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n. 7/8-2002 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 3 luglio 2002 n. 304 Pres. RUPERTO, Red. MEZZANOTTE – (giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 7 settembre 2001, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2001).

Regioni – Autonomia regionale – Sostituzione del Presidente della Regione – Nel caso di morte od impedimento permanente – Disciplina transitoria contenuta nella deliberazione legislativa statutaria adottata della Regione Marche in data 24 luglio 2001 – Previsione della sostituzione del Presidente con il Vicepresidente – Illegittimità costituzionale – Va dichiarata – Ragioni.

E’ costituzionalmente illegittima la deliberazione legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante "Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1", nella parte in cui dispone che, fino alla approvazione del nuovo statuto regionale, nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta regionale, il vicepresidente, nominato ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera a), della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), subentra al Presidente nell’esercizio delle relative funzioni.

L’art. 126, terzo comma, della Costituzione dispone infatti che: «L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio»; analoga è la formulazione dell’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale n. 1 del 1999, dettato in relazione al periodo transitorio ("fino alla entrata in vigore dei nuovi statuti").

Il significato delle due disposizioni è evidente: con esse si tende a garantire, mediante il vincolo del simul stabunt, simul cadent, la stabilità dell’esecutivo regionale. Identiche nella ratio, le due previsioni normative si differenziano per la loro sfera temporale di operatività. L’art. 5, comma 2, lettera b), contiene la disciplina transitoria, destinata a permanere fino a quando, nell’esercizio dell’autonomia statutaria loro riconosciuta dall’art. 123, primo comma, le Regioni compiranno la scelta in ordine alla propria forma di governo. Solo in quel caso sarà loro consentito esercitare la facoltà prevista dall’ultimo comma dell’art. 126 e optare per un sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale diverso dal suffragio diretto, ciò che le scioglierà dall’osservanza del vincolo costituzionale di cui si parla.

 

 

SENTENZA N.304

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Massimo VARI Giudice

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della deliberazione legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante "Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 7 settembre 2001, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2001.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1. — Il Governo della Repubblica ha proposto questione di legittimità costituzionale della deliberazione legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante "Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1", denunciandone il contrasto con gli artt. 122, ultimo comma, e 126, terzo comma, della Costituzione, nonché con l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, recante "Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni".

In via preliminare l’Avvocatura rammenta che la deliberazione legislativa impugnata non è stata ancora promulgata, in ossequio al dettato dell’art. 123, comma 3, della Costituzione e che dal tenore delle disposizioni costituzionali non è dato comprendere se essa possa essere promulgata in pendenza di giudizio costituzionale, quando siano decorsi i tre mesi previsti per la richiesta di referendum confermativo e qualora questo non sia stato richiesto, né è possibile dedurre se, in pendenza del giudizio costituzionale, possa essere fissata la data della consultazione referendaria.

L’art. 1 dell’atto impugnato dispone che, fino alla approvazione del nuovo statuto regionale, nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta regionale, il vicepresidente, nominato ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera a), della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, subentra al presidente nell’esercizio delle relative funzioni.

L’Avvocatura dello Stato contesta innanzitutto il meccanismo di approvazione delle modifiche statutarie al quale si è dato corso. Si osserva in proposito che l’art. 123 della Costituzione attribuisce al legislatore regionale la potestà di approvare e modificare lo statuto, e da ciò dovrebbe desumersi che sia consentito solo approvare uno statuto organico, salva successiva sua modifica, mentre resterebbe preclusa la possibilità di emendare lo statuto vigente, così da dare vita ad un testo statutario "misto". Ciò corrisponderebbe all’esigenza di rendere manifesto il disegno istituzionale complessivo, sia al corpo elettorale eventualmente interpellato mediante consultazione referendaria, sia allo stesso Governo della Repubblica legittimato a ricorrere dinanzi a questa Corte.

La difesa erariale sostiene inoltre che la deliberazione impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 122, ultimo comma, con l’art. 126, terzo comma, Cost. e con l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, disposizioni, queste, che collegano alla morte, all’impedimento permanente e alle dimissioni volontarie del Consiglio regionale l’effetto automatico dello scioglimento del Consiglio regionale, con la conseguente necessità di procedere a nuove elezioni. Secondo l’Avvocatura sarebbe sottratta alla potestà statutaria delle Regioni ogni possibilità di incidere sull’automatismo di tale regola, come intende fare invece la deliberazione impugnata. Il carattere transitorio della disposizione, soggiunge la difesa del Presidente del Consiglio, non sarebbe tale da far venire meno i denunciati vizi di costituzionalità.

2. — Si è costituito in giudizio, per la Regione Marche, il Presidente della Giunta regionale.

La difesa della Regione contesta in primo luogo l’argomento secondo il quale l’art. 123 ammetterebbe solo la approvazione di un testo statutario organico, replicando che sul piano logico come su quello normativo non sarebbe possibile escludere che la Regione approvi modifiche statutarie parziali, perché ciò equivarrebbe a negare ad essa la stessa autonomia statutaria, che così come potrebbe essere esplicata in pieno con l’approvazione di un intero statuto, allo stesso modo potrebbe essere esercitata anche per approvare norme che lo emendino solo in parte. Il pericolo, paventato dall’Avvocatura, di interventi plurimi e frammentari che tolgano ogni organicità al testo statutario risulterebbe d’altro canto scongiurato sia per la particolarità della fattispecie disciplinata dalla deliberazione impugnata, sia per il carattere provvisorio di detta delibera.

Dopo aver premesso che la regola per la quale in caso di mozione di sfiducia, dimissioni volontarie, impedimento permanente o morte del Presidente della Giunta si procede alla indizione di nuove elezioni costituisce espressione del sistema di governo regionale, come delineato dall’art. 122, ultimo comma, della Costituzione, la difesa regionale osserva però che lo stesso art. 122 mantiene la scelta del meccanismo di elezione del Presidente della Giunta regionale in capo alla Regione, quando afferma che esso è eletto a suffragio universale e diretto "salvo che lo statuto regionale disponga diversamente". Da tale disposizione potrebbe desumersi che ogni Regione sia autorizzata ad adottare un sistema di governo che preveda il subentro del vicepresidente in caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta. Né la disposizione così posta potrebbe essere in alcun modo equiparata all’ipotesi di dimissioni volontarie del presidente o di mozione motivata di sfiducia, perché in entrambi questi casi viene a spezzarsi il rapporto fiduciario che deve sussistere tra Consiglio regionale e Presidente della Giunta, mentre nell’ipotesi di subentro del vicepresidente la relazione fiduciaria non ne verrebbe intaccata.

Ulteriore conferma della legittimità della disposizione statutaria impugnata dovrebbe trarsi dal rilievo che l’art. 123 attribuisce alla Regione la potestà di determinare, con lo statuto, la propria forma di governo. Il richiamo alla necessità di armonizzare la potestà statutaria con la Costituzione, in effetti, non postulerebbe una assoluta aderenza al modello tratteggiato dalle norme costituzionali, ma implicherebbe la possibilità di una autonoma capacità di interpretazione dei principî costituzionali da parte della Regione. Anche sotto questo profilo dovrebbe dunque riconoscersi che la deliberazione impugnata costituisce una integrazione del tutto logica e coerente, oltre che temporalmente delimitata, delle previsioni costituzionali in materia di forma di governo regionale.

3. ¾ In prossimità della data fissata per la pubblica udienza la Regione Marche ha presentato ulteriori memorie, nelle quali, dopo aver dato atto che la legge statutaria oggetto del giudizio non è stata ancora promulgata, sostiene che il nuovo articolo 123 della Costituzione non impone che l’esercizio della potestà statutaria si realizzi uno actu, ma consente interventi modificativi sugli statuti previgenti approvati con legge statale. Sarebbe dunque da considerare legittimo ogni intervento di integrazione dello statuto che presenti i caratteri di un atto di esercizio della potestà statutaria conferita dal nuovo art. 123 della Costituzione. La "novità" dello statuto, continua la difesa regionale, da un punto di vista logico non richiederebbe necessariamente l’approvazione di un testo organico che sostituisca integralmente il vecchio e non potrebbe essere negata di fronte al concreto esercizio, sia pure parziale, della nuova potestà statutaria riconosciuta alle Regioni. Se si riflette sulla natura del nuovo statuto regionale e sul suo rapporto con quello vigente, secondo la difesa delle Marche, non potrebbe dubitarsi della legittimità della delibera impugnata. In effetti, secondo la Regione, il nuovo statuto, così come il vecchio, è una «fonte sub-costituzionale a competenza materiale riservata», che si colloca in posizione sovraordinata rispetto alle altre fonti primarie e quindi condiziona la validità delle leggi regionali, analogamente a quanto avveniva nel regime precedente la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione. Nonostante il diverso procedimento di formazione e l’ampliamento del relativo ambito materiale, quindi, lo statuto avrebbe conservato integra la propria natura, la propria collocazione nel sistema delle fonti normative, nonché la propria funzione istituzionale. In questi termini, una novella parziale effettuata successivamente alla entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1999 dovrebbe considerarsi legittima quanto quella effettuata prima, unico elemento di diversità tra le due fattispecie essendo la fonte abilitata a porre in essere la revisione statutaria.

Quanto alla ipotizzata violazione, da parte della delibera impugnata, dell’art. 126, ultimo comma, della Costituzione, la Regione rileva che la regola aut simul stabunt aut simul cadent in esso posta sarebbe diretta a disciplinare il rapporto tra presidente e Consiglio solo nel contesto di una forma di governo autonomamente definita dallo statuto e di una legge elettorale che preveda l’elezione diretta del Presidente della Giunta, ed afferma che nessuna di queste condizioni ricorrerebbe nel caso di specie. La Regione Marche, infatti, non ha ancora adottato uno statuto organico che definisca la propria forma di governo, né una legge elettorale regionale, a causa dell’inerzia del legislatore statale, cui compete, ai sensi dell’art. 122, primo comma, della Costituzione la definizione dei principî della legislazione elettorale regionale. Non ricorrerebbero dunque i presupposti per l’applicazione, alla disciplina transitoria impugnata, dell’art. 126, ultimo comma, della Costituzione. In ogni caso, anche a ritenere che esso possa trovare applicazione, la difesa della Regione contesta che l’elezione del Presidente della Giunta regionale, come disciplinata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle Regioni a statuto ordinario) e dall’art. 5, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1999, possa essere considerata tecnicamente a suffragio universale e diretto. Affinché una elezione presenti tali caratteristiche, occorrerebbe «che il candidato risulti eletto non soltanto da tutti i soggetti titolari della capacità elettorale attiva, ma anche che la scelta avvenga direttamente ed immediatamente, senza dunque che questa sia filtrata o mediata da altri meccanismi o organi o procedure». Ciò postulerebbe che la manifestazione del voto si esprima sulla base di una scheda che propone all’elettore solo la scelta di un capo dell’Esecutivo, cosa che attualmente non accade. L’art. 5 poc’anzi citato, del resto, non parla mai né di elezione diretta, né di suffragio universale e diretto, ma introduce la indicazione popolare del presidente della Giunta all’interno di un sistema elettorale che prevede che il presidente risulti eletto in quanto capolista della lista regionale dei candidati al Consiglio che ha ottenuto il maggior numero di voti. La stessa legge elettorale, continua la Regione, reca previsioni incompatibili con il sistema della elezione diretta del presidente. Segnatamente, l’art. 2 della legge n. 43 del 1995, nel disporre che - qualora l’elettore esprima il suo voto soltanto per una lista provinciale, il voto si intende validamente espresso anche a favore della lista regionale collegata - dimostrerebbe come al capolista possano essere attribuiti anche voti non espressamente indirizzati a lui, tradendo così la logica della elezione a suffragio universale e diretto. Su queste premesse la difesa della Regione Marche conclude che, in mancanza di un sistema di elezione diretta, la regola simul stabunt simul cadent non possa trovare applicazione. Proprio l’inapplicabilità dell’art. 126, ultimo comma, nella vigenza dell’attuale sistema elettorale, avrebbe indotto il legislatore costituzionale ad introdurre una apposita disposizione transitoria diretta a vincolare anche l’elezione attuale del presidente al regime della caduta contestuale con il Consiglio. Sarebbe questa disposizione transitoria, non già l’art. 126, ultimo comma, ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi regionali, posto che – giova ricordare - la deliberazione impugnata opera all’interno di un sistema nel quale è ancora vigente la legge elettorale n. 43 del 1995. La deliberazione impugnata, secondo la Regione, si collocherebbe tuttavia nel campo di applicazione non del primo, ma del secondo comma, lettera b), dell’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999. Tale disposizione - che a differenza di quella del comma 1, definisce un regime transitorio "fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti", indipendentemente dalla intervenuta adozione della legge elettorale regionale - sarebbe diretta a disciplinare le situazioni nelle quali continua ad applicarsi un sistema elettorale definito dalla legge statale vigente e non è stato ancora approvato un nuovo statuto organico. Sarebbe dunque la stessa disposizione costituzionale testé menzionata ad autorizzare il legislatore regionale, nell’esercizio della sua nuova potestà statutaria, a porre deroghe alla regola simul stabunt simul cadent.

Anche ad ammettere che l’art. 126, ultimo comma, della Costituzione si debba applicare alla deliberazione legislativa impugnata, l’introduzione di deroghe alla contestuale permanenza in carica di presidente e Consiglio rientrerebbe, secondo la difesa della Regione, nella competenza che il nuovo art. 123 riconosce allo statuto in materia di forma di governo. Il limite della "armonia" con la Costituzione, al quale è soggetta la potestà statutaria, dovrebbe infatti essere riferito alle scelte di fondo che ispirano la Carta, non già al rispetto formale di singole, puntuali disposizioni costituzionali. In tale prospettiva, la disciplina impugnata non potrebbe definirsi "orientata contro la Costituzione", in quanto sarebbe diretta semplicemente ad integrare il precedente statuto senza pregiudicare le scelte da effettuare con il nuovo. In un quadro di autonomia nel quale lo stesso legislatore costituzionale consente allo statuto di introdurre deroghe alla elezione diretta del Presidente, continua la Regione, dovrebbe a fortiori considerarsi legittima una modifica come quella oggetto di impugnativa, che non pone in questione il rapporto fiduciario tra Giunta e Consiglio regionale, e quindi non compromette la finalità stabilizzatrice alla quale tende la regola simul stabunt simul cadent. Il subentrare del vicepresidente nelle ipotesi di morte o impedimento permanente del presidente, infatti, non inciderebbe in alcun modo sul rapporto di fiducia, ma anzi consentirebbe a tale rapporto di proseguire, nonostante le vicende naturali che coinvolgano la persona fisica del Presidente della Giunta.

Considerato in diritto

1. ¾ Viene all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale della deliberazione legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante "Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1", il quale dispone che, fino alla approvazione del nuovo statuto regionale, nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta regionale, il vicepresidente, nominato ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera a), della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), subentra al Presidente nell’esercizio delle relative funzioni. Il Governo della Repubblica ne denuncia il contrasto con gli artt. 122, ultimo comma, e 126, terzo comma, della Costituzione, nonché con l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale n. 1 del 1999.

Poiché si tratta del primo ricorso proposto ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, nel testo risultante dalla revisione operata con la legge costituzionale n. 1 del 1999, occorre preliminarmente chiarire, ai fini della ammissibilità della questione, che il termine per promuovere il controllo di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte decorre dalla pubblicazione notiziale della delibera statutaria e non da quella, successiva alla promulgazione, che è condizione per l’entrata in vigore.

Ancor prima di scendere nell’esegesi delle singole proposizioni costituzionali, va detto che una soluzione diversa da quella appena indicata non potrebbe certo fondarsi su una esigenza di simmetria con il giudizio di legittimità sulle leggi regionali, che ormai, a seguito della revisione dell’art. 127 Cost., così come risultante dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), è successivo alla entrata in vigore della legge. Ragioni di coerenza sistematica inducono a negare che il valore della legge regionale – inteso nel senso convenzionale di trattamento giuridico - sia in tutto assimilabile a quello degli statuti regionali, la peculiarità dei quali si fa evidente se si considerano le diverse innovazioni che li hanno coinvolti. Il legislatore del 1999 ha introdotto un procedimento aggravato di formazione dell’atto, imponendo al Consiglio regionale due successive deliberazioni a maggioranza assoluta, adottate ad intervallo non minore di due mesi; ha escluso il controllo preventivo del Governo, lasciando però che ad esso restasse assoggettata la generalità delle leggi regionali ed ha previsto in sua vece uno speciale controllo di legittimità da parte della Corte costituzionale; ha infine prefigurato una eventuale consultazione referendaria, sicché può dirsi che il procedimento di formazione richiami il modello che l’art. 138 della Costituzione delinea per le leggi di revisione costituzionale.

Complessivamente considerata, la disciplina posta dall’art. 123 è chiara nelle sue linee portanti e realizza un assetto normativo unitario e compatto, in cui ciascuna previsione è assistita da una propria ragione costituzionale, e tutte si legano tra loro in un vincolo di coerenza sistematica, che disvela il ponderato equilibrio delle scelte del legislatore costituzionale. Da un lato, le istanze autonomistiche sono state pienamente appagate con l’attribuzione allo statuto di un valore giuridico che lo colloca al vertice delle fonti regionali e con la scomparsa dell’approvazione parlamentare; dall’altro, il principio di legalità costituzionale ha ricevuto una protezione adeguata alla speciale collocazione dello statuto nella gerarchia delle fonti regionali: la previsione di un controllo di legittimità costituzionale in via preventiva delle deliberazioni statutarie è intesa infatti ad impedire che eventuali vizi di legittimità dello statuto si riversino a cascata sull’attività legislativa e amministrativa della Regione, per le parti in cui queste siano destinate a trovare nello statuto medesimo il proprio fondamento esclusivo o concorrente.

Ebbene, se si considera la essenziale posizione che, nell’art. 123 Cost., assume l’impugnazione governativa dinanzi alla Corte costituzionale e si tiene conto delle istanze alle quali tale posizione corrisponde, la tesi sostenuta dalla difesa regionale, secondo cui la modifica dell’art. 127 Cost. avrebbe comportato l’assimilazione del regime giuridico degli statuti a quello delle "ordinarie" leggi regionali, non può essere accolta. Pieno riconoscimento di autonomia statutaria e controllo preventivo di legittimità costituzionale rappresentavano, nel sistema della legge costituzionale n. 1 del 1999, un binomio inscindibile, che la successiva modificazione del trattamento delle leggi regionali non ha minimamente scalfito e che conserva la sua autonoma ragion d’essere anche dopo l’ampia revisione del Titolo V della Parte II e la connessa modificazione del regime di impugnazione delle leggi regionali.

2. ¾ Il quadro sistematico poc’anzi tratteggiato non è contraddetto dall’esegesi delle disposizioni costituzionali coinvolte.

L’art. 123, secondo comma, della Costituzione dopo aver disciplinato il procedimento di formazione dello statuto regionale ed aver statuito che per tale peculiare legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo, dispone che «il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione». Il successivo comma prevede che lo statuto «è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale» e stabilisce che «lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi».

La parola pubblicazione, utilizzata nel terzo comma, indica un evento che è anteriore alla promulgazione dello statuto (e quindi anche alla pubblicazione cosiddetta necessaria che ne determina l’entrata in vigore) e che funge da momento iniziale per il decorso del termine per richiedere referendum. E’ a questo punto assai arduo immaginare, in assenza di una esplicita indicazione in tal senso da parte del legislatore costituzionale, che quella stessa parola "pubblicazione", che compare nel comma precedente e che ha, anch’essa, la funzione di scandire l’iniziale decorso di un termine (quello entro il quale il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali), abbia un significato totalmente disomogeneo e stia ad indicare non una pubblicazione a fini notiziali, ma la pubblicazione successiva alla promulgazione, la cui funzione, di per sé, non è quella di provocare l’apertura di termini, ma l’entrata in vigore degli atti normativi.

L’interpretazione testuale induce dunque a ritenere che il termine pubblicazione di cui ai commi secondo e terzo indichi forme di pubblicità notiziale; conclusione non dissimile suggerisce l’architettura logica dell’art. 123 Cost. Le diverse disposizioni delle quali la disciplina degli statuti regionali si compone sono poste in una successione che corrisponde pienamente all’articolazione del controllo in due fasi procedimentali distinte ed autonome: il giudizio di legittimità e il referendum. Ad accogliere la tesi che il giudizio della Corte debba avvenire su deliberazioni statutarie già entrate in vigore, la sequenza procedimentale, che nell’art. 123 ha un andamento logicamente coerente, ne risulterebbe rovesciata: sarebbe infatti disciplinato prima, nel secondo comma, un controllo di legittimità temporalmente successivo, e quindi, nel terzo, una consultazione popolare avente ad oggetto quello stesso atto la cui validità potrebbe essere, in tutto o in parte, negata dalla Corte costituzionale. Proprio quest’ultima considerazione, insieme agli argomenti testuali e sistematici dei quali si è detto, rende ragione della simmetria tra la collocazione topografica delle disposizioni e la successione temporale delle attività in esse previste.

In conclusione, il ricorso proposto dal Governo prima che la deliberazione statutaria sia entrata in vigore, ma nei trenta giorni dalla pubblicazione notiziale della deliberazione stessa sul bollettino ufficiale della Regione, è da ritenere ammissibile.

3. ¾ Una prima censura investe la deliberazione del Consiglio regionale della Regione Marche per aver essa disposto una modifica solo parziale dello statuto. La potestà di «approvare e modificare lo statuto», ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, autorizzerebbe solo l’approvazione di uno statuto organico e la sua successiva modifica, ma non comprenderebbe la possibilità di emendare lo statuto ancora vigente, approvato con legge statale. La molteplicità di atti normativi autodefinentisi statuti – ragiona la difesa erariale – in assenza di uno statuto interamente prodotto dalla Regione potrebbe far sorgere difficoltà interpretative insormontabili e rendere oscuro il disegno istituzionale complessivo sia al Governo, legittimato a ricorrere innanzi alla Corte costituzionale, sia al corpo elettorale nell’eventuale fase referendaria.

Nessuno di tali rilievi può essere accolto, a partire dalla idea alla quale la censura è ispirata, che guarda ai vecchi e tuttora vigenti statuti come pura espressione di potestà statale e non ravvisa in essi, nella sostanza, una manifestazione di autonomia regionale, nonostante la loro imputazione formale e nonostante i limiti assai più pregnanti entro i quali li costringeva l’originaria formulazione dell’articolo 123 della Costituzione. Deliberati dal Consiglio regionale, quegli statuti erano bensì approvati con legge statale, ma non potevano da questa essere emendati né successivamente modificati unilateralmente. Si può certo dire che le norme in essi contenute non erano interamente disponibili dalle Regioni, ma oggi, dopo l’innovazione introdotta dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, lo sono divenute: solo la legge regionale, con il peculiare procedimento previsto dal nuovo articolo 123 della Costituzione, può modificarle o sostituirle. Se esse sono destinate a sopravvivere in tutto o in parte e per un periodo transitorio più o meno lungo, ciò accade per una scelta ascrivibile alla Regione. E se ne può dedurre che il vecchio contenuto degli statuti risultante dalle leggi statali di approvazione e quello nuovo che prenderà vita nelle future deliberazioni statutarie sono unificati dal potere, che solo alle Regioni è attribuito, di disporne: ciò che li rende, nel loro insieme e senza possibilità alcuna di distinguerli in ragione della diversa provenienza, espressione di autonomia.

Quanto poi all’argomento speso dalla difesa statale, per il quale la frammentarietà di plurimi interventi di revisione statutaria creerebbe disorientamento nell’elettorato e nel Governo perché renderebbe incerto e precario il disegno riformatore complessivo, si tratta di un rilievo inidoneo a fondare un onere costituzionale di revisione totale degli statuti regionali vigenti e che mostra la sua inconsistenza se appena si considera che anche in riferimento al procedimento di revisione costituzionale è fisiologico, e comunque comprovato dalla prassi applicativa dell’art. 138 della Costituzione, che l’elettorato possa essere chiamato a pronunciarsi su proposte di revisione parziale.

Del resto una limitazione tanto grave della potestà normativa regionale di grado più elevato, che resterebbe paralizzata finché non prendesse forma nella approvazione di un testo integralmente sostitutivo di quello vigente, non potrebbe certo essere affermata argomentando da presunti inconvenienti pratici derivanti dall’esercizio frazionato dell’autonomia statutaria. In assenza di statuizioni costituzionali esplicite che siano dirette a limitarne la portata, il conferimento alle Regioni di tale autonomia non può non incorporare il potere di determinarne le modalità ed i tempi di esercizio.

4. ¾ Con una seconda censura, il Governo lamenta che la deliberazione statutaria impugnata, nel prevedere che in via transitoria, e segnatamente fino alla approvazione del nuovo statuto regionale, il vicepresidente della Giunta regionale subentra al Presidente nell’esercizio delle relative funzioni, nel caso di morte o impedimento permanente di quest’ultimo, sarebbe in contrasto con gli artt. 122, ultimo comma, e 126, terzo comma, Cost., nonché con l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1.

La questione è fondata.

L’art. 126, terzo comma, della Costituzione dispone: «L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio».

Analoga è la formulazione dell’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale n. 1 del 1999, dettato in relazione al periodo transitorio ("fino alla entrata in vigore dei nuovi statuti").

Il significato delle due disposizioni è evidente: con esse si tende a garantire, mediante il vincolo del simul stabunt, simul cadent, la stabilità dell’esecutivo regionale. Identiche nella ratio, le due previsioni normative si differenziano per la loro sfera temporale di operatività. L’art. 5, comma 2, lettera b), contiene la disciplina transitoria, destinata a permanere fino a quando, nell’esercizio dell’autonomia statutaria loro riconosciuta dall’art. 123, primo comma, le Regioni compiranno la scelta in ordine alla propria forma di governo. Solo in quel caso sarà loro consentito esercitare la facoltà prevista dall’ultimo comma dell’art. 126 e optare per un sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale diverso dal suffragio diretto, ciò che le scioglierà dall’osservanza del vincolo costituzionale di cui si parla.

Non vale l’obiezione della difesa regionale secondo cui il sistema elettorale che l’art. 5, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1999 impone alle Regioni fino alla adozione dei nuovi statuti e delle nuove leggi elettorali non darebbe luogo ad una vera e propria elezione del Presidente della Giunta a suffragio diretto. Quale che sia la risposta tecnicamente corretta a tale quesito, il fatto stesso che anche per il periodo transitorio si sia inteso rendere operante il principio del simul stabunt, simul cadent dimostra che, nella valutazione del legislatore costituzionale, l’elezione del Presidente della Giunta è assimilabile, quanto a legittimazione popolare acquisita dall’eletto, ad una vera e propria elezione a suffragio diretto.

Neppure rileva in questa sede il prospettato problema se, per compiere autonome scelte circa il proprio sistema elettorale, le Regioni debbano attendere la determinazione dei principî fondamentali da parte della legge statale, ai sensi dall’art. 122, primo comma, Cost., o se, di fronte all’inerzia del legislatore nazionale, possano desumere tali principî dalle leggi statali attualmente vigenti.

5. ¾ Alla luce delle considerazioni fin qui svolte è agevole verificare se la deliberazione statutaria impugnata debba essere scrutinata sul parametro dell’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999 o se, come sostiene la difesa regionale, il regime da tale disposizione previsto sia venuto a cessare proprio a causa dell’esercizio, seppure parziale, della potestà statutaria. E’ sufficiente a tal fine rilevare che la Regione Marche, con la sua parziale innovazione statutaria, non ha operato quella diversa scelta in ordine alla forma di governo regionale che sola avrebbe potuto esonerarla dall’osservanza della regola stabilizzatrice che la Costituzione e la disciplina transitoria impongono nel caso di elezione diretta del vertice dell’esecutivo. Con lo stabilire che, nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta, non si proceda a scioglimento del Consiglio ed a nuove elezioni, ma gli subentri un vicepresidente, la disposizione censurata comporta una puntuale violazione della disposizione di rango costituzionale contenuta nel più volte menzionato art. 5, comma, 2, lettera b).

La circostanza che la deliberazione impugnata sia stata adottata nella forma statutaria non vale a superare il vizio di legittimità dal quale essa è affetta. L’articolo 123 della Costituzione assoggetta attualmente la potestà statutaria regionale al solo limite dell’"armonia con la Costituzione" con formulazione meno stringente di quella precedente, che richiedeva anche l’armonia con le "leggi della Repubblica". Da ciò la difesa regionale ha tratto argomento per sostenere che il limite di legittimità degli statuti dovrebbe essere riferito ai valori di fondo che ispirano la Costituzione. L’armonia, si ragiona, esigerebbe solo che lo statuto non sia «orientato contro la Costituzione» e non ne pregiudichi i principî generali, ma non escluderebbe la possibilità di derogare a sue singole norme.

Neppure questo ordine di considerazioni può essere accolto. Il riferimento all’"armonia", lungi dal depotenziarla, rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito. Tutto in conclusione può dirsi della deliberazione statutaria in questione, adottata in aperto contrasto con la disciplina costituzionale transitoria dell’art. 5, comma 2, lettera b), tranne che essa sia "in armonia" con la Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale della deliberazione legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante "Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2002.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

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