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n. 11-2002.

CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 7 novembre 2002 n. 437 Pres. RUPERTO, Est. AMIRANTE – (giudizio promosso con ordinanza del 5 febbraio 2002 dal Tribunale di Lucca nel procedimento civile vertente fra Tozzi Vito e l’Associazione cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2002).

Professioni - Ragionieri e periti commerciali – Incompatibilità tra corresponsione della pensione di anzianità ed iscrizione ad albi professionali o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo dei ragionieri e periti commerciali – Ex art. 3, comma 2, L. n. 414/1991 – Illegittimità costituzionale – Va dichiarata.

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), nella parte in cui prevede l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l’iscrizione ad albi professionali o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo dei ragionieri e periti commerciali (1).

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(1) Nella motivazione della sentenza in rassegna, la Corte costituzionale ricorda che già con sentenza n. 73 del 1992 la Corte stessa, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una disposizione inserita nell’art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), identica a quella in questione riguardante i ragionieri e periti commerciali, ne dichiarò l’illegittimità costituzionale sul rilievo che, una volta ammessa la compatibilità della pensione di anzianità degli avvocati con lo svolgimento di un lavoro autonomo o subordinato, non era ragionevole stabilirne l’incompatibilità qualora per tale lavoro fosse prescritta l’iscrizione in un albo o in un elenco, costituendo inoltre tale incompatibilità violazione dell’art. 4, primo comma, della Costituzione.

Nè, d’altra parte l’addotto perseguimento dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio può essere assicurato da parte degli enti previdenziali delle categorie professionali – e, in particolare, da parte della Cassa di previdenza a favore dei ragionieri e periti commerciali – con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell’art. 3 della Costituzione. L’iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate attività è, infatti, prescritta a tutela della collettività ed in particolare di coloro che dell’opera degli iscritti intendono avvalersi.

E’ stato altresì ritenuta irrilevante la circostanza che l’iscrizione all’albo dei revisori contabili consentirebbe un’attività in parte analoga a quella tipica dei ragionieri, atteso che, ai fini del giudizio di costituzionalità, è rilevante esclusivamente la circostanza che lo svolgimento dell’attività dei revisori contabili è subordinato, in base ad una specifica e autonoma disciplina, all’iscrizione in un registro analogo ad un albo professionale, mentre è irrilevante considerare che nell’ambito delle relative prestazioni ve ne siano alcune che presentano elementi di analogia con le attività proprie dei ragionieri.

Ha osservato infine la Corte che la incompatibilità prevista dalla norma censurata si pone, altresì, in contrasto con il principio del diritto al lavoro. Al riguardo è stato precisato che la disciplina della pensione di anzianità dei ragionieri e periti commerciali, al pari di analoghe discipline relative ad altre categorie di professionisti (v. Corte cost., sentenza n. 362 del 1997 sulla normativa applicabile in materia nella previdenza forense), non prevede alcuna equiparazione della pensione di anzianità alla pensione di vecchiaia al compimento da parte del titolare dell’età stabilita per il conseguimento di tale ultima pensione, a differenza di quanto avviene nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria per effetto dell’art. 22, sesto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, e dell’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 503 del 1992, sicché la censurata norma si traduce in una limitazione a tempo indefinito della possibilità di lavoro dei pensionati (v. sul punto la citata sentenza della Corte n. 73 del 1992).

 

 

SENTENZA N. 437

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Riccardo CHIEPPA Giudice

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Romano VACCARELLA "

- Paolo MADDALENA "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), promosso con ordinanza del 5 febbraio 2002 dal Tribunale di Lucca nel procedimento civile vertente fra Tozzi Vito e l’Associazione cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di costituzione di Tozzi Vito e della Associazione cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali;

udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato Massimo Luciani per l’Associazione cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un procedimento civile instaurato dal ragioniere Vito Tozzi nei confronti della Associazione cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali (d’ora in avanti: Cassa) per ottenere ─ «previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 3, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 414, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 4, primo comma, 35, primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui afferma la incompatibilità della pensione di anzianità con l’iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attività di lavoro dipendente o associato» ─ l’accertamento del diritto ad ottenere la pensione di anzianità alla sola condizione della preventiva cancellazione dall’albo dei ragionieri e non anche subordinatamente alla cancellazione dal registro dei revisori contabili, con conseguente condanna dell’Associazione convenuta alla relativa corresponsione, il Tribunale di Lucca, con ordinanza del 5 febbraio 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 4, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 3, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), «nella parte in cui prevede l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l’iscrizione ad albi o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo professionale dei ragionieri».

Premette il remittente che il ricorrente, dopo aver ottenuto dalla convenuta risposta affermativa in merito alla sussistenza dei requisiti di contribuzione e di età per conseguire, previa tempestiva cancellazione dall’albo dei ragionieri, la pensione di anzianità con decorrenza dal 1° febbraio 2001, aveva successivamente richiesto al Consiglio di amministrazione della Cassa stessa se sussistesse la possibilità di mantenere l’iscrizione nel registro dei revisori contabili ottenendone risposta negativa, sul rilievo che, essendo la attività di revisore contabile una attività di lavoro autonomo per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in un apposito elenco assimilabile ad un albo professionale, essa doveva considerarsi incompatibile con la corresponsione della richiesta pensione, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge n. 414 del 1991 citato e dell’art. 50 del regolamento di esecuzione dello statuto della Cassa stessa.

Il Tribunale di Lucca rileva, in primo luogo, che sono da respingere le eccezioni di inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale presentate dalla Cassa sul duplice rilievo della natura meramente astratta della lite (in ipotesi esclusivamente finalizzata a proporre la questione) e del difetto di rilevanza della questione stessa nel giudizio a quo (in conseguenza della mancata impugnativa dell’art. 50 del citato regolamento, prevedente la medesima incompatibilità sancita dalla legge n. 414 e della preclusione di una successiva estensione del thema decidendum anche a tale norma regolamentare, ai sensi dell’art. 414 cod. proc. civ.). Il rimettente osserva, quanto alla prima delle due suddette eccezioni, che l’accoglimento della sollevata questione si limita a condizionare l’accertamento del richiesto diritto e la condanna alla corrispondente prestazione e non si identifica, quindi, con l’oggetto del giudizio, mentre, per quel che riguarda l’altra eccezione, precisa che il richiamo della citata norma regolamentare costituisce una mera difesa che, come tale, non amplia il thema decidendum e si sottrae al regime delle preclusioni posto dall’art. 414 cod. proc. civ.

Quanto al merito della questione, il giudice remittente, dopo aver sottolineato che la norma impugnata consente la attribuzione della pensione di anzianità nella ipotesi di svolgimento di attività di lavoro autonomo per le quali non sia richiesta l’iscrizione ad un albo o elenco, sostiene che è in contrasto con il principio di razionalità di cui all’art. 3 della Costituzione la previsione dell’incompatibilità della prestazione stessa con altre attività della medesima natura solo perché richiedenti l’iscrizione ad un albo professionale o ad un elenco e afferma, altresì, che la disposizione denunciata viola il principio della tutela del diritto al lavoro, sancito dall’art. 4, primo comma, della Costituzione, «nella misura in cui pone al pensionato, in difetto di equiparazione della pensione di anzianità alla pensione di vecchiaia una volta raggiunto il limite anagrafico per questa previsto, una limitazione alla possibilità di lavoro per tutto il resto della vita».

2.— Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti sia l’Associazione cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali sia il ragioniere Vito Tozzi.

La prima ha chiesto, anche in una memoria aggiunta, una dichiarazione di inammissibilità o di infondatezza della questione.

Alla prima conclusione porterebbero, secondo quanto già sostenuto dalla stessa parte nell’ambito del giudizio a quo, la mancanza del requisito della incidentalità e comunque l’irrilevanza della questione stessa derivante dal fatto che l’incompatibilità di cui si discute non è stabilita solo dalla norma impugnata, ma è prevista anche nel regolamento di esecuzione dello statuto della Cassa che non ha costituito oggetto di contestazione nell’atto introduttivo del giudizio principale e non potrebbe più esservi esaminato ex art. 414 cod. proc. civ.

Quanto all’infondatezza, la Cassa pone l’accento principalmente sul fatto che la sentenza di questa Corte n. 73 del 1992 ─ che ha accolto una questione di legittimità analoga a quella attualmente sollevata, riguardante l’art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense) ─ non può essere utilmente richiamata sia perché in essa è stata esaminata una fattispecie diversa da quella oggi in esame, sia perché sono sopravvenuti radicali cambiamenti nel diritto positivo e nella giurisprudenza costituzionale nel senso della disincentivazione delle richieste di pensione di anzianità al fine di ridurre i problemi di tipo economico-finanziario conseguenti alla relativa erogazione, problemi che assumono particolare importanza per gli enti previdenziali delle categorie professionali in seguito alla relativa trasformazione in persone giuridiche private, disposta dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza). Per quel che riguarda, in particolare, il caso di cui si tratta, le esigenze di equilibrio finanziario della Cassa potrebbero subire un forte pregiudizio dall’eventuale accoglimento della presente questione in quanto l’ampliamento dell’ambito di cumulabilità della pensione di anzianità con i redditi da lavoro aumenterebbe sicuramente il numero dei professionisti interessati ad ottenere la provvidenza stessa.

3.— Il ragioniere Vito Tozzi, facendo proprie le argomentazioni svolte dal remittente, ha chiesto, invece, l’accoglimento della questione, sottolineandone l’identità con quella accolta da questa Corte con la sentenza n. 73 del 1992, avendo l’art. 3, secondo comma, della legge n. 576 del 1980, quello esaminato in decisione, contenuto identico alla norma attualmente impugnata.

Il ragioniere Tozzi ha, inoltre, precisato che il rifiuto espresso dalla Cassa, in applicazione della norma denunciata, di consentirgli di rimanere iscritto nel registro dei revisori contabili, gli ha di fatto impedito di chiedere la cancellazione dall’albo dei ragionieri e l’erogazione della pensione di anzianità per la quale aveva maturato i requisiti, in quanto se egli avesse richiesto la suddetta cancellazione non solo non avrebbe potuto ottenere la pensione di anzianità, ma avrebbe altresì perduto il diritto alla pensione di vecchiaia, non avendo ancora raggiunto il richiesto limite di età di sessantacinque anni.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Lucca ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 4, primo comma, della Costituzione, dell’art. 3, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), nella parte in cui prevede l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l’iscrizione ad albi o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo professionale dei ragionieri e periti commerciali.

Secondo il remittente la norma è irrazionale in quanto, dal momento che lo svolgimento di lavoro autonomo non osta alla maturazione del diritto alla pensione di anzianità, non vi sarebbe ragione per escludere il diritto alla prestazione previdenziale soltanto perché l’esercizio dell’attività lavorativa è subordinata alla iscrizione in un albo o in un elenco.

La norma censurata si porrebbe, inoltre, in contrasto anche con l’art. 4, primo comma, della Costituzione, perché determinerebbe una compressione del diritto al lavoro indefinita nel tempo, visto che il raggiungimento della età prescritta per il conseguimento della pensione di vecchiaia non comporta il conseguimento di tale prestazione da parte dei ragionieri o periti commerciali che siano già titolari della pensione di anzianità.

2.— In via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni prospettate dalla difesa della Cassa, secondo la quale la questione sarebbe inammissibile: a) perché sollevata nell’ambito di un giudizio non avente altro contenuto che la risoluzione della questione di costituzionalità; b) in quanto irrilevante, perché la norma censurata è riprodotta in identica formulazione nell’art. 50 del regolamento di esecuzione dello statuto della Cassa e la disposizione regolamentare non è stata oggetto d’impugnazione con l’atto introduttivo del giudizio a quo; c) per insufficienza della motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione stessa.

Nessuna di tali eccezioni può essere accolta.

Il giudice remittente ha rilevato, con motivazione non implausibile, che il giudizio pendente davanti a lui ha ad oggetto principale l’accertamento del diritto alla pensione di anzianità in capo all’attore e la condanna della Cassa a corrispondergliela sia pure subordinatamente alla sua cancellazione dall’albo dei ragionieri. La questione di legittimità costituzionale, lungi dal costituire l’oggetto unico del giudizio, si pone quindi come un incidente nell’iter logico-giuridico da seguire ai fini dell’accertamento del diritto alla prestazione previdenziale.

Riguardo alla norma regolamentare ed alla sua mancata impugnazione con il ricorso introduttivo del giudizio, il Tribunale di Lucca ha osservato ─ ed anche sul punto la motivazione è plausibile ─ che la tesi della nullità della norma regolamentare conseguente alla sollecitata dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’identica norma di legge è da qualificare come mera difesa, essendo la suddetta invalidità rilevabile d’ufficio.

Infine, la motivazione sulla non manifesta infondatezza è sintetica ma non insufficiente dal momento che indica sia i profili di irrazionalità determinanti il possibile contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, sia le ragioni della ipotizzata violazione dell’art. 4, primo comma, della Costituzione.

3.— Nel merito la questione è fondata.

Questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una disposizione inserita nell’art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), identica a quella censurata dal Tribunale di Lucca, ne dichiarò l’illegittimità costituzionale per contrasto con gli stessi parametri evocati nel presente giudizio, sul rilievo che, una volta ammessa la compatibilità della pensione di anzianità degli avvocati con lo svolgimento di un lavoro autonomo o subordinato, non era ragionevole stabilirne l’incompatibilità qualora per tale lavoro fosse prescritta l’iscrizione in un albo o in un elenco, costituendo inoltre tale incompatibilità violazione dell’art. 4, primo comma, della Costituzione (cfr. sentenza n. 73 del 1992).

Secondo la difesa della Cassa di previdenza dei ragionieri e periti commerciali le ragioni addotte a sostegno della suindicata pronuncia di illegittimità costituzionale sono contraddette dal mutato assetto delle casse di previdenza ed hanno perciò perduto la loro validità. Poiché gli enti previdenziali delle categorie professionali si sono trasformati in persone giuridiche private ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, le esigenze di bilancio sono particolarmente pressanti, dovendo gli enti medesimi avvalersi dell’autofinanziamento, senza poter ricorrere a sovvenzioni pubbliche. Lo sfavore con il quale il legislatore guarda allo svolgimento di attività lavorativa da parte dei titolari di pensione di anzianità, concretizzatosi nelle norme che in vario modo nel tempo hanno limitato o escluso il cumulo tra reddito da lavoro e pensione di anzianità (la difesa della Cassa invoca l’art. 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, come modificato dall’art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, l’art. 1, comma 189, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’art. 59, comma 14, della legge 27 dicembre 1997, n. 449), dimostrerebbe la necessità di scoraggiare il ricorso alla pensione di anzianità da parte di persone ancora in grado di lavorare.

Le tesi difensive della Cassa non inficiano la validità delle ragioni che indussero la Corte alla citata pronuncia di illegittimità costituzionale, ragioni che sussistono tuttora riguardo alla questione in esame.

E’, infatti, da osservare anzitutto che il perseguimento dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio non può essere assicurato da parte degli enti previdenziali delle categorie professionali – e, in particolare, da parte della Cassa di previdenza a favore dei ragionieri e periti commerciali – con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell’art. 3 della Costituzione. L’iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate attività è, infatti, prescritta a tutela della collettività ed in particolare di coloro che dell’opera degli iscritti intendono avvalersi.

In secondo luogo, si rileva che le norme concernenti il cumulo tra reddito da lavoro e prestazione previdenziale presuppongono la liceità dell’esercizio dell’attività lavorativa da parte del pensionato ed operano quindi su un piano diverso ed in un momento successivo a quelle del tipo della disposizione censurata, finalizzate ad impedirne lo svolgimento.

La difesa della Cassa sostiene infine, con riguardo al caso specifico, che l’iscrizione all’albo dei revisori contabili consentirebbe un’attività in parte analoga a quella tipica dei ragionieri, il divieto della quale non è contestato (divieto, peraltro, ritenuto legittimo, per l’iscrizione all’albo degli avvocati, dalla citata sentenza n. 73 del 1992).

Sul punto si osserva che ciò che rileva, ai fini del presente giudizio di costituzionalità, è esclusivamente la circostanza che lo svolgimento dell’attività dei revisori contabili è subordinato, in base ad una specifica e autonoma disciplina, all’iscrizione in un registro analogo ad un albo professionale, mentre è irrilevante considerare che nell’ambito delle relative prestazioni ve ne siano alcune che presentano elementi di analogia con le attività proprie dei ragionieri.

4.— La contestata incompatibilità si pone, altresì, in contrasto con il principio del diritto al lavoro. Al riguardo va precisato che la disciplina della pensione di anzianità dei ragionieri e periti commerciali, al pari di analoghe discipline relative ad altre categorie di professionisti (v. sentenza n. 362 del 1997 sulla normativa applicabile in materia nella previdenza forense), non prevede alcuna equiparazione della pensione di anzianità alla pensione di vecchiaia al compimento da parte del titolare dell’età stabilita per il conseguimento di tale ultima pensione, a differenza di quanto avviene nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria per effetto dell’art. 22, sesto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, e dell’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 503 del 1992, sicché la norma impugnata si traduce in una limitazione a tempo indefinito della possibilità di lavoro dei pensionati (v. sul punto la citata sentenza n. 73 del 1992).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 414 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), nella parte in cui prevede l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l’iscrizione ad albi professionali o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo dei ragionieri e periti commerciali.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2002.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2002.

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