Giust.it

Giurisprudenza
n. 5-2002 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 29 maggio 2002 n. 219 - Pres. RUPERTO, Red. ONIDA - (giudizi promossi con ordinanze emesse l’11 luglio e il 26 settembre 2001 dal T.A.R. dell’Umbria, iscritte ai nn. 880 e 952 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 43 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2001).

1. Istruzione pubblica - Facoltà di medicina - Diplomi di specializzazione - Accesso ai corsi - Disciplina prevista dall’art. 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 - Nella parte il cui preclude l’accesso a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione - Illegittimità costituzionale - Va dichiarata.

2. Istruzione pubblica - Generalità - Principi previsti dall’art. 34 Cost. - Portata - Diritto allo studio - Riguarda ogni livello di formazione previsto dall’ordinamento - Potere del legislatore ordinario di introdurre limiti di accesso diversi da quelli della capacità e del merito - Non sussiste.

3. Istruzione pubblica - Facoltà di medicina - Diplomi di specializzazione - Accesso ai corsi - Disciplina prevista dall’art. 24, comma 1, dello decreto legislativo n. 368 del 1999 - Nella parte il cui preclude l’accesso al corso di formazione specifica in medicina generale per chi sia in possesso di diploma di specializzazione o di dottorato di ricerca - Va dichiarata.

1. E’ costituzionalmente illegittimo l’articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE), il quale non consente l’accesso ai corsi di formazione specialistica a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione, atteso che un divieto di tale assolutezza e rigidità non può ritenersi compatibile con i principi costituzionali.

2. Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello – in un sistema in cui "la scuola è aperta a tutti" (art. 34, primo comma, della Costituzione) – di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai "gradi più alti degli studi" (art. 34, terzo comma): espressione, quest’ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento. Il legislatore, se può regolare l’accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che – come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali – non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito.

3. La dichiarazione di incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, va estesa anche alla norma (art. 24, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 368 del 1999) che, parallelamente, dispone il divieto di accedere al corso di formazione specifica in medicina generale per chi sia in possesso di diploma di specializzazione o di dottorato di ricerca.

 

SENTENZA N. 219

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Massimo VARI Giudice

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 4, del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE), promossi con ordinanze emesse l’11 luglio e il 26 settembre 2001 dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, iscritte ai nn. 880 e 952 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 43 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti l’atto di costituzione di Giovanna Maria Gatti nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 marzo 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Fabrizio Figorilli per Giovanna Maria Gatti e l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Considerato in diritto

1.¾ Il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, con due ordinanze di identico contenuto, dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE), il quale, nell’ambito della disciplina della formazione dei medici specialisti, e in particolare dell’ammissione alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, stabilisce che "l’accesso alla formazione specialistica non è consentita [recte: consentito] ai titolari di specializzazione conseguita ai sensi dell’articolo 20 o di diploma di formazione specifica in medicina generale". L’art. 20 disciplina i requisiti e la durata minima della formazione che permette di ottenere un diploma di medico chirurgo specialista nelle specializzazioni indicate negli allegati B e C del decreto legislativo; a sua volta l’art. 21 prevede che per l’esercizio dell’attività di medico chirurgo di medicina generale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale, che si consegue (art. 24) a seguito di un corso di formazione specifica della durata di due anni ed è riservato "ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati all’esercizio professionale e non ai possessori di diploma di specializzazione di cui all’articolo 20, o di diploma in formazione specifica in medicina generale o di dottorato di ricerca".

Secondo il remittente, la disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 76 della Costituzione, in quanto, in sede di legislazione delegata, avrebbe introdotto un nuovo più restrittivo criterio di ammissione alle scuole di specialità, in mancanza di una espressa delega, che sarebbe stata necessaria nel silenzio, in proposito, delle direttive comunitarie, non trattandosi di una norma tecnico-organizzativa necessaria per assicurare l’integrità e la funzionalità della disciplina, bensì di una regola incidente sulla libertà individuale; con l’art. 34 della Costituzione, in quanto introdurrebbe una limitazione irragionevole al diritto allo studio, inteso come diritto di accedere, secondo le proprie libere scelte, e sulla base della capacità e del merito, ad un determinato corso di studi; con l’art. 35 della Costituzione, in quanto, impedendo il conseguimento di una seconda specializzazione, renderebbe irrevocabile, a vita, la prima scelta professionale fatta dal giovane medico, così introducendo una limitazione irragionevole al diritto al lavoro, inteso come diritto di svolgere, secondo le proprie libere scelte, una determinata attività professionale; con l’art. 3 della Costituzione, in quanto darebbe vita ad una discriminazione irragionevole fra i laureati in medicina, a svantaggio di chi già possiede un diploma di specializzazione.

2.¾ Le due ordinanze sollevano la medesima questione, onde i due giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

3.¾ La questione è fondata, sotto il profilo della violazione del diritto di accedere ad un corso di studi e conseguentemente di intraprendere un’attività professionale di propria scelta.

Non viene in questione qui, come avverte lo stesso remittente, la legittimità della limitazione numerica degli accessi alle scuole di specializzazione medica, risultante dall’art. 35 del decreto legislativo in esame (e dall’art. 25, per quanto riguarda i corsi di formazione specifica in medicina generale): limitazione prevista non da oggi dalla legislazione, e correlata anche alla disciplina comunitaria che richiede la disponibilità di strutture e risorse per adeguare la formazione agli standard minimi imposti, comportanti attività cliniche o, in genere, operative svolte nel corso dei periodi di formazione (cfr. sentenza n. 383 del 1998).

Si discute qui unicamente della legittimità costituzionale del divieto imposto, a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere alla formazione in vista del conseguimento di una ulteriore specializzazione. In sostanza il legislatore delegato, nel dettare la nuova disciplina delle scuole di specializzazione medica nonché dei corsi di formazione specifica in medicina generale, ha inteso stabilire un rigido criterio di non cumulabilità in capo allo stesso medico di due o più di tali curricula formativi. Il medico in possesso di un diploma di specializzazione non può accedere ad altra specialità, né ai corsi di formazione specifica in medicina generale (in tal senso è da intendersi la non felice formula, sopra citata, dell’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 1999); a sua volta il medico in possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale non può accedere alle specializzazioni.

Il divieto appare dettato nell’intento di evitare che lo stesso medico possa, cumulando più diplomi di specializzazione (e, forse, usufruendo del vantaggio che gli proviene dal possedere già una specializzazione), "accaparrarsi" più di uno spazio di formazione nell’ambito e a spese delle strutture a ciò deputate, a danno di altri aspiranti, il cui diritto a perseguire, a loro volta, una chance di inserimento professionale potrebbe esserne pregiudicato.

Tale intento non è privo di una sua ragionevolezza, in quanto miri a tutelare gli interessi di chi non abbia ancora avuto accesso ad una formazione medica specialistica, e a rendere razionale l’impiego delle risorse pubbliche. Da questo punto di vista, non apparirebbe in sé irragionevole che il legislatore, ad esempio, riservasse quote dei posti disponibili ai medici non ancora in possesso di specializzazione, o prevedesse quote di posti cui ammettere in soprannumero candidati che siano già in possesso di altra specializzazione (sul modello di quanto già prevedono rispettivamente, in relazione ad altre categorie di aspiranti, i commi 3 e 4 dell’art. 35 dello stesso decreto legislativo); o dettasse modalità specifiche, diverse da quelle previste per i non specialisti, per la disciplina della posizione anche economica degli aspiranti che già operino nell’esercizio di altra specializzazione.

Ma la questione è se sia legittimo, sia pure in vista di siffatte finalità, precludere totalmente a chi abbia già conseguito un diploma di specializzazione l’accesso ad un nuovo curriculum formativo e ad un nuovo titolo di specializzazione, che a sua volta costituisce condizione imprescindibile per lo svolgimento di una specifica attività professionale medica. Non è infatti irrilevante ricordare, a tal proposito, che la disciplina vigente dell’accesso alle funzioni di dirigente medico nelle strutture del servizio sanitario nazionale prevede, tra i requisiti indispensabili, il possesso del diploma di specializzazione specificamente inerente all’attività svolta dalla struttura in cui il medico intende operare (artt. 24 e 28 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483; art. 5 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 484); così come per l’esercizio dell’attività di medico di medicina generale nell’ambito del servizio sanitario nazionale è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale (art. 21 del d.lgs. n. 368 del 1999).

4.¾ Sotto questo riguardo, un divieto di tale assolutezza e rigidità non può ritenersi compatibile con i principi costituzionali.

Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello – in un sistema in cui "la scuola è aperta a tutti" (art. 34, primo comma, della Costituzione) – di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai "gradi più alti degli studi" (art. 34, terzo comma): espressione, quest’ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento. Il legislatore, se può regolare l’accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che – come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali – non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito.

A tale diritto si ricollega altresì quello di aspirare a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che non solo assicuri la "tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni" (art. 35, primo comma, della Costituzione), ma consenta a tutti i cittadini di svolgere, appunto "secondo le proprie possibilità e la propria scelta", un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione): ciò che a sua volta comporta, quando l’accesso alla professione sia condizionato al superamento di un curriculum formativo, il diritto di accedere a quest’ultimo in condizioni di eguaglianza.

Il diritto di studiare, nelle strutture a ciò deputate, al fine di acquisire o di arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, è d’altra parte strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione.

5.¾ Resta assorbito ogni altro profilo di censura prospettato dal remittente. In particolare, il riconoscimento della incompatibilità sostanziale della norma impugnata con gli articoli 34 e 35 della Costituzione esime questa Corte dall’esaminare il profilo di censura relativo al denunciato eccesso di delega.

6.¾ L’accertamento della illegittimità del divieto, per chi sia già in possesso di altro diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere ad una nuova specializzazione, comporta altresì come conseguenza l’estensione della dichiarazione di incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, alla norma – avente portata e ratio corrispondenti, e perciò affetta dallo stesso vizio – che, parallelamente, dispone il divieto di accedere al corso di formazione specifica in medicina generale per chi sia in possesso di diploma di specializzazione o di dottorato di ricerca (art. 24, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 368 del 1999).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE);

b) dichiara, ai sensi dell’art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 368 del 1999, nella parte in cui esclude dall’accesso al corso di formazione specifica in medicina generale i possessori di diploma di specializzazione di cui all’articolo 20 del medesimo decreto, o di dottorato di ricerca.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2002.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2002.

Copertina Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico