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n. 3-2002 - © copyright.

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. VENETO - Sentenza 11 marzo 2002 n. 72 - Pres. Zambardi, Est. Orefice – P.M. Scarano c. Gerico S.p.A. e altri (Avv.ti Orsoni e Ivancich).

1. Responsabilità amministrativa – Istituti di credito concessionari di servizio esattoriale – Rapporto di servizio – Sussiste – Ufficiali alla riscossione – Dipendenti privati di istituti concessionari – Rapporto di servizio – Non sussiste.

2. Responsabilità amministrativa – Istituti concessionari servizio riscossione - Prescrizione - Per mancata entrata tributaria – Dopo il rimborso o il discarico all’esattore.

3. Responsabilità amministrativa – Atto pubblico – Valutabilità del giudice – Elementi estrinseci – Piena prova fino a querela di falso – Elementi intrinseci – Libera valutabilità da parte del giudice – Verbali di riscossione redatti fittiziamente – Danno erariale – Sussiste – Addebito alla società riscossione.

4. Responsabilità amministrativa – Società di riscossione tributi – Natura di agente contabile – Sussiste – Prova della non imputabilità della prestazione – A carico del debitore.

5. Responsabilità amministrativa – Società di riscossione tributi – Mancato introito tributi a seguito di verbalizzazioni fittizie – Danno – Sussiste – Determinazione – Valutazione equitativa.

1. L’istituto della concessione amministrativa realizza una specie di amministrazione parallela a quella della pubblica amministrazione, con la conseguenza che si può affermare che tra l’ente pubblico concedente e il concessionario si costituisce, ove tale ultimo eserciti pubblici poteri, un vero e proprio rapporto di servizio.

In ipotesi di danno erariale che si assume derivi dalla perdita di entrate, sussiste pertanto la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dell'istituto di credito concessionario del servizio esattoriale gestore della pubblica entrata, ma non nei confronti degli ufficiali della riscossione che, essendo organicamente alle dipendenze dell'istituto di credito, non operano funzionalmente nell'interesse dell'ente concedente rispetto al quale non vengono ad essere legati da rapporto di servizio, essendo affidatari di un'attività disciplinata sì da norme di diritto pubblico, ma svolta nell’ambito di un rapporto di servizio a natura esclusivamente privatistica con il concessionario, al quale imputano interamente gli effetti della propria condotta.

2. Nell’ipotesi di tributi c.d. con obbligo del non riscosso come riscosso, la mancata entrata tributaria si verifica, allorché da parte dell’amministrazione si proceda al rimborso delle quote anticipate dall’esattore; nell’ ipotesi, invece, di tributi c.d. senza obbligo, per i quali vige la regola del semplice riscosso, allorché l’amministrazione accordi all’esattore stesso il discarico delle quote, così esonerandolo dal versamento delle quote medesime. In conseguenza di ciò l’evento dannoso per l’erario, da cui far decorrere la prescrizione, inteso come perdita del tributo (da parte dell’ente impositore) avviene quando il tributo stesso sia rimborsato o discaricato alla concessionaria del servizio.

La disciplina dell’efficacia dell’atto pubblico come piena prova assoluta e incondizionata con efficacia erga omnes è fissata dall’art. 2700 c.c. in correlazione con l’art. 2699 c.c., dove l’atto pubblico è definito come documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo ove l’atto è formato.

La predetta norma sull’atto pubblico contiene una chiara limitazione di tale efficacia a quegli elementi che la giurisprudenza chiama "estrinseci", quali la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, il momento della formazione (la c.d. data), il luogo della formazione stessa ed in generale tutto ciò che innanzi al pubblico ufficiale è stato detto o è stato fatto. Il valore probatorio degli elementi intrinseci dell’atto pubblico è dato, invece, dal contenuto delle dichiarazioni, con la conseguenza che esso è certamente al di fuori dell’efficacia di prova legale e perciò rientra, dunque, nell’ampia e normale libera valutabilità da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c..

Costituisce danno erariale, sotto il profilo della mancata entrata tributaria, quando al concessionario del servizio di esattoria si contesta, con dati oggettivamente non controvertibili, l‘irregolarità dei verbali di riscossione, fittiziamente redatti in date coincidenti con l’assenza dal servizio degli ufficiali addetti al servizio riscossione, come risulta dagli stessi registri della società concessionaria, con la conseguenza che si è in presenza di una piena prova che la quota di tributo non è mai stata riscossa per fatto proprio del concessionario.

4. La società concessionaria del servizio riscossione tributi, in virtù del rapporto di servizio sussistente tra la stessa e l’ente impositore, in forza del rapporto concessorio, assume la veste di agente contabile, con la conseguenza che la medesima società è tenuta ad una obbligazione di restituzione (o consegna) secondo le modalità di svolgimento del servizio, a seguito delle quali il contabile deve dimostrare che le quote provenienti dai tributi siano state riscosse, ovvero che non potevano essere riscosse, rimanendo evidente - stante la chiara lettera dell’art. 1218 – che spetta al debitore provare la non imputabilità dell’impossibilità della prestazione, il che comporta un’inversione dell’onere della prova della (non) colpevolezza in caso di mancata riscossione.

5. Sussiste, inequivocabilmente, il nesso di causalità tra la fattispecie dannosa, quale il rimborso non dovuto, da parte della p.a., alla società di riscossione tributi, in presenza di una attività connotata da fittizie verbalizzazioni di irreperibilità o di pignoramento negativo presso i debitori, con la conseguente responsabilità della società medesima per l’attività illecita svolta dai propri dipendenti e per la completa assenza di qualsivoglia forma di verifica, controllo od altra iniziativa diretta a non incoraggiare i comportamenti illeciti.

Sussiste un danno certo per l’Erario, a seguito della mancata attività di riscossione e conseguente minore entrata tributaria, anche se il difetto d'entrata erariale, derivante dal grave inadempimento addebitato alla società concessionaria, non è possibile determinarlo in modo puntuale, con la conseguenza che esso, per criterio di giustizia, può essere definito in via equitativa.

 

Commento di

MASSIMO PERIN

Società concessionarie di attività di riscossione tributi e danno per mancata entrata tributaria.

La sentenza in rassegna viene segnalata all’attenzione del lettore, perché puntualizza, in modo chiaro, il tipo di responsabilità amministrativa a cui sono sottoposte le società private che hanno in concessione l’attività di riscossione dei tributi.

Tale modulo organizzativo, a cui oggi sempre più ricorre l’amministrazione, per riscuotere i tributi (si pensi, ad esempio, alle società di accertamento e riscossione dei tributi comunali), fa sì che soggetti privati si ingeriscano, tramite un rapporto concessorio con la p.a., in un’attività, di natura eminentemente pubblicistica, quale quella di accertamento e riscossione tributi.

Per quanto riguarda la sottoposizione al giudizio di responsabilità amministrativa, in ragione della presenza di un rapporto di servizio sorto tra ente pubblico concedente e società concessionaria del servizio non vi è alcun dubbio, dal momento che la Cassazione ha sempre ritenuto sussistente la giurisdizione contabile ogniqualvolta che un ente privato si trovi inserito in un’organizzazione amministrativa (cfr. ex multis Cass. civ. S.U. n. 19 del 14.2.2000), tenuto conto, altresì, che, nel caso di specie, le società esattoriali, oltre ad aver maneggio di denaro pubblico (tale fatto di per sé qualifica la società di riscossione tributi alla stregua di un agente contabile, secondo la nozione di cui all’art. 74 del r.d. n. 2440 del 1923, con i conseguenti obblighi come la resa del conto sulle somme materialmente riscosse in nome dell’amministrazione) svolgono, molto spesso, anche un’attività vera e propria di accertamento tributario nei confronti dei contribuenti.

L’unica possibilità per escludere la giurisdizione contabile nei confronti delle società concessionarie dei servizi di riscossione è data dalla eventuale responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. per fatti esterni al rapporto concessorio e alle partite contabili relative all’esazione tributaria (cfr. Cass. S.U. n. 3284 del 16.4.1997), ipotesi certamente diversa da quella della mancata riscossione per attività irregolare e illecita degli ufficiali alla riscossione, nei confronti dei quali l’ente concessionario non aveva attivato alcun modulo di autodifesa, quale quello derivante da un’efficace azione di controllo sul proprio personale.

Questo orientamento è poi consolidato anche nella giurisprudenza contabile, dal momento che per l’assoggettamento alla propria giurisdizione la Corte dei Conti non riconosce alcun rilievo al fatto che un agente della riscossione abbia la natura giuridica di azienda di credito e, quindi, sia soggetta alla disciplina del diritto privato (cfr. Corte dei Conti I Sezione centrale n. 78 del 14.5.1997).

La sentenza poi tratta un aspetto determinante, ai fini del riconoscimento del danno erariale e cioè la valenza probatoria da riconoscere ai verbali redatti in maniera fittizia dagli ufficiali alla riscossione dipendenti dal concessionario.

Si premette che la Sezione Veneto ha declinato, per l’occasione, la propria giurisdizione nei confronti degli ufficiali alla riscossione, essendo sufficiente, ai fini della responsabilità amministrativa, che sia chiamato a rispondere del danno il solo istituto di credito concessionario del servizio e non i propri dipendenti, i quali sono legati da un rapporto di servizio privato con quest’ultimo, con la conseguenza che essi dovranno rispondere dei propri comportamenti innanzi al proprio datore di lavoro e, in caso di contenzioso, di fronte al giudice ordinario.

Questo aspetto era stato risolto dalla Sezione Toscana della Corte dei Conti in modo opposto (cfr. sent. n. 833 del 9.2.2000), perché gli ufficiali della riscossione, in quanto soggetti affidatari di una funzione di diritto pubblico, che esercitano i poteri autoritativi propri dell’amministrazione, devono essere considerati in rapporto di servizio con l’amministrazione e, di conseguenza, sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti per gli eventuali danni erariali derivanti dall’infedele esercizio dell’incarico loro affidato.

Sempre la stessa pronuncia dei giudici toscani aveva escluso, invece, la soggezione alla giurisdizione contabile dei dirigenti degli istituti di credito concessionari per la riscossione delle imposte, dal momento che la loro responsabilità sarebbe assorbita dall’istituto esattore nel suo complesso.

Per quanto riguarda, invece, la valenza da dare, ai fini della prova, ai verbali di riscossione mancata (ad es. per irreperibilità del debitore) redatti in modo fittizio (caso mai per favorire qualche amico), sempre la Sezione Toscana con la predetta pronuncia (sul punto assolutamente non condivisibile, anche per mancanza del necessario approfondimento della questione), aveva respinto l’istanza risarcitoria, perché l’azione di danno doveva essere preceduta dalla querela di falso dei verbali non veridici, in considerazione del fatto che essi erano stati redatti da pubblici ufficiali.

I giudici veneti, partendo correttamente dalla diversità del valore estrinseco (che fa piena prova fino a querela di falso) ed intrinseco (che può essere liberamente valutato dal giudice ex art. 116 c.p.c.) dell’atto pubblico sono, invece, giunti alla condanna dell’istituto esattore, dal momento che risultava agli atti che gli ufficiali alla riscossione, mentre erano in vacanza o, peggio ancora, in congedo matrimoniale, attestavano, candidamente, che non avevano potuto procedere alla riscossione esattoriale nei confronti dei debitori, realizzando così il danno erariale per mancata entrata tributaria.

Certamente la responsabilità dell’istituto esattore deve essere rinvenuta anche nel difetto di opportune misure di controllo nei confronti dei propri dipendenti, dimostrando conseguentemente un difetto di resa del servizio che porta l’agente contabile (istituto concessionario) alla mancata realizzazione l’obbligo di restituzione verso l’amministrazione concedente

Infatti, nel rapporto contabile spetta al debitore dimostrare che le somme derivanti dai tributi non potevano essere riscosse, tenuto conto che spetta al debitore (agente contabile) provare la non imputabilità conseguente all’impossibilità della prestazione in caso di mancata riscossione dei tributi.

 

 

SENTENZA

nei giudizi di responsabilità iscritti ai nn. 016566, 016580, 016586, 016607, 016615, 016657 e 016660 del registro di Segreteria, promossi dal Procuratore regionale contro la Gerico S.p.a., in persona del rappresentante legale pro-tempore, e i sigg. Roberto SERA, Leonardo BERTO, Fabio PAVON, Maria Luisa MARTIN, Mario CARRARO, Stefano GOBBATO e Michele MODENESE.

Uditi, nella pubblica udienza dell’11 ottobre 2001 e del 24 ottobre 2001 il relatore Consigliere Mauro OREFICE, i rappresentanti del P.M. nelle persone del P.R. Carmine SCARANO e del S.P.G. Stefania FUSARO, e gli avv. Giorgio ORSONI e Gianfranco IVANCICH, difensori dei convenuti.

Esaminati tutti gli atti e i documenti di causa.

Ritenuto in

FATTO

In data 22/7/1998 perveniva alla Procura Regionale presso la Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto della Corte dei conti la relazione prot. n. 335/ris/SIR del Servizio Ispettivo Regionale del Ministero delle Finanze in cui venivano denunciate anomalie nell’attività di riscossione tributi svolta, nell’arco di quasi un decennio, dalla società GERICO S.p.A. concessionaria della provincia di Venezia (concessione D.M. Finanze 21/12/89, convenzione 29/12/89, disciplinare 1/12/1994).

L’indagine del Servizio Ispettivo aveva preso avvio nel 1997, nell’ambito di un controllo dei dati desunti dai Registri Cronologici degli Ufficiali di Riscossione operanti nella Regione Veneto (ex art. 101, 2 c., DPR 43/88). Si era infatti riscontrato un elevato ed irragionevole numero di registrazioni di verbali di irreperibilità e di pignoramento negativo, redatti in singole giornate da parte dei dipendenti della concessionaria.

Stante la quantità di documentazione da esaminare (per il solo periodo 1994/1999 risulta che la concessionaria abbia avuto ruoli della riscossione in carico per 3.208 miliardi) l’Amministrazione Finanziaria riusciva ad effettuare solo parziali controlli (a campione) che, comunque, confermavano il sospetto di una gestione irregolare del servizio.

Su tali anomalie indagava in modo più approfondito la Guardia di Finanza, il cui lungo e complesso lavoro veniva riassunto in due relazioni (in data 4/8/99 e in data 15/6/2000) che portavano alla luce quello che poi è stato definito un quadro di generale illiceità causata da verbalizzazioni fittizie nell’ambito della gestione della GERICO S.p.A.

L’indagine della Polizia Tributaria si concludeva con la considerazione che la GERICO aveva negli anni "organizzato il proprio servizio con la sola finalità di fingere un espletamento efficiente dei propri doveri, con l’evidente fine (...) di assicurare alla società concessionaria della riscossione il massimo profitto". Tale contestazione veniva supportata dai riscontri, ottenuti dai finanzieri, con due modalità di indagine.

Nella prima veniva effettuato un esame incrociato, da una parte dei registri cronologici dei singoli ufficiali riscossori (in cui era registrata l’attività esecutiva svolta) dall’altra dei registri delle presenze giornaliere degli stessi presso la concessionaria.

Da tale confronto emergeva per tabulas che in giornate di assenza dal lavoro (per ferie, malattia, congedo matrimoniale ecc.), i dipendenti GERICO avevano attestato di aver svolto un’attività esecutiva, conclusasi con verbali di irreperibilità e di pignoramento negativo.

Dalla verifica della Guardia di finanza sui registri delle presenze emergeva che 43 dipendenti della GERICO S.p.A. nel periodo 1990/1998, in 894 giornate in cui risultavano assenti dal lavoro, avevano compilato e annotato sul registro cronologico 17.676 verbali attestanti un’attività di riscossione per un importo di tributi, interessi e spese esecutive intimati e non riscossi pari a £ 562.335.701.624.

Con la seconda modalità di indagine i militari effettuavano, con verifiche ad hoc, presso i contribuenti, riscontri anche sulle verbalizzazioni effettuate dagli ufficiali durante le giornate di presenza al lavoro, esaminando i verbali di pignoramento negativo.

Questo tipo di indagine è stato svolto solo su un limitato campione, per l’immane numero di dati da riscontrare, su tutte le giornate di presenza in servizio degli ufficiali, in cui si era rilevato un eccesso sospetto di verbalizzazioni negative o di irreperibilità

Anche in questo caso risultava, dalle dichiarazioni dei contribuenti raccolte dalla Guardia di Finanza come in realtà nessuna attività di pignoramento fosse stata espletata. Dal campione esaminato risultava una ritenuta fittizia attività di verbalizzazione in 377 verbali negativi, corrispondenti a tributi e spese pari a £.17.442.536.171.

Complessivamente, con le due modalità di indagine, la Guardia di Finanza accertava una mancata attività di riscossione quantificata in £ 579.778.237.795.

Le risultanze degli investigatori venivano trasmesse, oltre che alla Procura contabile, anche alla Procura della Repubblica perché fosse verificata la sussistenza di ipotesi di reato.

In data 5/10/2000 venivano pertanto notificati alla GERICO s.p.a. ed agli ufficiali della riscossione oggetto del presente giudizio gli inviti a dedurre, ai sensi dell’art.5 - primo comma - del d.l. 15 novembre 1993 n.453, convertito con legge 14 gennaio 1994 n. 19, per rispondere solidalmente dell’illecito dolosamente cagionato all’Erario per la mancata attività di riscossione.

Veniva altresì prospettato un ulteriore danno, per il disservizio cagionato dalla concessionaria.

Nell’atto di contestazione della Procura si rilevava infatti come la remunerazione del servizio di concessione riconoscesse a tutti i concessionari una percentuale di utile fissa, commisurata alle capacità del singolo concessionario per l’esecuzione del servizio affidato ed i risultati conseguiti.

Infatti, ai concessionari spettava, in forza del DPR 43/88: a) un compenso percentuale, sull’ammontare di tutte le somme riscosse presso gli sportelli e relative ai versamenti diretti eseguiti da parte del contribuente; b) un compenso percentuale sull’ammontare delle somme iscritte a ruolo ed effettivamente riscosse; e) un compenso in cifra fissa annua per ciascun abitante servito (differenziato per ambito territoriale in relazione al prevedibile ammontare delle commissioni, dei compensi, dei rimborsi spese e degli interessi di mora).

Per quanto attiene alla GERICO S.p.A. (che ha incorporato nel 1995 anche l’altra concessionaria del settore B della provincia di Venezia, SERINT S.p.A.) l’istruttoria ha rilevato come la concessionaria abbia percepito dallo Stato dal 1990 al 1998 quali compensi fissi annui (lettera e) la somma di £ 43.603.938.946 (£ 3.767.864.000 + £ 712.822.000 nel 1990 per l’ambito A, £. 5.647.991.000 + £. 210.911.000 nel 1991 per l’ambito A, £. 4.970.321.000 nel 1992 per l’ambito A, £ 3.317.090.460 nel 1993 per l’ambito A, £ 3.880.722.360 nel 1994 per l’ambito A e per l’ambito unico £. 4.447.912.000 + £. 91.587.000 nel 1995, £ 4.447.9l2.000 nel 1996, £ 4.447.912.000 nel 1997, £. 5.488.072.876 + £. 2.172.821.250 nel 1998).

L’esattore, avendo percepito per intero tali compensi, pur non avendo adempiuto correttamente a tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di servizio (disservizio), con gli enti impositori avrebbe, pertanto, secondo la prospettazione della Procura, introitato indebitamente una parte di tali contributi statali, cagionando un ulteriore danno per l’indebita spesa sostenuta dall’erario.

A seguito dell’invito a dedurre la GERICO s.p.a. depositava in data 27/10/2000, una memoria difensiva in cui si eccepiva che il danno cagionato dall’irregolare attività di riscossione di un primo gruppo di 14 ufficiali (tra cui gli odierni convenuti), ai quali la Procura aveva contestato un danno di £ 58.090.825.495, sarebbe stato in realtà di molto inferiore.

Asserivano infatti i legali della Società che "può fondatamente affermarsi che gli errori riferiti ad un sia pur teorico danno erariale incidano su oltre il 90% degli importi oggetto delle indicazioni fornite dalla Guardia di Finanza", peraltro nulla aggiungendo in ordine alla contestazione dell’illecito comportamento tenuto dai propri dipendenti.

In data 24 maggio 2001 gli ufficiali della riscossione oggi convenuti depositavano inoltre, a mezzo dei propri legali, memorie di costituzione e difesa, con le quali sostanzialmente eccepivano le seguenti questioni.

a) prescrizione parziale o totale del diritto al risarcimento del danno cagionato, per la mancata attività di riscossione degli ufficiali a ciò addetti;

b) improcedibilità assoluta dell’azione erariale per mancata previa proposizione da parte della Procura contabile della querela di falso, avanti l’A.G.O., nei confronti dei verbali di pignoramento degli ufficiali della riscossione;

c) assenza di fondamento della domanda proposta dalla Procura regionale, non avendo fornito la stessa la prova, che ad essa faceva carico di dare, della sussistenza dei fatti che essa assume come generatori del lamentato danno;

d) sicura inconsistenza della prova rispetto a taluni degli stessi fatti allegati dalla Procura come asseritamente generatori del danno lamentato;

e) inesistenza di danno ovvero di nesso etiologico con il danno rispetto ad altri fatti indicati dalla stessa Procura;

f)inesistenza, od inesistenza della relativa prova, del nesso di causalità fra gli ulteriori fatti lamentati ed il danno;

g)inesistenza di dolo o colpa grave da parte della Società convenuta.

In ogni caso, la Procura regionale riteneva comunque insufficienti le giustificazioni addotte dagli odierni convenuti provvedendo a citarli in giudizio innanzi a questa Corte con separati atti, per sentirli condannare a complessive £ 15.812.539.623 quale danno erariale cagionato dalla fittizia attività di riscossione tributi consistente nel danno da mancata entrata e danno da indebita spesa per lo Stato e gli altri Enti impositori.

In occasione delle udienze dibattimentali svoltesi innanzi a questo Collegio l’11 ed il 24 ottobre 2001 le parti hanno sostanzialmente ripreso e ribadito le argomentazioni esposte negli atti scritti.

Considerato in

DIRITTO

1. Preliminarmente il Collegio dichiara la riunione in rito dei giudizi di cui è causa per evidenti motivi di connessione soggettiva ed oggettiva.

2. Per ciò che riguarda poi il problema legato alla legittimazione passiva degli odierni convenuti, il Collegio osserva quanto segue.

A questo Collegio non sembra, invero, neppure il caso di soffermarsi sul fatto che il principio di personalità della responsabilità patrimoniale non equivalga alla possibilità di vocatio in ius esclusivamente nei confronti della persona fisica. Sono pacificamente ammessi ed applicati nei giudizi in questione i principi processualcivilistici in materia di capacità a stare in giudizio delle persone giuridiche, anche nella loro diversa configurazione organizzativa, e ciò sia sotto il profilo della costituzione del rapporto processuale sia sotto quello dell’interruzione e dell’estinzione dello stesso.

Si ricorda, inoltre, come l’istituto della concessione sia stato qualificato dalla giurisprudenza conforme di questa Corte, quale modo di espressione di una sorta di amministrazione parallela a quella della pubblica amministrazione che consente di affermare che tra concedente e concessionario si costituisca, ove tale ultimo eserciti pubblici poteri, un vero e proprio rapporto di servizio.

In ipotesi di danno erariale che si assume derivi dalla perdita di entrate, sussiste pertanto la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dell'istituto di credito concessionario del servizio esattoriale gestore della pubblica entrata, ma non nei confronti degli ufficiali della riscossione che, essendo organicamente alle dipendenze dell'istituto di credito, non operano funzionalmente nell'interesse dell'ente concedente rispetto al quale non vengono ad essere legati da rapporto di servizio, essendo affidatari di un'attività disciplinata sì da norme di diritto pubblico, ma svolta nell’ambito di un rapporto di servizio a natura esclusivamente privatistica con il concessionario, al quale imputano interamente gli effetti della propria condotta.

Non esiste, in altre parole, un rapporto diretto di imputazione di effetti tra azione dell’ ufficiale della riscossione ed ente concedente se non a mezzo della verifica dell’obbligazione di risultato che solo il concessionario ha nei confronti del concedente, così come d’altra parte nulla potrebbe l’ente concedente nei confronti dei dipendenti del concessionario a fronte di mancanze a vario titolo riferibili a questi ultimi.

Ciò pertanto induce questo Collegio a ritenere sussistente il proprio difetto di giurisdizione nei confronti dei sigg. Roberto SERA, Leonardo BERTO, Fabio PAVON, Maria Luisa MARTIN, Mario CARRARO, Stefano GOBBATO e Michele MODENESE nella loro qualità di ufficiali alla riscossione dipendenti della Gerico S.p.a., in ciò determinandosi a disporre lo stralcio delle relative posizioni dal presente giudizio, che prosegue, invece, a carico della predetta Società concessionaria, nella persona del suo legale rappresentante pro-tempore.

3. Ancora in via preliminare questo Collegio deve inoltre dichiarare infondata l’eccezione di prescrizione dell’azione di responsabilità sollevata dalla difesa dei convenuti.

Assume, infatti, in proposito parte convenuta che, collocandosi i fatti ai quali la Procura ricollega il danno, nel periodo che va dal 6 luglio 1991 all’8 luglio 1998, ogni diritto risarcitorio, ai sensi dell’art. 1, comma II, della legge n.20/1994, comunque riconnesso a fatti verificatisi anteriormente al gennaio 1996 (la data esatta è fissata dalla notifica dei singoli atti di citazione), sarebbe sicuramente prescritto.

Il caso di specie, invero, è uno di quei classici casi in cui va applicata la nota teoria della c.d. "effettività" del danno, quella teoria, cioè, in base alla quale la semplice condotta illecita od illegittima non è ex se foriera di una fattispecie dannosa, ma perché di essa si possa parlare, è necessario che il danno si manifesti nella sua materialità.

Nella fattispecie la formazione del titolo giuridico si è verificata nel 1999 con la richiesta di definizione automatica delle domande di rimborso e discarico presentate dalla Gerico fino al 31/12/97 e dal 1/1/98 al 30/6/99.

La stessa difesa dei convenuti, infatti, afferma: "una mancata entrata tributaria si verifica: a) nell’ipotesi di tributi c.d. con obbligo - per i quali vale cioè la regola del non riscosso come riscosso - allorché da parte dell’amministrazione si proceda al rimborso delle quote anticipate dall’esattore; b) nell’ ipotesi di tributi c.d. senza obbligo - per i quali vige la regola del semplice riscosso - allorché l’amministrazione accordi al concessionario il discarico delle quote così esonerandolo dal versamento delle quote stesse".

Orbene, per stessa ammissione della difesa la mancata entrata tributaria si realizza, per il meccanismo della concessione di riscossione, quando si definisce il meccanismo dei rimborsi e discarichi fra il concessionario e l’ente impositore. Ed è provato in atti che il rapporto di dare e avere fra la concessionaria della riscossione della provincia di Venezia e gli enti impositori è stato definito a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 112 del 13/4/1999 che ha definito automaticamente le domande di rimborso e discarico per inesigibilità presentate dai concessionari fino al 31/12/1997. Così come la successiva L. 342/2000 (art. 79) ha definito le domande, giacenti presso gli Uffici, presentate dal 1/1/1998 30/6/99.

In esecuzione a tali titoli il Ministero del Tesoro, con DM 22/12/1999, ha assegnato ai concessionari i rimborsi e con successivi provvedimenti gli Uffici finanziari hanno disposto con decreto i rimborsi (per £. 13.787.781.035 importo al 99%, nonché per £. 123.119.654.484 gli sgravi provvisori) e discarichi (per £. 292.256.835.547).

Le domande per usufruire di tale meccanismo dovevano essere presentate entro il 19/7/1999 ed entro tale data la concessionaria le ha presentate (come risulta dalla documentazione depositata dai convenuti).

In tale data si è consumato l’evento dannoso, inteso come perdita del tributo (rimborsato o discaricato alla concessionaria) da parte dell’ente impositore.

Pertanto, come si è detto, l’eccezione di prescrizione, anche parziale, dell’azione va respinta.

4. Passando ora al merito della vicenda o, rectius, alla questione introduttiva della stessa e cioè la pretesa improcedibilità dell’azione per mancata previa proposizione da parte dell’Ufficio requirente della querela di falso avanti l’A.G.O. nei confronti dei verbali di pignoramento degli ufficiali della riscossione, va ricordato che il danno sul quale questo Collegio è chiamato a pronunciarsi è correlato al mancato servizio reso dal concessionario ed alla conseguente mancata riscossione dei tributi con relativo rimborso o discarico dei tributi stessi, il tutto connesso con una attività sì verbalizzata ma, secondo l’ipotesi accusatoria, mai compiuta.

Di tale pretesa falsità delle verbalizzazioni, peraltro, non si ha prova – sostiene la difesa – proprio perché contro tali atti non è stata esperita la rituale procedura basata sulla querela di falso atta a privare il documento della sua forza fidefacente.

Delle diverse funzioni del documento, quella che viene qui in particolare rilievo è naturalmente quella che si concreta nella sua efficacia probatoria, riscontrando che la relativa disciplina è contenuta, insieme con la disciplina della efficacia di tutte le altre prove, nel codice civile.

Vale a tal proposito notare che la disciplina dell’efficacia probatoria dell’atto pubblico è fissata dall’art. 2700 c.c. in correlazione con l’art. 2699 c.c. che dell’atto pubblico dà innanzitutto la definizione "l’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo ove l’atto è formato". Di questa definizione giova mettere in rilievo il riferimento alle "richieste formalità" alle quali è condizionata l’efficacia propria dell’atto pubblico ed in assenza delle quali il documento, se ed in quanto sottoscritto, avrà solo l’efficacia della scrittura privata (art. 2701 c.c.).

Orbene, con riguardo all’atto pubblico così condizionato nella sua portata probatoria, l’art. 2700 c.c. dispone che esso "fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti".

"Piena prova" significa efficacia probatoria assoluta ed incondizionata, nel senso che non lascia margine al giudice per una libera valutazione, ossia lo vincola: il che equivale a dire che si tratta di "prova legale" avente efficacia erga omnes.

Peraltro, la norma in discorso, mentre da un lato determina l’efficacia probatoria legale dell’atto pubblico, dall’altro lato contiene una chiarissima limitazione di tale efficacia a quegli elementi che la giurisprudenza chiama "estrinseci": provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, momento della formazione (la c.d. data), luogo della formazione stessa ed in generale tutto ciò che davanti al pubblico ufficiale è stato detto o è stato fatto. E’ noto infatti che il notaio, o in generale il pubblico ufficiale, di solito "raccoglie" le dichiarazioni dei soggetti che ne sono autori, o "parti" dell’atto, e provvede lui stesso a redigerle per iscritto, così attestando, ossia attribuendo pubblica fede, a quanto si è detto o fatto davanti a lui: questo è appunto «l’estrinseco». Quanto «all’intrinseco», ossia al contenuto delle dichiarazioni, esso è certamente al di fuori dell’efficacia di prova legale e perciò rientra nell’ampia e normale libera valutabilità da parte del giudice (art. 116 c.p.c.). In altri termini, il giudice, che è vincolato nel ritenere che, ad esempio, Tizio compì quella certa dichiarazione di vendita o di riconoscimento di un debito o narrazione di un fatto in quel certo giorno e luogo davanti al notaio, è perfettamente libero di ritenere (sulla base di altre risultanze) che quel Tizio compì ad es. un negozio simulato interamente o con riguardo ad alcuni elementi od una dichiarazione falsa o non interamente vera, naturalmente avvalendosi, in questa valutazione, dei consueti criteri di giudizio o massime di esperienza, secondo canoni giuridici e/o logici.

Quanto precede assume rilevante importanza nella fattispecie all’esame, poiché nel caso che interessa si ha a che fare con un atto certamente pubblico e con una pretesa enunciazione falsa nel suo contenuto, cioè a dire con un falso ideologico: una falsità quindi che può investire solo le dichiarazioni di scienza o, comunque, le enunciazioni di contenuto narrativo, che possono essere vere o false (ossia conformi o difformi dal vero) mentre le dichiarazioni di volontà possono essere solo conformi o difformi alla volontà stessa, ciò che (nel caso della difformità) dà luogo ad un fenomeno diverso, ossia alla simulazione.

In sintesi, quindi, l’efficacia dei documenti che riguardano il presente giudizio sussiste "fino a querela di falso", il che vuol dire che solo con la querela di falso si possono contestare le risultanze estrinseche dell’atto, e cioè quelle risultanze alle quali la legge attribuisce efficacia di prova legale. (ex multis Cassazione civile, Sez. I, 6.7.1999, 06959; Sez. II, 20.7.1999, 07763; Sez. III, 19.11.1999, 12834; Sez. II, 23.1.1998, 00672; Sez. III, 14.2.1997, 01384; SS.UU., 15.6.1993, 6635; Consiglio di stato, Sez. IV, 10.7.1996, 00833; Sez. V, 30.3.1994, 00216).

Quanto precede consente di dire che i verbali redatti dal pubblico ufficiale incaricato della riscossione circa l’adempimento degli obblighi contributivi, mentre fanno piena prova, fino a querela di falso, dei fatti che egli attesti essere avvenuti in sua presenza od essere stati da lui compiuti, non hanno alcun valore probatorio precostituito – neanche di presunzione semplice – riguardo alle altre circostanze in esse contenuti, e quindi il materiale raccolto dal verbalizzante deve passare al vaglio del giudice, il quale, nel suo libero apprezzamento, può valutarne l’importanza e determinare quale sia il valore da darne ai fini probatori, senza poterne però attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento.

Ma vi è di più. La giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S. n. 216/1994 cit.) ha financo affermato che la regola posta dall’art. 2700 c.c. secondo cui l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti che il pubblico ufficiale attesta da lui compiuti non vale quando fra i fatti attestati vi sia contrasto tale da rendere impossibile la loro contemporanea verità, ad impedire la ricostruzione dei fatti che dia spiegazione degli errori compiuti dal pubblico ufficiale, e men che meno a tenere per vera, ai fini dell’annullamento delle operazioni compiute, l’inspiegabilità dei fatti che viceversa siano pienamente spiegati da altre constatazioni od accertamenti.

La fattispecie de qua presenta due tipologie di documenti presunti falsi: verbali di pignoramento negativo e verbali di irreperibilità.

Nella procedura esecutiva svolta dagli ufficiali della riscossione il pignoramento sostanzialmente opera come nell’esecuzione ordinaria: l’ufficiale esattoriale si reca nella casa del debitore, o presso altri soggetti che detengono beni di sua proprietà, e intima loro di astenersi dal compiere atti di disposizione su tali beni, redigendo un verbale di pignoramento, negativo per nullatenenza ove gli ufficiali medesimi non trovino cespiti pignorabili che soddisfino il tributo e le spese della procedura esecutiva.

E’ di tutta evidenza che, nel caso di specie, la verbalizzazione fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.) ma, come da costante, citata giurisprudenza, quanto «all’intrinseco» ossia al contenuto delle dichiarazioni, esso è certamente al di fuori dell’efficacia di prova legale e perciò rientra nell’ampia e normale libera valutabilità da parte del giudice (art. 116 c.p.c.).

Analogo discorso va fatto per i c.d. "verbali di irreperibilità", redatti quando l’ufficiale non rinvenga né la persona né il domicilio del contribuente. Anche in questo caso il limite segnato dalla giurisprudenza fra contenuto estrinseco e fidefacente e contenuto intrinseco di libera valutabilità consente di porre un limite essenziale all’efficacia probatoria dei documenti.

Tutto quanto precede consente quindi di giungere a due conclusioni di estrema importanza.

In primis, non vi è luogo a discutere circa l’assenza di condizioni di procedibilità dell’azione per mancanza di proposizione della querela di falso: è stato ampiamente dimostrato come essa non sia necessaria ove si esamini il contenuto intrinseco degli atti e non la loro estrinseca valenza.

In secundis, l’efficacia probatoria dei documenti de quibus, ai fini del giudizio di che trattasi, non trova limite nella assenza della predetta querela di falso, ove sempre se ne consideri l’intrinseca efficacia.

5. Sulla scorta di tali premesse è, quindi, il libero apprezzamento del giudice a dover dare alla documentazione di che trattasi il corretto valore probatorio, così come esso emerge dagli atti depositati.

In tale ottica, è di tutta evidenza la necessarietà di riferirsi alla relazione n. 335/ris/SIR del Servizio Ispettivo Regionale del Ministero delle Finanze, origine dell’indagine sulla attività di riscossione tributi oggetto del presente giudizio.

Dal controllo dei dati desunti dai Registri cronologici degli ufficiali di riscossione era, infatti, emerso un elevato e poco attendibile numero di registrazioni proprio di quei documenti (verbali di irreperibilità e di pignoramento negativo) la cui efficacia probatoria sotto il profilo del contenuto intrinseco è rimessa all’esame di questo Giudice, che risultavano redatti in singole giornate da parte dei dipendenti della concessionaria.

L’approfondimento dell’indagine di polizia tributaria portava addirittura ad affermare che la Gerico S.p.a. aveva, negli anni, "organizzato il proprio servizio con la sola finalità di fingere un espletamento efficiente dei propri doveri, con l’evidente fine (…) di assicurare alla società concessionaria della riscossione il massimo profitto".

Affermazione gravissima questa che peraltro, nella sua gravità, trova oggettivo riscontro nel fatto che l’attività di verbalizzazione, posta a confronto con i registri cronologici dei singoli ufficiali riscossori, poneva in luce per tabulas come l’attività stessa fosse stata posta in essere dai dipendenti della GERICO durante giornate in cui risultavano assenti dal lavoro a vario titolo (ferie, malattia, congedo matrimoniale).

Tale elemento oggettivo, nella sua concretezza, risultava accertato dai militari della Guardia di finanza nella misura di 17.676 verbali attestanti una attività di riscossione redatti in 894 giornate di lavoro durante le quali gli ufficiali della riscossione risultavano assenti dal lavoro.

Pertanto, l’irregolarità dei verbali, fittiziamente redatti in date coincidenti con l’assenza dal servizio, come risulta dagli stessi registri della concessionaria, fa piena prova che la quota di tributo non è stata riscossa per fatto proprio del concessionario, poiché, come da conforme giurisprudenza, il danno derivante dalla mancata acquisizione di entrate deve ritenersi attuale anche nell’ipotesi che sia possibile od addirittura in corso una attività di recupero, salva naturalmente la possibilità di tenere conto, nella fase di esecuzione, delle somme concretamente recuperate dopo la condanna (C.d.C., Sez. I, 23.11.1999, 313/A).

Non appare in proposito assolutamente condivisibile la tesi difensiva secondo la quale in alcuni casi gli ufficiali avrebbero effettuato l’attività di riscossione anche di sabato o durante le ferie, innanzitutto perché logicamente non credibile ed in secondo luogo anche perché vietato dalle stesse regole disciplinanti l’attività di riscossione ["Manuale dell’ufficiale della riscossione" – punto 3.3.6 – "il pignoramento non può essere eseguito nei giorni festivi. Il sabato è considerato giorno festivo].

E, in qualunque dei casi, del tutto marginale e quindi ininfluente sotto il profilo sostanziale, appare la contestazione circa singoli errori nella individuazione del giorno in cui le operazioni sarebbero state effettuate

In ciò, tra l’altro, non può essere dimenticata ed acquista rilievo la posizione della GERICO nell’ambito dell’intera vicenda.

Appare indubitabile infatti che la Società, in virtù del rapporto di servizio sussistente tra la stessa e l’ente impositore in forza della concessione, assuma la veste propria dell’agente contabile.

Si deve osservare, in proposito, che la responsabilità del contabile si differenzia dalle altre ipotesi di responsabilità amministrativa perché il contabile è tenuto ad una obbligazione di restituzione (o consegna) secondo le modalità del servizio perché le modalità del servizio sono dedotte (o inserite) in obbligazione come interesse dell’Amministrazione.

La recente limitazione anche della responsabilità del contabile ai casi di dolo o colpa grave, può valere, sul piano ermeneutico, per l’interpretazione nella specie del principio di cui all’art. 1218 cod. civ., vale a dire che si può considerare non imputabile l’inadempimento del contabile (art. 1218) interpretando il modello di diligenza richiesto per il contabile come correlativo non alla colpa lieve (secondo la regola generale di cui all’art. 1176 cod. civ., se collegato all’art. 1218), ma correlativo alla colpa grave (ovviamente per il dolo).

Tuttavia, si deve osservare che la presenza di apposita documentazione e la giustificazione delle operazioni con documenti (o titoli) di legittimazione attiva e passiva caratterizza la responsabilità del contabile sul piano probatorio.

Il che significa, ancora, che la responsabilità del contabile ha comunque una peculiare connotazione sostanziale perché il regime probatorio (o regola del giudizio) si ripercuote sulla connotazione sostanziale del rapporto, cioè sugli interessi in gioco

In altri termini, la prestazione di restituzione è finalizzata allo svolgimento del servizio (attuazione della fase esecutiva della gestione finanziaria) e questo fine od interesse risulta dedotto in obbligazione, rientra cioè nell’oggetto della prestazione stessa. Il che significa, appunto, che, ai fini dell’adempimento, o meno, ha rilievo essenziale secondo le modalità del servizio.

Pertanto, e con riferimento alla fattispecie, la peculiarità della responsabilità del contabile fa sì che le quote che siano state successivamente riscosse o che non potessero essere riscosse vanno dimostrate dallo stesso concessionario, rimanendo evidente – così come è pacifico nella dottrina civilistica - stante la chiara lettera dell’art. 1218 – che spetta al debitore provare la non imputabilità dell’impossibilità della prestazione, il che comporta una inversione dell’onere della prova della (non) colpevolezza; cioè, più precisamente, un rovesciamento della regola del giudizio che, come tale, si riflette nella conformazione del rapporto sostanziale.

6. La difesa dei convenuti ha posto più volte in dubbio l’assenza del nesso di causalità tra quanto si è andato compiendo ed il presunto danno arrecato allo Stato.

In realtà per confutare tale affermazione basterebbe ricordare che il pregiudizio per l’Erario è divenuto concreto, attuale, certo ed irreversibile nel momento in cui si sono definite le procedure automatiche sulle domande di rimborso e di discarico di al cui al D.L.vo n. 112/99.

Ma, ad adiuvandum, va qui necessariamente ricordata la posizione assunta dalla giurisprudenza in materia di danno da minore entrata.

Ha affermato, infatti, la Corte di cassazione che la cognizione in ordine all'azione di responsabilità amministrativa di soggetti istituzionalmente investiti di pubbliche funzioni appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti, allorché, con il suo esercizio, si assuma sussistente il danno erariale, sotto il profilo di minori entrate tributarie o dei maggiori costi sopportati dall' amministrazione per la realizzazione dei propri fini istituzionali con il conseguente potere-dovere di detto giudice di provvedere su tutte le questioni implicate dall'azione del Procuratore Generale, ivi comprese quelle sulla risarcibilità del danno.

La Suprema Corte ha cioè inteso dire che l’azione di responsabilità è esperibile nei confronti del soggetto che istituzionalmente, direttamente od in via indiretta (come nel caso della concessione), ha il compito di assicurare all’Erario un prefissato gettito erariale, stabilito sulla base della normativa tributaria, determinando, in tal modo, un inscindibile ed inequivocabile nesso di causalità tra il mancato accertamento per fittizia attività degli ufficiali alla riscossione (condotta illecita generatrice ontologica del danno) ed il rimborso ed il discarico del concessionario (danno effettivo e concreto da rimborso non dovuto).

Ciò comporta non solo, quindi, l’esistenza inequivoca di un nesso di causalità tra la fattispecie dannosa - consistente nel rimborso non dovuto alla GERICO S.p.a. a fronte di una attività connotata da fittizie verbalizzazioni di irreperibilità o di pignoramento negativo – e la GERICO medesima, certamente responsabile per l’attività illecita dei propri dipendenti e per la completa assenza di qualsivoglia forma di verifica, controllo od altra iniziativa volta a non incoraggiare i descritti, censurabili comportamenti; ma anche l’affermazione, altrettanto inequivoca, della sussistenza ontologica del danno per l’Erario, sostanziatosi nel rapporto fra mancata attività di riscossione e conseguente minore entrata tributaria.

7. Peraltro, questo Collegio è certamente conscio della estrema difficoltà relativa alla quantificazione del danno appena accennato.

Se, infatti, è certa l’attività illecita posta in essere dagli Ufficiali della riscossione, stante il convincimento di questo Giudice circa la non attendibilità di tutte le verbalizzazioni che nel loro contenuto intrinseco, e quindi liberamente valutabile, hanno affermato la irreperibilità o la nullatenenza dei soggetti passivi del rapporto tributario in concomitanza con l’assenza dal lavoro degli Ufficiali medesimi, è, per altrettanto, vero che, alla luce delle puntuali argomentazioni difensive circa i singoli episodi che hanno caratterizzato la vicenda (invero dal valore assai marginale), ma soprattutto tenendo conto che il difetto d'entrata erariale derivante dal grave inadempimento addebitato alla concessionaria non è dato oggettivo che possa acquisirsi puntualmente, ora per allora, in quanto necessariamente correlato anche a variabili non più ora verificabili, il danno effettivo subito dall’Erario non possa che, per criterio di giustizia, essere definito secondo valutazione equitativa di questo Giudice.

Il dato di partenza è sicuramente fornito dalla quantificazione del danno indicato nei singoli atti di citazione e che la Procura regionale ha operato, tramite i militari della Guardia di finanza delegati all’istruttoria, depurando il danno medesimo da mancata attività di riscossione delle somme che non erano oggettivamente riscuotibili o che poi sono state pagate spontaneamente dai contribuenti.

Tale somma ammonta a £ 15.812.539.623.

A tale somma può essere sicuramente detratto l’ulteriore ammontare di £ 5.970.992.446 quale somma indicata dalla difesa come oggettivamente non riscuotibile ed evidenziata secondo i criteri utilizzati dalla Procura nel corso dell’istruttoria (a tale detrazione la Procura ha dichiarato inoltre di non opporsi con proprio atto dell’11.10.2001). Il danno così rideterminato ammonterebbe quindi a £ 9.841.547.177.

E' anche vero, peraltro, come non appaia sussumibile come danno certo quello indicato in citazione dalla Procura regionale, la quale fa corrispondere ad ogni dedotta irregolarità una mancata entrata erariale nell'importo della quota non riscossa nel singolo caso.

Non può, infatti, sottacersi che, nella fattispecie, l'esame degli atti consente di rilevare che gli importi posti ad esecuzione siano di regola di importo non elevato, il che fa presumere la fruttuosità di un buon numero di procedure esecutive attuabili, ma non di tutte, atteso che il dato di comune esperienza insegna che, in sede di esecuzione coattiva dei crediti, situazioni nelle quali il patrimonio del debitore, anche per concorrenza di plurime azioni esecutive, si dimostri incapiente, ovvero ci si trovi di fronte a casi effettivi di irreperibilità del creditore stesso, non sono poi così rare.

Tenendo quindi conto che ulteriori somme in contestazione ammontano a £ 1.000.160.130 (il che ridurrebbe ulteriormente il danno a £ 8.841.387.047) e che, avendo presente tutti i fattori di approssimazione determinati dalla peculiarità della fattispecie, dalla difficoltà delle indagini e dell’istruttoria, come sopra evidenziati, appare ragionevole ed equitativo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., ridurre l’importo così determinato del 30% (pari a £ 2.947.129.015), questo Collegio fissa in via definitiva il danno da risarcire da parte della GERICO S.p.a. all’Erario in £ 5.894.258.032, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Le spese di giustizia seguono la soccombenza.

Omissis

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