenze ed i danni conseguenti alla mancata rispondenza dei lavori alle regole dell’arte. Segue un’analisi tecnico-economica degli interventi ritenuti necessari per rendere l’immobile abitabile ed a norma.
La Sezione ritiene, anche in considerazione del fatto che questo limitato aspetto non è stato fatto oggetto di specifiche contestazioni da parte convenuta, che le perizie siano indubbiamente attendibili per quel che concerne la mera rilevazione dello stato dei luoghi al 1996.
4. - Sempre in relazione all’attendibilità degli atti peritali, premesso che l’organo requirente pone a base di riferimento delle proprie negative valutazioni sull’esecuzione dei lavori "le prescrizioni derivanti dal capitolato speciale d’appalto", a suo dire non pienamente osservate, la posizione difensiva è incentrata sui seguenti aspetti: i vizi, rilevati dopo un quinquennio dal collaudo, sono verosimilmente il frutto del degrado per l’assenza di qualsiasi cura e manutenzione ovvero riflettono opere non eseguite in quanto ne sono state eseguite altre al loro posto; con una spesa di entità relativamente lieve è stato ristrutturato l’immobile, prima quasi fatiscente. Con particolare riferimento al primo aspetto, ci si sofferma sul fatto che l’intervento di ristrutturazione eseguito non prevedeva il rifacimento del tetto per mancanza di risorse finanziarie, e si aggiunge che, se i competenti organi comunali avessero effettuato annualmente l’indispensabile verifica del corretto posizionamento dei coppi, non vi sarebbero state infiltrazioni meteoriche.
In proposito occorre rammentare che il capitolato speciale, pur se inserito nella disciplina del rapporto negoziale in forma documentalmente distinta dal contratto cui è allegato, ha indubbia natura contrattuale e s’impone quindi alle parti a seguito del loro consenso. Ciò non esclude però il diritto potestativo dell’Amministrazione di apportare, per i motivi più vari, variazioni (quantitative e/o qualitative) all’opera da realizzarsi, anche se lo ius variandi deve essere esercitato entro i limiti stabiliti.
Nel caso di specie, i lavori inizialmente indicati nel capitolato speciale hanno subito variazioni come da perizie di variante dell’8 novembre 1988, senza aumento di spesa, e del 20 novembre 1989, con aumento di spesa e conseguente atto negoziale n. 761 di rep. del 16 gennaio 1990. Di conseguenza il regolamento negoziale cui fare riferimento non è solo quello del capitolato speciale, bensì quello risultante dal susseguirsi degli atti sopracitati.
Tanto premesso, alla luce delle opere da realizzarsi in base al citato regolamento negoziale come sopra individuato e realizzate secondo quanto indicato nello stato finale dei lavori eseguiti (atto dell’8 marzo 1990) e nel certificato di regolare esecuzione del 21 ottobre 1991, è necessario ora esaminare le eccezioni formulate dall’odierno convenuto sugli specifici vizi e difetti dell’immobile e valutare se effettivamente siano, come sostiene l’odierno convenuto, frutto del degrado ovvero relative a lavori non eseguiti e da non eseguirsi.
L’eccezione principale riguarda il tetto dell’immobile che, secondo la difesa, non era oggetto di rifacimento. Più precisamente, solo in una successiva variante era previsto un intervento minimale consistente nella posa di una copertura sottocoppo per lire 1.937.496 e la sostituzione dei coppi per lire 5.434.440, senza alcun intervento sulla piccola e grande orditura e sull’inclinazione delle falde.
Osserva il Collegio che in realtà il capitolato speciale prevedeva (art. 8) la "demolizione del manto di copertura e di orditure varie" e (art. 15) la costruzione della copertura del tetto, con formazione di capriate con orditura sulla quale appoggiasse la copertura costituita da coppi o tegole portoghesi in cotto e delle migliori marche. Nella seconda variante, poi, è prevista la "demolizione di manto di tetto" per lire 3.997.350, la "realizzazione di copertura in tegole" per lire 2.166.300, la "realizzazione di coibentazione del tetto" per lire 7.786.680, la "fornitura e posa di onduline sott." per lire 1.937.496 ed il "rifacimento del manto di copertura" per lire 5.434.440. Tutti questi interventi risultano nello stato finale dei lavori, sottoscritto dall’odierno convenuto, e quindi sono stati eseguiti e, nel certificato di regolare esecuzione, si legge, tra l’altro, che "la lavorazione è stata condotta a regola d’arte", che "i lavori sono stati eseguiti a regola d’arte con buoni materiali e idonei magisteri" e che "per quanto non è più ispezionabile, di difficile ispezione o non è stato ispezionato il sottoscritto, in qualità di direttore dei lavori, è in grado di assicurare, con l’impresa assuntrice dei lavori, la perfetta corrispondenza tra le condizioni stabilite ed i lavori eseguiti e contabilizzati...".
Orbene, tali asserzioni non possono certo essere condivise se è vero che, dopo alcuni anni (cfr. perizie del 1996), il manto di copertura presenta notevoli spaccature e sfaldamenti, un notevole numero di coppi sono fallati, non vi sono fermacoppi, il colmo del tetto presenta punti di sconnessione e distacco e, più in generale, l’intero manto di copertura "necessita di un radicale intervento per la salvaguardia dell’immobile". Sempre in perizia si legge che "il colmo del tetto non risulta essere sigillato a regola d’arte. La non perfetta messa in ordine di un camino, esistente al momento della ristrutturazione, ovvero il suo tamponamento in modo non corretto, ha provocato gravi danni presso la testata dell’immobile, nonché all’interno dell’alloggio posto al secondo piano ed al primo piano con fronte su via primo maggio".
Non è certo compatibile con una corretta esecuzione dei lavori il fatto che, a distanza di pochi anni, sia stata rilevata una difettosità di tale entità per la riferita parte dell’immobile oggetto d’intervento. Di tale difettosità (e delle relative conseguenze dannose) deve rispondere il sig. B., tenuto alla verifica della rispondenza dei lavori eseguiti alle regole dell’arte, sia nella sua qualità di direttore dei lavori sia in sede di collaudo.
Il patrono del convenuto ha poi sostenuto che se ogni anno da parte del Comune si fosse proceduto all’indispensabile verifica del corretto posizionamento dei coppi non vi sarebbero state infiltrazioni meteoriche, e ciò considerate anche le abbondanti precipitazioni nevose intervenute nel periodo seguente alla realizzazione dei lavori. L’eccezione è però priva di pregio per la semplice considerazione che una simile verifica annuale, in considerazione del particolare luogo in cui si è intervenuti (il tetto), non è in alcun modo richiesta a chi ha la disponibilità dell’immobile, che invece fa affidamento proprio sul fatto che la copertura ha costituito oggetto di un recentissimo intervento e sulla presunta bontà del lavoro eseguito, e ciò pur tenendo conto delle avvenute precipitazioni nevose, comunque non sufficienti a costituire valida giustificazione del riscontrato degrado.
Altra eccezione difensiva riguarda il fatto che, trattandosi di appalto a misura e non a corpo, talune opere non sono state eseguite per mancanza di fondi, ma non sono state nemmeno contabilizzate. Pertanto, ad esempio, non sono stati scrostati tutti gli intonaci, non è stato effettuato il ripristino dello scalone, non è stata sabbiata ma solo verniciata la ringhiera, ecc.
All’uopo si osserva che indubbiamente l’appalto dei lavori di cui trattasi era con determinazione del corrispettivo non a corpo, ma a misura (e tale scelta, eminentemente discrezionale, non è certo sindacabile da questo Giudice), e quindi, essendo le risorse finanziarie limitate, era necessario operare delle scelte dei lavori da effettuare (anch’esse esulanti dal sindacato giurisdizionale). Ciò non esclude però che il convenuto debba rispondere di quanto da lui attestato come eseguito "a regola d’arte" ed invece non eseguito ovvero realizzato con imperizia e delle conseguenze dannose da ciò derivanti e, in sostanza, delle spese sostenute per opere in realtà non realizzate o mal realizzate e dei danni all’immobile derivanti dalla cattiva esecuzione dei lavori, danni quantificabili tenendo conto della spesa necessaria per ripristinare la situazione di fatto preesistente. E’ questo il danno imputabile, in presenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, al sig. B., sul punto non convenendo con la Procura, che invece quantifica il danno nella spesa presuntivamente da sostenersi per rendere abitabile ed agibile l’immobile e sulla base dell’importo comunicato dall’Amministrazione (lire 103.768.000), peraltro superiore a quello risultante dalla somma degli importi stimati in perizia per gli interventi indicati nell’analisi tecnico-economica (ammontanti a complessive lire 87.200.000), tra i quali sono inoltre inclusi nuovi e diversi lavori rispetto a quelli oggetto dell’avvenuta ristrutturazione, taluni dei quali anche voluttuari (come i punti d’illuminazione esterni crepuscolari) e quindi certamente non imputabili al sig. B.
Così, quanto agli intonaci, se può esser vero che non tutti sono stati scrostati (dagli iniziali mq. 928 si è passati, con la prima variante, a mq. 941 e, con la seconda variante, a mq. 702, risultanti nello stato finale dei lavori eseguiti, e ciò a fronte di una rasatura di oltre 1000 mq.), è altresì vero che in perizia nulla si dice in merito alla scrostatura, ma si attesta invece la mancata rasatura degli intonaci dei locali residenziali e la non corretta rasatura dei locali rivestiti. Nessuna contestazione poi riguarda il mancato ripristino dello scalone, mentre la contestazione inerente alla ringhiera consegue a quanto si legge nel registro di contabilità n. 2 dei lavori eseguiti, n. d’ordine 98, pag. 5 (riportato in perizia): "ripristino della ringhiera dello scalone mediante sabbiatura degli elementi metallici..."
Nelle perizie prodotte dall’accusa sono indicati una serie di altri vizi e difetti delle opere realizzate che questo Giudice però non ritiene attribuibili alla condotta del convenuto, per i seguenti motivi: quanto alla presunta difettosità dell’impianto elettrico per l’avvenuto riscontro di non meglio precisati "fili volanti, mancanza di frutti, placche non posizionate, forometrie per frutti eccessive e non stuccate", occorre fornire la prova, inesistente in atti, che i punti luce e le prese luce contabilizzati in realtà non esistono, o non funzionano, tenuto conto anche che per il citato impianto esiste la dichiarazione di conformità come da normativa vigente; quanto al mancato funzionamento dell’impianto citofonico, non sono indicati i motivi di ciò ed il riscontro è avvenuto dopo un lungo lasso di tempo, il cui decorso notoriamente incide sull’efficienza di simili strumenti qualora non utilizzati; per quel che concerne la qualità, inferiore, dei materiali dei davanzali e delle soglie (parte in pietra serizzo, ma parte in cemento), risulta dalla seconda variante una minor quantità di rivestimenti effettuati, sicché presumibilmente il mancato rivestimento riguarda lavori non effettuati e da non effettuarsi per scelta motivata probabilmente da ragioni finanziarie; quanto alla difettosità nel funzionamento di talune gelosie e serramenti, si ritiene che ciò sia dovuto al fatto che essi sono rimasti privi di manutenzione per diversi anni.
5. - Quanto all’ulteriore eccezione in base alla quale con una spesa di entità relativamente lieve è stata portata a termine la ristrutturazione dell’immobile, prima quasi fatiscente, la Sezione osserva che oggetto del contendere non è tanto il costo della ristrutturazione, elevato o meno che sia, quanto la qualità dei lavori effettuati o comunque da effettuarsi (e solo di quelli), sicché a nulla rileva nel presente giudizio ed in relazione alla domanda di parte attrice la spesa sostenuta in termini assoluti.
6. - Riassumendo, l’odierno convenuto, in qualità di direttore dei lavori e, successivamente, di collaudatore, era tenuto a controllare che i lavori venissero eseguiti a regola d’arte: avendo omesso tale verifica, risponde della cattiva realizzazione dei lavori, e cioè della difettosità del manto di copertura, della non corretta esecuzione della rasatura e dell’omessa sabbiatura della ringhiera dello scalone. Risponde altresì delle conseguenze dannose derivanti dalla cattiva esecuzione degli interventi testé elencati, e quindi dei danni agli alloggi per le infiltrazioni meteoriche.
L’aver riportato, nella pratica di accatastamento del piano secondo mansardato residenziale, un’altezza media di metri 3 quando, invece, da verifiche effettuate è risultata un’altezza media di metri 2,40, non costituisce invece danno, non potendo imputarsi per tale negligenza al convenuto l’onere dei lavori necessari, ma mai previsti né contabilizzati, per elevare i locali ad un’altezza idonea per ottenere il certificato di abitabilità, ma è comunque sintomatico dell’esistenza, nella fattispecie, di un comportamento gravemente colposo in relazione alla grave noncuranza, imperizia e superficialità resa altresì ostensiva dalle peculiarità dei vizi citati in uno con la posizione di particolare privilegio del convenuto, prima progettista, poi direttore dei lavori ed infine collaudatore.
7. - L’eccezione di intervenuta prescrizione è priva di pregio. In proposito la difesa ha osservato che il termine di prescrizione quinquennale decorre dal fatto storico e non dal momento in cui si sono verificate le infiltrazioni meteoriche provenienti dal tetto, momento in cui il Comune avrebbe conosciuto il fatto dannoso, sia perché il tetto non è stato oggetto d’intervento sia perché comunque la conoscibilità dovrebbe ricollegarsi alle prime precipitazioni meteoriche, e si richiama in proposito giurisprudenza che riferisce il dies a quo all’obiettiva conoscibilità e non alla conoscenza effettiva.
All’uopo il Collegio osserva che, nella fattispecie concreta, diversi elementi inducono a ritenere che la prescrizione non sia ancora maturata al momento della costituzione in mora da parte dell’Amministrazione e, successivamente, dell’atto di citazione: da un lato, quanto alla corretta esecuzione dei lavori riguardanti la copertura, la peculiarità del tipo d’intervento per cui la difettosità non si rileva nell’immediatezza della realizzazione, ma è obiettivamente conoscibile solo dopo il decorso di un ragionevole lasso temporale, durante il quale è possibile verificare la tenuta del tetto e prima del quale indubbiamente il diritto non può essere fatto valere e comunque non sussiste ancora una completa obiettiva consapevolezza, non solo della cattiva esecuzione dei lavori, ma anche dello stesso pregiudizio; dall’altro, più in generale, il fatto che il convenuto, fino a tutto il 1993, era stato nominato dal Comune quale tecnico comunale perché inesistente un ufficio tecnico, sicché proprio lui, e non altri, era il soggetto tenuto a verificare e denunciare i vizi e difetti dell’opera nel momento della loro manifestazione, e pertanto la relativa condotta omissiva determina l’effetto impeditivo della cognizione, da parte dell’Amministrazione, della situazione pregiudizievole. Comunque, non versandosi, nel caso in esame, in ipotesi di coincidenza cronologica tra il comportamento antigiuridico e la realizzazione completa della fattispecie dannosa, il dies a quo non può che coincidere con il momento in cui il danno si è realizzato nella sua completezza, ossia nel 1996.
8. - Anche l’accettazione incondizionata dell’opera da parte del Comune, che ha pagato le prestazioni, e della Regione, ritenuta sufficiente dalla difesa per escludere ogni responsabilità in capo al sig. B., non ha invece, ad avviso del Collegio, alcun rilievo esimente, in quanto nonostante ciò residua la responsabilità di colui il quale, legato da un rapporto di servizio con una pubblica amministrazione, cagioni a questa un danno. La relativa eccezione difensiva è pertanto palesemente priva di pregio.
9. - Essendo impossibile raggiungere la prova del preciso ammontare del danno, questo, comunque certo, è da quantificarsi equitativamente secondo i criteri suesposti, e tenuto altresì conto che il tempo trascorso può aver inciso sullo stato dei luoghi, rendendo necessaria una manutenzione della quale non può essere considerato responsabile l’odierno convenuto. Pertanto questo Giudice ritiene che esso vada determinato in lire 30.000.000, oltre alla rivalutazione monetaria. Dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino alla data del pagamento sono altresì dovuti gli interessi legali.
10. - Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Quanto alle spese per onorari di difesa sostenute dal Comune interveniente (cfr. nota spese consegnata in udienza per un totale complessivo di lire 17.836.740), il Collegio rileva, su un piano generale, che l’ordinamento processualcivilistico prevede in via ordinaria la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese in favore dell’altra parte e come conseguenza obiettiva della soccombenza. Ciò risponde ad un principio di giustizia fondato sul fatto che colui che ha ragione ed è costretto ad agire o resistere in giudizio per far valere il proprio diritto non deve poi subire menomazione alcuna, cosa che al contrario accadrebbe qualora, nonostante vittorioso, non venisse sollevato dal carico delle spese sostenute per partecipare al processo.
Nel caso dell’intervento del Comune nel presente giudizio, non essendo contenute domande nuove (che ne avrebbero determinato l’inammissibilità nel giudizio di responsabilità amministrativa), esso può qualificarsi quale intervento adesivo dipendente (così come peraltro affermato espressamente dal difensore in udienza), ossia diretto unicamente a sostenere le ragioni di una delle parti (art. 105, comma secondo, c.p.c.), e cioè del P.M., unico ed esclusivo legittimato attivo. L’intervento ad adiuvandum avviene per libera scelta, non necessitata né necessaria, posto che gli interessi del Comune, di natura pubblica, trovano piena ed adeguata tutela nell’azione del Procuratore regionale, rispetto al quale il Comune interveniente assume una posizione processuale subordinata.
Orbene, se questi decide di intervenire, nonostante i propri interessi siano già tutelati dal P.M., pare comunque non rispondente a criteri di giustizia addossare anche queste spese alla parte soccombente. Pertanto le spese per onorari di difesa sostenuti dal Comune interventore debbono restare a carico di questo.
11. - Essendo operante il sequestro conservativo per lire autorizzato con decreto presidenziale 10 settembre 1998 e confermato dal Giudice designato con ordinanza n. 140/E.L./98 del 5 novembre 1998, occorre anche dichiarare, ai sensi dell’art. 669 novies c.p.c., l’inefficacia del provvedimento cautelare adottato per la parte eccedente la somma dovuta.
Per questi motivi
La Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte
CONDANNA
il sig. B. al pagamento, in favore del Comune di C, della somma di lire 30.000.000 (trentamilioni), oltre alla rivalutazione monetaria.
Sono altresì dovuti gli interessi legali, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo, nonché le spese di giudizio liquidate in complessive lire 907.970 (novecentosettemilanovecentosettanta).
E’ esclusa la ripetizione delle spese per onorari di difesa del Comune.
Ai sensi dell’art. 669 novies c.p.c. dichiara l’inefficacia del sequestro autorizzato con decreto presidenziale del 10 settembre 1998 per la somma eccedente quella dovuta in conseguenza della presente decisione.