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n. 7/8-2002 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 17 luglio 2002 n. 355Pres. RUPERTO, Red. MEZZANOTTE – (giudizio promosso con ordinanza emessa l’8 marzo 2001 dal T.A.R. per la Liguria, iscritta al n. 964 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2002).

1. Autorizzazione e concessione – Autorizzazione per impianti pubblicitari – Disciplina di cui all’art. 36, comma 8, del D.L.vo n. 507/1993 – Previsione dell’impossibilità di autorizzare nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento comunale e del piano generale previsti dall’art. 3 dello stesso D.L.vo – Questione di legittimità costituzionale – Sollevata con riferimento al principio di libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost. – Infondatezza - Ragioni - Riferimento all'obbligo di concludere il procedimento con provvedimento espresso ex art. 2 L. n. 241/90.

2. Atto amministrativo – Procedimento – Termine per la sua conclusione – Fissato in via suppletiva dall’art. 2 della L. n. 241/90 in 30 giorni – Applicabilità a tutti i procedimenti, anche di carattere generale e pianificatorio – Conseguenze nel caso di inosservanza del termine – Individuazione.

3. Autorizzazione e concessione – Autorizzazione per impianti pubblicitari – Disciplina prevista dall’art. 36 del D.L.vo n. 507/1993 – Previsione di due livelli di intervento (uno pianificatorio e l’altro autorizzatorio) – Funzione – Individuazione.

1. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’articolo 41 della Costituzione – dell’articolo 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, il quale stabilisce che "il Comune non dà corso alle istanze per l’installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare l’installazione di nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento comunale e del piano generale previsti dall’art. 3" dello stesso decreto legislativo (1).

2. Il termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento amministrativo, stabilito in via suppletiva dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed applicabile nel caso in cui le amministrazioni non abbiano stabilito termini diversi, riguarda ogni tipo di procedimento, sia ad iniziativa d’ufficio che di parte ed è applicabile in particolare ai procedimenti riguardanti atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione, a prescindere dall’efficacia ampliativa o restrittiva della sfera giuridica dei destinatari dell’atto; la mancata osservanza del termine a provvedere non comporta la decadenza dal potere, ma vale a connotare in termini di illegittimità il comportamento della P.A., nei confronti del quale i soggetti interessati alla conclusione del procedimento possono insorgere utilizzando, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti i rimedi che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi (dal risarcimento del danno, all’esecuzione del giudicato che abbia accertato l’inadempienza della pubblica amministrazione) (2).

3. La tutela degli interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola, nel sistema del decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte.

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(1) Per dichiarare inammissibile la q.l.c. la Corte ha affermato che era erronea la premessa interpretativa del Giudice remittente, il quale aveva sostenuto che nella disciplina dettata dall’art. 36, comma 8, del D.L.vo n. 507/1993 non sarebbe stato previsto un termine entro il quale i Comuni debbano adottare il piano generale degli impianti, il quale condiziona, a sua volta, l’adozione dei singoli provvedimenti autorizzatori.

Il Giudice remittente non aveva considerato infatti che, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 241/90, la amministrazioni sono obbligate a concludere il procedimento (anche quelli da iniziare di ufficio) con provvedimento espresso e tale termine è, in mancanza di apposita espressa determinazione delle singole amministrazioni, stabilito in via suppletiva in 30 giorni, decorsi i quali i soggetti interessati alla conclusione del procedimento possono insorgere utilizzando, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti i rimedi che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi (dal risarcimento del danno all’esecuzione del giudicato che abbia accertato l’inadempienza della pubblica amministrazione)

Il fatto che nel quadro normativo delineato sia comunque individuabile un termine entro il quale il Comune deve dotarsi del piano generale degli impianti e non resti senza sanzione l’eventuale inadempienza, ha indotto la Corte nella specie ad escludere che i privati possano essere autorizzati alla installazione di cartelli pubblicitari in mancanza di pianificazione territoriale.

L’opposta opinione, ha aggiunto la Corte, comporterebbe la completa vanificazione di quel livello generale di tutela degli svariati interessi pubblici sui quali questo tipo di attività potenzialmente incide, livello che costituisce il tratto caratterizzante della disciplina censurata. Essa, lungi dal contrastare con l’art. 41 della Costituzione, introduce nei confronti dell’iniziativa economica un limite non irragionevole, preordinato com’è alla salvaguardia di una pluralità di beni di rilievo costituzionale, quali l’ambiente, l’arte, il paesaggio, la sicurezza della viabilità.

In sostanza, secondo la Corte, i privati interessati, nel caso in cui non possano ottenere nuove autorizzazioni a causa della mancata adozione dell'apposito piano e del regolamento, possono pur sempre impugnare ex art. 2 L. n. 205/2000 il silenzio della P.A. in materia, salve le responsabilità (anche di tipo risarcitorio) dei Comuni derivanti dall'eventuale ingiustificato ritardo nell'adozione dei predetti atti.

(2) V. in precedenza Corte cost., sentenza n. 262 del 1997.

 

 

SENTENZA N. 355

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Massimo VARI Giudice

- Riccardo CHIEPPA "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei Comuni e delle Province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), promosso con ordinanza emessa l’8 marzo 2001 dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, iscritta al n. 964 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti l’atto di costituzione della parte privata del giudizio principale nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 aprile 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato Federico Sorrentino per la parte privata del giudizio principale e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, dovendo decidere su due ricorsi diretti ad ottenere, l’uno, l’annullamento del provvedimento del Comune di Genova con il quale era stata respinta la richiesta di autorizzazione alla installazione di un impianto pubblicitario su un sottoponte ferroviario sito in quel Comune, presentata nel 1995, e, l’altro, l’annullamento della ordinanza dirigenziale con la quale era stata disposta la rimozione del predetto impianto, ha sollevato, in riferimento all’articolo 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei Comuni e delle Province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale).

La disposizione censurata stabilisce che "il Comune non dà corso alle istanze per l’installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare l’installazione di nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento comunale e del piano generale previsti dall’art. 3".

Ad avviso del remittente, alla luce della normativa vigente, il diniego opposto dal Comune di Genova alla richiesta di autorizzazione alla installazione dell’impianto pubblicitario sul sottopasso ferroviario, motivato con il rilievo che "non sono assentibili impianti come quello richiesto fino all’approvazione del piano generale degli impianti previsto dall’art. 3 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507", sarebbe giustificato, dal momento che tale piano è stato adottato dal Comune di Genova con deliberazione in data 30 luglio 1998, successivamente, quindi, alla data di presentazione della richiesta di autorizzazione. Del resto, prosegue il remittente, trattandosi di impianto ubicato in ambito ferroviario e comunque visibile dalla pubblica via, non potrebbe dubitarsi della necessità dell’autorizzazione comunale, la quale è condizionata al rispetto di tutte le condizioni relative al tipo di pubblicità considerato, ivi comprese quelle poste dall’art. 36, comma 8.

Della legittimità costituzionale di tale disposizione, peraltro, dubita il giudice a quo, giacché la stessa, non prevedendo, a differenza di quanto dispone il comma 2 dell’art. 36 del medesimo decreto legislativo per l’adozione del regolamento comunale, il termine entro il quale il Comune deve provvedere alla adozione del piano generale degli impianti pubblicitari, avrebbe l’effetto di comprimere in maniera indeterminata nel tempo e non correlata ad alcun pubblico interesse (la cui tutela militerebbe, anzi, per una sollecita entrata in vigore del piano), la libera iniziativa economica.

2. ¾ Si è costituta nel presente giudizio la parte privata del giudizio principale e ha chiesto l’accoglimento della questione.

La difesa della parte privata sostiene che la disposizione censurata, in quanto prevede che una attività economica, subordinata ad autorizzazione, possa essere interdetta, non perché esercitata in violazione di altri interessi costituzionali meritevoli di tutela, ma soltanto perché l’amministrazione non abbia approvato il piano degli impianti, contrasterebbe con l’art. 41 della Costituzione. Infatti, al cospetto di altri interessi, anche pubblici, che non ricevono pari tutela in Costituzione, non dovrebbe essere l’interesse del privato allo svolgimento dell’attività economica ad assumere valenza recessiva. A questo proposito, la difesa privata ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’iniziativa economica privata può essere sì limitata, ma solo in ragione di interessi di ordine superiore, economici o sociali, che assumono rilievo a livello costituzionale, restando in ogni caso decisivo il necessario e ragionevole bilanciamento che il legislatore operi tra questa e gli interessi nel caso concreto confliggenti (sentenza n. 393 del 2000).

Nella fattispecie in esame, ci si troverebbe invece di fronte ad una situazione di vero e proprio blocco dell’attività economica: non si tratterebbe, quindi, di una mera compressione dell’attività, ma della totale esclusione della possibilità di esercizio della attività stessa per un periodo non predeterminato. In ciò, dovrebbe ravvisarsi una lesione del generale principio di proporzionalità, il quale non consentirebbe in alcun caso che la compressione di una situazione soggettiva si spinga oltre quanto strettamente necessario per tutelare gli interessi considerati, sino a imporre una restrizione all’attività economica che risulti assoluta e protratta per un tempo illimitato, o il cui termine non sia configurato come perentorio e di durata ragionevole, ma sia lasciato all’arbitrio dell’amministrazione.

Pur non negando che l’attività di installazione di impianti pubblicitari possa essere sottoposta al controllo da parte dell’ente locale al fine del rispetto dei valori urbanistici (estetici, ambientali e di decoro dell’assetto urbano) cui esso è preposto, né che l’esercizio di tale potere possa, a sua volta, essere oggetto di una pianificazione comunale, in modo da offrire all’ente locale parametri obiettivi per i suoi interventi e al privato criteri di orientamento per la propria attività, la parte privata conclude affermando che l’omessa approvazione dell’atto di pianificazione non potrebbe mai precludere un’attività economica di per sé non rientrante nei divieti di cui all’art. 41, secondo comma, Cost., ma oggetto di disciplina ai sensi del terzo comma del medesimo articolo.

3. ¾ E’ intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto, in primo luogo, che la questione sia dichiarata inammissibile, dal momento che con essa si solleciterebbe un intervento additivo consistente nella determinazione di un termine da introdurre nell’art. 36, comma 8, del d.lgs. n. 507 del 1993, e cioè lo svolgimento di una funzione che sarebbe propria del legislatore in considerazione degli interessi pubblici che lo stesso remittente riconosce esistenti e meritevoli di tutela.

Nel merito, la questione sarebbe anche infondata, in quanto proprio l’esistenza di quegli interessi pubblici darebbe ragione della particolare ponderazione valutativa richiesta ai Comuni nell’emanazione del provvedimento amministrativo generale nel proprio ambito territoriale, e giustificherebbe la mancata previsione di un termine che, del resto, non potrebbe non avere natura ordinatoria.

4. ¾ In prossimità dell’udienza, la parte privata ha depositato una memoria illustrativa, con la quale insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

La difesa richiama in primo luogo una recente pronuncia della Corte di cassazione, nella quale si afferma che la pubblicità rientra nella libertà di iniziativa economica privata, che è tutelata dall’art. 41 Cost.; ciò vorrebbe dire, ad avviso della parte, che essa è attività economica libera quanto all’iniziativa e che tale resta quando il suo svolgersi non contrasti con i valori indicati nell’art. 41, secondo comma, Cost. e nei limiti in cui non sia oggetto di programmazione e controllo (e cioè di conformazione) imposti da provvedimenti legislativi adottati ai sensi del terzo comma del medesimo articolo.

Ricorda poi la giurisprudenza di questa Corte in materia di vincoli di inedificabilità, e in particolare il principio secondo cui solo entro i limiti della non irragionevolezza può riconoscersi l’ammissibilità sul piano costituzionale di proroghe in via legislativa degli stessi, e quella del Consiglio di Stato, secondo cui l’obbligo della temporaneità dei vincoli urbanistici potrebbe ritenersi assolto nel caso in cui la legge stabilisca misure di salvaguardia in attesa dell’emanazione dei piani regolatori, prevedendo misure sostitutive nei confronti degli enti inadempienti.

Nella sua memoria la parte privata contesta inoltre l’impostazione difensiva dell’Avvocatura dello Stato, in quanto non terrebbe conto del fatto che, nella specie, sono coinvolte anche situazioni soggettive private protette costituzionalmente e che è in discussione non il potere di pianificazione dell’amministrazione, ma solo l’effetto che dalla mancata adozione del piano generale deriverebbe, e cioè l’indefinito protrarsi dell’impedimento all’esercizio dell’attività economica. Si concretizzerebbe, in tal modo, una ingiustificata lesione della posizione del privato senza che la responsabilità dell’amministrazione pubblica venga in alcun modo sanzionata.

La difesa privata ritiene quindi giustificati gli sforzi interpretativi compiuti da diversi TAR, i quali, avvertita l’irrazionalità e l’ingiustizia di una disposizione che trasforma un colpevole ritardo dell’amministrazione nell’attività pianificatoria in un irreparabile pregiudizio per gli operatori del settore, hanno rifiutato una interpretazione meramente letterale della disposizione stessa e, richiamando il dovere di una interpretazione adeguatrice, hanno ritenuto l’esistenza di un obbligo per l’amministrazione comunale di svolgere l’attività autorizzatoria anche in mancanza del piano generale degli impianti pubblicitari ovvero hanno ritenuto applicabile all’adozione di tale piano il medesimo termine stabilito dall’art. 36, comma 2, per l’adozione del regolamento comunale per la pubblicità di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 507 del 1993.

Considerato in diritto

1 ¾ Viene all’esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei Comuni e delle Province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), nella parte in cui dispone che il Comune non possa autorizzare l’installazione di nuovi impianti pubblicitari fino all’approvazione del regolamento comunale e del piano generale degli impianti previsti dall’art. 3 del medesimo decreto legislativo. Tale disposizione, ad avviso del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, contrasterebbe con l’art. 41 della Costituzione, in quanto, non prevedendo alcun termine entro il quale il Comune deve provvedere all’adozione del piano generale degli impianti pubblicitari - a differenza di quanto dispone il comma 2 dell’art. 36 del citato decreto legislativo per l’adozione del regolamento comunale - avrebbe l’effetto di comprimere in maniera indeterminata nel tempo, e non correlata ad alcun pubblico interesse, la libera iniziativa economica.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria trae origine dal diniego opposto dal Comune di Genova alla richiesta di autorizzazione alla installazione di un impianto pubblicitario su un sottoponte ferroviario sito in quel Comune, diniego motivato con la mancata approvazione, al momento della domanda, del piano generale degli impianti pubblicitari previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 507 del 1993.

2. ¾ La questione non è fondata.

Il decreto legislativo n. 507 del 1993, nel dettare la nuova normativa in materia di imposta comunale sulla pubblicità e di diritto sulle pubbliche affissioni, ha previsto, all’art. 3, che il Comune, con un apposito regolamento, debba fra l’altro determinare la quantità e la tipologia degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione nonché i criteri per la elaborazione del piano generale degli impianti. Il successivo art. 36, sotto la rubrica norme transitorie, ha poi fissato al 30 giugno 1994 il termine entro il quale l’anzidetto regolamento doveva essere approvato (termine prorogato al 30 settembre 1995 dall’art. 1, comma 9, del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 250, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1995, n. 349). Il comma 8 dell’art. 36, oggetto della presente questione di legittimità costituzionale, al fine di contemperare l’esercizio dell’attività pubblicitaria effettuata mediante la installazione di cartelloni con l’esigenza di pianificazione degli impianti in ambito comunale, ha disposto che "il Comune non dà corso alle istanze per l’installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare l’installazione di nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento comunale e del piano generale previsti dall’art. 3".

La tutela degli interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte.

3. ¾ E’ erronea la premessa interpretativa dalla quale il remittente procede, secondo cui nell’anzidetta disciplina non sarebbe previsto un termine entro il quale i Comuni debbano adottare il piano generale degli impianti, che condiziona, a sua volta, l’adozione dei singoli provvedimenti autorizzatori.

L’art. 2, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), applicabile anche agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione, impone alle pubbliche amministrazioni l’onere di determinare, per ciascun tipo di procedimento, il termine entro il quale esso deve essere concluso, quando non siano la legge o il regolamento a stabilire tale termine. Nel caso in cui le pubbliche amministrazioni non operino questa scelta, nella quale la durata del procedimento può essere commisurata alla sua maggiore o minore complessità, il termine è di trenta giorni, decorrenti dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal momento del ricevimento della domanda, se il procedimento è a iniziativa di parte.

Nella specie, il dovere della amministrazione comunale di dotarsi del piano generale degli impianti pubblicitari è divenuto operante nel momento in cui è stato approvato il regolamento di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 507 del 1993; né risulta che l’amministrazione, avvalendosi del potere attribuitole dal richiamato art. 2 della legge n. 241 del 1990, abbia stabilito il termine entro il quale dovesse essere adottato il piano degli impianti concernente anche la cosiddetta pubblicità ferroviaria, vale a dire quella che si effettua in ambito ferroviario mediante l’installazione di impianti pubblicitari visibili dalla pubblica via. E’ quindi applicabile il terzo comma dell’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, che in via suppletiva pone a carico della pubblica amministrazione l’obbligo di concludere il procedimento entro trenta giorni, trascorsi i quali la medesima pubblica amministrazione è inadempiente.

Questa Corte, attenendosi peraltro alla chiara lettera della legge n. 241 del 1990, ha già affermato che il termine di trenta giorni, stabilito in via suppletiva e in una misura tale da sollecitare l’amministrazione a provvedere, riguarda ogni tipo di procedimento, sia ad iniziativa d’ufficio che di parte, "a prescindere dall’efficacia ampliativa o restrittiva della sfera giuridica dei destinatari dell’atto" (sentenza n. 262 del 1997). Nella stessa sentenza ha altresì precisato che la mancata osservanza del termine a provvedere non comporta la decadenza dal potere, ma vale a connotare in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, nei confronti del quale i soggetti interessati alla conclusione del procedimento possono insorgere utilizzando, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti i rimedi che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi (dal risarcimento del danno all’esecuzione del giudicato che abbia accertato l’inadempienza della pubblica amministrazione).

4. ¾ Il fatto che nel quadro normativo poc’anzi delineato sia comunque individuabile un termine entro il quale il Comune deve dotarsi del piano generale degli impianti e non resti senza sanzione l’eventuale inadempienza, consente di concludere che al diritto di iniziativa economica è assicurata una protezione adeguata e pertanto di escludere che i privati possano essere autorizzati alla installazione di cartelli pubblicitari in mancanza di pianificazione territoriale. L’opposta opinione comporterebbe la completa vanificazione di quel livello generale di tutela degli svariati interessi pubblici sui quali questo tipo di attività potenzialmente incide, livello che costituisce il tratto caratterizzante della disciplina censurata. Essa, lungi dal contrastare con l’art. 41 della Costituzione, introduce nei confronti dell’iniziativa economica un limite non irragionevole, preordinato com’è alla salvaguardia di una pluralità di beni di rilievo costituzionale, quali l’ambiente, l’arte, il paesaggio, la sicurezza della viabilità.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei Comuni e delle Province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), sollevata, in riferimento all’articolo 41 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2002.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

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