CORTE DEI CONTI, SEZIONI RIUNITE - Sentenza 20 marzo 2003 n. 6/SR/QM - Pres. Castiglione Morelli, Est. Sanzi - P.M. Saviano.
1. Responsabilità amministrativa – Azione di responsabilità – Pubblico ministero contabile – Pubblico ministero ordinario – Differenze.
2. Responsabilità amministrativa – Azione di responsabilità – Pubblico ministero contabile - Invito a dedurre – Natura pre-processuale – Sussiste – - Invito a dedurre - Idoneità di atto di costituzione in mora del presunto responsabile del danno erariale – Sussiste.
1. Il pubblico ministero contabile, in ragione della differenza degli interessi tutelati e del tipo di azione esercitata che ne diversificano nettamente la posizione, anche se fa parte dell’Ufficio del pubblico ministero inteso unitariamente, non è equiparabile del tutto alla figura del pubblico ministero penale o civile.
2. L’invito a dedurre appartiene ad una fase prodromica all’accertamento della responsabilità ed ha natura pre-processuale, viene utilizzato alla conclusione della fase delle indagini del procuratore regionale e, quindi, è un prevalente strumento di definizione delle acquisizioni probatorie dell’attore, il quale, proprio in relazione ad esse, si determina ad instaurare il giudizio con la citazione ovvero a disporre l’archiviazione; da ciò consegue che lo stesso soggetto invitato non acquista la qualità di parte processuale.
Con l’atto di citazione il pubblico ministero contabile esercita l’azione di responsabilità, che, finalizzata al risarcimento del danno sopportato dall’erario ha contenuto patrimoniale, per cui, seppure il pubblico ministero contabile agisce nell’interesse dell’ordinamento, ad esso è direttamente affidata la tutela della gestione della finanza pubblica in generale e della pubblica amministrazione danneggiata in particolare; da ciò deriva che il procuratore regionale, nel proporre l’azione di responsabilità, esercita un potere di natura sostanziale, in quanto, essendo preclusa all’amministrazione titolare del diritto l’iniziativa processuale persegue la realizzazione della pretesa risarcitoria come unico soggetto abilitato ad esprimere la volontà autonoma di adire il giudice per conseguire tale realizzazione.
Quando l’invito a dedurre contenga, nella sua contestualità, gli elementi di cui agli art. 1219 e 2943 cod. civ., contiene la dimostrazione della volontà di ottenere la realizzazione del credito e, come tale, si colloca nella stessa prospettiva dell’atto di citazione, poiché serve a rendere effettivo il conseguimento dell’obiettivo della tutela del pubblico erario e, quindi, degli interessi patrimoniali della pubblica amministrazione, per cui, per la evidenziata affinità teleologica, ben può il pubblico ministero contabile, costituire in mora il presunto debitore ad integrazione e completamento del proprio potere di realizzare la pretesa risarcitoria dell’amministrazione danneggiata.
SENTENZA
sulla questione di massima n. 157/SR/QM, rimessa dalla Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello con ordinanza n. 086/2002 in data 25 novembre 2002, resa nel giudizio di appello iscritto al n. 015295 proposto dal Procuratore regionale per la Campania, con appello incidentale proposto dal sig. G. V., rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Palma e Patrizia Kivel Mazuy, avverso la sentenza n. 127/2001del 10 dicembre 2001 della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania.
Visti gli atti e documenti di causa;
Uditi all'udienza pubblica del 22 gennaio 2003, il relatore cons. Augusto Sanzi, l’avv. Renato De Lorenzo, per delega dell’avv. Giuseppe Palma in difesa del sig. V., nonchè il pubblico ministero nella persona del vice Procuratore generale, G. Saviano.
Ritenuto in
FATTO
In relazione a fatti di concussione, segnalati dal procuratore della repubblica presso il Tribunale di Napoli, il cui procedimento, peraltro, si è concluso con sentenza di patteggiamento, per quanto qui interessa, era proposta, dal competente procuratore regionale della Corte dei conti, citazione nei confronti del sig. G. V., funzionario della Regione Campania, con richiesta di risarcimento, nella misura di £. 20.000.000, del danno all’immagine arrecato al predetto ente in conseguenza della vicenda penale, che lo aveva riguardato.
La Sezione giurisdizionale regionale, con sentenza n. 127/2001 in data 10 dicembre 2001, assolveva il predetto convenuto, dichiarando prescritta l’azione sulla base della considerazione che non può riconoscersi effetto interruttivo all’invito a dedurre in quanto adottato da organo, il procuratore regionale, privo di "legittimazione sostanziale ad emettere un atto di costituzione in mora": in effetti, la questione era rilevante in quanto la sentenza penale di patteggiamento è divenuta irrevocabile il 13 maggio 1995 e la citazione è stata notificata al V. il 6 giugno 2000 e, cioè, oltre cinque anni, mentre l’invito a dedurre, che conteneva la formula di costituzione in mora ex art. 1219 e 2943 cod. civ., è stato notificato il 14 marzo 2000.
I giudici di primo grado, pur tenendo presenti i principi affermati dalle Sezioni riunite con la sentenza n. 14/2000/QM e pur prendendo atto della formulazione in concreto dell’invito nella fattispecie di causa, hanno osservato che la mancanza di legittimazione in senso sostanziale rende inefficace l’atto di costituzione in mora, mancanza che deve riconoscersi in capo al procuratore regionale atteso che:
- l’invito a dedurre non ha efficacia interruttiva ex se;
- invito a dedurre e costituzione in mora sono atti distinti;
- il soggetto che adotta l’atto di costituzione in mora può essere diverso dal creditore, purché abbia un titolo abilitante;
- le considerazioni svolte dalle Sezioni riunite nella predetta sentenza sono condivisibili quanto all’impostazione del problema (posizione del procuratore regionale, interessi che lo stesso è chiamato a realizzare, possibilità di disporre del diritto di credito da parte di soggetto diverso dal titolare), ma non se si verificano in concreto i compiti e poteri attribuiti al pubblico ministero contabile;
- questi ha solo attribuzioni giurisdizionali, non di amministrazione attiva, come si ricava anche dalle disposizioni dell’ordinamento giudiziario che riguardano il pubblico ministero e sostenere che possa costituire in mora significherebbe disporre del diritto di credito dell’amministrazione ed esercitare una attività di amministrazione attiva.
Tale sentenza è stata impugnata dal procuratore regionale per la Campania, il quale ha rimproverato ai primi giudici:
- di avere negletto il carattere officiale dell’azione del pubblico ministero, cui è legata l’incapacità o l’inidoneità della p.a. a curare gli interessi pubblici nelle ipotesi di responsabilità amministrativa;
- di avere assimilato le funzioni del pubblico ministero contabile a quelle del pubblico ministero civile;
- che l’atto di costituzione in mora non è atto di disposizione del credito, ma atto ricettizio, privo di carattere negoziale, che deve essere diretto al debitore e, come ha sottolineato la giurisprudenza, non occorre che provenga dal creditore;
- il pubblico ministero contabile, la cui posizione è assimilabile a quella del procuratore legale che agisce nell’interesse del suo cliente, è investito a tutti gli effetti della cura del diritto risarcitorio dell’amministrazione danneggiata sin dal momento in cui viene attivato dalla notitia damni;
- i principi, cui rifarsi, sono quelli della sentenza n. 14/2000/QM delle Sezioni riunite e va considerato che, data la particolarità del debito derivante da responsabilità amministrativa, il suo accertamento può richiedere e richiede indagini da parte del pubblico ministero, sicché la p.a. può non essere in grado di adottare atti interruttivi.
Con controricorso e appello incidentale, il sig. V. ha ricordato che, per parte della giurisprudenza, non esiste identità tra l’azione di danno di cui all’art. 2043 cod. civ. e quella di responsabilità amministrativa e che non si verifica alcuna spoliazione dell’amministrazione che può ben agire autonomamente per ottenere il risarcimento o con la costituzione di parte civile in sede penale o con l’azione civile ordinaria: da ciò deriva l’inesistenza di una delega ad esercitare la messa in mora.
La Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, con l’ordinanza di rimessione (n. 86/2002 del 25 novembre 2002), rilevato che sulla questione della possibilità, per il pubblico ministero, di utilizzare strumenti extra processuali, "esiste a tutt’oggi un notevole contrasto giurisprudenziale sul ruolo del P.M. contabile al di fuori del processo" e che la sentenza n. 14/2000/QM delle Sezioni riunite è stata seguita dalla Sezione giurisdizionale centrale d’appello (n. 377 del 12 dicembre 2001), ma non dalla Sezione terza (n. 361 del 21 novembre 2001), ha ravvisato l’opportunità che sia chiarito "se il P.M. contabile, titolare dell’azione pubblica debba essere ridimensionato al ruolo di mero sostituto processuale oppure se goda di poteri sostanziali indipendentemente dal credito dell’amministrazione e se tra l’altro possa con atto di amministrazione attiva costituire in mora il debitore".
Il procuratore generale, con due memorie depositate rispettivamente il 27 giugno 2002 e l’8 gennaio 2003 (le considerazioni, svolte nella prima, sono state riversate nella seconda), dopo aver richiamate le affermazioni contenute nella memoria di costituzione nel giudizio per questione di massima che si è concluso con la sentenza n. 14/2000/QM e le affermazioni di tale pronuncia, ha eccepito la manifesta inammissibilità e/o improcedibilità della proposta questione di massima, identica a quella già decisa con la predetta sentenza, mancando o non essendo indicati elementi nuovi atti a richiedere una nuova pronuncia.
Nel merito della questione, il procuratore generale ha sostenuto che:
- l’invito a dedurre interviene dopo che l’istruttoria preliminare è stata compiuta e sono stati contestati al presunto responsabile fatti specifici, per cui è atto processuale tipico e prodromico, come riconosciuto dalla giurisprudenza (Sez. Marche n. 493/96, Sez. II centr. N. 123/94, Sez. Sicilia n. 15/95, SS.RR. n. 14/98/QM) e è atto idoneo a prospettare l’affermazione della pretesa pubblica e a possedere tutti gli elementi per costituire in mora (altri atti, di minore spessore, nell’ordinamento, quello penale, producono tale effetto);
- dalle sentenze n. 513 del 2002 della Corte costituzionale e n. 27/99/QM delle SS.RR. deriva che non può sussistere una presunta commistione tra profili non processuali e processuali nella fase anteriore alla citazione, ma si tratta di attività processuale, comprese le produzioni probatorie del presunto responsabile;
- conferma ne viene anche dalla disciplina della sospensione dei termini nel periodo feriale (legge n. 742 del 1969), che, alla luce della giurisprudenza (Cass. n. 2033 del 1973, n. 7409 e n. 7337 del 1990, n. 3351 del 1997, Corte cost. n. 49 del 1990, n. 268 del 1993), ha trovato applicazione sempre maggiore, in quanto è stata ampliata la nozione di atto processuale, così che vi rientra anche il termine di 120 giorni per l’emissione dell’atto di citazione, legato al procedimento di invito;
- i giudici di primo grado, per negare la legittimazione del pubblico ministero contabile a costituire in mora, hanno dimenticato il carattere di officialità dell’azione di responsabilità amministrativa, da cui deriva che a lui è affidata la tutela dell’osservanza dell’ordinamento giuridico e anche degli interessi particolari e concreti della p.a.: il pubblico ministero contabile possiede sia la legitimatio ad causam che la legitimatio ad processum, altrimenti si avrebbe una ipotesi di sostituzione processuale, il che non è, in quanto egli agisce per la difesa di una posizione giuridica propria;
- non è condivisibile l’assimilazione al pubblico ministero civile, date le diversità di funzioni ed azioni: inoltre il p.m. contabile esercita un novero di poteri che quello civile non ha (art. 5, sesto comma del d.l. n. 453 del 1993: esibizione di documenti, ispezioni, accertamenti diversi, sequestro di documenti, audizioni personali): tra i suoi poteri rientra anche quello, cautelare, di costituzione in mora;
- tenuto conto del disposto del primo comma dell’art. 2943 cod. civ., se con la citazione si interrompe la prescrizione, non esiste motivo per escludere che il p.m. contabile, per ottenere lo stesso effetto, possa emettere un atto di costituzione in mora, che non è atto provvedimentale, ma atto giuridico in senso stretto (Cass. n. 3380 del 1983), non un’attività, ma un mezzo cautelare stragiudiziale, cioè non atto di disposizione del diritto di credito, ma atto recettizio non a carattere personale (l’atto interruttivo è indice di vitalità del diritto e non esercizio del diritto, come dimostra anche la deroga dell’art. 1219 cod. civ. e la non necessarietà legata al fatto illecito, da estendere a quello contrattuale);
- deve ritenersi superato il ricorso all’ escamotage che la costituzione in mora debba essere richiesta, da parte del procuratore generale, all’amministrazione, attesi gli inconvenienti che vi sono legati;
- è incongruo che il pubblico ministero contabile possa esercitare un potere di diritto sostanziale e procedurale ante causam quale quello di chiedere il sequestro conservativo ed escludere che lo stesso compia attività interruttiva della prescrizione: il contesto in cui si muove il pubblico ministero contabile è più ampio di quello del mandato, per cui ad esso non può essere negato l’esercizio di quegli strumenti extraprocessuali atti a consentire una spontanea riparazione della lesione subita;
- il pubblico ministero contabile non agisce nell’interesse esclusivo della p.a. lesa, ma in difesa del principio di buona amministrazione e provvede alla tutela imparziale della pubblica gestione e del principio dell’equilibrio del bilancio dello Stato: egli, esercitando la costituzione in mora, ricompone tra le parti del rapporto obbligatorio l’equilibrio alterato dall’illecito e realizza l’interesse erariale;
- viene prospettata l’incostituzionalità delle statuizioni giurisprudenziali con cui si vuole negare al p.m. la facoltà di costituzione in mora del presunto responsabile, relativamente all’art. 5 del d.l. n. 453 del 1993, convertito dalla legge n. 19 del 1994 e successive modificazioni, nella parte in cui non prevede il predetto potere dello stesso p.m.
La memoria conclude insistendo perché le Sezioni riunite vogliano:
- in via principale, dichiarare inammissibile e/o improcedibile la questione di massima predetta, in quanto sulla stessa le Sezioni riunite si sono già pronunciate;
- in subordine, dichiarare che l’invito a dedurre, ex se, interrompe il termine prescrizionale;
- in via ulteriormente gradata, dichiarare che il procuratore regionale ha facoltà di costituire in mora il presunto responsabile, con formula ad hoc contestuale allo stesso invito a dedurre.
Il sig. V., che si è costituito con il patrocinio degli avv. Giuseppe Palma e Patrizia Kivel Mazuy, con memoria depositata il 1° luglio 2002, nel riportarsi agli atti difensivi del giudizio a quo, ha sottolineato che nell’invito a dedurre si parla di danno non patrimoniale, per cui la messa in mora, in relazione alla costituzione di parte civile nel processo penale, aveva ad oggetto un titolo e una richiesta diversi da quelli dell’invito e che, siccome il procuratore regionale non ha affermato di agire nell’interesse della Regione, l’atto è inidoneo ad interrompere la prescrizione privo dell’elemento fondamentale del riferimento all’agire in nome e per conto.
Nell’udienza odierna, l’avv. Renato De Lorenzo, per delega dell’avv. Giuseppe Palma, ha sottolineato che la giurisprudenza era altalenante: nel 2000 erano stati prospettati tre profili, optando le Sezioni riunite per la seconda tesi. Ora, il procuratore regionale contabile ha soltanto poteri processuali, non sostanziali, non può compiere atti di natura amministrativa: il creditore può incaricare altri di costituire in mora, ma il delegato lo deve fare con memoria in nome e per conto. Nel processo contabile, non è così, ma il procuratore regionale, come risulta dalle norme speciali, di settore, e da quelle del codice di procedura civile, non ha compiti di amministrazione attiva, tra cui rientra la costituzione in mora; in proposito, la ricostruzione, operata dalla sentenza n. 127 della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania, è precisa: nella giurisprudenza, il contrasto è più ampio di quello semplificativamente prospettato dall’ordinanza di rimessione e, se manca una disposizione che disciplini i poteri del p.m. contabile, vanno applicate, per analogia, le norme del codice di procedura civile.
Il rappresentante della Procura generale, confermato l’atto scritto, ha ribadito l’inammissibilità della proposta questione di massima e il fatto che, dei profili prospettati quando venne discussa la questione di massima poi risolta con la sentenza n. 14/2000/QM, non sono stati, all’epoca, esaminati quelli della natura giuridica dell’invito a dedurre e della sua idoneità a costituire in mora e quello che lo stesso invito e l’atto di citazione siano parti di un unico procedimento. Rinnova la richiesta di una pronuncia su tali profili: l’invito a dedurre appartiene all’attività cautelare, non sostanziale, per cui la problematica sulla natura pre-processuale o processuale di tale atto è inconferente, rappresenta praticamente un error calami anche della sentenza n. 513 del 2002 della Corte costituzionale. La costituzione in mora, come la diffida, ha un risvolto processuale: il procuratore regionale, data la sua posizione nell’ambito dell’ordinamento giuridico, ha poteri di carattere sostanziale, come dimostra la possibilità di disporre il sequestro di documentazione e il sequestro conservativo, poteri, questi, di indubbio spessore ed incidenza sulle situazioni sostanziali delle parti, così che è incongruo escludere che lo stesso procuratore regionale possa costituire in mora. La prescrizione è interrotta dalla notificazione della citazione, ma anche dall’invito a dedurre, per quanto fin qui considerato.
Considerato in
DIRITTO
1. La Sezione terza giurisdizionale centrale ha deferito a queste Sezioni riunite la questione di massima: se, nel nuovo sistema processuale, il pubblico ministero contabile possa compiere atti di natura sostanziale al di fuori del processo, ivi compresi atti con effetti di costituzione in mora, con particolare attenzione alla posizione dello stesso pubblico ministero nel processo contabile.
In particolare, il giudice remittente, il quale è stato chiamato a pronunciarsi sulla possibilità, per il procuratore regionale, di interrompere il decorso della prescrizione con invito a dedurre contenente affermazione di costituzione in mora -possibilità negata in primo grado (Sez. giur. Reg. Campania, 10 dicembre 2001, n. 127/2001) -, pur tenendo conto della sentenza n. 14/2000/QM di queste Sezioni riunite, ha ravvisato ancora esistente un contrasto giurisprudenziale e ha affermato la necessità che sia chiarito se il P.M. contabile, titolare dell’azione pubblica, debba essere ridimensionato al ruolo di mero sostituto processuale oppure se goda di poteri sostanziali indipendentemente dal credito dell’Amministrazione e se tra l’altro possa con atto di amministrazione attiva costituire in mora il debitore.
La precedente pronuncia di queste Sezioni riunite in questione di massima, che assume medesimi contorni (tanto non viene negato dalla Sezione remittente), e la verifica della sussistenza di un idoneo e consistente contrasto giurisprudenziale, impongono una approfondita valutazione della ammissibilità della questione proposta alla luce della giurisprudenza in materia.
Ma, soprattutto, impongono una ricognizione della fattispecie e dei suoi elementi ai fini dell’accertamento della rilevanza della questione per la pronuncia del giudizio a quo, rilevanza che, sottolinea il collegio, deve possedere carattere concreto, effettivo e non astratto, sì che la questione deferita produca effetto immediato sul giudizio a quo, in cui la pronuncia delle Sezioni riunite diviene vincolante per le parti limitatamente al punto di diritto dedotto.
Ora, nel giudizio da cui ha tratto origine la presente questione di massima, il procuratore regionale, in relazione ad una vicenda di dazioni di danaro, versate, da una ditta impegnata in attività estrattiva, a funzionari della Regione Campania (S. R. e G. V.), che si era conclusa con sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile il 13 maggio 1995, aveva notificato ai presunti responsabili, tra il 9 e il 14 marzo 2000, l’invito a dedurre, in calce al quale era contenuta la formula di costituzione in mora ai sensi degli artt. 1219 e 2943 del codice civile, così ritenendo l’attore interrotta la prescrizione.
Diversamente, la sentenza impugnata con l’atto di appello ha dichiarato prescritta l’azione, promossa nei confronti del sig. V. su un articolato ordine di affermazioni, che hanno portato a negare che l’invito a dedurre possa avere efficacia interruttiva di per sé.
Il nucleo fattuale, rispetto al quale si profila la questione di massima e che ne costituisce limite di apprezzabilità ai fini della sussistenza della rilevanza, è rappresentato dalla costituzione in mora inserita nel contesto documentale dell’invito a dedurre adottato dal procuratore regionale a conclusione delle proprie indagini, per cui, con riferimento stretto a tale contesto, va esaminata l’ammissibilità della questione qui deferita, sia ex se, sia in rapporto alla precedente pronuncia di queste Sezioni riunite, sopra richiamata.
Gli altri profili, che, pure, il giudice remittente ha prospettato (possibilità per il pubblico ministero contabile di adottare atti di natura sostanziale al di fuori del processo, non escluso il potere di compiere atti di amministrazione attiva), ancorché di interesse non processuale, apparendo rispetto alla fattispecie di carattere dottrinario, non possono avere ingresso nella presente sede giurisdizionale "incidentale".
Inoltre, una serie di affermazioni che si rinvengono negli atti del processo richiamati nell’ordinanza di rimessione, non possono essere accolte in quanto non trovano rispondenza né nelle disposizioni in materia né nella stessa ratio di tali disposizioni o dei contesti normativi che le esprimono.
Non può essere condivisa l’equiparazione del pubblico ministero contabile a quello penale o civile, in quanto, se è vero che anche il pubblico ministero contabile fa parte dell’Ufficio del pubblico ministero inteso unitariamente, è la differenza di interessi tutelati e il tipo di azione esercitata che ne diversificano nettamente la posizione.
Le norme dell’ordinamento giudiziario, relative alle attribuzioni e al ruolo del pubblico ministero civile, invero, non rientrano nell’ambito di applicazione del rinvio di cui all’art. 26 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, strettamente limitato al codice di procedura civile per la funzione di integrazione e per il carattere speciale, che vanno riconosciuti a tale rinvio.
Ma, neppure può essere condivisa la tesi, ribadita dal procuratore generale nella propria memoria, e, cioè, che l’invito a dedurre faccia parte "di un unico procedimento giurisdizionale della domanda" in quanto espressione della titolarità dello stesso interesse in capo al pubblico ministero e del relativo esercizio senza soluzione di continuità: tali tesi non considera che l’invito a dedurre e la citazione sono atti che appartengono a fasi distinte e presentano natura differente, ma soprattutto realizzano finalità non corrispondenti.
L’invito a dedurre appartiene ad una fase prodromica all’accertamento della responsabilità, "avente natura pre-processuale", conclude la fase delle indagini del procuratore regionale e, quindi, è prevalente strumento di definizione delle acquisizioni probatorie dell’attore, il quale, proprio in relazione ad esse, si determina ad instaurare il giudizio con la citazione ovvero a disporre l’archiviazione: lo stesso soggetto invitato non acquista la qualità di parte (Corte cost., n. 163 del 2-4 giugno 1997; n. 513 del 20 novembre-4 dicembre 2002; SS.RR., n. 7/98/QM del 16 febbraio 1998; n. 14/98/QM del 19 giugno 1998; n. 27/99/QM del 7 dicembre 1999).
Con la citazione, invece, il pubblico ministero contabile esercita l’azione di responsabilità, che, finalizzata al risarcimento del danno sopportato dall’erario, inteso nelle sua accezione più lata, ha contenuto patrimoniale, per cui, seppure il pubblico ministero contabile agisce nell’interesse dell’ordinamento, ad esso è direttamente affidata la tutela della gestione della finanza pubblica in generale e della pubblica amministrazione danneggiata in particolare.
Cioè, fa capo al pubblico ministero contabile anche la tutela degli interessi patrimoniali dell’amministrazione danneggiata (Sez. I, 28 settembre 1991, n. 292) in una situazione del tutto peculiare, per cui il titolare del diritto (amministrazione danneggiata) è stato privato dal legislatore della competenza ad esercitare la corrispondente azione risarcitoria.
Inoltre, vengono poste a carico dell’amministrazione precise limitazioni, ove essa intenda partecipare al relativo processo (è ammesso il solo intervento adesivo all’azione del procuratore regionale), in quanto non esiste alcun interesse dell’ente nella difesa del pubblico erario, rappresentato soltanto dal procuratore generale in funzione di pubblico ministero (Sez. I, 21 settembre 1992, n. 196).
Del resto, ha correttamente riconosciuto la giurisprudenza che, dalla autonomia dell’azione del procuratore regionale rispetto alle determinazioni dell’amministrazione danneggiata, discende la possibilità che l’azione sia esercitata anche se la stessa amministrazione non lo chieda o neghi la sussistenza del danno (Sez. giur. Reg. Campania, 9 dicembre 1993, n.69; Sez. giur. Reg. Piemonte, 19 aprile 2000, n. 1196).
Da ciò deriva che il procuratore regionale, nel proporre l’azione di responsabilità, esercita un potere di natura sostanziale, in quanto, essendo preclusa all’amministrazione titolare del diritto l’iniziativa processuale, persegue la realizzazione della pretesa risarcitoria come unico soggetto abilitato ad esprimere la volontà autonoma di adire il giudice per conseguire tale realizzazione.
Pertanto, già solo per questo, appare mera tautologia chiedersi se il pubblico ministero contabile possa compiere attività di natura sostanziale (egli può promuovere anche il sequestro conservativo, che produce effetti considerevoli sulla situazione patrimoniale delle parti convenute).
Semmai, il problema si pone a proposito dei limiti, che dal sistema normativo derivano per siffatta attività e che ha portato la giurisprudenza a riconoscere la sussistenza del potere del pubblico ministero contabile di costituire in mora il debitore responsabile in occasione dell’invito a dedurre: perché è chiaro che invito a dedurre e costituzione in mora sono figure giuridiche diverse, che perseguono finalità differenti.
Infatti, come accennato, l’invito a dedurre "attiene ad una fase che precede l’accertamento delle responsabilità" e "muove all’acquisizione di ulteriori elementi, se del caso anche di carattere esimente, in vista delle conclusive determinazioni che non necessariamente dovranno essere nel senso dell’inizio dell’azione di responsabilità" (Corte cost., n. 163 del 1997, cit.).
Tuttavia, quando l’invito a dedurre contenga, nella sua contestualità, gli elementi di cui agli art. 1219 e 2943 cod. civ., contiene la dimostrazione della volontà di ottenere la realizzazione del credito e, come tale, si colloca nella stessa prospettiva dell’atto di citazione, poiché serve a rendere effettivo il conseguimento dell’obiettivo della tutela del pubblico erario e, quindi, degli interessi patrimoniali della pubblica amministrazione, per cui, per la evidenziata affinità teleologica, ben può il pubblico ministero contabile, nell’accennato contesto, costituire in mora il presunto debitore ad integrazione e completamento del proprio potere di realizzare la pretesa risarcitoria dell’amministrazione danneggiata.
Qui, tralasciando la problematica in ordine alla tesi –del tutto inconferente- che il pubblico ministero contabile rivesta il ruolo di sostituto processuale (nella sostituzione processuale, sostituto e sostituito debbono essere considerati parti, tanto che il sostituito, nel codice di rito, ha il potere di impugnazione, mentre ciò è escluso del tutto nel giudizio di responsabilità amministrativa), rileva il collegio che la questione in sé, come sopra rigorosamente configurata ai fini della rilevanza, è stata già risolta dalle Sezioni riunite con la richiamata sentenza n. 14/2000/QM.
Tale sentenza - inquadrato il pubblico ministero contabile come soggetto terzo agente nell’interesse dello Stato ordinamento con "valenza mediatamente finalizzata alla tutela patrimoniale della specifica amministrazione, identificata come centro di imputazione del ristoro azionabile in sede giudiziaria"- ha sottolineato la mancanza di titolarità del diritto patrimoniale da parte della pubblica amministrazione.
La predetta sentenza ha fatto derivare dalla legittimazione generale del pubblico ministero contabile alla tutela della finanza pubblica mediante il conferimento dello jus postulandi (che è concetto più ampio del mandato), la possibilità di porre in essere atti di costituzione in mora, la cui negazione "significherebbe non solo menomarne i poteri al di sotto di quanto invece riconosciuto al difensore di un privato cittadino, ma, addirittura precludergli l’attivazione di tutti quegli strumenti extra-processuali che potrebbero, senza l’ulteriore ricorso al Giudice, consentire uno spontaneo ristoro della lesione subita", con conseguenze di sicuro abnormi e di scarsa effettività in ordine alla tutela patrimoniale affidata al pubblico ministero contabile.
Le suaccennate considerazioni e l’ordine ermeneutico di trattazione si considerano di esaustiva risposta al quesito posto con la proposta questione di massima, rispetto alla quale neppure è dato rilevare un vero e proprio contrasto di giurisprudenza, del resto genericamente indicato dalla Sezione remittente, atteso che, per un verso, la Sezione seconda giurisdizionale centrale (n. 377 del 12 dicembre 2001) ha dato adesione alla pronuncia n. 14/2000/QM, mentre la Sezione terza giurisdizionale centrale, solo con altra sentenza (n. 10/A del 16 gennaio 2002), diversa da quella indicata (n. 361 del 21 novembre 2001) se ne è discostata, senza peraltro che sia stata data alcuna contezza delle ragioni che dovrebbero indurre, ora, le Sezioni riunite ad una revisione della precedente pronuncia.
Conseguentemente, va dichiarata l’inammissibilità della questione di massima, proposta con l’ordinanza di rimessione.
P. Q. M.
la Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale, pronunciando, ai sensi dell’art. 1 settimo comma del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19,
dichiara inammissibile
la questione di massima in epigrafe, deferita dalla Sezione terza giurisdizionale centrale con l’ordinanza n. 086/2002 in data 25 novembre 2002 e dispone la restituzione degli atti alla predetta Sezione per la definizione del giudizio.
Omissis