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n. 6-2003 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 24 giugno 2003 n. 220 - Pres. CHIEPPA, Red. ONIDA - (giudizi promossi con ordinanze del 16 novembre 2002 dal Tribunale di Forlì e del 20 novembre 2002 dal Tribunale di Macerata, iscritte ai nn. 12 e 33 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4 e 7, prima serie speciale, dell’anno 2003).

1. Elezioni - Elezioni amministrative - Ineleggibilità ed incompatibilità - Incompatibilità fra la carica di Sindaco del Comune il cui territorio coincide con quello dell’unità sanitaria locale e la qualità di dipendente dell’unità sanitaria locale medesima o di professionista con essa convenzionato - Prevista dall’art. 8 della L. n. 154/1981 - Eliminazione di tale causa di incompatibilità ad opera dell’art. 274, comma 1, lettera l, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (T.U. ee.ll.) - Questioni di legittimità costituzionale di quest'ultima norma - Sollevate con riferimento agli artt. 3, 76, 77 e 97 della Costituzione - Infondatezza.

2. Elezioni - Elezioni amministrative - Ineleggibilità ed incompatibilità - Incompatibilità - Momento rispetto al quale va verificata - Individuazione - Riferimento alla disciplina normativa vigente nel momento in cui viene a scadere il termine ultimo entro il quale l’interessato può rimuovere la causa di incompatibilità - Necessità.

1. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 3, 76, 77 e 97 della Costituzione - dell’art. 274, comma 1, lettera l, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui, abrogando la legge 23 aprile 1981, n. 154 (salve le sole disposizioni ivi previste per i consiglieri regionali), ha fatto venir meno la causa di incompatibilità già prevista dall’art. 8, n. 2, della medesima legge n. 154 del 1981 fra la carica di Sindaco del Comune il cui territorio coincide con quello dell’unità sanitaria locale, o di Sindaco di Comune con popolazione superiore a 30.000 abitanti che concorre a costituire l’unità sanitaria locale, e la qualità di dipendente dell’unità sanitaria locale medesima o di professionista con essa convenzionato (1).

2. Nel giudizio promosso per l’accertamento in sede giurisdizionale della causa di incompatibilità dell’amministratore locale si applica la disciplina normativa, in tema di incompatibilità, vigente nel momento in cui viene a scadere il termine ultimo entro il quale l’interessato può rimuovere la causa di incompatibilità: momento che – ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge n. 154 del 1981, aggiunto dall’art. 20 della legge n. 265 del 1999, dopo la parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 9-bis del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 160 del 1997, proprio per garantire la salvaguardia del diritto di elettorato passivo – coincide con la scadenza del termine di dieci giorni dalla notificazione del ricorso (2).

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(1) Ha osservato la Corte che la causa di incompatibilità prevista dall’art. 8, n. 2, della legge n. 154 del 1981 venne stabilita (in aggiunta a quelle più generali e "tradizionali" previste dall’art. 3 della stessa legge, sulla falsariga di cause di ineleggibilità già previste dalla legislazione preesistente: art. 15 del d.P.R. n. 570 del 1960) nel contesto di un assetto normativo nel quale l’unità sanitaria locale era configurata, dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, come "struttura operativa", priva di personalità giuridica, del Comune o dei Comuni associati, il cui territorio coincideva con quello dell’unità sanitaria medesima (artt. 10, 14 e 15 della legge 23 dicembre 1978, n. 833); organi di governo dell’USL erano l’assemblea generale, costituita dal Consiglio comunale nel caso di USL monocomunale, o dall’assemblea della Comunità montana o dell’associazione dei Comuni nel caso di USL pluricomunale, e dal comitato di gestione eletto dall’assemblea, ovvero in determinate ipotesi gli organi della Comunità montana o il consiglio circoscrizionale (art. 15 della legge n. 833 del 1978). Pertanto i dipendenti delle USL, ancorché inquadrati in ruoli regionali, erano formalmente dipendenti di una struttura del Comune o dei Comuni associati, e i professionisti convenzionati con la USL avevano come soggetto giuridico di riferimento il Comune o i Comuni associati.

La configurazione giuridica delle unità sanitarie locali venne però profondamente mutata dal d.lgs. n. 502 del 1992, nell’ambito di un disegno poi ulteriormente sviluppato e modificato dal d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, e dal d.lgs. n. 229 del 1999. Reciso il "cordone ombelicale" fra Comuni e USL, non più "strutture operative" dei medesimi, la USL venne configurata come azienda dipendente dalla Regione, strumentale per l’erogazione dei servizi sanitari attribuiti alla competenza della Regione medesima, dotata di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale, rappresentata e gestita sotto ogni aspetto da un direttore generale nominato dalla Regione (art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992).

I Comuni e i loro organi (Sindaci o, nelle USL pluricomunali, conferenza dei Sindaci) hanno mantenuto poteri di intervento, fra l’altro nella forma di definizione delle "linee di indirizzo per l’impostazione programmatica delle attività", di esame dei bilanci, di verifica dell’ "andamento generale dell’attività", di contributo alla definizione dei piani programmatici, di parere sulla verifica dei risultati conseguiti, di proposta o parere per la decadenza o la revoca del direttore generale, di nomina di uno dei membri del collegio sindacale, il quale collegio presenta relazioni sull’andamento dell’attività al Sindaco o alla conferenza dei sindaci (art. 3, comma 14, art. 3-bis, commi 6 e 7, art. 3-ter, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 502 del 1992). Tuttavia il complessivo assetto del governo, della gestione e del finanziamento delle aziende sanitarie mostra che i Comuni sono coinvolti fondamentalmente solo in quanto enti esponenziali delle collettività locali, chiamati ad esprimerne le esigenze rispetto all’organizzazione e allo svolgimento dei servizi, ma non come amministrazioni responsabili, direttamente o indirettamente, dell’erogazione dei servizi medesimi e della gestione aziendale.

In questo quadro, la scelta del legislatore delegato di abrogare l’art. 8 della legge n. 154 del 1981 senza riprodurne il contenuto nel testo unico, e quindi di far venir meno la causa di incompatibilità, limitandosi invece a riprodurre le cause di ineleggibilità e di incompatibilità previste dal d.lgs. n. 502 del 1992 per le nuove cariche delle USL, non può ritenersi eccedere l’ambito del compito di coordinamento conferito con la legge di delega. Coordinare (non solo formalmente) vuol dire infatti anche adeguare la disciplina al nuovo quadro complessivo, derivato dal sovrapporsi, nel tempo, di norme dettate in vista di situazioni e di assetti diversi, anche eliminando dai testi legislativi norme la cui ratio originaria non trova più rispondenza nell’ordinamento, e che quindi non appaiono più razionalmente riconducibili, quanto meno nella loro portata originaria, all’assetto in vigore.

(2) Ha osservato in proposito la Corte che il principio enunciato non contrasta con il fatto che la causa di incompatibilità, sussistente al momento dell’elezione, non potrebbe essere esclusa in forza di una norma sopravvenuta, in base al principio tempus regit actum (intendendosi per atto l’elezione).

Infatti l’incompatibilità, a differenza della ineleggibilità (che vizia la stessa investitura elettorale), può essere rimossa dall’interessato anche successivamente all’elezione, attenendo ad un divieto di esercizio contemporaneo della carica elettiva e dell’ufficio incompatibile, ed è quindi logico che, fin quando ancora pende il termine per la sua rimozione, la sopravvenienza di una nuova norma che faccia venir meno la causa di incompatibilità comporti l’impossibilità di pronunciare la decadenza.

 

 

SENTENZA N. 220

ANNO 2003

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo CHIEPPA Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Ugo DE SIERVO "

- Romano VACCARELLA "

- Alfio FINOCCHIARO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 63, 66, 274, comma 1, lettera l, e 275 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), promossi con ordinanze del 16 novembre 2002 dal Tribunale di Forlì e del 20 novembre 2002 dal Tribunale di Macerata, iscritte ai nn. 12 e 33 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4 e 7, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di costituzione di Giancarlo Biserna ed altro, di Franco Rusticali, di Roberto Gaetani e di Erminio Marinelli nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 2003 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Antonio Zavoli e Paolo Santoro per Giancarlo Biserna ed altro, Guido Calvi per Franco Rusticali, Roberto Gaetani per se medesimo, Ubaldo Perfetti e Ranieri Felici per Erminio Marinelli nonché l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Né, infine, l’esame dei lavori preparatori della legge delega n. 265 del 1999 e del decreto legislativo n. 267 del 2000 offrirebbe elementi o spunti di valutazione in ordine alle ragioni giustificatrici della abrogazione in discorso.

L’intervento richiesto, deduce poi l’Avvocatura, sarebbe di tipo manipolativo-additivo. Ma questa Corte ha costantemente affermato di non potere sindacare le scelte che competono al legislatore, a meno che le stesse non siano palesemente irragionevoli. Nella specie, non si tratterebbe neppure di colmare un vuoto, ma di creare artificiosamente una nuova norma, che estenda l’ambito applicativo della incompatibilità al primario ospedaliero.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Forlì (r.o. n. 12 del 2003) e il Tribunale di Macerata (r.o. n. 33 del 2003), nel corso di due giudizi promossi con azione popolare per far dichiarare la decadenza del Sindaco, rispettivamente dei Comuni di Forlì e di Civitanova Marche, per incompatibilità, nel primo caso, con l’ufficio di dirigente medico di primo livello (ex primario) nel locale Ospedale, nel secondo caso con la funzione di medico di base convenzionato con la Azienda sanitaria locale nel cui territorio è compreso il Comune, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 274, comma 1, lettera l, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui, abrogando la legge 23 aprile 1981, n. 154 (salve le sole disposizioni ivi previste per i consiglieri regionali), ha fatto venir meno la causa di incompatibilità già prevista dall’art. 8, n. 2, della medesima legge n. 154 del 1981 fra la carica di Sindaco del Comune il cui territorio coincide con quello dell’unità sanitaria locale, o di Sindaco di Comune con popolazione superiore a 30.000 abitanti che concorre a costituire l’unità sanitaria locale, e la qualità di dipendente dell’unità sanitaria locale medesima o di professionista con essa convenzionato.

Il Tribunale di Forlì formula la censura con riguardo alla parte della norma che non fa salva l’incompatibilità "almeno quanto alla funzione di primario di divisione nella locale unità sanitaria"; ed estende la questione altresì agli artt. 63 e 66 del d.lgs. n. 267 del 2000 nella parte in cui gli stessi, disciplinando, rispettivamente, le incompatibilità con la carica di Sindaco e le incompatibilità con la carica di Sindaco di uffici delle aziende sanitarie ed ospedaliere, non prevedono l’incompatibilità della carica di Sindaco con la funzione di primario di divisione nella locale unità sanitaria.

Il Tribunale di Macerata censura invece l’art. 274, comma 1, lettera l, del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (nella parte in cui comporta l’abrogazione dell’art. 8, n. 2, della legge n. 154 del 1981), nonché l’art. 275 dello stesso testo unico, contenente la "norma finale" in base alla quale, salvo che sia diversamente disposto e fuori dei casi di abrogazione per incompatibilità, il riferimento fatto da altre norme a disposizioni espressamente abrogate dal testo unico si intende alle corrispondenti disposizioni del testo unico medesimo.

Entrambi i giudici remittenti sollevano la questione in riferimento all’art. 76 (nonché all’art. 77, per quanto riguarda il Tribunale di Macerata) della Costituzione, ritenendo che la disposta abrogazione della norma sulla predetta causa di incompatibilità sia viziata da eccesso di delega, in quanto non consentita dai limiti della delega conferita al Governo con l’art. 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265, per l’adozione di "un testo unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei comuni e delle province" (comma 1), avendo riguardo, fra le altre, alla legge n. 154 del 1981 (comma 3, lettera e). In siffatta delega di coordinamento non potrebbe infatti ritenersi compresa la facoltà di innovare abrogando norme esistenti, e in ogni caso l’abrogazione contestata non sarebbe necessitata dalle finalità di coordinamento, o non risponderebbe a nessuna esigenza di coordinamento e di coerenza dell’assetto normativo.

Il solo Tribunale di Forlì lamenta altresì la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, osservando che l’abrogazione della incompatibilità fra la carica di Sindaco e la funzione di primario ospedaliero, "anche se ricompresa nel potere normativo delegato al Governo", urta contro i principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione e non si giustifica sotto il profilo dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, per quanto concerne la qualità di primario ospedaliero, in relazione alle cause di incompatibilità previste invece per le nuove figure dirigenziali sanitarie (direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario delle aziende sanitarie). Ciò in quanto, pur dopo la riforma delle unità sanitarie locali, operata con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e poi integrata con il d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, che ha comportato un "arretramento dei poteri gestori" dei Comuni nei confronti delle aziende sanitarie operanti sul loro territorio, permarrebbero funzioni di controllo e di indirizzo dei Comuni nei confronti di tali aziende, e un ruolo rilevante del Sindaco, da solo o nel più ampio contesto della conferenza dei sindaci, nella formazione del programma, nell’indirizzo sanitario e nel controllo contabile della azienda, con una conseguente "immanente possibilità di conflitto di interessi tra Sindaco e componente della struttura sanitaria".

2.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni parzialmente uguali, ed è quindi opportuno riunire i giudizi perché siano definiti con unica pronunzia.

3.– Devono in primo luogo disattendersi le eccezioni di inammissibilità che le parti private, da diverse ed opposte prospettazioni, avanzano nei riguardi della questione sollevata dal Tribunale di Forlì.

La parte ricorrente nel giudizio a quo lamenta che il Tribunale abbia ritenuto applicabile alla specie la disciplina risultante dal testo unico del 2000, anziché quella vigente all’epoca della elezione del Sindaco, avvenuta nel 1999, quando cioè era ancora in vigore l’art. 8, n. 2, della legge n. 154 del 1981, che sanciva l’incompatibilità con la carica di Sindaco per i dipendenti della unità sanitaria locale: onde la questione sollevata sul testo unico sarebbe priva di rilevanza.

Questa Corte non ha ragione di discostarsi dall’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, cui esplicitamente si conforma l’ordinanza di rimessione, secondo cui nel giudizio promosso per l’accertamento in sede giurisdizionale della causa di incompatibilità dell’amministratore locale si applica la disciplina normativa, in tema di incompatibilità, vigente nel momento in cui viene a scadere il termine ultimo entro il quale l’interessato può rimuovere la causa di incompatibilità: momento che – ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge n. 154 del 1981, aggiunto dall’art. 20 della legge n. 265 del 1999, dopo la parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 9-bis del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 160 del 1997, proprio per garantire la salvaguardia del diritto di elettorato passivo – coincide con la scadenza del termine di dieci giorni dalla notificazione del ricorso.

Non vale opporre che la causa di incompatibilità, sussistente al momento dell’elezione, non potrebbe essere esclusa in forza di una norma sopravvenuta, in base al principio tempus regit actum (intendendosi per atto l’elezione). Infatti l’incompatibilità, a differenza della ineleggibilità, che vizia la stessa investitura elettorale, può essere rimossa dall’interessato anche successivamente all’elezione, attenendo ad un divieto di esercizio contemporaneo della carica elettiva e dell’ufficio incompatibile, ed è quindi logico che, fin quando ancora pende il termine per la sua rimozione, la sopravvenienza di una nuova norma che faccia venir meno la causa di incompatibilità comporti l’impossibilità di pronunciare la decadenza.

4.– A sua volta la parte privata resistente nel giudizio a quo eccepisce la inammissibilità della questione per difetto di motivazione della rilevanza, in quanto il remittente avrebbe erroneamente e artificiosamente motivato la reiezione di due eccezioni preliminari che lo stesso resistente aveva avanzato nel giudizio principale, concernenti rispettivamente la tardività del ricorso introduttivo e la nullità della notifica dell’atto di riassunzione, dopo la sospensione intervenuta in pendenza del primo giudizio di costituzionalità, conclusosi con l’ordinanza n. 398 del 2002 di questa Corte.

Anche queste eccezioni non possono essere condivise. Mentre la totale assenza di ogni pronuncia del giudice a quo sulla eccezione (logicamente preliminare) di tardività del ricorso, di cui pure lo stesso giudice dava atto, ha giustificato la dichiarazione di inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza, della questione proposta la prima volta dal Tribunale di Forlì (ord. n. 398 del 2002), ora, in presenza di una motivazione espressa, con la quale il remittente ha respinto dette eccezioni preliminari, non spetta a questa Corte valutare la correttezza delle relative statuizioni del giudice, trattandosi di questioni che attengono strettamente al giudizio principale.

5.– Parimenti non sono fondate le eccezioni di inammissibilità della questione sollevate dalla parte privata resistente nel giudizio principale davanti al Tribunale di Macerata.

La motivazione della rilevanza è sufficiente, né sarebbe logico chiedere che il giudice a quo argomenti circa l’influenza che avrebbe sull’esito della causa l’eventuale accoglimento della questione sollevata, concernendo questa proprio la legittimità costituzionale della norma che ha fatto venir meno, per abrogazione, la causa di incompatibilità di cui si discute nel giudizio.

La censura mossa non attiene poi affatto al merito politico della norma denunciata, ma alla sua ipotizzata incostituzionalità per eccesso di delega, e dunque per violazione dell’art. 76 della Costituzione. Né può rilevare l’iniziale errore (poi corretto) del ricorrente nell’indicazione della legge di delega, avendo comunque l’ordinanza di rimessione – che unicamente definisce la questione rimessa a questa Corte – esattamente individuato la disposizione che ha conferito la delega.

6.– Infine non ha pregio la tesi (avanzata dalla difesa erariale in entrambi i giudizi, e dalla parte privata resistente nel giudizio promosso dal Tribunale di Macerata) secondo cui si chiederebbe a questa Corte una pronuncia additiva comportante una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore: i giudici a quibus prospettano una pronuncia che produca, in forza della sua asserita incostituzionalità, la caducazione della norma abrogatrice dell’art. 8, n. 2, della legge n. 154 del 1981, con conseguente reviviscenza di tale norma, e dunque della causa di incompatibilità oggi soppressa dal legislatore delegato.

7. – Nel merito, le questioni non sono fondate.

La causa di incompatibilità prevista dall’art. 8, n. 2, della legge n. 154 del 1981 venne stabilita (in aggiunta a quelle più generali e "tradizionali" previste dall’art. 3 della stessa legge, sulla falsariga di cause di ineleggibilità già previste dalla legislazione preesistente: art. 15 del d.P.R. n. 570 del 1960) nel contesto di un assetto normativo nel quale l’unità sanitaria locale era configurata, dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, come "struttura operativa", priva di personalità giuridica, del Comune o dei Comuni associati, il cui territorio coincideva con quello dell’unità sanitaria medesima (artt. 10, 14 e 15 della legge 23 dicembre 1978, n. 833); organi di governo dell’USL erano l’assemblea generale, costituita dal Consiglio comunale nel caso di USL monocomunale, o dall’assemblea della Comunità montana o dell’associazione dei Comuni nel caso di USL pluricomunale, e dal comitato di gestione eletto dall’assemblea, ovvero in determinate ipotesi gli organi della Comunità montana o il consiglio circoscrizionale (art. 15 della legge n. 833 del 1978). Pertanto i dipendenti delle USL, ancorché inquadrati in ruoli regionali, erano formalmente dipendenti di una struttura del Comune o dei Comuni associati, e i professionisti convenzionati con la USL avevano come soggetto giuridico di riferimento il Comune o i Comuni associati.

In questo quadro, si comprende che il legislatore, nel regolare i rapporti fra elettorato passivo comunale e personale delle USL, o con esse convenzionato, abbia ritenuto, con scelta discrezionale giustificata dagli stretti rapporti di dipendenza e di compenetrazione fra USL e Comuni, di stabilire una specifica causa di incompatibilità con le cariche di Sindaco e assessore del Comune (nel caso di USL monocomunale o infracomunale), o dei Comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti ricompresi nella USL (nel caso di USL pluricomunale), oltre che con le cariche negli organi di governo della USL (componente del comitato di gestione, presidente dell’assemblea generale, presidente o componente della giunta della Comunità montana o componente del consiglio circoscrizionale nel caso in cui a tali organismi fossero attribuiti i poteri di gestione della USL): che è appunto quanto disponeva l’art. 8 della legge n. 154 del 1981.

La configurazione giuridica delle unità sanitarie locali venne però profondamente mutata dal d.lgs. n. 502 del 1992, nell’ambito di un disegno poi ulteriormente sviluppato e modificato dal d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, e dal d.lgs. n. 229 del 1999. Reciso il "cordone ombelicale" fra Comuni e USL, non più "strutture operative" dei medesimi, la USL venne configurata come azienda dipendente dalla Regione, strumentale per l’erogazione dei servizi sanitari attribuiti alla competenza della Regione medesima, dotata di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale, rappresentata e gestita sotto ogni aspetto da un direttore generale nominato dalla Regione (art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992). I Comuni e i loro organi (Sindaci o, nelle USL pluricomunali, conferenza dei Sindaci) hanno mantenuto poteri di intervento, fra l’altro nella forma di definizione delle "linee di indirizzo per l’impostazione programmatica delle attività", di esame dei bilanci, di verifica dell’ "andamento generale dell’attività", di contributo alla definizione dei piani programmatici, di parere sulla verifica dei risultati conseguiti, di proposta o parere per la decadenza o la revoca del direttore generale, di nomina di uno dei membri del collegio sindacale, il quale collegio presenta relazioni sull’andamento dell’attività al Sindaco o alla conferenza dei sindaci (art. 3, comma 14, art. 3-bis, commi 6 e 7, art. 3-ter, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 502 del 1992). Tuttavia il complessivo assetto del governo, della gestione e del finanziamento delle aziende sanitarie mostra che i Comuni sono coinvolti fondamentalmente solo in quanto enti esponenziali delle collettività locali, chiamati ad esprimerne le esigenze rispetto all’organizzazione e allo svolgimento dei servizi, ma non come amministrazioni responsabili, direttamente o indirettamente, dell’erogazione dei servizi medesimi e della gestione aziendale.

In questo nuovo quadro, il legislatore della riforma delle USL si preoccupò bensì di disciplinare lo status del direttore generale della USL (e dei direttori amministrativo e sanitario che lo coadiuvano), stabilendo, oltre che la ineleggibilità di tali soggetti a membro del Parlamento e dei consigli regionali, provinciali e comunali, la incompatibilità degli uffici medesimi con le cariche di membro delle predette assemblee nonché di Sindaco e di assessore comunale (indipendentemente dagli specifici legami territoriali della singola azienda con singoli Comuni: art. 3, comma 9, del d.lgs. n. 502 del 1992); non intervenne invece (presumibilmente anche in vista della sede in cui operava, che era quella di deleghe per il riordino dei servizi sanitari, e non dell’ordinamento degli enti locali) a coordinare con il nuovo assetto delle USL la preesistente disciplina delle incompatibilità con le cariche elettive locali, prevista dall’art. 8 della legge n. 154 del 1981.

In sede applicativa ci si pose il problema di quale fosse la sorte di tale norma, e anzi l’amministrazione degli Interni espresse più volte, attraverso risposte a quesiti, la convinzione che il mutato rapporto fra USL e Comuni avesse comportato la cessazione della incompatibilità per il venir meno della sua ratio. La tesi dell’abrogazione tacita della citata norma non venne però condivisa dalla giurisprudenza, in particolare da quella di legittimità, la quale ritenne che non fosse venuta meno la ragione ispiratrice della specifica causa di incompatibilità alla carica di Sindaco, "in quanto, pur nell’arretramento dei poteri gestori di dette unità sanitarie (ora ASL) operanti sul territorio, in corrispondenza all’avanzamento dei poteri delle Regioni…i rapporti tra Comune e ASL non sono stati del tutto recisi", permanendo un ruolo del Sindaco o della conferenza dei sindaci da cui deriverebbe l’immanente possibilità di conflitto di interessi tra Sindaco e componente della struttura sanitaria (cfr., fra le altre, Cass., 20 ottobre 2001, n. 12862).

Analogamente il Consiglio di Stato, chiamato a rendere parere sulla questione, espresse bensì l’avviso che, a seguito della trasformazione delle USL in enti vigilati dalla Regione, "lo stesso presupposto della incompatibilità sembra essere venuto meno", ma che ciò non autorizzasse a ritenere intervenuta l’abrogazione tacita della norma sulla incompatibilità, poiché nessuna disposizione sopravvenuta consentiva all’interprete di "formulare ipotesi di abrogazioni non solo implicite, ma anche indirette, perché conseguenti non ad un riordino complessivo della materia elettorale, ma al riordino di altra materia" (Sez. I, parere 5 aprile 2000, n. 309/99).

8.– In questa situazione è intervenuta la delega per il nuovo testo unico sull’ordinamento degli enti locali, conferita al Governo con l’art. 31 della legge n. 265 del 1999 perché venissero "riunite e coordinate le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei Comuni e delle Province e loro forme associative" (comma 1) in un testo che avrebbe dovuto contenere fra l’altro "le disposizioni sull’ordinamento in senso proprio e sulla struttura istituzionale, sul sistema elettorale, ivi comprese l’ineleggibilità e l’incompatibilità…" (comma 2); nella redazione del testo unico si sarebbe dovuto avere riguardo in particolare, oltre che alla stessa legge n. 265 del 1999, ad una serie di altre leggi fra le quali veniva esplicitamente menzionata la legge n. 154 del 1981 (comma 3, e specificamente lettera e).

Si è trattato dunque di una delega complessiva, ad ampio raggio, espressamente destinata a investire, per la prima volta, anche la materia delle ineleggibilità e delle incompatibilità, e mirata al "coordinamento", non solo formale, delle disposizioni vigenti, risalenti a leggi emanate in epoche molto diverse fra loro.

Per quanto riguarda il tema qui considerato, il Governo delegato si trovava di fronte ad una legislazione, quella del 1981, dettata in vista di un preciso assetto istituzionale delle unità sanitarie locali, rispetto al quale si era a suo tempo ritenuto opportuno dettare una specifica disciplina delle incompatibilità, evidentemente collegata a quell’assetto. Il profondo mutamento di quest’ultimo, intervenuto con il d.lgs. n. 502 del 1992 e con i successivi provvedimenti, non consentiva di ritenere immutata la ratio o il fondamento giustificativo della incompatibilità in parola, che riguardava tutti i dipendenti delle USL e i professionisti con esse convenzionati, visti come appartenenti ad una struttura facente capo ai Comuni, singoli o associati. Né vi erano disposizioni sopravvenute che si facessero carico di coordinare tale disciplina con la nuova configurazione delle strutture del servizio sanitario, eventualmente anche introducendo, come solo il legislatore avrebbe potuto fare, una disciplina più articolata delle incompatibilità, fondata su eventuali diverse rationes, e riferita a specifiche figure di appartenenti a dette strutture.

Indubbiamente l’assenza di nuovi interventi legislativi concernenti tale incompatibilità rendeva difficile ragionare in termini di sopravvenuta abrogazione implicita della norma del 1981: tesi questa, infatti, come si è detto, non accolta nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa. Ma nella sede legislativa delegata ciò non solo non impediva, bensì anzi sollecitava, in vista della finalità di coordinamento anche sostanziale attribuita al testo unico, una riconsiderazione della disciplina, che tenesse conto dei mutati rapporti istituzionali fra USL e Comuni, e operasse dunque anche quel coordinamento fra i due sistemi normativi, relativi rispettivamente alla organizzazione delle USL e all’ordinamento dei Comuni, che prima di allora il legislatore non aveva avuto occasione di attuare.

In questo quadro la scelta del legislatore delegato, di abrogare l’art. 8 della legge n. 154 del 1981 senza riprodurne il contenuto nel testo unico, e quindi di far venir meno la causa di incompatibilità, limitandosi invece a riprodurre le cause di ineleggibilità e di incompatibilità previste dal d.lgs. n. 502 del 1992 per le nuove cariche delle USL, non può ritenersi eccedere l’ambito del compito di coordinamento conferito con la legge di delega. Coordinare (non solo formalmente) vuol dire infatti anche adeguare la disciplina al nuovo quadro complessivo, derivato dal sovrapporsi, nel tempo, di norme dettate in vista di situazioni e di assetti diversi, anche eliminando dai testi legislativi norme la cui ratio originaria non trova più rispondenza nell’ordinamento, e che quindi non appaiono più razionalmente riconducibili, quanto meno nella loro portata originaria, all’assetto in vigore.

9.– Le considerazioni finora svolte conducono a ritenere infondata la questione anche sotto il profilo, sollevato dal Tribunale di Forlì, degli articoli 3 e 97 della Costituzione.

Il remittente ritiene che l’assenza della incompatibilità fra la carica di Sindaco e l’ufficio di primario di divisione nel locale ospedale violi gli indicati principi costituzionali.

In realtà, da un lato, non si può dire che la funzione del sanitario, che ha essenzialmente compiti di direzione tecnica di servizi, e non di gestione dell’azienda, lo collochi istituzionalmente in una posizione di interferenza o conflitto potenziale con le funzioni di Sindaco del Comune, tale da rendere costituzionalmente necessaria la incompatibilità dal punto di vista dei principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione: specie se si tiene presente che la eleggibilità alle cariche rappresentative locali è contenuto di un diritto, che può essere compresso solo in vista di esigenze costituzionalmente rilevanti, il cui apprezzamento richiede per lo più – anche se non sempre necessariamente – una interposizione del legislatore.

Dall’altro lato, il confronto che viene operato con la posizione del direttore generale e dei direttori amministrativo e sanitario della USL, per i quali sussiste la incompatibilità con tutte le cariche elettive locali, regionali e nazionali, evoca un tertium comparationis non idoneo, poiché non sussiste certo omogeneità di posizioni fra titolari degli uffici preposti alla gestione dell’azienda USL e dipendenti di questa con compiti tecnico-sanitari, come i primari; né è confrontabile, per portata e ratio, la incompatibilità sancita per i primi con le cariche elettive ad ogni livello e indipendentemente dal rapporto territoriale, con quella che il remittente vorrebbe reintrodurre rispetto alla sola carica di Sindaco del Comune, il cui territorio coincide con quello in cui opera l’azienda.

10.– Le conclusioni raggiunte in ordine alla disposizione abrogativa di cui all’art. 274, comma 1, lettera l, del d.lgs. n. 267 del 2000 valgono, evidentemente, anche in relazione agli artt. 63 e 66 dello stesso testo unico, impugnati dal Tribunale di Forlì nella parte in cui non prevedono la predetta causa di incompatibilità.

11.– Deve invece essere dichiarata inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Macerata in ordine all’art. 275 del testo unico di cui al d.lgs. n.267 del 2000: l’impugnazione, che non è sorretta da alcuna specifica motivazione, concerne una disposizione la cui unica portata è quella di sostituire alle norme abrogate quelle corrispondenti del testo unico, ai fini dei richiami ad esse che siano contenuti in altre disposizioni normative.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 274, comma 1, lettera l, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sollevate rispettivamente, in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Forlì e, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale di Macerata con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 63 e 66 del predetto d.lgs. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Forlì con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 del predetto d.lgs. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale di Macerata con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2003.

F.to:

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2003.

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