CORTE COSTITUZIONALE - Ordinanza 15 gennaio 2003 n. 10 - Pres. CHIEPPA, Red. CAPOTOSTI - (giudizi promossi con ordinanze del 3 aprile 2002 dal T.A.R. Lazio e del 21 novembre 2001 dal T.A.R. dell’Umbria sui ricorsi proposti da B. P. ed altri contro l’INPS e da A. A. ed altri contro il Ministero della difesa ed altro, iscritte ai nn. 268 e 327 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22 e 28 prima serie speciale, dell’anno 2002).
Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Retribuzione individuale di anzianità - Maturazione - Riferimento alla data del 31 dicembre 1990 - Previsto dall’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza.
E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione - dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), nella parte in cui dispone, ai fini dell’applicazione della retribuzione individuale di anzianità, che l’articolo 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, «si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità» e stabilisce altresì, che «è fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge» (1).
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(1) Per dichiarare la manifesta infondatezza della questione la Corte ha fatto riferimento a quanto in precedenza affermato con ordinanza 20 giugno 2002 n. 263, in questa Rivista n. n. 6-2002 (v. anche la successiva ordinanza n. 440 del 2002), atteso che le due ordinanze di rimessione non contenevano profili nuovi o comunque argomentazioni tali che potessero condurre la Corte a conclusioni differenti.
ORDINANZA N. 10
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA ״
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promossi con ordinanze del 3 aprile 2002 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e del 21 novembre 2001 dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria sui ricorsi proposti da B. P. ed altri contro l’INPS e da A. A. ed altri contro il Ministero della difesa ed altro, iscritte ai nn. 268 e 327 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22 e 28 prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 3 aprile 2002, ed il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, con ordinanza del 21 novembre 2001 (pervenuta alla Corte il 18 giugno 2002), sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, nonché (il Tar dell’Umbria) all’art. 97 della Costituzione;
che nei giudizi principali alcuni dipendenti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (giudizio promosso dal Tar del Lazio) e del Ministero della difesa (giudizio promosso dal Tar dell’Umbria), rispettivamente, hanno chiesto l’accertamento del diritto alle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità (infra, r.i.a.) ai sensi dell’art. 15, comma 4, del d.P.R. 13 gennaio 1990, n. 43 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 2 agosto 1989 concernente il comparto del personale degli enti pubblici non economici), e dell’art. 9 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del D.P.R. 5 marzo 1986, n. 68), in virtù dell’anzianità maturata successivamente al 31 dicembre 1990;
che, ad avviso di entrambi i giudici a quibus, il d.P.R. n. 43 del 1990 ed il d.P.R. n. 44 del 1990, nel disciplinare la r.i.a., stabilivano l’attribuzione di aumenti stipendiali rapportati all’anzianità di servizio (di 5, 10 e 20 anni) maturata dai dipendenti «nell’arco della vigenza contrattuale» e gli accordi di comparto, scaduti il 31 dicembre 1990, erano stati prorogati sino al 31 dicembre 1993 dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, cosicché i ricorrenti avrebbero avuto diritto alla maggiorazione della r.i.a. anche per l’anzianità maturata successivamente al 1990;
che, secondo le ordinanze di rimessione, la norma impugnata, nella parte in cui dispone che l’articolo 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, «si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità», stabilendo, altresì, che «è fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge», imporrebbe, invece, una interpretazione che determina il rigetto dei ricorsi, incidendo negativamente sul diritto all’incremento stipendiale a titolo di r.i.a.;
che, ad avviso di entrambi i rimettenti, i quali svolgono argomentazioni in larga misura coincidenti, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, non sarebbe una norma di interpretazione autentica, poiché concerne una disposizione che non aveva dato luogo ad interpretazioni divergenti;
che, secondo i giudici a quibus, la norma censurata violerebbe i principi di ragionevolezza ed eguaglianza (art. 3 della Costituzione), in quanto realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento in danno dei ricorrenti rispetto a coloro i quali hanno già agito in giudizio, ottenendo una sentenza favorevole in virtù dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi sulla norma interpretata;
che, a loro avviso, la norma impugnata, benché sia qualificata come di interpretazione autentica, sovvertirebbe l’interpretazione data dalla giurisprudenza all’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, realizzando una illegittima interferenza nell’esercizio della funzione giurisdizionale e sul diritto di agire e di difendersi in giudizio (artt. 24, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione) e, quindi, secondo il Tar dell’Umbria, si porrebbe in contrasto con «i principi della ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto di ingiustificate disparità di trattamento, della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto» (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione);
che nel giudizio promosso dal Tar del Lazio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, osservando, nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, che l’identica questione è stata già dichiarata manifestamente infondata dalla Corte con l’ordinanza n. 263 del 2002;
che, nel giudizio instaurato dal Tar del Lazio, si è, altresì, costituito l’INPS, parte nel processo principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Considerato che i giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, censurata in riferimento a parametri costituzionali in larga misura coincidenti e sotto profili sostanzialmente analoghi, e pertanto possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che questa Corte, con le ordinanze n. 263 e n. 440 del 2002, si è già pronunciata sulla questione dichiarandone la manifesta infondatezza;
che le ordinanze di rimessione in esame, entrambe emesse in data anteriore alle succitate decisioni, non contengono profili nuovi o comunque argomentazioni tali che possano condurre la Corte a conclusioni differenti;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2003.