CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, SEZ. I CIVILE – Decreto 15 gennaio 2002 - Pres. Nastro, Rel. Putaturo - Iuorio (Avv. Sparano) c. Ministero della Giustizia (Avv.ra Stato).
Giustizia civile - Legge Pinto (L. n. 89/2001) - Giudizio risarcitorio proposto per violazione della durata ragionevole del processo - Ove manchi l’indicazione esatta dell’oggetto e della durata che ha avuto il processo per ragioni non addebitabili al ricorrente - Va dichiarato inammissibile ex art. 125 c.p.c.
E’ da ritenere inammissibile un ricorso proposto ai sensi dell’art. 6 della legge Pinto (L. n. 89/2001) nel caso in cui, in violazione dell’art. 125 c.p.c. (espressamente richiamato dall’art. 3 comma 2 della stessa L. n. 89/2001), in esso non sia stato indicato "l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l’istanza" al fine di porre in grado l’Amministrazione della Giustizia di esercitare il diritto di difesa nel termine assolutamente ristretto concessole dalla legge per replicare all’altrui domanda (alla stregua del principio nella specie la Corte di Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile un ricorso ex art. 6 della L. n. 89/2001, constatato che il ricorso stesso non conteneva un idoneo riferimento agli estremi del processo nel quale si sarebbe verificata la pretesa violazione dell’art. 6 della convenzione ed in esso mancava qualsivoglia deduzione di una lunga durata del processo per ragioni non addebitabili alla parte ricorrente o di una sproporzione tra il grado di complessità della vicenda giudiziaria e il termine occorso per la pronuncia giudiziale e difettava perfino la semplice indicazione della durata del processo - ovvero dello stato attuale in caso di pendenza, e, con precisione, della sua data di inizio) (1).
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(1) Sulla legge Pinto (il cui testo è riportato in questa rivista elettronica, alla pag. http://www.giustamm.it/leggi/L_2001-89.htm ) v. sempre in questa rivista:
E. A. APICELLA, Il danno da irragionevole durata del processo. Primi problemi applicativi, n. 12/2001, pag. http://www.giustamm.it/articoli/apicella_durataprocesso.htm
G. DELL’AIRA, Il diritto al termine ragionevole del processo e la tutela con le procedure interne previste dalla l. 89/01. Processo tributario, processo amministrativo e processo penale, in www.giustamm.it, n. 11/2001, pag. http://www.giustamm.it/articoli/dell'aira_l89-2001.htm
A. SOGNAGLIONI, Il pubblico impiego ed il diritto ad un processo equo: una questione aperta, in www.giustamm.it, pag. http://www.giustamm.it/articoli/sonaglionia_pubimpiego.htm
CORTE D’APPELLO DI TORINO, SEZ. II CIV.- Decreto 5 settembre 2001 n. 1157, pag. http://www.giustamm.it/ago1/cappelloto_2001-1157.htm (dichiara inammissibile una richiesta di risarcimento danno ai sensi della c.d. legge Pinto, affermando che ogni avvocato "funziona da moltiplicatore delle cause" e che i difensori "sono i creatori della crisi della giustizia").
RILEVATO IN FATTO CHE:
Con ricorso depositato il 15/10/2001, Iuorio Antonina adiva la Corte di Appello di Napoli, ai sensi della L. n. 89/2001 esponendo:
che nel 1985 aveva proceduto ad espropriazione immobiliare della metà del fabbricato sito in Capaccio Scalo e costruito dal marito Manna Bernardino su suolo acquistato soltanto dallo stesso, ma con danaro e risparmi comuni realizzati durante il matrimonio e nella vigenza del regime di comunione dei beni; che detta procedura era rimasta pendente in attesa della definizione di altre vertenze tra essa ricorrente ed il coniuge;
che essa Iuorio vantava nei confronti del Manna un consistente credito, sia per lo scioglimento dell’attività esercitata insieme al suddetto (scuola guida), sia a titolo di credito risarcitorio derivante dall’avere essa ricorrente contribuito, nella misura del 50%, alla costruzione del detto fabbricato, di esclusiva proprietà del coniuge come aveva statuito la sentenza non definitiva del Tribunale di Salerno nella causa inerente; che il G.E., non avendo mai il Manna depositato il rendiconto relativo ai beni pignorati, aveva nominato un nuovo custode dei beni, nonché un legale della custodia;
che, peraltro, non si era provveduto "ad osservare ed adempiere" il provvedimento presidenziale e l’ordinanza del Giudice che disponevano entità e moralità dell’assegno mensile da corrispondere ad essa ricorrente anche per alimenti; che essa Iuorio, successivamente aveva subito ancora gravissimi e maggiori danni morali e materiali, giacchè, con la nomina di un nuovo custode e del legale di detta custodia, non aveva più percepito né dal marito, né dal terzo obbligato Taddeo Mario, né dal custode giudiziario, né dal legale della custodia l’assegno coniugale presidenziale, determinato a suo favore nell’ambito del procedimento di separazione fra i coniugi; che essa ricorrente, in data 24/11/1998, aveva adito la Corte di Strasburgo.
Chiedeva, pertanto, un’equa ripartizione nella misura di L. 750.000.000, o nella somma maggiore o minore ritenuta equa e giusta, con vittoria di spese della precedente e della presente procedura, con distrazione al procuratore costituito.
Con decreto in data 15/10/2001 il Presidente della Corte fissava l’udienza in Camera di Consiglio del 5/12/2001, con termine alla ricorrente fino al 19/11/2001 per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto alla controparte.
A seguito di detta notifica, avvenuta il 6/11/2001, con comparsa 26/11/2001 si costituiva in giudizio, per il Ministero della Giustizia, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli e chiedeva, in via principale, la declaratoria di inammissibilità o di nullità del ricorso per indeterminatezza; in via subordinata, il rigetto del ricorso per infondatezza e carenza di prova, in via ancora più subordinata, nella denegate ipotesi di accoglimento del ricorso, la determinazione del danno equitativamente, tenendo conto dei limiti imposti dall’art. 3 comma 7 L. n. 89/2001.
Deduceva, in particolare, quanto all’inammissibilità del ricorso, che la ricorrente non aveva dimostrato, ai sensi dell’art. 6 comma 1 L. n. 89/2001, che non era intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso presentato dalla suddetta Corte Europea dei diritti dell’uomo, e, quanto alla nullità del ricorso medesimo, il difetto di specificità di quest’ultimo, nel quale mancava una compiuta esposizione dei fatti e l’indicazione dell’Autorità Giudiziaria del cui comportamento si doleva, nonché ogni indicazione sui motivi per cui la prospettata vicenda integrasse i presupposti di applicabilità della norma invocata, e, cioè, perché la durata del giudizio dovesse considerarsi eccessiva alla stregua dei parametri indicati dalla legge. Sottolineava al riguardo, la mancata indicazione dei fatti costitutivi, del nesso causale e del danno derivante, apoditticamente quantificato senza specificazione dell’ammontare di quello patrimoniale e di quello non patrimoniale.
Nel merito, il Ministero resistente evidenziava la mancata dimostrazione dell’esistenza di un danno, peraltro equamente riparabile con un indennizzo e non con un vero e proprio risarcimento, causato dal superamento del termine ragionevole di durata del processo, ed, in particolare, del nesso causale.
All’udienza in Camera di Consiglio del 5/12/2001 il procuratore della ricorrente depositava note di udienza da allegare al verbale e la causa veniva riservata alla decisione del Collegio.
OSSERVA IN DIRITTO:
La domanda proposta da Iuorio Mariantonina va dichiarata inammissibile.
Ed, invero, anche a volere ritenere la domanda proponibile, ai sensi dell’art. 6 L. n. 89/2001, per essere stato presentato il ricorso nel termine di cui al citato articolo – termine, peraltro, prorogato al 18/4/2002 in forza del D.L. 12/10/2001 n. 370 -, giacchè non risulta intervenuta – e ciò può presumersi dal fatto che, a seguito della nota 27/7/2001 della Cancelleria della Corte di Strasburgo, a distanza di poco più di due mesi è stato depositato (5/10/2001) il ricorso in esame – una dichiarazione sulla ricevibilità del ricorso presentato dalla Iuorio alla Corte Europea (vedi documentazione in atti), la richiesta della ricorrente deve considerarsi inammissibile per difetto di specificità del ricorso, come evidenziato dal resistente Ministero.
Osserva, infatti, la Corte che, ai sensi dell’art. 125 CPC, espressamente richiamato dall’art. 3 comma 2 L. n. 89/2001, il ricorso introduttivo deve indicare, tra l’altro, "l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l’istanza" al fine di porre in grado l’Amministrazione della Giustizia di esercitare il diritto di difesa (che certamente anche ad essa compete) nel termine assolutamente ristretto concessole dalla legge per replicare all’altrui domanda; termine che può limitare lo spatium deliberandi dell’intimata a un minimo di 15 giorni o addirittura di 10 giorni (essendo previsto il termine, peraltro ordinatorio, sino a cinque giorni prima dell’udienza camerale per il deposito di memorie).
Orbene, il ricorso introduttivo nel caso in esame, come non ha mancato di sottolineare il Ministero resistente, non solo non contiene un idoneo riferimento agli estremi del processo nel quale si sarebbe verificata la pretesa violazione dell’art. 6 della convenzione ed all’Autorità Giudiziaria processualmente interessata, ma è totalmente e rigidamente muto nell’indicazione della violazione del termine ragionevole, mancando qualsivoglia deduzione di una lunga durata del processo per ragioni non addebitabili alla parte ricorrente o di una sproporzione tra il grado di complessità della vicenda giudiziaria e il termine occorso per la pronuncia giudiziale, e difettando perfino la semplice indicazione della durata del processo (ovvero dello stato attuale in caso di pendenza), e, con precisione, della sua data di inizio.
Anzi, mentre l’espresso richiamo, contenuto nel ricorso, agli atti allegati, al fine dell’enunciazione dei fatti costitutivi e delle ragioni su cui si fonda il diritto fatto valere, fa ritenere che il processo oggetto della valutazione della Corte circa la sua durata ragionevole sia quello relativo allo scioglimento dell’attività di scuola guida ed alla pretesa creditoria della Iuorio in relazione al suo contributo nella costruzione del fabbricato realizzato dal coniuge – circostanza confortata dalla produzione nell’udienza camerale di una CTU redatta su incarico del G.I., conferito all’ausiliare in detto giudizio all’udienza del 7/4/99 -, dalla lettura del ricorso contraddittoriamente emerge, viceversa, che la vicenda processuale, della cui irragionevole durata si duole la ricorrente, concerne un’espropriazione immobiliare sul fabbricato medesimo nei confronti del marito Manna Bernardino, rimasta pendente in attesa della definizione di altre vertenze tra la Iuorio ed il coniuge (scioglimento dell’attività di scuola guida esercitato dai coniugi insieme e credito risarcitorio della ricorrente nei confronti del marito per aver contribuito, nella misura del 50%, del fabbricato rimasto, in forza di sentenza non definitiva del Tribunale di Salerno, di esclusiva proprietà del coniuge.
Inoltre, sembra dedursi, dal tenore del ricorso, una doglianza nel merito della vicenda processuale, certamente non esaminabile, né rilevante in questa sede, atteso che la Iuorio lamenta che il G.E., non avendo mai il Manna depositato il rendiconto relativo ai beni pignorabili, abbia nominato un nuovo custode dei beni, nonché un legale della custodia; che non si sia provveduto "ad osservare ed adempiere" il provvedimento presidenziale e l’ordinanza del Giudice che disponevano entità e modalità dell’assegno mensile da corrispondere alla Iuorio anche per alimenti (provvedimenti presi nel processo di separazione personale dei coniugi) che la nomina di un nuovo custode e del legale di detta custodia abbia di fatto, non più permesso alla Iuorio di percepire né dal marito, né dal terzo obbligato Taddeo Mario, né dal custode giudiziario, né dal legale della custodia, l’assegno coniugale presidenziale, determinato a suo favore nell’ambito del procedimento di separazione fra i coniugi.
Ne risulta una sintetica e singolare commistione tra i vari processi in cui è parte l’attuale ricorrente (separazione personale; scioglimento dell’attività esercitata insieme al coniuge e pretesa creditoria dell’istante nei confronti del marito; espropriazione immobiliare nei confronti del marito Manna Bernardino) che non soltanto rende inattuabile un corretto esercizio del diritto di difesa da parte del ministero resistente, ma non consente a questa Corte di valutare i presupposti di applicabilità della norma invocata, e, cioè, di esaminare se ed in quali termini la durata del giudizio (di quale?) sia da considerare eccessiva alla stregua dei parametri indicati dalla legge, e se possano ritenersi sussistenti, ed in quale misura, i fatti costitutivi del diritto all’equa ripartizione, il nesso causale ed il danno derivante dal mancato rispetto del "delai raisonnable".
E’, dunque, come si è detto, rivestono particolarmente rilevanza, ai fini della declaratoria di inammissibilità della domanda, il fatto che gli atti allegati espressamente richiamati nel ricorso introduttivo e posti a fondamento dello stesso riguardino esclusivamente il giudizio di cognizione instaurato dalla Iuorio nei confronti del coniuge per lo scioglimento dell’attività di scuola guida e la pretesa creditoria fatta valere e non già il processo di espropriazione immobiliare prospettato nell’atto introduttivo ed indicato, per le carenze connesse e la sua durata, come fonte di danno per la ricorrente, e la conseguente contraddittorietà emergente nella domanda di equa riparazione.
Tale circostanza, infatti, rende, oltre che privo di specificità e delle indicazioni occorrenti, estremamente equivoco il ricorso de quo, e, conseguentemente, inammissibile la domanda.
Né può ritenersi che le singole vicende processuali formino un unicum (cosa che, peraltro, non sembra, nella specie, neanche prospettata dalla ricorrente che, come si ricava dalle note della Cancelleria di Strasburgo 7/1/99, 13/12/99 e 2/4/2001 – vedi in fascicolo della Iuorio -, ha presentato alla Corte Europea tre distinti ed autonomi ricorsi per le rispettive vicende processuali dei tre giudizi), da valutare complessivamente, giacchè la lettera e la ratio delle L. n. 89/2001 non lo consentono, come emerge, con chiarezza, dal comma 2 dell’art. 2, dal comma 1 dell’art. 3 e dall’art. 4 l.c., ove testualmente il riferimento è a singoli procedimenti conclusi o estinti o pendenti. Senza contare che una diversa interpretazione, poi, potrebbe consentire un’agevole elusione della disposizione relativa al termine di proponibilità del ricorso per equa riparazione (art. 4), nel cso di procedimenti già conclusi.
Quanto alla genericità del ricorso, infine, deve osservarsi che, fermo restando quanto precedentemente detto, non può, al fine di interpretare la domanda, comunque utilizzarsi il riferimento alla violazione del termine ragionevole contenuto nell’epigrafe del ricorso, trattandosi di richiamo rimasto del tutto vuoto e slegato dagli enunciati "oggetto e ragioni della domanda", sui quali solo si basano "le conclusioni e l’istanza". Nessun valore, conseguentemente, possono avere le successive integrazioni in Camera di Consiglio, in relazione alle quali, a prescindere dalla permanenza della genericità anche in tale sede, va detto che una domanda iniziale assolutamente carente dei requisiti di legge (rispetto alla ci notifica all’Amministrazione viene concesso un ristrettissimo termine di difesa) non può ritenersi suscettibile di integrazione (ovvero di sostituzione con altra), risultandone altrimenti violati i principi di "giusto processo", senz’altro valevoli anche per il resistente Ministero.
La domanda proposta da Iuorio Mariantonina, per tutte le considerazioni innanzi svolte, va, quindi, dichiarata inammissibile.
Per il principio di soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente le spese processuali sostenute dal Ministero resistente, che vengono liquidate, tenuto conto della somma richiesta dalla Iuorio, in L. 2.750.0000, L. 350.000 per diritti (punto 78, III, tabella B della tariffa) e L. 2.400.000 per onorario (punto 49 lett. c, par. X, tabella A della tariffa), oltre alle spese in senso stretto prenotate a debito.
P.Q.M.
Letti gli artt. 2 e segg. L. n. 89/2001,
- dichiara inammissibile la domanda;
- condanna la ricorrente Iuorio Mariantonina al pagamento delle spese processuale in favore del Ministero della Giustizia, spese che liquida complessivamente in L. 2.750.000 (€ 1420,26), di cui L. 350.000 (€ 180,76) per diritti, L. 2.400.000 (€ 1239,50) per onorario, oltre alle spese in senso stretto prenotate a debito.
Così deciso in Napoli, Camera di Consiglio del 12/12/2001.
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Depositato il 15 gennaio 2002.