CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. VENETO - Sentenza 29 novembre 2000 n. 1326– Pres. Zambardi, Est. Mingarelli – P.M. DI MAIO c. D.M.P. (Avv. Alfredo Bianchini).
Responsabilità contabile e amministrativa – Enti Locali – Lavori pubblici – Arbitrato - Danno indiretto – Prescrizione - Direttore dei lavori – Organo straordinario della p.a. – Elemento psicologico - Colpa grave conseguente a comportamento contraddistinto dal mancato rispetto della normativa che regola l’attività del direttore dei lavori.
A seguito dell’emissione di un lodo arbitrale tra la stazione appaltante e una società appaltatrice, il dies a quo, da cui far decorrere il termine utile per avviare l’azione di responsabilità amministrativa, nei confronti di agenti e/o dipendenti pubblici che con la loro azione hanno provocato danno all’Erario, corrisponde alla data di deposito del lodo arbitrale stesso, poiché, prima di tale fase, non sarebbe fattibile, se non con estrema approssimazione, una citazione per danno erariale da parte del P.M. presso la Corte dei Conti.
Per costante giurisprudenza sia della Corte dei Conti che della Corte di Cassazione, il direttore dei lavori di un’opera pubblica deve essere reputato organo straordinario della P.A. appaltatrice, per il fatto che egli è preposto a agire sulla base di un rapporto di servizio, quale agente dell’amministrazione stessa.
Sussiste l’elemento della colpa grave, sotto la forma della scarsa diligenza professionale e del mancato rispetto delle regole professionali, quando un direttore dei lavori non considera, frequentemente, le norme di legge che vincolano e regolano la propria attività svolta a favore dell’amministrazione.
E’ gravemente colposo il comportamento di un direttore dei lavori che ha concesso, alla ditta appaltatrice, di differire il termine di ultimazione dell’opera pubblica senza prevedere alcun pagamento di penali a compensazione, penali che pure erano stabilite nel Capitolato.
E’ caratterizzato da inescusabile negligenza il comportamento di un direttore dei lavori quando prepara con gravissimo ritardo la redazione della contabilità finale, risultata, peraltro, effettuata in modo disordinato e approssimativo, tanto da doversi rifare, da parte dell’amministrazione, ex novo.
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 183/EL del registro di Segreteria, ad istanza del Procuratore Regionale contro il Sig. DE M. P.;
Visto l’atto introduttivo del presente giudizio;
Uditi nella pubblica udienza del giorno 24 giugno 1999 il referendario relatore Dr. Alberto Mingarelli il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Regionale Dott. Giancarlo Di Maio, nonché l’Avv. Alfredo Bianchini difensore del citato in giudizio;
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione del 4.3.98 il Procuratore Regionale chiamava a giudizio l’architetto De M. P..
Dalla citazione del Procuratore risulta che è stata fatta denunzia di danno alla Procura in relazione all’appalto dei lavori di costruzione della piscina comunale, affidato dal Comune di Stra all’impresa xxx, che è stata dichiarata successivamente fallita dal Tribunale di Treviso.
La controversia con l’impresa si è conclusa con un lodo arbitrale che ha considerato ammissibili tutte le riserve avanzate e le ha parzialmente accolte, dichiarando l’obbligo del Comune di pagare la somma complessiva di lire 617.019.465, oltre ad una quota spese arbitrato per lire 20.000.000.
Nel lodo arbitrale risultavano evidenziate gravi negligenze della direzione lavori nella gestione dell’appalto e nella tenuta della contabilità, nonché ritardi ed insufficienze progettuali che avevano giustificato l’accoglimento delle pretese dell’Impresa xxx, per cui l’Amministrazione aveva a suo tempo deliberato di promuovere l’azione giudiziale contro l’arch. P. De M. per responsabilità professionale, quale progettista e direttore dei lavori della piscina comunale, ai fini del risarcimento dei danni subiti. Tuttavia, a seguito dell’accertamento della giurisdizione della Corte dei conti, l’Amministrazione ha trasmesso la pratica alla Procura.
Dalla documentazione – secondo la Procura – emerge quanto segue:
1) La progettazione esecutiva del primo stralcio degli impianti sportivi comprendenti la piscina coperta, è stata affidata con deliberazione del Consiglio Comunale 8.2.81 n. 4, all’arch. De M. Px. (padre) deceduto il 19.3.88 e all’arch. De M. P. (figlio). Il relativo progetto è stato redatto e sottoscritto da entrambi ed approvato con D.G.M. n. 95 del 22.4.81, ratificata dal Consiglio Comunale con delibera n. 41 del 23.7.81.
L’originario unico progetto è stato ripartito e suddiviso con D.G.M. n. 160 del 15.7.81, in due distinte fasi esecutive, ciascuna delle quali è stata alla fine separatamente appaltata alla medesima impresa xxx con due diversi contratti.
Ciascuna fase esecutiva ha imposto l’approvazione di tre perizie suppletive e di variante.
In particolare la terza perizia suppletiva e di variante della 1^ fase esecutiva, è stata approvata dopo oltre tre anni e mezzo dalla ultimazione dei lavori (certificati in data 30.4.88) con D.G.M. n. 451 del 16.11.91.
Per la 2^ fase esecutiva la prima perizia suppletiva e di variante, approvata con D.CC. n. 5 del 18.3.95, appare non sorretta da specifiche ragioni giustificative, considerandosi solo la maggiore spesa di lire 359.902.045.
La terza perizia della 2^ fase esecutiva è stata approvata dalla G.M. con delibera n. 451 del 16.11.91, ad oltre tre anni e mezzo dalla ultimazione dei lavori.
Da quanto esposto emerge, quindi, ad avviso del P.R., che il progetto esecutivo predisposto era sicuramente insufficiente ed inadeguato, in quanto per il completamento e la funzionalità dell’opera sono state necessarie sei perizie di variante, di cui l’ultima a consuntivo, redatta con anni di ritardo dopo la ultimazione dei lavori.
Direttori dei lavori sia per la prima fase esecutiva, sia per la seconda fase esecutiva, sono stati nominati gli architetti Px. De M. padre e P. De M. figlio, rispettivamente con le deliberazioni n. 103 del 5.3.84 e n. 80 del 12.3.85.
Concretamente la Direzione dei Lavori è stata sempre svolta dall’arch. P. De M. e ciò anche prima della morte del padre Px.De M., avvenuta il 19.3.88.
Poiché erano sorte contestazioni con l’impresa Coletto in ordine alla contabilità, la ditta firmava con riserva i due registri relativi alla prima fase esecutiva e alla seconda fase esecutiva, premettendo una serie di considerazioni di carattere generale per dimostrare l’assolutamente impropria conduzione dei lavori da parte della Direzione dei Lavori.
Per risolvere la controversia si è quindi proceduto alla nomina di un arbitro con facoltà di decisione secondo equità, scegliendo quindi le modalità dell’arbitrato irrituale.
In data 14.6.94 è stato depositato il lodo, nel quale viene riconosciuta la mancata regolare tenuta dei registri di contabilità, per cui furono considerati tali, solo quelli redatti in data 28.8.90, dopo l’ultimazione dell’opera.
Il maggiore carico economico derivato dall’arbitrato, dovuto alla grave negligenza ed imperizia nello svolgimento della direzione dei lavori, risultava essere il seguente:
a) per revisione prezzi £. 15.680.752
b) equo compenso per il prolungamento del tempo
contrattuale, per la non programmabilità dei lavori
per fatto del committente £ 300.000.000
c) interessi per ritardato pagamento £ 39.554.582
d) riserve tecniche accolte con riguardo ad entrambe
le fasi esecutive £ 261.784.131
e) quota spese arbitrato £ 20.000.000
Per un totale di £ 637.019.465
Dopo l’invito a dedurre inviato all’arch. De M. P., non perveniva nel termine di 30 gg. alcun atto da parte del professionista.
Osserva la Procura che sulla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del direttore dei lavori, che cagioni danno alla P.A. nell’esercizio dei suoi compiti per la realizzazione di un’opera pubblica, oramai la giurisprudenza è pacifica.
Tra l’altro dalle numerose sentenze e decisioni riportate risulta che il direttore dei lavori esercita un ruolo e una funzione che, se è di iniziativa e vigilanza a vantaggio dell’Amministrazione, lo è nei limiti in cui i relativi compiti si risolvono proprio nel curare quegli interessi pubblici perseguiti con la realizzazione dell’opera dalla stessa Amministrazione (tra cui emergono la garanzia dell'esatta e puntuale esecuzione dell'opera, la cui realizzazione é funzionale all'interesse pubblico, l’osservanza delle regole tecniche a tutela dell’incolumità pubblica e di quelle contabili a protezione degli interessi finanziari dell’ente).
Attività pubblica quindi, quella del direttore dei lavori, che non perde il proprio connotato per il fatto di essere posta in essere da un soggetto privato, conservando, tuttavia, la natura di "attività amministrativa in senso obiettivo".
Dalla successione dei fatti, nonché dalle considerazioni e risultanze del lodo arbitrale - osserva la Procura - si evidenziano gravi ritardi ed insufficienze progettuali, nonché ancor più gravi negligenze della direzione dei lavori nella gestione dell’appalto e nella tenuta delle contabilità, che hanno giustificato l’accoglimento delle pretese dell’impresa Coletto.
Nel comportamento complessivo dell’arch. P. De M. sono ravvisabili pesanti carenze, sia nella progettazione che nella direzione dei lavori, che concorrono a formare un quadro generale qualificabile di certo come gravemente colposo, tale da fondare una responsabilità patrimoniale per danni che parte dalla fase progettuale, ma si accresce e si concretizza nella successiva fase di gestione e contabilizzazione dei lavori. Ossia il nesso causale si rinviene sia nel modo di condurre i lavori, sia nella tenuta della relativa contabilità.
La mancanza della dovuta perizia e diligenza nella concezione e nella realizzazione dell’opera risulta dal fatto che il progetto esecutivo predisposto era sicuramente insufficiente ed inadeguato, poiché per il completamento e la funzionalità dell’opera sono state necessarie ben 6 perizie di variante, di cui l’ultima a consuntivo redatta con anni di ritardo dopo l’ultimazione dei lavori.
L’esigenza di perizie suppletive (esclusa forse la prima della prima fase esecutiva), non è conseguenza di richieste dell’Amministrazione, o di carenze di finanziamento, ma di insufficienze del progetto originario, che è stato via via integrato in modo da consentire la completa agibilità e fruibilità della piscina, sia dal lato tecnico-sportivo, sia dal lato funzionale-estetico.
Per alcuni lavori è stato necessario procedere in anticipo, in quanto necessari al completamento della struttura e per far fronte a delle deficienze riscontrate dai Vigili del Fuoco in sede di collaudo, lavori eseguiti prima della perizia, che pertanto hanno comportato anche l’esigenza di approvarne la spesa come debito fuori bilancio.
L’arbitro stesso nella motivazione del lodo dice che, nonostante le difficoltà oggettive per aversi dall’origine un progetto esauriente e completo, non può disconoscersi con riguardo allo stesso un non trascurabile margine di approssimazione, come d’altra parte si conferma nelle relazioni delle perizie.
A consuntivo si prenderà atto che in corso d’opera si è dovuto ricorrere alla elaborazione di ben 202 nuovi prezzi.
Tuttavia le più gravi negligenze ed incapacità – secondo la Procura – si sono verificate nello svolgimento della Direzione dei lavori da parte dell’arch. P. De M..
La prima fase esecutiva avrebbe dovuto essere completata entro il 20 maggio 1985, dopo di che sarebbe scattata l’applicazione della penale, ma due giorni dopo la scadenza la direzione dei lavori ha convenuto con l’impresa Coletto di spostare tale scadenza a quella convenuta per la seconda fase esecutiva, assumendosi che il termine non sarebbe stato rispettato per motivi di ordine tecnico ed esecutivo, dovuto al sovrapporsi di opere da eseguirsi nel medesimo edificio. In cambio l’impresa accettava di bloccare alla data del 20 maggio 1985 la revisione prezzi, relativa agli stati di avanzamento che sarebbero stati successivamente emessi.
I lavori, secondo i termini stabiliti negli atti di sottomissione, avrebbero dovuto essere completati alla data del 31.8.87, sia con riguardo alla prima che alla seconda fase esecutiva, ma a seguito di ulteriori sospensioni, detti termini si sono spostati al 30.4.88.
Alla data del 30.4.88 la Direzione Lavori ha certificato la relativa ultimazione.
Secondo la Procura la certificazione è stata redatta a posteriori rispetto alla data fissata, con probabile accordo con l’impresa appaltatrice.
Alcuni documenti proverebbero questa eventualità.
Solo otto giorni prima della certificata ultimazione, in data 22 aprile 1988, l’impresa Coletto comunicava alla Direzione Lavori la immediata sospensione dei lavori, avente per causa la mancata emissione di S.A.L. da tempo eseguiti.
La Direzione Lavori ha replicato con telegramma pervenuto alla sede dell’impresa il 27.4.88, ossia tre giorni prima della scadenza con cui diffidava la prima dal sospendere i lavori.
A tale telegramma rispondeva l’impresa Coletto con raccomandata del 27.4.88, ove ribadiva il proprio atteggiamento.
Inoltre, con una lettera dell’11.10.88 l’impresa Coletto comunicava che nello stesso giorno sarebbe stata effettuata la consegna provvisoria del fabbricato "pur rimanendo sottinteso che le opere di rifinitura ancora da ultimare verranno portate a termine quanto prima", mentre nell’ultima frase di tale lettera si invitava il Sindaco a voler disporre per il verbale di ultimazione dei lavori, ossia di un verbale che doveva già essere stato teoricamente sottoscritto.
Il De M. dopo la certificazione di ultimazione lavori avrebbe dovuto redigere la contabilità finale che veniva a comportare la esigenza dell’ultima perizia suppletiva e di variante finale, a completamento e assestamento dei lavori, unitariamente redatta per entrambe le fasi esecutive.
Il direttore dei lavori ha continuato a prendere tempo anche perché non era ancora stato redatto e depositato il regolare registro di contabilità e lo stesso non era mai stato presentato per la sottoscrizione all’Impresa.
La contabilità inizialmente era stata riportata in due registri distinti riguardanti la prima e la seconda fase esecutiva.
Tuttavia vi furono degli errori, nel senso che furono allibrate quantità di spettanza della prima fase nella contabilità riguardante la seconda e viceversa, perciò furono effettuate detrazioni e modifiche per riportare ad esattezza la contabilizzazione di ciascun registro.
Ma le rettifiche resero poco leggibili gli originari registri, per cui gli stessi non sono stati più utilizzati e si è ritenuto di predisporre due nuovi registri di contabilità, riportando in essi anche le poche parti e le registrazioni già compiute.
Detta contabilizzazione è stata formalizzata dopo la fine dei lavori e presentata all’Impresa, questa ha avanzato le sue riserve che sono state considerate tutte ammissibili, essendo la prima volta che tali nuovi registri venivano ad essa sottoposti.
Nel Lodo, alla pag. 5, l’arbitro ha deciso che i registri originari di contabilità, in quanto sostituiti volutamente, devono ritenersi nulli ai fini contabili e, in quanto tali, come mai redatti nella prima stesura.
Pertanto registri di contabilità per l’opera a tutti gli effetti di legge, sono da ritenersi solo quelli redatti dalla Direzione Lavori in data 28.8.90, due anni e 4 mesi dopo la certificata ultimazione, per cui sono state ritenute tempestive ed ammissibili tutte le riserve dell’Impresa, che le ha iscritte nell’unico registro da ritenersi valido.
Il direttore dei lavori dopo aver certificato l’ultimazione dell’opera in data 30.4.88, tardava a presentare la contabilità finale, per cui l’Amministrazione comunicò all’arch. De M., con raccomandata del 6.10.89, un primo sollecito formale per la trasmissione della documentazione finale della piscina, "al fine di permettere l’approvazione della contabilità stessa il collaudo dell’opera e la somministrazione del contributo regionale".
L’arch. De M. rispondeva con nota del 30.10.89, con cui assicurava che avrebbe fatto pervenire in breve termine le perizie finali di assestamento, sia per la prima che per la seconda fase, precisando che ad approvazione avvenuta sarebbe stata consegnata la contabilità finale, sia della prima che della seconda fase, con tutti gli elaborati di rito.
In data 20.12.89 perveniva invece una lettera dell’Avv. Borella, che pretendeva il saldo per la Coletto quantificato intorno a lire 350.000.000, oltre alla revisione prezzi e alle riserve che l’Impresa non aveva ancora potuto iscrivere nel registro di contabilità, non essendole ancora stato presentato lo stesso per la firma, nonostante l’ultimazione dei lavori risalisse ad oltre un anno e mezzo prima.
Il Comune di Stra inviava una nuova raccomandata il 17.1.90 all’arch. P. De M., con cui si sollecitava sempre la contabilità finale dell’opera, manifestando al tempo stesso le preoccupazioni del Comune per le possibili conseguenze derivanti dal mancato rispetto dei termini contrattuali.
Il direttore dei lavori non provvedeva e pertanto il Comune attraverso l’avv. Segantini con raccomandate del 15.2.90 e 26.5.90, lo diffidava alla consegna e all’illustrazione degli elaborati.
Con nota del 12.6.90 finalmente l’arch. De M. trasmetteva la contabilità finale, compresi i nuovi registri di contabilità per le due fasi esecutive.
Il Comune con un’ulteriore raccomandata dell’11.7.90 rilevava che la contabilità trasmessa era priva della firma dell’Impresa, pertanto, l’architetto inviava lettera di invito all’Impresa per visionare la stessa entro il 21.7.90.
L’impresa Coletto mandava due raccomandate: una prima in data 18.7.90 con cui contestava la contabilità e segnalava che ne era stata rifiutata la consegna per poterla esaminare (obiezione in seguito alla quale l’arch. De M. provvedeva alla consegna il 1.8.90), e una seconda in data del 31.8.90, con la quale faceva constatare tutte le irregolarità dell’arch. De M..
Furono, quindi, firmati con riserva dalla ditta i due registri di contabilità.
L’Arch. De M. non provvide alle tempestive controdeduzioni e solo dopo una nota dell’Amministrazione del 12.11.90, inviò la sua relazione.
Con raccomandata del 16.10.90 l’Impresa Coletto contestò i danni, e segnalò che erano ampiamente superati i termini di cui all’art. 5 della legge n. 741/81.
Venne quindi redatta dall’Arch. De M. la terza perizia suppletiva e di variante finale, a completamento dei lavori, pervenuta in data 18.10.91 e approvata con d.G.M. n. 451 del 16.11.91.
Le parti si accordarono a compromettere la soluzione delle questioni pendenti avanti ad un arbitro unico, anziché all’arbitrato a cinque previsto dal Capitolato Generale, con facoltà di decisione secondo equità, trattandosi di arbitrato irrituale.
In data 14.6.94 veniva depositato il lodo.
L’arbitro ha riconosciuto la mancata regolare tenuta dei registri di contabilità, per cui sono stati considerati tali solo quelli redatti in data 28.8.90, dopo l’ultimazione dell’opera.
Le riserve avanzate dall’Impresa Coletto sono state ritenute tutte ammissibili, perché tempestivamente trascritte nel successivo registro di contabilità, unico valido ed indicativo per l’appalto.
Osserva tuttavia il Procuratore Regionale che, a parte le riserve tecniche, ciò che più ha penalizzato l’Amministrazione – in seguito alla decisione arbitrale – è stato il riconoscimento di un equo compenso per l’imposto prolungamento del tempo contrattuale, per la non programmabilità dei lavori per fatto della committente e per il superamento dei limiti di cui agli artt. 13 e 14 del capitolato, per cui si ritiene responsabile, con colpa grave, di un danno complessivo di lire 637.019.465 il direttore dei lavori, ossia l’architetto De M. P..
La comparsa di costituzione dell’avv. Alfredo Bianchini per il sig. P. De M., depositata in data 11.6.1998, contesta radicalmente l’azione nel merito perché inammissibile, infondata e comunque prescritta, chiedendo la sospensione del procedimento a seguito di ricorso per regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. davanti alle S.U. della Cassazione.
Con detto ricorso per regolamento di giurisdizione si nega la competenza giurisdizionale della Corte dei conti.
Si rileva in proposito che non basterebbe quale presupposto normativo l’art. 52 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 a ricondurre alla giurisdizione della Corte dei conti l’operato del direttore dei lavori nella realizzazione di un’opera pubblica.
Tale estensione sarebbe giustificata da una recente giurisprudenza della Cassazione S.U., n. 3358 dell’11.4.94 e Corte dei conti SS.RR. 4.1.93, n. 817/A.
Tuttavia, secondo il difensore, è solo con l’avvento della legge 142/90 (art. 58) e della stessa legge sul procedimento (l. 241/90), che si è reso applicabile l’art. 52 predetto al direttore dei lavori.
Nella specie, rileva il difensore che i fatti censurati dall’accusa figurano essere tutti riconducibili a data anteriore non solo all’indirizzo ermeneutico della giurisprudenza, ma anche alle citate leggi del ’90.
L’art. 25 della Costituzione impedirebbe l’applicarsi retroattivo di una responsabilità di tipo nuovo al direttore dei lavori.
L’incarico è del marzo 1985, mentre il certificato di ultimazione dei lavori è del 30.4.88.
I fatti successivi non sarebbero rilevanti ai fini della presente questione.
Anche dal tenore del lodo i giudizi sull’operato della Direzione dei lavori attengono esclusivamente alla fase progettuale, o esecutiva della realizzazione edile, non a quanto avvenne in seguito quindi fuori della portata del giudizio della Corte dei conti.
Con ordinanza dell’1.7.98 veniva negata da questa Sezione Giurisdizionale la sospensione richiesta per il regolamento di giurisdizione, sollevato dal convenuto, ritenendosi che la contestazione della giurisdizione della Corte dei conti fosse manifestamente infondata, atteso che per costante giurisprudenza della Corte dei conti e della Corte di Cassazione, il direttore dei lavori di un’opera pubblica è da considerare organo straordinario della P.A. appaltatrice, perché preposto ad operare sulla base di un rapporto di servizio, quale agente di detta Amministrazione.
Nella memoria presentata il 4.12.98 dall’avv. Bianchini, si pone preliminarmente in evidenza il fatto che gli adattamenti all’originario progetto di piscina comunale nella primavera del 1981 erano dovuti non a necessità tecniche, ma soltanto ad esigenze di pura natura economica, sollevate dallo stesso Comune in vista della procedura d’appalto funzionale alla costruzione dell’opera.
Ciò ha evidentemente creato delle difficoltà tecniche ed organizzative per la realizzazione dell’opera edilizia unitaria.
Gli effetti delle sospensioni dei lavori dovrebbero perciò intendersi come previsti dal committente se non addirittura voluti.
La lievitazione dei costi non sarebbe dunque dipesa da insufficienze progettuali, ma dagli intendimenti di risparmio farzoso dell’ente appaltante.
Lo stesso lodo arbitrale riferisce della mancanza dei finanziamenti adeguati e correlativamente della divisione artificiosa in due fasi esecutive di un appalto per sua natura indivisibile.
L’imperizia sarebbe da ascrivere quindi già alla fase antecedente "amministrativa" e non a quella successiva "tecnica".
Alla pubblica udienza del 24 giugno 1999, il P.M. si sofferma su vari aspetti della vicenda già esplicitati nell’atto di citazione.
In particolare il Vice Procuratore Regionale confuta la tesi sostenuta dalla difesa in cui si afferma che i ritardi nell’attività del Direttore dei lavori possono essere derivati dal ritardo nella erogazione dei finanziamenti.
L’Avv. Bianchini, difensore del convenuto, pur confermando le eccezioni già avanzate per iscritto avanza alcune richieste di documentazione al fine di consentire un prolungamento dell’istruttoria.
DIRITTO
Sulla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti, nella fattispecie si è pronunciata favorevolmente già in precedenza questa Sezione Giurisdizionale, giusta l’ordinanza dell’1.7.98, che negava la sospensione per il regolamento di giurisdizione presso le SS.UU. della Corte di Cassazione e sulla quale ci si è soffermati nella parte in fatto di questa sentenza.
Restano da esaminare le altre questioni preliminari eccepite dalla difesa del De M., ossia la prescrizione dell’azione per danno e le richieste istruttorie.
Riguardo alla presunta prescrizione del danno, ha affermato nell’udienza finale il difensore del De M. che il lodo non è un fatto accertativo giurisdizionale, ma un atto fra le parti e quindi inidoneo ad interrompere la prescrizione.
L’ultimo atto del direttore dei lavori risale al 1991, mentre la prima contestazione della Procura risale al novembre del 1997.
Ad avviso di questo Collegio giudicante deve invece ritenersi valido, come dies a quo, la data di deposito del lodo arbitrale, ossia il 14.6.94 e quindi da respingere la eccezione di prescrizione dell’azione di danno intentata dalla Procura Regionale per il Veneto della Corte dei conti.
Occorre far riferimento alla cospicua giurisprudenza, che ritiene – in materia di danno indiretto, derivante dal fatto che l’Amministrazione risarcisce un terzo del danno causato dal soggetto, ad essa legato da rapporto di servizio – che il debito (e quindi il termine quinquennale per l’azione da parte del P.M. contabile) sorge al momento della sentenza, del lodo o, della transazione con cui è accertato il danno.
Solo a seguito di un’istruttoria, ancorché parziale, o sommaria e di un provvedimento accertativo ad essa conseguente, può ritenersi insorto effettivamente il danno a carico dell’ente che ha risarcito il terzo.
Prima di tale fase non sarebbe possibile, se non con estrema e dunque inammissibile approssimazione, una citazione per danno erariale da parte del P.M. contabile, per cui in questo caso va richiamato il principio contenuto nell’art. 2935 c.c., ossia actio nondum nata non praescribitur.
Quanto alle richieste di istruzione aggiuntiva sollevate dalla difesa del De M., non si ritiene che debbano essere accolte.
La scelta dell’arbitrato irrituale quale mezzo di risoluzione più rapido della controversia con la ditta esecutrice dei lavori, non può ritenersi in sé ingiustificata, in considerazione del potere transattivo che spetta per ogni controversia relativa a diritti disponibili all’ente pubblico.
Deve poi ritenersi del tutto sufficiente la documentazione agli atti, per aversi una ricostruzione chiara dei fatti che hanno dato origine al danno al Comune di Strà.
Risultano acquisite infatti tutte le deliberazioni, le relazioni e gli elaborati tecnici, che hanno caratterizzato i lavori per i quali è insorta la controversia tra il Comune di Strà e l’impresa xxx, che ha dato poi luogo al lodo favorevole alla predetta Amministrazione Comunale.
Venendo ora al merito della controversia.
Risulta subito evidente la presenza dell’elemento della colpa grave dell’arch. De M., sotto il profilo della scarsa diligenza professionale e del mancato rispetto delle regole professionali, oltreché del ripetuto mancato rispetto delle norme di legge, che vincolano e regolano l’attività del direttore dei lavori.
Già la fase di progettazione è stata caratterizzata da uno spezzettamento dell’opera in più progetti e perizie di variante che, considerata la natura dell’opera medesima, rivelano un’assenza di professionalità nel tecnico, senza peraltro che a sua discolpa, risulti dimostrata la necessità dello spezzettamento per motivi esterni, quale l’assenza di un finanziamento adeguato.
Ma è soprattutto la fase esecutiva, in cui il tecnico rivestiva la qualifica di direttore dei lavori, quella in cui il comportamento dell’arch. De M. appare ancora più chiaramente caratterizzato nella sua grave colpevolezza.
Il direttore dei lavori ha concesso alla ditta appaltatrice di spostare il termine di ultimazione dell’opera dal 20.5.85 al 30.4.88, senza prevedere alcun pagamento di penali a compensazione che pure erano previste nel Capitolato; è incorso in un gravissimo ritardo nella redazione della contabilità finale, che risulta peraltro effettuata in modo disordinato e approssimativo, tanto da doversi rifare ex novo, come ha riconosciuto il lodo arbitrale.
La stessa contabilità è stata trasmessa dopo vari solleciti del Comune a partire dal 6.10.89, solo in data 12.6.90 e senza la firma dell’impresa appaltatrice.
Il direttore dei lavori non ha mosso alcuna controdeduzione alle numerose riserve poste dall’impresa Coletto all’atto della firma della contabilità, riserve che poi sono state all’origine della condanna assai ingente a carico dell’Amministrazione decisa, dal lodo arbitrale.
Risultano perciò violati gli obblighi previsti per il direttore dei lavori in relazione al termine di ultimazione dei lavori, così come previsti dall’art. 29 del DPR 1063/1962.
Sono stati violati gli obblighi previsti dagli artt. 131 e 14 del Capitolato generale per i lavori pubblici DPR 1063/1962 e l’art. 5 della legge 741/81.
Risultano ripetutamente violate le norme di legge previste dal R.D. 25 maggio 1895 n. 350, sulle modalità di tenuta della contabilità da parte del direttore dei lavori.
In particolare risulta essere stato assai gravido di conseguenze negative l’inadempimento dell’obbligo di esprimere le deduzioni del direttore dei lavori rispetto alle riserve, opposte dall’impresa Coletto (art. 34 R.D. 25.5.1895 n. 350).
Non appare infine rispettato l’obbligo di tempestività nella redazione degli elaborati collegati all’incarico di direttore dei lavori, così come previsto dall’art. 63 R.D. n. 350/1895, considerato il numero di raccomandate e diffide legali che il Comune ha dovuto inviare allo stesso tecnico.
L’eccezione più rilevante nel merito, opposta dalla difesa del De M. concerne tuttavia non tanto la presenza di attività o inattività gravemente colpose, ma la presenza del nesso causale tra il danno al Comune provocato dal lodo arbitrale e la condotta dell’architetto direttore dei lavori, ritenendosi il lodo arbitrale come un atto non paragonabile ad una sentenza giudiziale, in quanto nel primo non era garantito il contraddittorio con lo stesso direttore dei lavori e poiché in esso il Comune non avrebbe saputo, o voluto esporre le ragioni del resistere alle pretese della ditta Coletto.
Al riguardo, secondo questo Collegio, possono farsi alcune considerazioni.
E’ pur vero che l’arbitrato irrituale con facoltà di decisione secondo equità, come del resto lo stesso arbitrato rituale, previsto dalle disposizioni del codice di procedura civile, (secondo parte della dottrina processualista) nasce da un atto di natura contrattuale di due soggetti privati, che affidano ad un arbitro, a sua volta privato, la risoluzione di una controversia insorta tra loro. Per cui opererebbe, secondo la tesi della difesa, l’art. 1372 c. civile, che limita gli effetti del contratto alle parti che l’hanno stipulato, non potendo esso, in alcun modo, vincolare i terzi estranei (res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest).
Tale tesi deve essere però respinta, o comunque va ritenuta non conferente al caso, per un vario ordine di motivi.
In primo luogo, come può ritenersi ormai giurisprudenza consolidata delle Sezioni della Corte dei conti, il giudizio di responsabilità della magistratura contabile è di natura sindacatoria, in qualche misura assimilabile a quello del giudice penale, per cui esso può basarsi autonomamente sugli elementi indiziari, o probatori più vari, e, tra questi, può certamente ritenersi un elemento probatorio qualificato ed attendibile, quello derivante da una decisione di un arbitro tecnicamente e giuridicamente motivata, ancorché egli avesse potuto giudicare solo secondo equità, come del resto è stato già ritenuto dalla Sezione Giurisdizionale Puglia sella sentenza n. 43 del 1.9.98.
Inoltre la "posizione processuale", nell’ambito del giudizio arbitrale, che ricopriva il direttore dei lavori non era quella di un terzo con interesse contrapposto a quello di una delle parti, ossia il Comune di Strà che era il committente dei lavori.
Quella di direttore dei lavori può essere benissimo una funzione che viene ad essere rivestita in concreto da un privato, libero professionista, cionondimeno quello che lo caratterizza è il suo rapporto con la funzione attribuita all’ente, o meglio con alcune delle attività che l’ente direttamente, o indirettamente (avvalendosi di soggetti estranei alla propria organizzazione), è chiamato ad esercitare per la cura dell’interesse pubblico affidatogli.
La realizzazione di opere pubbliche costituisce attività disciplinata minuziosamente dal legislatore, a garanzia degli interessi pubblici che vi convergono.
Il direttore dei lavori esercita un ruolo ed una funzione che, se è di iniziativa e vigilanza a vantaggio dell’amministrazione, lo è nei limiti in cui i relativi compiti si risolvono proprio nel curare quegli interessi pubblici perseguiti con la realizzazione dell’opera della stessa Amministrazione.
L’attività pubblica del direttore dei lavori non perde tale connotato per il fatto di essere posta in essere da un soggetto privato, conservando tuttavia la natura di "attività amministrativa in senso obiettivo", ripetendosi in qualche modo quanto è stato affermato dalle SS.UU. della Corte di Cassazione con la sentenza 12221 del 29.12.90, con riferimento al concessionario a cui siano conferite potestà pubbliche di natura amministrativa.
L’organo indiretto della P.A., direttore dei lavori, è quindi parte della stessa Amministrazione, ossia il Comune di Strà che è stato condannato in sede di giudizio arbitrale, avendo un interesse "processuale" del tutto sovrapponibile a quello dell’Amministrazione (cfr. SS.RR. 817/A 4.1.1993).
Del resto lo stesso direttore dei lavori con la sua inerzia, o imperizia nella redazione della contabilità è stato all’origine della controversia, mentre avrebbe avuto ben modo di fornire la propria versione dei fatti, replicando alle riserve apposte dall’impresa Coletto, cosa che invece non ha fatto, salvo poi a dolersi delle pretese carenze istruttorie del giudizio arbitrale, per le conseguenze a suo danno nel giudizio davanti alla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti.
Accertata dunque la sussistenza delle responsabilità dell’arch. De M. P., occorre fare delle precisazioni sull’importo del danno ad esso effettivamente ascrivibile.
Il lodo redatto dall’arbitro, ing. Emilio Baroncini, ha previsto un esborso complessivo di lire 637.019.465 a carico del Comune di Strà, distinguendo in tale somma vari importi specificamente motivati: 1) lire 15.680.752 per revisione prezzi; 2) lire 300.000.000 per equo compenso per il prolungamento del tempo contrattuale, per la non programmabilità dei lavori per fatto del committente; 3) lire 39.554.582 per interessi per ritardato pagamento; 4) lire 261.784.131 per riserve tecniche accolte con riguardo ad entrambe le fasi esecutive; 5) lire 20.000.000 per quota spese arbitrato.
Deve ritenersi secondo l’avviso di questo Collegio, che non tutte queste voci possano ricollegarsi all’attività, o inattività posta in essere dal direttore dei lavori, mentre l’importo previsto per revisione prezzi non può essere considerato un effettivo danno all’erario.
Infatti detto importo è da ritenersi elemento puramente nominale e monetario, legato alla necessità di indicizzare i costi essendo compensato, senza vero danno per l’Amministrazione dalla parallela rivalutazione dell’opera costruita.
Non può ritenersi invece connessa alla responsabilità del direttore dei lavori la voce "equo compenso per il prolungamento del tempo contrattuale, per la non programmabilità dei lavori per fatto del committente", in quanto lo spezzettamento dell’opera in due parti e in sei perizie di variante è stato proposto, e solo progettato dal tecnico, ma assentito e quindi deciso con delibera dall’Amministrazione Comunale.
Non può ritenersi neppure connessa con la responsabilità del direttore dei lavori la voce "Quota spese arbitrato", da ritenersi effetto della decisione di deferimento da parte dei due contendenti (Comune di Strà ed impresa Coletto).
Restano quindi da considerare gli interessi per ritardato pagamento, che vanno ritenuti – con valutazione equitativa di questo Collegio ex art. 1226 c.c. – ascrivibili al direttore dei lavori solo al 50%, dovendosi riconoscere un contributo ai ritardi della stessa impresa costruttrice e per altro verso alle riserve tecniche accolte, con riguardo ad entrambe le fasi esecutive, che vanno invece ritenute integralmente ascrivibili al comportamento tenuto dal direttore dei lavori, lontano dai doveri professionali e legali che caratterizzano la sua funzione, come si è precisato in precedenza.
Sull’importo residuo del danno da porsi a carico del direttore dei lavori, il Collegio ritiene inoltre di poter fare uso del potere di riduzione dell’addebito.
Ciò in considerazione della circostanza che la condotta del convenuto pur configurando un’ipotesi di c.g. comporta tuttavia l’uso del potere riduttivo in considerazione dell’incidenza del modo di operare della Pubblica Amministrazione, che crea talora particolari difficoltà e problemi per gli operatori tecnici di non agevole soluzione.
L’importo da porre a carico del convenuto è pertanto determinato in lire 220.000.000, comprensive d rivalutazione monetaria, oltre agli interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.
P.Q.M.
la Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per il Veneto definitivamente pronunciando nel giudizio in epigrafe, CONDANNA il convenuto Sig. De M. P. al pagamento a favore del Comune di Stra della somma di lire 220.000.000, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e agli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino al soddisfo.
Condanna altresì il convenuto al pagamento delle spese di giudizio, le spese sin qui maturate si liquidano in lire omissis