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Articoli e note
n. 6-2003.

CORTE DEI CONTI, SEZIONI RIUNITE - Sentenza 18 giugno 2003 n. 13/SR/QM - Pres. Coco, Est. Sciascia - P.M. Ciaramella c/ T. A. e F. V. .

Giudizio di responsabilità amministrativa – Termine per il deposito dell’atto di citazione da parte del procuratore regionale – Centoventi giorni dalla data in cui l’invito a dedurre è stato notificato - Collegamento temporale con la notifica di analogo atto ad altri soggetti presuntivamente coinvolti nella stessa vicenda dannosa - Esclusione.

Nel caso di pluralità di inviti a dedurre, il termine di cui all’art. 5, comma 1°, del D.L. 15 novembre 1993 n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994 n. 19, nel testo modificato dal D.L. 23 ottobre n. 543 convertito nella legge 20 dicembre 1996 n. 639, di centoventi giorni per l’emissione dell’atto di citazione decorre autonomamente per ciascun indagato dalla data in cui l’invito è stato notificato allo stesso, senza alcun collegamento temporale con la notifica di analogo atto ad altri soggetti presuntivamente coinvolti nella stessa vicenda dannosa.

 

 

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 163/SR/QM del registro di segreteria deferito dalla Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio per questione di massima con ordinanza n. 048/2003/R in data in data 28.10.2002/15.1.2003 depositata in data 6.2.2003 nell’ambito del giudizio di responsabilità iscritto al n. 55844/R del registro di Segreteria, promosso dal Procuratore regionale per il Lazio nei confronti dei signori T. A. e F. V..

VISTI gli atti di causa.

UDITO nella pubblica udienza del giorno 14 maggio 2003 il consigliere relatore prof. Michael SCIASCIA.

UDITO altresì nella medesima udienza il Vice Procuratore Generale dott. Antonio CIARAMELLA.

Rilevato in

FATTO

Con atto di citazione datato 23 luglio 2001 la Procura regionale presso la sezione giurisdizionale per il Lazio, nell’instaurare un giudizio di responsabilità innanzi alla sezione stessa, riferiva che il Comitato Provinciale di Assistenza e Beneficenza Pubblica di Latina, organo deputato all'attribuzione di assegno mensile di invalidità, nel corso della seduta del 18.1.1993, aveva provveduto a riconoscere la spettanza del suddetto beneficio, con decorrenza 1.1.1992, anche ad un soggetto (tale P. M.) che, seppur invalido, non si trovava nelle condizioni economiche per poterne usufruire. Infatti, nell'anno 1992, la sig.ra P. risultava contemporaneamente titolare di pensione I.N.P.S. per £. 553.050 mensili (con superamento, dunque, dei limiti di reddito previsti per la percezione dell'assegno di invalidità).

Tale circostanza emergeva a seguito di un controllo effettuato dalla Prefettura nell'anno 1995 e, conseguentemente veniva richiesto all'indebito percettore la restituzione dell'assegno in questione (ammontante a lire: 21.743.705, compresi gli interessi legali).

Dopo aver infruttuosamente tentato il recupero coattivo nei confronti dell'invalida risultata nullatenente, il Prefetto di Latina provvedeva, quindi, alla costituzione in mora a titolo cautelativo, dei componenti del C.P.A.B.P. che avevano partecipato alla seduta in cui era stata adottata la delibera in questione.

In prosieguo, avuta notizia della vicenda, la Procura Regionale del Lazio, con atto notificato nel periodo 2.8.2000/1.2.2001, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 19/1994, invitava a dedurre tutti i componenti del Comitato di Assistenza e Beneficenza Pubblica che avevano partecipato alla seduta del 18.1.1993 (complessivamente 12 membri).

La responsabilità amministrativa dei componenti tale organo era stata individuata dalla Procura, in quanto esso era tenuto per legge a verificare la sussistenza dei requisiti economici necessari per l'erogazione del trattamento (art. 14, Legge n. 118/1971 secondo cui "la concessione della pensione o dell'assegno mensile è deliberata. previo accertamento delle condizioni di cui agli art. 11, 12 e 13, dal Comitato Provinciale di Assistenza e Beneficenza Pubblica)".

Acquisite le controdeduzioni, il Procuratore regionale riteneva poi di non esercitare l'azione di responsabilità nei confronti di tutti i componenti del Comitato che avevano partecipato alla seduta del 18.1.1993, ma solo nei confronti del relatore della pratica, sig. T. A., e del Presidente del Comitato, sig. F. V..

Difatti la dimostrata esistenza, nell'ambito del Comitato, di una prassi in virtù della quale, per il rilevante numero di affari portati in ciascuna seduta, non veniva svolto l'esame collegiale di ciascun fascicolo, aveva determinato quale conseguenza la non effettività della deliberazione collegiale (principio già affermato dalle SS.RR. con sent. n. 15 QM del 27-5.1999).

Pertanto la somma indebitamente erogata dal Ministero dell'Interno, ammontante a L. 21.743.705, era stata richiesta -con atto di citazione depositato il 25.7.01-ai soli due convenuti T. e F..

Ciò posto, e rilevato che per entrambi l'atto di citazione era intervenuto dopo che era decorso il termine di 120 giorni dalla scadenza di quello previsto per la presentazione delle deduzioni stesse ai sensi dell'art.5 L. 19/94, i difensori dei due convenuti, avv.ti Gaetano Colletta e Francesco F., avevano -in via prioritaria- sollevato eccezione di inammissibilità dell'azione interposta dalla Procura.

Nella pubblica udienza svolta in data 28 ottobre 2002, in merito a tale preliminare eccezione, il P.M. aveva osservato al contrario la piena tempestività dell'atto in questione, ove si fosse considerato che -ai fini del computo- doveva essere presa in considerazione la data dell'ultimo invito effettuato.

Nell'allegare numerosa giurisprudenza in tal senso, il P.M. aveva osservato come la fattispecie dovesse essere considerata "unitariamente" al fine di consentire al Procuratore regionale di avere un quadro completo degli elementi da valutare, utilizzando tutti gli elementi prodotti dai soggetti avvisati.

Entrambi i difensori, sul punto, avevano al contrario obbiettato l'incongruenza di un simile meccanismo stante il tenore letterale del citato art. 5 che prevedeva l'inammissibilità ove non fosse stato rispettato il termine, senza introdurre temperamenti in caso di pluralità di inviti.

E, comunque, anche a voler applicare tale orientamento al caso in esame, la data di notifica dell'invito da prendere in considerazione avrebbe dovuto essere, semmai, l'ultima tra i due soggetti citati e non l'ultima tra i casi archiviati.

La sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con l’ordinanza di remissione, nell’esaminare la prima censura in rito, riguardante la tempestività dell'azione interposta dalla Procura, osservava che l'atto di citazione (depositato presso la segreteria della Sezione il 25.7.2001) appariva tempestivo solo ove si fosse presa in considerazione, come dies a quo, ai fini del relativo computo, la data di notifica dell'ultimo invito inoltrato a presunto responsabile -peraltro- non chiamato in giudizio.

In ordine all’argomentazione formulata dal P.M. – che aveva fatto riferimento a giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in ipotesi di pluralità di inviti, doveva essere considerato l'ultimo invito effettuato dalla Procura, senza distinguere l'ipotesi in cui l'ultimo soggetto "invitato" fosse stato poi convenuto in giudizio- osservava il Collegio che, la giurisprudenza contabile pronunciandosi, in generale, sulla questione del rapporto tra tempestività dell'atto di citazione e pluralità di inviti a dedurre, aveva assunto due diversi indirizzi manifestando un contrasto sull'argomento sia in sede di giudizio di primo grado sia in sede di appello.

Dalla condivisione dell'uno o dell'altro orientamento sarebbe stato diverso l'esito del giudizio stesso, per cui la questione appariva rilevante ai fini del caso da decidere.

Riferiva quindi la Sezione remittente le posizioni divergenti sviluppatesi in giurisprudenza.

Secondo una prima tesi, nel caso di pluralità di inviti a dedurre, il termine di 120 gg. per l'emissione dell'atto di citazione doveva riferirsi alla notifica dell'invito al singolo e determinato soggetto e non poteva riguardare il momento della notifica di altro invitato (Lazio 355 del 19.4.99; 721 del 24.5.2000; Campania 85 del 14.9.01); ciò in quanto non si poteva estendere la notifica dell'uno, ad altro presunto corresponsabile: l'atto di invito è diretto ad uno specifico soggetto che eventualmente potrebbe essere chiamato a rispondere contestualmente ad altri in giudizio (cfr. Lazio 5.2.2001 n.625) .

Sempre nella stessa ottica, (Calabria n. 780 del 14.9.01; n. 833 del 4.9.01; n. 834 del 25.9.01; n. 1032 del 31.10.01) -che sostiene come la natura parziaria delle obbligazioni nascenti da responsabilità per danno erariale, non comportando litisconsorzio processuale e/o sostanziale, renderebbe inaccoglibile ogni prospettazione volta a far decorrere il termine dalla data dell'ultima notifica - è stato posto in evidenza che, in tal modo "..verrebbe meno la stessa funzione di garanzia che il legislatore ha perseguito con la previsione di termini per l'emissione dell'atto di citazione, essendo evidente che ad un termine certo nei suoi limiti iniziali e finali verrebbe a sostituirsi un termine che avrebbe una connotazione di aleatorietà..." (cosi Toscana, 26.6.99 n.718).

E' stato ancora argomentato (cfr. Campania 31.1. 2001 n. 9) che, salva la rara ipotesi di un "litisconsorzio necessario di natura sostanziale" che renda inscindibili, nell'ambito di un unico stato giuridico, le plurime condotte, deve ritenersi che, il fondamentale principio della "personalità della responsabilità" non ammetta altra possibilità che quella di far riferimento alle rispettive date di notifica dei singoli inviti a dedurre .

D'altro canto tale tesi risulterebbe ora rafforzata al principio affermato da queste SS.RR. secondo cui "nel giudizio di responsabilità dinanzi a questa Corte dei conti i singoli e distinti comportamenti degli eventuali compartecipi nella produzione dell'evento dannoso concorrono alla costituzione di un rapporto che non è unitario, ma in linea di principio, divisibile" (SS.RR. 5/2001/QM) .

Da ultimo, la prima sezione d'appello (sent. n. 1/2003/A) ravvisando una analogia tra l'atto di invito e l'avviso di interrogatorio di cui all’art. 375 c.p.p., ha evidenziato la funzione di garanzia svolta dall'atto, da cui deriverebbe l'esigenza di non lasciare legato il presunto responsabile ad un termine incerto.

Peraltro, contrariamente a tali argomentazioni, altra e più numerosa giurisprudenza sostiene, con altrettante e valide osservazioni, che il termine per emettere la citazione decorre dalla scadenza dei trenta giorni successivi alla notifica dell'ultimo invito (cfr. Corte conti, Sez. Il Centr. 4 luglio 2001 n. 236; Sez. Il Centr. 4 giugno 2001 n. 197, Regione Umbria 28 dicembre 2000 n. 620/EL, Lazio 3 ottobre 2000 n.1895/R, Lombardia 7 febbraio 2001 n. 62/R, Molise 7 dicembre 2000 n. 187).

Infatti, è stato obbiettato alla tesi precedentemente esposta come non sia giovevole addurre il carattere parziario delle concorrenti responsabilità amministrativo-contabili in quanto ciò attiene alla fase del giudizio e non della fase dell'indagine istruttoria del Pubblico Ministero, quando cioè non è ancora dato stabilire se si tratti di responsabilità solidali o meno.

E' stato ancora rilevato come ciò sia in sintonia con la funzione garantista dell’invito a dedurre che impone una visione unitaria della fattispecie, e che una completa valutazione delle singole posizioni e delle responsabilità di ognuno può emergere solo a seguito delle deduzioni di tutti, sicché le esigenze di garanzia di ogni singolo deducente trovano la massima salvaguardia proprio nella completezza dell’istruttoria (in termini sez. Giurisd. Lazio 8.3.1999 n. 156/R).

L’invito a dedurre, quale atto preprocessuale, consentendo all’invitato di produrre alla Procura nuovi elementi di fatto e di diritto a proprio discarico, può far emergere diverse valutazioni idonee a svolgere l’istruttoria a proprio favore, sino a pervenire alla archiviazione o ad un’eventuale riduzione o modificazione degli addebiti contestati all’invitato.

Ciò è stato specificatamente sostenuto anche nel precipuo caso in cui l’ultimo invitato a dedurre non sia stato in seguito evocato in giudizio (Abruzzo 4.7.2001 n.128; Molise 7.12.2000 n.187), atteso che sulla scorta delle precedenti considerazioni è proprio la completa istruttoria che consente al soggetto invitato (anche per ultimo) di non essere evocato nella fase giudiziale, ma di esaurire la propria partecipazione alla fase pre-processuale.

Sul punto però osserva la stessa sezione remittente che la funzione di garanzia in questo caso subirebbe un affievolimento proprio nei confronti dei soggetti effettivamente citati in giudizio, in quanto si vedrebbero chiamati a rispondere per un importo ben superiore a quello fissato dall’invito (atteso che l’iniziale richiesta veniva rivolta, pro-quota, ad un maggiore numero di soggetti) .

Sulla base di tale contrasto giurisprudenziale la Sezione giurisdizionale per il Lazio, sospeso il giudizio in corso disponeva la rimessione della causa a queste SSRR ai fini di dirimere il contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, proponendo il seguente quesito:

a)Se nel caso di pluralità di inviti a dedurre, il termine di cui all'ari. 5 legge 19 dei 14.1.94, di 120 gg. per l'emissione dell'atto di citazione debba essere riferito alla notifica dell'invito al singolo, data la natura parziaria dell'obbligazione nascente da responsabilità per danno erariale oppure debba essere riferito all'ultima notifica data la funzione di garanzia svolta dall'invito.

b) se quest'ultima tesi possa subire un temperamento nell'ipotesi in cui solo alcuni soggetti siano evocati in giudizio e, in quest'ultimo caso, si possa far riferimento alla data di notifica all'ultimo tra i convenuti e non all'ultimo tra gli invitati non citati in giudizio.

Fissata e comunicata alle parti la data dell’udienza di trattazione innanzi a queste Sezioni Riunite, il Procuratore Generale presso la Corte dei conti depositava in data 17 aprile 2003 una memoria, in cui concludeva per l’affermazione della decorrenza del termine de quo dalla data dell’ultima notifica ad uno dei destinatari dell’invito a dedurre, a prescindere dalla circostanza che si tratti di soggetto successivamente convenuto in giudizio.

Nella pubblica udienza del 14 maggio 2003 il Vice Procuratore Generale dott. Antonio CIARAMELLA ha confermato le richieste e le argomentazioni contenute nella memoria scritta.

Considerato in

DIRITTO

L’art. 5 co.1° del D.L.15 novembre 1993 n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994 n.19, contenente "Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti", nel testo modificato dal D.L. 23 ottobre n. 543 convertito nella legge 20 dicembre 1996 n. 639, impone al procuratore regionale, prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, di notificare al presunto responsabile un invito a depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti entro un termine non inferiore a trenta giorni; la scadenza di tale termine costituisce a sua volta il dies a quo per un ulteriore termine di centoventi giorni entro cui requirente può emettere l’atto di citazione.

La suddetta disposizione non distingue tra le ipotesi di un solo invitato ovvero di più invitati per una medesima vicenda dannosa, dettando una disciplina uniforme.

L’assenza di una normativa particolare laddove siano individuati più presunti responsabili ha finito per ingenerare una diversità di opinioni al riguardo di cui si è riferito in punto di fatto .

Un tentativo riscostruttivo del genere, scevro da pregiudizi, invece non può non prendere l’avvio dal brocardo ermeneutico di provenienza romanistica "ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus", in base al quale all’interprete non è dato differenziare arbitrariamente la disciplina relativamente ad ipotesi parimenti rientranti nella previsione astratta della stessa norma.

Ed invero nella specie la legge non ha inteso regolamentare in maniera diversificata le due ipotesi, in quanto ricorre la eadem ratio.

Infatti, il termine de quo soddisfa l’esigenza di porre un limite all’azione del requirente a tutela della posizione di ciascun presunto responsabile, che non va esposto ad un lungo periodo di incertezza in attesa di conoscere la scelta del procuratore regionale in ordine al rinvio a giudizio o all’archiviazione.

Tale funzione di garanzia individuale non può non riferirsi che a ciascun soggetto inquisito ed alle vicende che lo riguardano, tra cui in primo luogo la conoscenza legale dell’invito di cui è indubbio il carattere della personalità.

Tale carattere è accentuato dall’oggetto stesso dell’invito che riguarda un’ipotesi di responsabilità, come quella gestoria, di natura personale e parziaria, con un’accentuata impostazione sanzionatoria, che deve essere necessariamente apprezzata in sé nei suoi elementi costitutivi, quali la condotta tenuta dal singolo, il rapporto di causalità, il rapporto di servizio, la quota di evento dannoso riferibile al soggetto.

La compartecipazione di altri soggetti alla realizzazione di un’unica vicenda pregiudizievole per l’ente non determina né un vincolo di solidarietà, che è espressamente escluso dalla legge (salvo che in ipotesi marginali di concorso doloso) né tantomeno una responsabilità cumulativa unitaria.

Dal che sul piano processuale non si rende necessaria, ma semplicemente opportuna, la contestuale evocazione in giudizio di tutti i compartecipi.

Ormai la giurisprudenza contabile del tutto prevalente coerentemente non ammette il litisconsorzio necessario sia in primo che in secondo grado, considerando autonome le posizioni di ciascun compartecipe, anche se la preferenza è naturalmente per il simultaneus processus che meglio assicura una piena cognizione dei fatti.

Ne consegue che, in presenza di una vicenda frazionata sia sul piano sostanziale (responsabilità parziaria) che su quello più squisitamente formale (ammissibilità di processi separati in prima ed in seconda istanza, con al limite un litisconsorzio facoltativo), non avrebbe alcun significato né un’apprezzabile utilità la creazione di un collegamento necessario al momento genetico in sede di contraddittorio preliminare innanzi ad una delle parti potenziali, cioè il procuratore regionale.

Tanto più che sul piano interpretativo occorre uno sforzo logico considerevole per forgiare una soluzione differenziata, peraltro divergente dalla lettera e dallo spirito del citato art.5 co. 1°, la quale non riesce nemmeno a fornire una conclusione univoca sul punto essenziale della decorrenza del detto termine, nel senso di tener conto solo dell’ultimo invitato convenuto o meno .

Si tenga altresì presente che il legislatore -che non poteva ignorare (ed in realtà non ignora il problema in altre contestuali disposizioni) come la gran parte dei giudizi di responsabilità gestoria, nell’ambito di un’azione amministrativa notoriamente "procedimentalizzata" e stratificata su più organi e financo più enti, coinvolgano ordinariamente più persone per una medesima vicenda dannosa- si riferisce comunque ad un solo soggetto, allorché si tratti di porre un argine ai tempi di indagine.

Inoltre il supposto vincolo tra i più inviti a dedurre - almeno per chi ammetta un effetto interruttivo della notifica dell’invito sul termine prescrizionale- produrrebbe ulteriori conseguenze sul piano sostanziale in materia di prescrizione del diritto di credito azionato dal requirente, estendendo tale conseguenza agli altri co-destinatari, come se sussistesse una solidarietà che però è espressamente esclusa dalla legge 14 gennaio 1994 n. 20.

A proposito della solidarietà passiva è bene con l’occasione chiarire che -diversamente da quanto argomentato dal procuratore generale nella memoria scritta - essa non può giustificare, anche nelle limitatissime ipotesi in cui vige nell’ambito della responsabilità gestoria, la soluzione differenziata surriferita; infatti l’istituto in discorso indica un vincolo di natura "sostanziale" tra più condebitori, nella specie più corresponsabili, posto dalla legge per il rafforzamento della garanzia patrimoniale generica del creditore, nella specie dell’ente danneggiato, senza determinare alcun litisconsorzio necessario o altre conseguenze meramente processuali.

Il procuratore generale, nella memoria scritta, formula però una interessante osservazione di carattere programmatico, che non può essere ignorata e che merita un’analitica considerazione.

Si sostiene la "necessità di un criterio che, al fine in discorso, contemperi gli interessi delle parti nella fase anteriore al giudizio".

L’esigenza in tal modo prospettata effettivamente sussiste, anche se il componimento di interessi istituzionalmente configgenti -elevati a dignità di diritti fondamentali di garanzia costituzionalmente protetti- si realizza nell’ambito dell’intera fase del contraddittorio preliminare e non solo relativamente al particolare aspetto della decorrenza del termine.

Infatti da un lato v’è l’indubbia aspettativa dell’invitato ad un termine più breve possibile, oltre che certo ed obiettivo, per la conclusione delle indagini che riguardano la sua persona, dall’altro l’interesse dell’amministrazione danneggiata e del pubblico ministero ad accertare i fatti nella loro interezza.

La prima aspettativa è tutelata dall’apposizione di limiti all’azione del requirente sia di natura temporale -ossia i termini di centoventi giorni dalla notifica dell’invito e di quarantacinque giorni dalla scadenza di tale ultimo termine in caso di mancata autorizzazione alla proroga- sia di natura oggettiva - ossia la coincidenza tra elementi identificativi (in particolare causa petendi e petitum) dell’invito e della successiva eventuale citazione -, nonché dalla possibilità di dedurre e/o di essere ascoltato dal requirente al riguardo dei fatti contestati e di impugnare l’ordinanza di proroga concessa alle indagini del requirente.

La seconda esigenza è soddisfatta dalla illimitatezza temporale nelle indagini anteriormente alla notifica degli inviti, dall’eventuale acquisizione di informazioni e documentazioni fornite dall’inquisito in sede di deduzioni o di audizione, dall’ampiezza del termine di centoventi giorni per il completamento delle valutazioni e per l’esame di nuovi elementi acquisiti in sede di contraddittorio preliminare, dalla possibilità di richiedere una o più proroghe delle indagini laddove si rendano necessari nuovi accertamenti o più complesse valutazioni specie se segnalate e fornite dai deducenti, dal termine di ulteriori quarantacinque giorni per il deposito dell’atto di citazione in caso di mancata concessione della richiesta proroga, dalla ammissibilità della impugnazione dell’eventuale diniego di proroga; anzi proprio l’istituto della proroga è immediatamente strumentale rispetto alle necessità di comprensione di una vicenda con una complessità oggettiva e/o soggettiva, specie se "in itinere".

Il contemperamento in discorso trova quindi un’ampia soddisfazione nel descritto sistema, frutto di un delicato equilibrio di esigenze contrapposte, e non certamente attraverso forzature interpretative

- tra l’altro fondate su di un generico richiamo a ragioni di economia dei mezzi processuali e di efficienza dell’azione pubblica o peggio su di un opinabile cointeresse dell’inquisito ad indagini più articolate e prolungate sui fatti che lo riguardano- volte a rendere incerto per ciascun invitato proprio quel termine posto dal legislatore per ragioni di certezza ed obiettività.

D’altronde qualunque compressione delle garanzie individuali, con privilegio di un organo pubblico, deve essere, come minimo, espressamente disposta dalla legge e comunque in conformità alle prescrizioni costituzionali rafforzate dal novellato art. 111.

P.Q.M.

Le Sezioni Riunite della Corte dei conti, definitivamente pronunciando, risolvono la questione di massima, deferita dalla Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio con ordinanza n.048/2003/R in data in data 28.10.2002/15.1.2003 depositata in data 6.2.2003, nel senso seguente: "Nel caso di pluralità di inviti a dedurre, il termine di cui all’art. 5 co.1° del D.L.15 novembre 1993 n.453 convertito nella legge 14 gennaio 1994 n.19, nel testo modificato dal D.L. 23 ottobre n.543 convertito nella legge 20 dicembre 1996 n.639, di centoventi giorni per l’emissione dell’atto di citazione decorre autonomamente per ciascun indagato dalla data in cui l’invito è stato notificato allo stesso, senza alcun collegamento temporale con la notifica di analogo atto ad altri soggetti presuntivamente coinvolti nella stessa vicenda dannosa ".

Dispone che a cura della segreteria si provveda alla restituzione degli atti alla Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio, nonché alle comunicazioni di rito.

Nulla per le spese.

Omissis

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