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n. 12-2002 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 6 dicembre 2002 n. 520 - Pres. RUPERTO, Red. CHIEPPA - (giudizi promossi con ordinanze del 19 ottobre 2001 dalla Commissione tributaria provinciale di Novara e del 5 febbraio 2002 dalla Commissione tributaria regionale di Perugia, rispettivamente iscritte ai nn. 76 e 289 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10 e 25, prima serie speciale, dell'anno 2002).

1. Giustizia tributaria - Ricorso - Deposito del ricorso e degli atti - Disciplina prevista dall’art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 - Omessa previsione della possibilità di eseguire il deposito del ricorso e degli atti mediante l’utilizzo del servizio postale - Illegittimità costituzionale in parte qua.

2. Giustizia civile - Generalità - Norme che frappongono ostacoli ingiustificati all’esercizio della difesa o che impongono oneri o modalità che rendano difficile l’esercizio di tale diritto - Sono da ritenere costituzionalmente illegittime.

1. Va dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale (1).

2. Sono da ritenere non conformi a Costituzione (artt. 3 e 24) le disposizioni legislative che frappongono ostacoli non giustificati da un preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo civile adeguato alla funzione ad esso assegnata, nell’interesse generale, a protezione di diritti soggettivi dei cittadini (2), ovvero che impongano oneri o modalità tali da rendere estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento di attività processuale (3).

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(1) Ha osservato in proposito la Corte che il problema dell’utilizzo di strumenti diversi (compreso il servizio postale) da quelli della consegna personale e brevi manu per effettuare il materiale deposito di atti introduttivi del processo (a parte la loro notificazione) e dei documenti allegati, non è nuovo, ed è risalente nel tempo, ancorché abbia assunto, con il progresso dei sistemi di trasmissione (informatici e telematici), una crescente rilevanza in tutti i sistemi processuali (v., di recente, artt. 9 e 18 del d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alla Corte dei conti, con applicabilità – si noti – anche alla costituzione in giudizio, alla iscrizione a ruolo e al deposito di documenti probatori).

Appare tuttavia del tutto privo di qualsiasi razionale giustificazione assoggettare nel processo tributario (attesa la sua configurazione sia nella semplificazione delle attività processuali, sia nel sistema di assistenza tecnica e delle ipotesi di legittimazione diretta e personale della parte, sia, soprattutto, nella ripartizione della competenza territoriale con rilevanza della sola sede dell’ufficio fiscale convenuto) il deposito del ricorso e degli atti relativi ai fini della costituzione delle parti ad una unicità di forma consistente nella presentazione personale brevi manu; viene in tal modo irrazionalmente escluso l’utilizzo del servizio postale, ampiamente utilizzato per le comunicazioni e notifiche specie dalla parte pubblica.

L'irrazionalità dell'esclusione è evidente, ove si consideri che l’intero sistema dei processi civili, amministrativi e contabili ammette l’uso di mezzi telematici ed informatici proprio per la costituzione in giudizio e la presentazione di atti e documenti.

(2) Cfr. Corte Cost., sentenza n. 113 del 1963.

(3) Cfr. Corte Cost., sentenze n. 63 del 1977; n. 47 del 1964 e n. 214 del 1974.

 

 

SENTENZA N. 520

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Riccardo CHIEPPA Giudice

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Romano VACCARELLA "

- Paolo MADDALENA "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con ordinanze del 19 ottobre 2001 dalla Commissione tributaria provinciale di Novara e del 5 febbraio 2002 dalla Commissione tributaria regionale di Perugia, rispettivamente iscritte ai nn. 76 e 289 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10 e 25, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto in fatto

1.– La Commissione tributaria provinciale di Novara, con ordinanza del 19 ottobre 2001 (r.o. n. 76 del 2002), emessa sul ricorso con il quale era stato impugnato un avviso di accertamento in materia di ICI, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 22 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) nella parte in cui, secondo la interpretazione fornitane dalla Corte di cassazione, stabilisce che il ricorso spedito alla segreteria della commissione tributaria per mezzo del servizio postale, anziché depositato personalmente, pur se recapitato entro i termini, debba essere sanzionato con la inammissibilità.

Il collegio rimettente richiama in proposito la sentenza della sezione tributaria della Corte di cassazione n. 8829 del 2001, secondo la quale la consegna del ricorso a mezzo del servizio postale non sarebbe idonea a determinare il deposito, in quanto la utilizzabilità del predetto mezzo ai fini del deposito richiederebbe una previsione espressa, configurando una eccezione al principio generale.

In tal modo, sarebbero ingiustificatamente sacrificate le concrete possibilità del ricorrente di agire in giudizio, sia nelle ipotesi in cui il ricorso sia proposto da soggetto sprovvisto di assistenza tecnica, sia allorché tale assistenza sia fornita da professionista diverso dall’avvocato o dal commercialista, e, che, per tale diversa professionalità, ben potrebbe ignorare la particolare formalità richiesta dal denunciato art. 22 del d.lgs n. 546 del 1992, secondo la interpretazione della Cassazione.

Siffatto sacrificio del diritto di agire appare alla Commissione rimettente ancora più ingiustificato avuto riguardo alle modalità di svolgimento del procedimento di cui si tratta, nel cui ambito nessuna particolare conseguenza deriva dalla incertezza della produzione di un determinato documento all’atto della costituzione in giudizio, stante la possibilità di depositare comunque documentazione entro il termine di venti giorni prima dell’udienza, ex art. 32 dello stesso d.lgs. n. 546. Ad avviso del giudice a quo, la esigenza di certezza sul contenuto degli atti acquisiti al processo invocata dalla Corte Suprema sarebbe sufficientemente tutelata dalla disposizione dell’art. 24 del menzionato d.lgs. n. 546 del 1992, che richiede la elencazione dei documenti prodotti negli atti di parte cui sono allegati, ferma restando la possibilità, per il caso della ricezione a mezzo posta, della verifica della presenza dei documenti in maniera analoga a quella operata all’atto del deposito effettuato personalmente, essendo eventuali difformità comunque rilevabili dal pubblico ufficiale addetto.

2.– Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della questione per mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata, analogamente a quanto già deciso dalla Corte con la ordinanza n. 199 del 1996 e, nel merito, per la infondatezza della stessa, essendo il deposito dell’atto introduttivo del giudizio a mezzo del servizio postale possibile solo in presenza di una specifica norma che preveda tale modalità in alternativa a quella della consegna materiale, e dovendo, diversamente, trovare applicazione le regole generali del processo civile. L’Avvocatura rileva altresì la coerenza della disposizione denunciata rispetto ai principi e criteri direttivi dettati nella legge delega 30 dicembre 1991, n. 431, volti all’adeguamento delle regole del processo tributario alla disciplina di quello civile con particolare riguardo alla fase di proposizione del ricorso nei vari gradi, e prevedenti l’impiego del servizio postale ma limitatamente alle notificazioni e comunicazioni. Né appaiono all’Avvocatura consistenti le preoccupazioni del giudice rimettente con riguardo alla pur consentita difesa personale del ricorrente nelle controversie tributarie di minor valore, o alla possibilità di assistenza tecnica da parte di professionisti non necessariamente versati nelle discipline processuali, in considerazione dell’asserito inequivoco tenore letterale della disposizione.

3.– La Commissione tributaria regionale di Perugia, investita della cognizione dell’appello avverso sentenza dichiarativa della inammissibilità di un ricorso avverso una cartella di pagamento relativa a contributi ILOR, IRPEF e SSN, in quanto spedito a mezzo posta, con ordinanza del 5 febbraio 2002 (r.o. n. 289 del 2002), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui esclude, secondo la già riferita interpretazione della Corte di cassazione, la possibilità dell’impiego del servizio postale per effettuare il deposito del ricorso notificato e dei documenti allegati presso la segreteria della commissione tributaria adìta.

Secondo il collegio rimettente, tale norma si porrebbe anzitutto in contrasto con l’art. 3 della Costituzione in quanto, avendo le Commissioni tributarie di primo grado sede solo nel capoluogo di provincia, i contribuenti residenti in comuni diversi dal capoluogo verrebbero di fatto a trovarsi in una situazione deteriore rispetto a coloro che ivi risiedono, dovendo affrontare disagi e spese per recarsi personalmente presso la segreteria della commissione solo per depositare il ricorso; ed inoltre, per la irragionevolezza della statuizione in considerazione della mancanza di alcun interesse o esigenza apprezzabile a tale modalità di deposito che giustifichino il disagio e la spesa imposti.

Il giudice a quo lamenta poi la violazione dell’art. 24 della Costituzione per l’ostacolo all’accesso alla giustizia tributaria, che sarebbe determinato dalla disposizione in questione, e degli artt. 76 e 77 della Costituzione, avuto riguardo alla espressione utilizzata nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, con la quale il Governo era stato delegato alla emanazione dei decreti legislativi concernenti disposizioni per la revisione della disciplina e l’organizzazione del contenzioso tributario, che al comma 1, lettera g), punto 4, fa riferimento alla "disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni con la previsione dell’impiego più largo possibile del servizio postale".

Infine, è denunciato il contrasto con l’art. 97 della Costituzione, alla stregua della considerazione che la esclusione dell’impiego del servizio postale per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione tributaria inciderebbe in modo obiettivamente rilevante sul buon andamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo delle garanzie per l’apparato burocratico e della economia di gestione, oltre che per il servizio da offrire agli utenti.

4.– Anche nel giudizio introdotto con la ordinanza r.o. n. 289 del 2002 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della questione per le ragioni già richiamate, e nel merito, per la infondatezza, osservando, quanto alla lamentata violazione dell’art. 3 della Costituzione, che il solo disagio connesso alla maggiore o minore distanza della residenza del ricorrente dal capoluogo di provincia non può essere elevato a circostanza idonea ad impedire l’apprezzamento discrezionale del legislatore nella organizzazione territoriale degli organi di giustizia. Circa la presunta violazione dell’art. 24 della Costituzione, secondo l’Avvocatura, il deposito materiale del ricorso presso la segreteria della Commissione tributaria non rappresenterebbe un ostacolo insormontabile all’esercizio del diritto di azione. Non pertinente sarebbe, poi, il richiamo all’art. 77 della Costituzione, ed infondato quello all’art. 76, in base al rilievo che la legge delega, imponendo di omologare il processo tributario a quello civile, non consentiva al legislatore delegato di discostarsi dalla regola comune disciplinante la costituzione in giudizio della parte istante, tenuta al deposito dell’atto introduttivo presso la cancelleria del giudice adìto. Infine, fuor di luogo sarebbe la invocazione dell’art. 97 della Costituzione, non avendo la disposizione di cui si tratta attinenza alla organizzazione degli uffici.

Considerato in diritto

1.– Le questioni, sottoposte in via incidentale all’esame della Corte costituzionale con due ordinanze, rispettivamente 19 ottobre 2001 (r.o. n. 76 del 2002) della Commissione tributaria provinciale di Novara e 5 febbraio 2002 (r.o. n. 289 del 2002) della Commissione tributaria regionale di Perugia, riguardano l’art. 22 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).

L'ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Novara censura il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 22 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui, secondo la interpretazione della Corte di cassazione, stabilisce che il ricorso spedito alla segreteria della Commissione tributaria per mezzo del servizio postale, anziché depositato personalmente, pur se recapitato entro i termini, debba essere sanzionato con la inammissibilità. Si ravvisa vulnus all’art. 24, primo comma, della Costituzione, per l’ingiustificato sacrificio delle concrete possibilità di agire in giudizio da parte del contribuente in tutte le ipotesi in cui, vuoi per l’esercizio della difesa personale, vuoi per l’affidamento della difesa a professionisti diversi dagli avvocati e dai commercialisti, si versi nella ignoranza delle particolari formalità richieste dalla normativa impugnata secondo la predetta interpretazione giurisprudenziale.

L'ordinanza della Commissione tributaria regionale di Perugia censura lo stesso art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui esclude la possibilità dell’impiego del servizio postale per effettuare il deposito del ricorso notificato e dei documenti allegati presso la segreteria della commissione tributaria adìta.

Viene denunciata la violazione:

dell’art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento tra i contribuenti residenti nei capoluoghi di provincia, ove hanno sede le Commissioni tributarie, e quelli residenti in comuni diversi, esposti a disagi ed oneri per effettuare il deposito del ricorso; nonché per la irragionevole imposizione di tali disagi, non giustificata da alcun apprezzabile interesse od esigenza;

dell’art. 24 della Costituzione, per l’ostacolo all’accesso alla giustizia tributaria costituito dalla imposizione dell’onere di recarsi personalmente presso la segreteria delle Commissioni tributarie per il deposito del ricorso;

degli artt. 76 e 77 della Costituzione per la violazione dei criteri e principi contenuti nella legge n. 413 del 1991, con la quale il Governo era delegato alla emanazione di decreti legislativi concernenti disposizioni per la revisione della disciplina del contenzioso tributario, che all’art. 30, comma 1, lettera g), punto 4, faceva riferimento alla "disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni con la previsione dell’impiego più largo possibile del servizio postale";

dell’art. 97 della Costituzione, per la rilevante incidenza sul buon andamento della pubblica amministrazione della esclusione dell’impiego del servizio postale per il deposito del ricorso.

2.– I due giudizi devono essere riuniti in relazione alla identità sostanziale delle questioni sollevate, aventi per oggetto la medesima disposizione, sotto il profilo che la norma denunciata non consentirebbe che il deposito del ricorso e dei documenti allegati possa avvenire anche avvalendosi del servizio postale, pur se effettivamente recapitati entro i termini previsti (trenta giorni dalla proposizione del ricorso).

Ambedue i giudici, con una motivazione plausibile, ritengono la questione rilevante e si richiamano ad una interpretazione della Corte di cassazione (Cass., sez. trib., 28 giugno 2001, n. 8829); tale pronuncia, peraltro, non è rimasta isolata, ma risulta seguita da costanti pronunce della Cassazione (19 settembre 2001, n. 11781 e 15 febbraio 2002, n. 2255) e dal prevalente indirizzo dei giudici tributari di merito, anche se contrastato da alcune isolate e puntuali sentenze di altre commissioni tributarie in buona parte anteriori alle pronunce della Corte di cassazione.

Pertanto, può essere assunta a base della presente decisione l'esclusione della validità del deposito del ricorso tributario a mezzo del servizio postale, ancorché pervenga nei termini prescritti.

Di conseguenza, non può porsi in dubbio la ammissibilità delle questioni sollevate dai giudici rimettenti, che si presentano come pregiudiziali rispetto ai giudizi principali, essendo "consentito richiedere l’intervento di questa Corte, affinché controlli la compatibilità dell’indirizzo consolidato con i principi costituzionali" (sentenze n. 345 del 1995; n. 110 del 1995 e n. 456 del 1989), e peraltro essendo "sufficiente che il giudice a quo riconduca alla disposizione contestata una interpretazione non implausibile… della quale ritenga di dover fare applicazione nel giudizio principale e sulla quale nutra dubbi, non arbitrari o non pretestuosi, di conformità a determinate norme costituzionali" (sentenze n. 345 e n. 58 del 1995).

3.– Le questioni sollevate sono fondate nei limiti appresso chiariti.

3.1.– Preliminarmente, deve essere sottolineato che il problema dell’utilizzo di strumenti diversi (compreso il servizio postale) da quelli della consegna personale e brevi manu per effettuare il materiale deposito di atti introduttivi del processo (a parte la loro notificazione) e dei documenti allegati, non è nuovo, ed è risalente nel tempo, ancorché abbia assunto, con il progresso dei sistemi di trasmissione (informatici e telematici), una crescente rilevanza in tutti i sistemi processuali (v., di recente, artt. 9 e 18 del d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alla Corte dei conti, con applicabilità – si noti – anche alla costituzione in giudizio, alla iscrizione a ruolo e al deposito di documenti probatori).

La questione della ammissibilità dell’utilizzo del servizio postale per il deposito del ricorso per cassazione, in tempi risalenti, già sotto il vigore del codice di procedura civile del 1865, fu puntualmente affrontata e risolta positivamente dalla Corte di cassazione di Roma (16 agosto 1898) pure in presenza di esplicitazione legislativa che il "ricorso coi documenti annessi e coll’atto originale di notificazione è presentato" e "deve essere consegnato alla cancelleria" (artt. 526 e 527 cod. proc. civ. del 1865).

Detto indirizzo fu ripreso da ripetute sentenze della Cassazione di Roma e di Torino, ma vi furono anche talune manifestazioni, ancorché minoritarie, di dissenso, di modo che il legislatore, confortato dalla dottrina, intervenne, troncando le divergenze, con lo stabilire espressamente la possibilità di consegna in cancelleria dei ricorsi per cassazione mediante spedizione per posta (r.d. 7 giugno 1923, n. 1244). Dette disposizioni, in presenza dell’art. 369 del codice di procedura civile vigente che genericamente prevedeva il "deposito in cancelleria", sono state trasfuse nell’art. 134 del regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368 (Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie), successivamente modificato ed integrato con l’art. 3 della legge 7 febbraio 1979, n. 59, con l’obiettivo dichiarato di una riduzione dei profili di inammissibilità e di una maggiore semplificazione delle forme processuali.

3.2.– In occasione dell'esame di profili di inammissibilità di atti introduttivi di giudizi, sia il legislatore, sia la giurisprudenza di legittimità si sono, in più occasioni, richiamati alla esigenza di non contrastare la realizzazione della giustizia senza ragioni di seria importanza, ed ai criteri di equa razionalità nella valutazione di profili di forma, quando questi non implichino vera e propria violazione delle prescrizioni tassativamente specificate nella legge processuale.

La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto non conformi a Costituzione (artt. 3 e 24) "le disposizioni legislative che frappongono ostacoli non giustificati da un preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo civile adeguato alla funzione ad esso assegnata, nell’interesse generale, a protezione di diritti soggettivi dei cittadini" (sentenza n. 113 del 1963) ovvero che impongano "oneri … o modalità tali da rendere… estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento di attività processuale" (sentenze n. 63 del 1977; n. 47 del 1964 e n. 214 del 1974).

Proprio con riferimento al processo tributario e a problemi di inammissibilità, va riconfermata la esigenza – rilevante anche sul piano costituzionale – che una norma, che comporti tali problemi, sia in armonia con lo specifico sistema processuale, volto a garantire la tutela delle parti in posizioni di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità in danno del soggetto che si intende tutelare (per riferimenti, v. da ultimo, sentenza n. 189 del 2000).

Occorre sottolineare che nel processo tributario il deposito del ricorso e dei documenti allegati è previsto (combinato disposto degli artt. 16, 18, 20 e 22 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546) dopo che il giudizio è stato "introdotto con ricorso … sottoscritto dal difensore del ricorrente" con l’indicazione dell’incarico defensionale, o "personalmente" dalla parte nei casi previsti, ed il ricorso stesso è stato "proposto mediante notifica" effettuabile "anche direttamente a mezzo del servizio postale" ed è accompagnato da garanzie di provenienza e corrispondenza dell’atto (in particolare art. 22, comma 3, del citato d.lgs n. 546 del 1992).

Inoltre, analoga è la previsione della costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente mediante deposito di atti: rispettivamente, originale del ricorso notificato ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta per il ricorrente; fascicolo con controdeduzioni e documenti per il resistente.

In via generale, il deposito degli atti e del fascicolo di parte che li contiene ai fini della costituzione delle parti è stato considerato dal giudice di legittimità materiale attività, come formalità meramente esecutiva priva di qualsiasi contenuto volitivo autonomo, per cui ragionevolmente, in mancanza di specifiche esigenze, dovrebbe essere irrilevante il soggetto che materialmente proceda alla consegna.

Pertanto, appare del tutto privo di qualsiasi razionale giustificazione assoggettare nel processo tributario (attesa la sua configurazione sia nella semplificazione delle attività processuali, sia nel sistema di assistenza tecnica e delle ipotesi di legittimazione diretta e personale della parte, sia, soprattutto, nella ripartizione della competenza territoriale con rilevanza della sola sede dell’ufficio fiscale convenuto) il deposito del ricorso e degli atti relativi ai fini della costituzione delle parti ad una unicità di forma consistente nella presentazione personale brevi manu; verrebbe escluso l’utilizzo del servizio postale, invece ampiamente utilizzato per le comunicazioni e notifiche specie dalla parte pubblica. Ciò soprattutto quando l’intero sistema dei processi civili, amministrativi e contabili ammette l’uso di mezzi telematici ed informatici proprio per la costituzione in giudizio e la presentazione di atti e documenti.

3.3.– Giova, infine, sottolineare, ai fini della conferma della manifesta irragionevolezza della scelta operata dal legislatore delegato, che la delega legislativa (art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) prevedeva la revisione della disciplina del contenzioso tributario, inserita in un quadro più ampio di razionalizzazione e facilitazione dei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente. I criteri della delega stabilivano specificatamente, nell’ambito di un adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile, una disciplina uniforme per la proposizione del ricorso nei vari gradi di giurisdizione ed un impiego più largo possibile del servizio postale, sia pure nella disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni.

Infine, lo stesso d.lgs. n. 546 del 1992 (art. 17), disponendo che dovesse rimanere fermo quanto stabilito dall’art. 10 del d.P.R. 28 novembre 1980, n. 787 sui centri di servizio, aveva mantenuto espressamente le modalità di presentazione e deposito dei ricorsi contro il ruolo (applicabili ovviamente fino al mantenimento delle funzioni specifiche dei centri di servizio). Dette modalità continuavano a prevedere testualmente la consegna o – si noti – la spedizione (in analogia con il sistema processuale del contenzioso del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) come strumenti esecutivi del deposito del ricorso ai fini della costituzione del rapporto processuale, dopo un intervallo di tempo dalla presentazione mediante spedizione postale dell’originale al centro di servizio.

4.– Sulla base delle predette considerazioni, stante sia la manifesta irragionevolezza della norma denunciata, come assunta dai giudici rimettenti, sia il contrasto stridente e privo di ragionevole giustificazione con i surrichiamati principi propri del processo tributario, non resta che dichiarare, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, la illegittimità costituzionale dell’art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2002.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2002.

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