CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 12 aprile 2002 n. 106 - Pres. RUPERTO, Red. MEZZANOTTE - (giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 5 marzo 2001, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 11 del registro conflitti 2001).
Regioni - Autonomia regionale - Potere di denominare i Consigli regionali con la dizione "Parlamento" - Non sussiste - Delibera adottata dal Consiglio regionale della Liguria n. 62 del 15 dicembre 2000 recante "Istituzione del Parlamento della Liguria" - Va annullata.
Regioni - Autonomia regionale - A seguito della nuova formulazione dell’art. 114 Cost., modificato dalla L. cost. n. 3/2001 - Enti territoriali autonomi - Sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica.
Va annullata la delibera n. 62 del 15 dicembre 2000 recante "Istituzione del Parlamento della Liguria", con la quale il Consiglio regionale della Liguria, da un lato ha disposto che in tutti i propri atti la dizione "Consiglio regionale" sia affiancata da quella di "Parlamento della Liguria"; dall’altro ha indirizzato alla Commissione statuto la direttiva di tenere conto di tale denominazione in sede di elaborazione del nuovo statuto regionale. Ai sensi degli articoli 55 e 121 della Costituzione, deve ritenersi infatti sussistente il divieto per i Consigli regionali di appropriarsi del nome Parlamento (1).
Nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. cost. n. 3/2001, gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare (2).
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(1) Ha osservato in proposito la Corte che la vigente Costituzione italiana, nel Titolo I, Parte II, attribuisce alle sole Camere il nome Parlamento, e definisce Consiglio regionale, nell’articolo 121, il titolare della funzione legislativa regionale. Gli organi direttivi della Regione non sono dunque entità nuove nate negli ordinamenti regionali in virtù delle modifiche introdotte nel Titolo V della Costituzione e prive di denominazioni proprie. Ed è vano richiamare profili di analogia tra Consiglio regionale e Parlamento, che erano evidenti al Costituente del 1948 - il quale con l’art. 121 Cost. (e con le corrispondenti norme degli statuti speciali) aveva nondimeno espresso chiaramente la propria scelta diversificatrice - così come si deve presumere lo siano stati al legislatore costituzionale del 1999 e del 2001, che pure, proprio nel momento in cui si accingeva ad un rilevante potenziamento del ruolo delle autonomie, non ha ritenuto di mutare in "Parlamento" la denominazione dell’organo legislativo delle Regioni.
(2) Ha osservato in proposito la Corte che, nel nuovo Titolo V della Costituzione italiana, quale risultante dopo l’entrata in vigore della L. cost. n. 3/2001– con l’attribuzione alle Regioni della potestà di determinare la propria forma di governo, l’elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residualità a favore delle Regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legislativa, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l’abolizione dei controlli statali - ha disegnato di certo un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e Regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare.
SENTENZA N. 106
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Massimo VARI Giudice
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera del Consiglio regionale della Liguria n. 62 del 15 dicembre 2000 recante «Istituzione del Parlamento della Liguria», promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 5 marzo 2001, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 11 del registro conflitti 2001.
Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;
udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Cocchi per la Regione Liguria.
Ritenuto in fatto
1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione, in riferimento agli articoli 1, 5, 55, 115 (articolo abrogato dall’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione") e 121 della Costituzione, avverso la delibera n. 62 del 15 dicembre 2000 con la quale il Consiglio regionale della Liguria ha approvato la proposta di istituzione del Parlamento della Liguria. Tale delibera prevede che in tutti gli atti dell’assemblea regionale, alla dizione costituzionalmente prevista "Consiglio regionale della Liguria" sia affiancata la dizione "Parlamento della Liguria".
Secondo il ricorrente il cambiamento di denominazione dell’organo rappresentativo regionale, sia pure solo in via aggiuntiva, lederebbe la sfera di attribuzioni statali. Si osserva in proposito che il nomen iuris degli organi connota tipicamente le funzioni che a quegli organi sono attribuite, e tale generale principio assumerebbe particolare pregnanza in riferimento al nome "Parlamento", che, nella storia costituzionale moderna, identificherebbe l’organo attraverso il quale il popolo esprime la propria sovranità, partecipando all’esercizio del potere politico. Sebbene dunque sia teoricamente scorretto attribuire al Parlamento la qualifica di organo del popolo, aggiunge l’Avvocatura, non potrebbe dubitarsi che nel sistema costituzionale italiano, che esalta la "centralità" delle assemblee parlamentari, le due Camere siano gli organi costituzionali nei quali la volontà popolare più immediatamente ed efficacemente si esprime. La posizione eminente che esse occupano nella struttura dei poteri statali rifletterebbe appunto la sovranità popolare che il Parlamento incarna e rappresenta e precluderebbe l’impiego di tale denominazione con riferimento a organi della Regione, che sono comunque rappresentativi di poteri di autonomia e non di poteri sovrani.
Lesivo delle attribuzioni statali pare alla difesa erariale anche il secondo comma del provvedimento impugnato. In esso si delibera di assumere i principî contenuti nelle premesse (principî comprensivi della denominazione di cui si è detto) «quali linee di indirizzo da trasmettere alla Commissione speciale per lo Statuto e per la legge elettorale, affinché quest’ultima possa procedere agli adempimenti necessari a consentire che gli stessi possano essere compiutamente attuati in sede di elaborazione del nuovo Statuto regionale». Una simile previsione, secondo il ricorrente, pur avendo valenza meramente ottativa, lederebbe le prerogative statali, intendendo preannunciare l’approvazione di un nuovo statuto regionale che sarebbe diretto a rivendicare alla Regione ambiti di potere sovrano. Su simili premesse il Presidente del Consiglio dei ministri chiede alla Corte di dichiarare che non spetta al Consiglio regionale adottare la delibera oggetto del ricorso, e conseguentemente di annullarla.
2. — Si è costituito, per la Regione Liguria, il Presidente della Giunta regionale, chiedendo che il ricorso statale sia dichiarato inammissibile o infondato.
Quanto ai profili di inammissibilità, si denuncia il difetto di lesività dell’atto impugnato. La determinazione assunta dal Consiglio regionale, osserva la difesa della Regione, avrebbe un elevato valore simbolico, ma, in termini di puro diritto, si risolverebbe in una semplice addizione lessicale alla formula impiegata in Costituzione, senza che ciò determini una modifica delle competenze e delle prerogative dell’organo rappresentativo regionale. Non vi sarebbe, dunque, nell’atto oggetto del conflitto, alcuna capacità invasiva delle attribuzioni costituzionali dello Stato.
Nel merito, la difesa regionale contesta l’affermazione secondo la quale l’espressione Parlamento «sia sintomatica e coessenziale della sovranità dello Stato», replicando che la sovranità è una caratteristica dello Stato complessivamente considerato, mentre la denominazione di Parlamento si attaglierebbe ad assemblee rappresentative, espressive di potere popolare, con funzione legislativa e di controllo politico sul Governo. Ad avviso della resistente dovrebbe considerarsi infondata anche la questione relativa al secondo comma della deliberazione impugnata, che formula indirizzi ai fini della redazione del nuovo statuto, poiché tale previsione non presenterebbe un contenuto lesivo, essendo priva di valore giuridico vincolante nei confronti della commissione alla quale è diretta.
3. — Nella pubblica udienza del 12 febbraio 2002 l’Avvocatura dello Stato, oltre a riprendere le argomentazioni spese nel ricorso, ha soggiunto che le attribuzioni del Consiglio regionale, per quanto siano state fortemente potenziate dalla revisione del Titolo V, Parte II, della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), sarebbero comunque espressione di poteri di autonomia e non potrebbero mai attingere il livello della sovranità. In tal senso, secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, con la delibera impugnata la Regione Liguria si arrogherebbe la titolarità di una sovranità che in nessun modo le spetta.
Dal canto suo, la difesa della Regione ha sostenuto che l’impiego del nomen Parlamento nella delibera oggetto del conflitto - che peraltro esplicitamente riconosce la spettanza della sovranità allo Stato nella sua unitarietà - troverebbe giustificazione proprio nella marcata assimilazione funzionale tra assemblea legislativa statale e assemblea legislativa regionale alla quale hanno condotto le riforme costituzionali più recenti, tutte intese al rafforzamento delle istituzioni regionali nella complessiva organizzazione dello Stato. Particolare significato assumerebbe, in tale prospettiva, l’attribuzione di una amplissima potestà legislativa alle Regioni, per effetto del superamento del criterio della enumerazione delle materie di competenza regionale, cui era originariamente improntato l’art. 117 della Costituzione, e l’accoglimento del principio, concettualmente opposto, della residualità della competenza legislativa regionale (art. 117, quarto comma, della Costituzione).
Considerato in diritto
1. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione, in riferimento agli articoli 1, 5, 55, 115 (articolo abrogato dall’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) e 121 della Costituzione avverso la delibera n. 62 del 15 dicembre 2000, con la quale il Consiglio regionale della Liguria, da un lato ha disposto che in tutti i propri atti la dizione "Consiglio regionale" sia affiancata da quella di "Parlamento della Liguria"; dall’altro ha indirizzato alla Commissione statuto la direttiva di tenere conto di tale denominazione in sede di elaborazione del nuovo statuto regionale.
2. ¾ Il ricorso deve essere accolto.
Già un approccio puramente testuale al tema oggetto del conflitto induce a nutrire forti dubbi sulla conformità a Costituzione della deliberazione impugnata. Il termine "Parlamento", che apre il Titolo I, Parte II, della Costituzione, si riferisce, ai sensi dell’art. 55, ai due organi che lo compongono: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. L’art. 121 della Costituzione denomina invece Consiglio regionale l’organo che esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni che la Costituzione e le leggi gli conferiscono.
L’argomento letterale, seppure non privo di valore, non può tuttavia essere considerato decisivo se non viene saggiato alla luce degli altri canoni della interpretazione costituzionale. Le stesse parti, del resto, hanno avvertito la necessità di spingersi al di là del dato testuale allorché, con opposti intendimenti, hanno addotto elementi storico-sistematici per corroborarlo ovvero consentirne il superamento. L’Avvocatura dello Stato insiste sulla distinzione-contrapposizione tra sovranità popolare, della quale il solo Parlamento sarebbe espressione, e autonomia; la difesa della Regione, richiamandosi alla posizione di perfetta equiordinazione che, dopo le recenti riforme costituzionali, si sarebbe ormai realizzata tra Parlamento e Consigli regionali, ritiene che anche questi ultimi, da annoverare a pieno titolo tra le assemblee rappresentative, possano, per analogia, fregiarsi del nome Parlamento.
E’ su tali antagonistiche prospettazioni che questa Corte deve portare il proprio esame.
3. ¾ La difesa erariale, dunque, nel tentativo di rinvenire, al di là del dato testuale, una più profonda ragione costituzionale del carattere esclusivo della denominazione "Parlamento" attribuita alle assemblee legislative nazionali, pone l’accento sul fatto che siano queste la sede esclusiva, o anche soltanto preminente, in cui prende forma la sovranità del popolo.
Si deve in proposito osservare che il legame Parlamento-sovranità popolare costituisce inconfutabilmente un portato dei principî democratico-rappresentativi, ma non descrive i termini di una relazione di identità, sicché la tesi per la quale, secondo la nostra Costituzione, nel Parlamento si risolverebbe, in sostanza, la sovranità popolare, senza che le autonomie territoriali concorrano a plasmarne l’essenza, non può essere condivisa nella sua assolutezza.
Sebbene il nuovo orizzonte dell’Europa e il processo di integrazione sovranazionale nel quale l’Italia è impegnata abbiano agito in profondità sul principio di sovranità, nuovamente orientandolo ed immettendovi virtualità interpretative non tutte interamente predicibili, un apparato concettuale largamente consolidato nel nostro diritto costituzionale consente di procedere, proprio sui temi connessi alla sovranità, da alcuni punti fermi. L’articolo 1 della Costituzione, nello stabilire, con formulazione netta e definitiva, che la sovranità "appartiene" al popolo, impedisce di ritenere che vi siano luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale nella quale essa si possa insediare esaurendovisi. Le forme e i modi nei quali la sovranità del popolo può svolgersi, infatti, non si risolvono nella rappresentanza, ma permeano l’intera intelaiatura costituzionale: si rifrangono in una molteplicità di situazioni e di istituti ed assumono una configurazione talmente ampia da ricomprendere certamente il riconoscimento e la garanzia delle autonomie territoriali. Per quanto riguarda queste ultime, risale alla Costituente la visione per la quale esse sono a loro volta partecipi dei percorsi di articolazione e diversificazione del potere politico strettamente legati, sul piano storico non meno che su quello ideale, all’affermarsi del principio democratico e della sovranità popolare.
Il nuovo Titolo V – con l’attribuzione alle Regioni della potestà di determinare la propria forma di governo, l’elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residualità a favore delle Regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legislativa, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l’abolizione dei controlli statali - ha disegnato di certo un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e Regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare.
In conclusione, se non lo si vuole racchiudere entro uno schema troppo angusto e ormai storicamente inattendibile, non è il principio di sovranità popolare a poter fondare un’attribuzione costituzionale all’uso esclusivo della denominazione "Parlamento".
4. ¾ D’altro canto, non può essere accolta neppure la prospettiva ricostruttiva in cui si pone la Regione Liguria per superare l’ostacolo recato dalla lettera della Costituzione. La difesa regionale assume che la sostanziale parificazione di funzioni, nei rispettivi ambiti di competenza, tra Consiglio regionale e Parlamento renderebbe legittima l’estensione anche al primo della denominazione propria del secondo. Questa ricostruzione potrebbe avere una qualche plausibilità se la denominazione degli organi direttivi della Regione fosse collocata in uno spazio di indifferenza giuridica; solo allora sarebbe infatti possibile muovere alla ricerca di una nozione "sostanziale" di Parlamento, e, confortati dalla indagine storica, annettere una qualificazione siffatta alle assemblee legislative titolari di una funzione rappresentativa delle popolazioni governate, dunque anche ai Consigli regionali.
E’ tuttavia di ostacolo alla utilizzazione dell’argomento analogico la circostanza che la Costituzione ha inteso pregiudicare questo spazio giuridico. Essa nel Titolo I, Parte II, attribuisce alle sole Camere il nome Parlamento, e definisce Consiglio regionale, nell’articolo 121, il titolare della funzione legislativa regionale. Gli organi direttivi della Regione non sono dunque entità nuove nate negli ordinamenti regionali in virtù delle modifiche introdotte nel Titolo V della Costituzione e prive di denominazioni proprie. Ed è vano richiamare profili di analogia tra Consiglio regionale e Parlamento, che erano evidenti al Costituente del 1948 - il quale con l’art. 121 Cost. (e con le corrispondenti norme degli statuti speciali) aveva nondimeno espresso chiaramente la propria scelta diversificatrice - così come si deve presumere lo siano stati al legislatore costituzionale del 1999 e del 2001, che pure, proprio nel momento in cui si accingeva ad un rilevante potenziamento del ruolo delle autonomie, non ha ritenuto di mutare in "Parlamento" la denominazione dell’organo legislativo delle Regioni.
Conviene piuttosto individuare gli elementi che giustifichino la diversa denominazione costituzionale, ed è fin troppo agevole, in questa prospettiva, rilevare che il termine Parlamento rifiuta di essere impiegato all’interno di ordinamenti regionali. Ciò non per il fatto che l’organo al quale esso si riferisce ha carattere rappresentativo ed è titolare di competenze legislative, ma in quanto solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile. In tal senso il nomen Parlamento non ha un valore puramente lessicale, ma possiede anche una valenza qualificativa, connotando, con l’organo, la posizione esclusiva che esso occupa nell’organizzazione costituzionale. Ed è proprio la peculiare forza connotativa della parola ad impedire ogni sua declinazione intesa a circoscrivere in ambiti territorialmente più ristretti quella funzione di rappresentanza nazionale che solo il Parlamento può esprimere e che è ineluttabilmente evocata dall’impiego del relativo nomen.
5. ¾ Le considerazioni fin qui svolte consentono di apprezzare nella pienezza del suo significato il valore deontico degli articoli 55 e 121 della Costituzione, che si traduce in un vero e proprio divieto per i Consigli regionali di appropriarsi del nome Parlamento. Ne consegue che la dizione lessicale integrativa introdotta dalla Regione Liguria, intesa ad estendere anche al Consiglio regionale ligure il nomen Parlamento, deve ritenersi illegittima, sicché il ricorso per conflitto deve essere accolto e la delibera impugnata annullata anche in riferimento alla sua seconda parte, con la quale il Consiglio regionale, esorbitando dalle proprie attribuzioni e ledendo quelle statali, invita la apposita commissione ad inserire nello statuto regionale in corso di elaborazione una denominazione costituzionalmente non consentita per l’organo consiliare.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta al Consiglio regionale della Liguria adottare la delibera n. 62 del 15 dicembre 2000 recante "Istituzione del Parlamento della Liguria" e conseguentemente la annulla.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2002.