Giust.it

Legislazione
n. 12-2002.

RICORSO PER LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE della Regione Lombardia 4 novembre 2002 (in G.U. n. 50 del 18 dicembre 2002) - Regione Lombardia (Avv. Beniamino Caravita di Toritto) c. Presidente del Consiglio dei ministri.

Opere pubbliche - Legge n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo) - Infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale - Definizione delle diverse categorie di opere e distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni - Attuazione data alla legge in questione mediante il D.lgs. 20 agosto 2002, n. 190 - Questione di legittimità costituzionale - Va sollevata.

In relazione all'articolo 1, commi 2 e 3, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dell'articolo 5, in relazione al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, dell'articolo 114, primo e secondo comma, dell'articolo 117, commi 1, 3, 4, 6, dell'articolo 118 comma 1 e dell'articolo 120, comma 2 della Costituzione, va sollevata questione di legittimità costituzionale delle seguenti norme del D.lgs. 20 agosto 2002, n. 190:

a) art. 1, commi 1, 2, 3 e 5 primo periodo;

b) art. 7 lett. e);

c) art. 2, commi 1, 3, 5, 7 e 8;

d) art. 3, comma 6;

e) art. 4 comma 4 e 5;

f) art. 13 comma 5;

g) art. 15;

h) art. 19, comma 2 (1).

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(1) V. in precedenza REGIONE TOSCANA - Ricorso 9 ottobre 2002, in questa Rivista, n. 11/2002, pag. http://www.giustamm.it/private/leggi/ricregtoscana_2002-10-09.htm.

 

 

RICORSO

della Regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. VII/10728 del 18 ottobre 2002, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana n. 6;

contro

il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore

per la dichiarazione di illegittimità costituzionale

di alcuni articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, recante "Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 26 agosto 2002 - Supplemento Ordinario n. 174.

FATTO

Il decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 emanato in attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, recante "delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive", disciplina, come recita l'articolo 1, comma 1:

- la progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonchè l'approvazione dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443;

- le opere per le quali l'interesse regionale è concorrente con il preminente interesse nazionale, da individuarsi nell'ambito del programma predetto, con intese generali quadro tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma, stabilendo che per tali opere le regioni o province autonome partecipano, con le modalità indicate nelle stesse intese, alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, in accordo alle normative vigenti ed alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate.

Nel dettare tale disciplina il d.lgs. individua le competenze dello Stato e delle regioni in materia stabilendo che:

- l'approvazione dei progetti delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici di cui al comma 1 dell'art. 1 (sopraccitati) avviene d'intesa fra lo Stato e le regioni nell'ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni secondo le previsioni dettate dalla legge n. 443/2001 e dallo stesso d.lgs.;

- le procedure di aggiudicazione di tali strutture sono disciplinate dalle norme dettate dallo stesso d.lgs. e quindi dallo Stato;

- per quanto concerne invece tutte le altre attività contrattuali o organizzative relative a tali opere quelle di cui al comma 1 dell'art. 1) diverse dalla approvazione dei progetti e dalle procedure di aggiudicazione le regioni applicano il d.lgs. n. 190/2002 fino a quando non decidano di disciplinare la materia con legge regionale e comunque nel rispetto dei principi di cui alla legge n. 443/2001 per tutte le materie oggetto di legislazione concorrente;

- per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi diversi da quelli di cui al comma 1 dell'art. 1, sono fatte salve le competenze dei comuni, delle città metropolitane, delle province e delle regioni in materia di progettazione, approvazione e realizzazione.

Sempre l'articolo 1, al comma 7, definisce, alla lett. e), le opere per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale come quelle "infrastrutture, individuate nel programma di cui al comma 1, non aventi carattere interregionale o internazionale, per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle regioni o province autonome alle procedure attuative".

Sempre allo stesso comma, sono definite di carattere interregionale o internazionale "le opere da realizzare sul territorio di più regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale".

L'articolo 2 individua le attività del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

L'articolo 3 disciplina, rispettivamente, il "progetto preliminare", le procedure di "VIA" e di "localizzazione" delle opere.

In particolare, il comma 5 prevede che il progetto preliminare è approvato dal CIPE, il quale decide a maggioranza, con il consenso, ai fini della intesa sulla localizzazione, dei presidenti delle regioni e province autonome interessate, che si pronunciano, sentiti i comuni nel cui territorio si realizza l'opera.

Il successivo comma 6 disciplina il procedimento attraverso il quale si perviene all'approvazione del progetto preliminare in caso di motivato dissenso delle regioni o province autonome interessate, dettando regale distinte per l'ipotesi in cui il progetto preliminare abbia ad oggetto le infrastrutture di carattere interregionale o internazionale (lettera a), e per l'ipotesi in cui abbia ad oggetto le altre infrastrutture ed insediamenti produttivi (lett. b).

L'articolo 4 disciplina il progetto definitivo e la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.

L'articolo 5 regola la programmazione e la gestione della risoluzione delle interferenze alla realizzazione delle infrastrutture.

Gli articoli 6, 7, 8, 9, 10 e 11 disciplinano, rispettivamente, le modalità di realizzazione dell'opera, la concessione di costruzione e gestione delle infrastrutture, le proposte dei promotori, l'affidamento della realizzazione dell'opera al contraente generale, le procedure di aggiudicazione ed il collaudo delle infrastrutture.

L'articolo 12 regola le modalità di risoluzione delle controversie relative all'esecuzione dei contratti per la realizzazione delle infrastrutture.

L'articolo 13 è dedicato agli insediamenti produttivi e alle infrastrutture private strategiche per l'approvvigionamento energetico. L'articolo 14 detta norme sul processo amministrativo che abbia ad oggetto le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture e degli insedianti produttivi e le relative attività di espropriazione, occupazione asservimento.

L'articolo 15 affida al Governo il compito di provvedere ad integrare con l'emanazione delle "ulteriori disposizioni necessarie alla migliore realizzazione delle intrastrutture", secondo le modalità previste dalla legge quadro, il regolamento nonchè gli altri regolamenti adottati ai sensi della legge quadro.

L'articolo 16 detta norme transitorie e derogatorie.

Gli articoli 17, 18, 19 e 20 disciplinano le procedure per la valutazione di impatto ambientale delle grandi opere.

Nel definire le attribuzioni dello Stato e delle regioni in materia di grandi opere, il d.lgs. n. 190/2002, lede profondamente le competenze riconosciute alle regioni dalla Costituzione e risulta pertanto illegittimo per i seguenti motivi di

DIRITTO

1. - Violazione degli articoli 117, commi 1, 3, 4, e 6 e 118, comma 1, della Costituzione, nonchè violazione dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 1, comma 2, della legge n. 443/2001, da parte dell'articolo 1, commi 1, 2, 3, 5, primo periodo, 7, lett. e) del d.lgs. n. 190/2002.

L'articolo 1 opera una distinzione tra le infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale e gli insediamenti produttivi strategici e le infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale e quelle opere per le quali l'interesse regionale è concorrente con il preminente interesse nazionale, prevedendo solo per le seconde la partecipazione delle regioni -, con le modalità indicate in non meglio definite "intese generali quadro" tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma - alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio. Lo stesso articolo 1, al comma 5, individua, una terza categoria di opere: le infrastrutture e gli insediamenti produttivi diversi da quelle di cui al comma 1, dell'art. 1, in ordine alle quali fa salve le competenze delle regioni in materia di progettazione, approvazione e realizzazione.

Alle tre categorie di opere così come individuate dall'articolo 1, comma 1 e 5 corrispondono diversi regioni e, in particolare, una diversa distribuzione delle competenze tra lo Stato e le regioni.

In particolare, secondo quanto stabilito dai successivi commi dell'art. 1, con riguardo alle opere di cui al comma 1 - ossia quelle di preminente interesse nazionale e quelle in cui vi è un "concorso tra l'interesse regionale ed il preminente interesse nazionale" - le regioni:

- sono sostanzialmente estromesse dal comma 3 dell'art. 1 dalle procedure di aggiudicazione;

- partecipano all'approvazione dei progetti attraverso un'intesa che, sia per i progetti preliminari che per quelli definitivi, rischia di perdere di significato in caso di motivato dissenso delle regioni, essendo la decisione finale attribuita a livello centrale, come risulta dal combinato disposto della previsione generale di cui all'articolo 1, comma 2 e, rispettivamente, da quelle dettate dall'art. 3 comma 6 (relativo all'approvazione dei progetti preliminari), dall'art. 4, comma 5 (relativo all'approvazione del progetto definitivo), dall'art. 13, comma 5 (relativo all'approvazione dei progetti relativi agli insediamenti produttivi e infrastrutture private strategiche per l'approvigionamento energetico), disposizioni che saranno censurate nel dettaglio nei paragrafi successivi;

- hanno potestà legislativa nel limitato ambito delle attività contrattuali e organizzative diverse da quelle di cui al comma 2 (approvazione dei progetti) e comma 3 (procedure di aggiudicazione) e nel rispetto dei principi fondamentali di cui alla legge n. 443/2001 per le materie di potestà concorrente;

- nelle materie di cui al punto precedente, le regioni sono comunque tenute a rispettare le norme dettate dal d.lgs. n. 190/2002, fino alla emanazione di una diversa disciplina regionale, secondo quanto stabilito dal comma 5 dell'art. 1 (censurato al par. 3.). Solo con riguardo alle opere diverse da quelle di cui al comma 1, il d.lgs. fa salve le relative competenze regionali in materia di progettazione, approvazione dei progetti e realizzazione. La stessa definizione di "opere nelle quali sussiste un concorso dell'interesse regionale con il preminente interesse nazionale", di cui al comma 7, lett. e) dell'articolo 1, e richiamata dal comma 1, risulta lesiva delle competenze regionali non essendo ricomprese in tale categoria le opere di interesse interregionale e internazionale nelle quali potrebbe comunque sussistere un interesse regionale legato alla localizzazione dell'opera nel territorio di una regione (disposizione censurata nel dettaglio al par. 2).

D'altra parte, il generico riferimento contenuto nel comma 1, all'intesa quadro tra il Governo e la singola regione interessata, per la individuazione delle opere nelle quali sussiste un concorso tra l'interesse regionale ed il preminente interesse regionale non offre alcuna garanzia alle regioni, non essendo la stessa intesa nè disciplinata direttamente nè attraverso un rinvio alla legislazione statale in materia.

Alla luce delle considerazioni che precedono le norme dettate dall'articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 7, lett. e) risultano profondamente lesive delle competenze legislative e amministrative delle regioni. In particolare, ledono le competenze regionali, da un lato, le definizioni delle diverse categorie di opere, dall'altro, la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le regioni che ne costituisce l'immediata conseguenza.

In proposito va considerato che, in ragione della loro localizzazione, tutte le opere pubbliche sono per definizione di interesse regionale: tale interesse potrà essere in alcuni casi esclusivo o prevalente, in altri casi paritario rispetto all'interesse nazionale, in altri casi minore rispetto al prevalente interesse nazionale ma, in ogni caso, sempre presente.

A ciò si aggiunga che allo stato attuale le più importanti decisioni in materia di grandi opere sono prese a livello comunitario dai governi nazionali, mentre tutte le attività che conducono alla realizzazione dell'opera sono comunque necessariamente dislocate a livello regionale e locale. Si tratta, tra l'altro, di un modello imposto dall'art. 117 della Costituzione, che, al primo comma, stabilisce chiaramente quale limite alla potestà legislativa statale e regionale, il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.

Ora se si considera che a seguito della Riforma del Titolo V della Costituzione le regioni sono divenute titolari di numerose competenze legislative in materia di opere pubbliche, la lesione operata dall'articolato in esame delle nuove competenze regionali appare ben evidente.

Ai sensi del nuovo testo dell'art. 117, comma 3, Cost. le regioni sono infatti sicuramente titolari, per quanto concerne le opere pubbliche, della competenza legislativa concorrente in materia di porti ed aereoporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, nonchè in materia di governo del territorio, materia che senza dubbio attiene a settori quali l'edilizia e l'urbanistica poste in stretto rapporto con il settore delle opere pubbliche.

Ed è incontestabile che nelle materie di legislazione concorrente le regioni dettano la disciplina di dettaglio salvo la determinazione da parte dello Stato dei principi fondamentali.

Parte della dottrina sostiene, inoltre, che, non essendo la materia delle opere pubbliche o dei lavori pubblici contemplata fra quelle di competenza statale elencate dall'art. 117, comma 1, essa debba ritenersi attribuita alla potestà legislativa esclusiva delle regioni di cui al comma 4 dell'art. 117 Cost.

A ciò sia aggiunga che, ai sensi del comma 6 dell'art. 117, spetta alle regioni la potestà regolamentare nelle materie in cui sono dotate di competenza legislativa, nonchè la titolarità delle relative funzioni amministrative: il primo comma dell'articolo 118 Cost., infatti, nell'attribuire le funzioni amministrative ai comuni, contiene un'indicazione generale e di principio nel senso che le funzioni amministrative devono essere svolte dai comuni, quale luogo principale e fondamentale di svolgimento delle funzioni amministrative.

Pertanto, pur volendo aderire alla tesi interpretativa più restrittiva, che limita la competenza regionale in ordine alle opere pubbliche a quella concorrente, le norme evidenziate risultano comunque illegittime laddove estromettono completamente le regioni da alcuni procedimenti (art. 1, comma 3), limitano profondamente o addirittura annullano la partecipazione regionale, riservando la decisione finale in caso di dissenso allo Stato (art. 1, comma 2, nel combinato disposto con l'art. 3, comma 6, l'art. 4, comma 5 e l'art. 13, comma 5), circoscrivono profondamente l'ambito della competenza legislativa delle regioni (art. 1, comma 5, primo periodo), escludono a priori la sussistenza di un interesse regionale in ordine ad alcuni tipi di opere, quali quelle aventi carattere interregionale o internazionale (art. 1, comma 1, e art. 1, comma 7, lett. e).

Nè la presenza di un interesse nazionale nella materia de qua legittima il superamento della "ripartizione costituzionale delle materie attraverso l'assegnazione al potere normativo statale delle questioni che, qualunque sia la materia a cui ineriscono, rivelino una valenza talmente elevata per la nazione intera da esigere un trattamento uniforme su tutto il territorio dello Stato" (A. Baldassarre, Parere pro veritate in tema di spettacolo).

Secondo questa tesi "in definitiva, tanto l'espressa tutela dell'unitarietà della Repubblica contenuta nell'art. 5 Cost., quanto la comparazione con gli Stati politicamente decentrati, inclusi quelli federali, portano a concludere che, pur non essendo menzionato, nel vigente art. 117, l'interesse nazionale conserva integra la propria invalidità anche nel nuovo Titolo V.

La tesi, invero, non pare condivisibile e ciò non perchè siano comparsi interessi nazionali unitari, bensì giacchè questi operano nel tessuto costituzionale in maniera profondamente diversa e giammai potrebbero condurre alla introduzione surrettizia di un nuovo criterio di riparto delle materie.

Basti invero considerare che, non solo negli elenchi dell'art. 117, secondo e terzo comma, non esiste un criterio di riparto legato all'interesse nazionale, ma addirittura si attribuiscono alla potestà legislativa concorrente materie specificatamente definite di rango nazionale (quali la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia). Così se la eventuale dimensione dell'interesse nazionale non è nel vigente testo della Costituzione elemento indicatore della competenza legislativa statale (vedi l'attribuzione alla potestà concorrente delle grandi reti di trasporto e di navigazione, porti e aereoporti civili, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia) non è certo possibile introdurre siffatto criterio come criterio ulteriore e implicito di sottrazione delle competenze alle regioni e di attribuzione allo Stato.

Come si è già detto, ciò non significa negare la rilevanza di una sfera anche importante e significativa di interesse nazionale, ma solo sostenere che esso opera in maniera profondamente diversa da come si era finora abituati.

Unitari interessi nazionali potranno essere fatti valere:

ex ante, da parte dello Stato, facendo riferimento a quegli specifici e distinti titoli abilitativi che gli permettono di intervenire trasversalmente al fine di costruire una disciplina unitaria (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti in diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, tutela di profili unitari della disciplina di impresa, del lavoro e delle professioni etc.), ovvero attraverso la posizione di principi nelle materie di legislazione concorrente;

ex ante, da parte delle regioni stesse, attraverso forme e meccanismi di coordinamento interregionale, anche sulla base di indicazioni provenienti dai principi posti dalla legge statale ovvero in ragione di esigenze unitarie indicate dallo Stato o infine per dare attuazione in modo unitario alla normativa comunitaria;

ex post, da parte dello Stato, attraverso l'intervento sostitutivo del Governo ogni volta che siano messi in pericolo, fra l'altro, l'unità giuridica ed economica del paese.

Postulare che l'interesse nazionale costituisca criterio ulteriore di distribuzione delle materie tra Stato e regioni integrativo di quelli previsti nell'art. 117 significa disattendere la lettera e la ratio della riforma del Titolo V.

L'illegittimità costituzionale delle disposizioni citate è ancora più evidente se si considera che il decreto legislativo n. 190/2002 attua la legge delega n. 443/2001, la quale, nell'attribuire la delega al Governo in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e altri interventi per il rilancio delle attività produttive, afferma che ciò debba avvenire "nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni".

Tali norme violano pertanto anche l'articolo 76 della Costituzione.

L'illegittimità delle norme dettate dall'articolo 1, inoltre, si riflette su tutta l'impostazione del d.lgs. n. 190, contenendo le suddette norme la definizione delle categorie delle opere e la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le regioni dalla quale dipende la disciplina dettata dagli articoli successivi delle singole fasi che conducono alla realizzazione dell'opera, qui di seguito dettagliatamente censurati.

Da ultimo si anticipa che sulle norme dettate dall'articolo 1, commi 1, 2 e 3 le regioni hanno presentato in sede di Conferenza unificata emendamenti irrinunciabili che il Governo non ha successivamente accolto (per la relativa censura cfr. par. 8)

2. - Violazione dell'articolo 117, commi 3, 4, 6, e 118, comma 1, della Costituzione nonchè violazione dell'art. 76 della Costituzione in relazione all'articolo 1, comma 2, della legge n. 443/2001, da parte dell'articolo 1, comma 7, lett. e), del d.lgs. n. 190/2002.

L'articolo 1, comma 7, del d.lgs. n. 190/2002 reca una serie di definizioni atte a rendere maggiormente intelleggibile il testo del decreto.

La lettera e), del comma 7, stabilisce che le "opere per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale" sono quelle "intrastrutture, individuate nel programma di cui al comma 1, non aventi carattere interregionale o internazionale, per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle regioni o province autonome alle procedure attuative".

La lettera e), del comma 7, dell'art. 1 indica anche il significato da attribuirsi alle "opere aventi carattere interregionale o internazionale" definendole come quelle "opere da realizzare sul territorio di più regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale".

Le definizioni di "opere per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale" e di opere aventi "carattere interregionale o internazionale", di cui alla lettera e) del comma 7 dell'art. 1 risultano irragionevoli, oltre che fortemente lesive delle competenze riconosciute alle regioni dagli articoli 117, commi 3, 4, 6, 118, comma 1, perchè, esplicitamente, escludono che possano definirsi" opere per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale", quelle opere da realizzare nel territorio di più regioni o Stati, ovvero quelle opere che siano collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale. Non può, infatti, ragionevolmente negarsi che il concorso dell'interesse nazionale con l'interesse regionale possa ben configurarsi proprio in riferimento a quelle opere che siano destinate ad essere dislocate nei territori di più regioni o, con riguardo alle opere aventi i profili dell'internazionalità, alle infrastrutture interessanti i territori di uno Stato estero e della/e regioni con esso confinanti.

Il solo fatto della "localizzazione" di una parte dell'opera sul territorio di una regione determina, infatti, il coinvolgimento di un interesse regionale e, conseguentemente, la legittimazione della regione interessata all'esercizio nel proprio territorio delle competenze ad essa riconosciute dalla Costituzione

Tali disposizioni, escludendo a priori ogni partecipazione regionale per quelle opere che devono essere localizzate, almeno in parte, nel territorio regionale, ledono, pertanto, gli articoli 117, commi 3, 4, 6, 118, comma 1 della Costituzione nonchè l'articolo 76 della Costituzione in relazione all'art. 1, comma 2, della legge n. 443/2001 che ha imposto al Governo il rispetto, nell'esercizio dei poteri delegati, delle attribuzioni costituzionali delle regioni.

3. - Violazione dell'articolo 117, comma 3 e 4, della Costituzione da parte dell'articolo 1, comma 5, del d.lgs. n. 190/2002.

L'articolo 1, comma 5, del d.lgs. n. 190/2002 stabilisce che:

"le regioni, le province, i comuni, le città metropolitane, gli enti pubblici dagli stessi dipendenti ed i loro concessionari applicano per le proprie attività contrattuali ed organizzative, diverse da quelle di cui ai commi 2 (approvazione progetti) e 3 (approvazione dei progetti), relative alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, le norme del presente decreto legislativo fino all'entrata in vigore di una diversa normativa regionale, da emanarsi nel rispetto dei principi della legge 21 dicembre 2001 n. 443, per tutte le materie oggetto di legislazione concorrente".

Secondo la suddetta disposizione, il legislatore statale è autorizzato a continuare a legiferare in un ambito di riconosciuta spettanza regionale, fino a quando le regioni non adottino le rispettive leggi regionali.

Il potere attribuito al legislatore statale è sicuramente lesivo del nuovo riparto di competenze, così come delineato dal legislatore costituzionale dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001, perchè attribuisce al legislatore statale un potere normativo, sebbene cedevole, che sicuramente non gli compete.

Come è noto, l'art. 117, comma 3, prevede che "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".

Il successivo comma 4 prevede a sua volta che alle regioni spetta la potestà legislativa "piena" in riferimento ad ogni materia non riservata alla legislazione dello Stato.

A fronte di un così chiaro tenore letterale, non si può ammettere che le leggi statali emanate dopo la Riforma del Titolo V, da un lato, contengano norme di dettaglio, sia pure cedevoli, nelle materie di competenza concorrente e che, dall'altro, dettino la disciplina di materie riservate alla competenza esclusiva delle regioni.

Ed infatti, l'ingerenza di una normativa statale di dettaglio nelle materie di competenza regionale può essere ammissibile, in forza del principio di continuità, solo per quelle leggi statali che erano già vigenti alla data di entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001: tali leggi, cioè, continuano ad essere applicate fino a quando il legislatore regionale non eserciti la propria competenza legislativa al fine di assicurare la "continuità" della disciplina della materia, ossia al fine di evitare che si crei un vuoto nella regolazione di una materia. Anche dalla recente giurisprudenza della Corte si evince chiaramente che il principio di continuità si applica alle norme legislative e regolamentari vigenti prima della entrata in vigore della Riforma. In proposito, nella sentenza n. 376/2002, si legge:

"D'altronde, mentre la sorte dei regolamenti che fossero stati legittimamente emanati prima della riforma, in base alla norma impugnata, discenderebbe dal principio di continuità, per cui restano in vigore le norme preesistenti, stabilite in conformità al passato quadro costituzionale, fino a quando non vengano sostituite da nuove norme dettate dall'autorità dotata di competenza nel nuovo sistema (cfr. sentenza n. 13 del 1974), le regioni non mancherebbero di strumenti processuali per censurare eventuali nuove manifestazioni di potestà regolamentare statale, che fossero ritenute in contrasto con le attribuzioni ora ad esse spettanti ..".

Il principio di continuità e la conseguente cedevolezza delle leggi statali a fronte di una nuova disciplina regionale non può, dunque, valere per le leggi statali emanate dopo l'entrata in vigore della Riforma, pena la violazione, per le materie di competenza concorrente, del disposto dell'art. 117, comma 3, e, per le materie di competenza esclusiva regionale, dell'art. 117, comma 4, Cost. Tale interpretazione è suffragata da ampia parte della dottrina secondo la quale, a causa della nuova posizione della legge regionale (divenuta fonte di competenza generale), sarebbe ormai da escludere la possibilità di ragionare in termini di semplice "preferenza" della fonte regionale, con connessa ammissibilità di fonti statali cedevoli, dovendosi ritenere costituzionalmente illegittime tutte quelle disposizioni statali che disciplinino, sebbene sotto forma di normativa di dettaglio cedevole, materie che il legislatore costituzionale ha voluto attribuire alla potestà legislativa delle regioni. Si chiede, pertanto, che codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 190/2002 nella parte in cui prevede che le regioni applicano le disposizioni del d.lgs. n. 190 fino alla entrata in vigore di una diversa disciplina regionale.

4. - Violazione dell'art. 114, comma 1 e 2, dell'art. 117, comma 3, 4, 6 dell'art. 118, comma 1, dell'art. 120, comma 2, della Costituzione e del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni da parte degli articoli 3 comma 6, 4 comma 5, e 13 comma 5 del d.lgs. n. 190/2002.

4.1. - L'articolo 3 del d.lgs. n. 190/2002 disciplina il procedimento per l'approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture.

Il comma 5, dell'articolo 3 prevede che il progetto preliminare deve essere approvato dal CIPE con il consenso "ai fini dell'intesa sulla localizzazione" dei presidenti delle regioni e province autonome interessate, che si pronunciano, sentiti i comuni nel cui territorio si realizza l'opera.

Il successivo comma 6 discipline l'ipotesi in cui le regioni e le province autonome manifestino il proprio motivato dissenso in ordine al progetto preliminare, distinguendo a seconda che si tratti di progetti preliminari aventi per oggetto infrastrutture di carattere interregionale o internazionale, ovvero progetti preliminari aventi ad oggetto "le altre infrastrutture e insediamenti produttivi".

a.a. Nel primo caso ("infrastrutture di carattere interregionale o internazionale") l'articolo 3, comma 6, lett. a), prevede che il progetto preliminare venga sottoposto alla valutazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, alla cui attività istruttoria partecipano i rappresentanti delle regioni o delle province interessate. Sulla base di tali valutazioni il CIPE assume le proprie definitive determinazioni e, se permane il dissenso delle regioni, l'approvazione del progetto preliminare può essere comunque effettuata mediante decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e, per le infrastrutture di competenza di altri Ministeri, di concerto con il Ministro delle attività produttive o altro Ministro competente per materia, sentita la commissione parlamentare per le questioni regionali.

b.b. Nel caso di progetti preliminari aventi per oggetto "le altre infrastrutture e insediamenti produttivi", l'art. 3, comma 6, lett. b) prevede che, in caso di dissenso delle regioni, si provveda ad una nuova valutazione del progetto, a mezzo di un collegio tecnico costituito d'intesa tra il Ministero e la regione o provincia autonoma interessata.

Ove permanga il dissenso sono previste due ipotesi alternative: o il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti propone al CIPE, d'intesa con la regione o la provincia autonoma interessata, la sospensione della infrastruttura o dell'insediamento produttivo, in attesa di nuova valutazione, oppure il CIPE può disporre l'avvio della procedura prevista per le infrastrutture o insediamenti produttivi di carattere interregionale o internazionale.

4.2. - La procedura prevista dal comma 6, dell'articolo 3, lede fortemente il ruolo riconosciuto alle regioni dall'art. 114, comma 1 e 2, e le competenze ad esse attribuite regioni dall'art. 117, commi 3, 4, e 6 dall'art. 118, comma 1, perchè, soprattutto con riguardo alle infrastrutture di cui alla lett. b) - quelle evidentemente per le quali l'interesse regionale è più marcato - relega il ruolo delle regioni a destinatari passivi di provvedimenti assunti a livello centrale, in materie che, come visto, sono riconducibili alle competenze regionali per il solo fatto della localizzazione dell'opera sul territorio della regione.

Le regioni, infatti, a fronte dell'approvazione del progetto preliminare a mezzo d.P.R. non possono che prendere atto della decisione finale.

La procedura contemplata dal comma 6 dell'art. 3 potrebbe configurare un intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni, allorchè il motivato dissenso fosse interpretato come una forma di inadempimento regionale nell'esercizio di competenze alle stesse attribuite. Che l'approvazione del progetto preliminare sia un atto rimesso anche alla competenza regionale Io confermano le altre disposizioni dello stesso d.lgs. n. 190/2002: il comma 5, dell'art. 3 del d.lgs n. 190/2002 prevede che debba essere il CIPE ad approvare il progetto preliminare, con il consenso, ai fini della localizzazione, dei presidenti delle regioni e Province autonome interessate; il comma 7, lett. h), dell'art. l del d.lgs n. 190/2002 d'altra parte, definisce il CIPE come "Comitato interministeriale per la programmazione economica, integrato con i presidenti delle regioni e province autonome di volta in volta interessate dalle singole infrastrutture e insediamenti produttivi".

In ogni caso, anche a voler ritenere che la procedura delineata dal comma 6, integri un potere sostitutivo del Governo, la legittimità costituzionale di tale disposizione alla luce di quanto disposto dal comma 2 dell'art. 120 Cost. resta tutta da dimostrare.

Sembra, in primo luogo da escludere che la mancata approvazione del progetto preliminare integri uno dei presupposti che legittimano l'intervento sostitutivo statale di cui all'art. 120, comma 2, Cost. ("mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure in caso di grave pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica e dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali").

Anche a voler ritenere che la mancata approvazione del progetto integri una di tali fattispecie, il comma 6 dell'art. 3 risulta parimenti illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione, richiamato dallo stesso art. 120, comma 2, Cost., perchè si limita a disporre che ai fini dell'emanazione del suddetto atto venga sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali, quando avrebbe dovuto quanto meno essere interpellata la Commissione integrata di cui all'art, 11 della legge cost. n. 3/2001.

Con particolare riguardo alla procedura prevista dalla lettera b), del comma 6 (motivato dissenso a progetti preliminari riguardanti le infrastrutture e gli insediamenti produttivi diversi da quelli aventi carattere interregionale o internazionale) si sottolinea, inoltre, come entrambe le alternative previste risultino inadeguate: sono evidenti, nella prima ipotesi (sospensione del progetto preliminare in attesa di una nuova valutazione), l'insufficienza di un rimedio incentrato sulla semplice sospensione; nella seconda (rinvio alla procedura prevista per le infrastrutture o insediamenti produttivi di carattere interregionale o internazionale), l'inadeguatezza di un meccanismo che consente di applicare la medesima procedura per le infrastrutture di carattere interregionale anche ai progetti in cui l'interesse regionale è più consistente.

Da ultimo si evidenzia che anche in questo caso la proposta di emendamento irrinunciabile presentata dalle regioni in sede di Conferenza unificata non è stata accolta.

Le regioni, infatti, chiedevano che per le infrastrutture a carattere internazionale o interregionali il ricorso al d.P.R. per l'approvazione del progetto preliminare fosse soluzione a cui ricorrere solo nei casi in cui le regioni non avessero presentato progetti alternativi o questi fossero stati giudicati impraticabili dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici allargato alla partecipazione di rappresentanti dalle regioni e province autonomi interessati (cfr. par. 8).

4.3. - Per le motivazioni sopra esposte appaiono parimenti censurabili, l'articolo 4, comma 5, e l'articolo 13, comma 5, del d.lgs n. 190/2002 nella parte in cui rinviano, entrambi, in caso di dissenso delle regioni o delle province autonome, alla procedura regolata dall'art. 3, comma 6 del d.lgs n. 190/2002.

L'articolo 4 del d.lgs n. 190/2002 disciplina il procedimento per l'approvazione del progetto definitivo delle infrastrutture e per la conseguente dichiarazione di pubblica utilità.

Il comma 5, dell'articolo 4 prevede che l'approvazione del progetto definitivo, venga adottata "con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del CIPE"; tale approvazione è destinata a sostituire ogni "altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato. In caso di motivato dissenso della regione e della provincia autonoma si provvede con le modalità di cui all'articolo 3, comma 6".

L'articolo 13 del d.lgs n. 190/2002 disciplina gli insediamenti produttivi e le infrastrutture private strategiche per l'approvvigionamento energetico.

Il comma 5, nel disciplinare l'approvazione del progetto stabilisce che:

"L'approvazione del CIPE è adottata a maggioranza dei componenti con l'intesa dei presidenti delle regioni e delle province autonome interessate. L'approvazione sostituisce, anche ai fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione, approvazione, parere e nulla osta comunque denominato, costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere, e consente la realizzazione e l'esercizio delle infrastrutture strategiche per l'approvvigionamento energetico e di tutte le attività previste nel progetto approvato. In caso di dissenso della regione o provincia autonoma si provvede con le modalità di cui all'articolo 3, comma 6".

Le censure già rivolte al comma 6, dell'art. 3 debbono pertanto estendersi anche agli articoli 4, comma 5, e 13 comma 5 nella parte in cui rinviano a tale norma per la disciplina dell'eventuale dissenso delle regioni.

5. - Violazione dell'art. 117, comma 3, 4, e 6, dell'art. 118, comma 1, e dell'articolo 76 della Costituzione in relazione all'art, 1, comma 2, della legge n. 443/2001 da parte dell'art. 4, comma 5 del d.lgs n. 190/2002.

L'articolo 4, comma 5, deve, inoltre, essere censurato nella parte in cui non coinvolge adeguatamente le regioni nella fase di approvazione del progetto definitivo.

Tale norma, infatti, si limita a prevedere che l'approvazione del progetto definitivo è adottata "con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del CIPE", mentre, diversamente, l'art. 3, comma 5, relativo al progetto preliminare, prevede che tale progetto è approvato "a maggioranza dal CIPE con il consenso, ai fini della localizzazione, dei presidenti delle regioni e province autonome interessate".

D'altra parte, anche con riguardo agli insediamenti produttivi e infrastrutture private strategiche per l'approvvigionamento energetico l'art. 13, comma 5, analogamente a quanto previsto dall'art. 3, comma 5, prevede che "l'approvazione del CIPE è adottata a maggioranza dei componenti con l'intesa dei presidente delle regioni e delle province autonome interessate".

Tale diversità di disciplina tra le tre fattispecie esaminate (approvazione progetto preliminare, approvazione progetto definitivo, approvazione dei progetti di insediamenti produttivi e infrastrutture private strategiche per l'approvvigionamento energetico) risulta irragionevole e immotivata.

D'altra parte, l'articolo 4, comma 5, attribuisce al CIPE poteri troppo ampi rispetto agli effetti che il provvedimento è destinato a produrre: la delibera di approvazione del progetto definitivo è, infatti, destinata a sostituire "ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato" (art. 4, comma 5). Le regioni, dal canto loro, non sono poste nelle condizioni di potere influire, in modo determinante, sulle decisioni del CIPE. L'articolo 4, comma 5, viola pertanto, l'art. 117, comma 3, 4, 6 e 118, comma 1, della Costituzione.

Anche in questo caso, inoltre, il Governo non ha tenuto conto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, secondo quanto prescritto dall'art. 1, comma 2, della legge di delega, la legge n. 443/2001: la norma pertanto viola, sotto questo profilo, l'art. 76 Cost.

D'altra parte in relazione a tale norma le regioni avevano presentato un emendamento irrinunciabile in sede di espressione del parere in Conferenza unificata, richiedendo che l'approvazione del progetto definitivo avvenisse d'intesa con le regioni.

Tale norma viola, pertanto, come si vedrà al par. 8 a cui si rinvia, nuovamente l'art. 76 della Costituzione.

Il mancato coinvolgimento delle regioni di cui all'articolo 4, comma 5, risulta poco chiaro anche in relazione a quanto stabilito in via generale dall'art. 1, comma 2, laddove tale norma dispone che "l'approvazione dei progetti delle infrastrutture ed insediamenti di cui al comma 1 avviene d'intesa tra lo Stato e le regioni nell'ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni e province autonome interessate, secondo le previsioni della legge n. 443/2001 e dei successivi articoli del presente decreto legislativo".

6. - Violazione degli articoli 117, comma 3, 4, e 6 e 118, comma 1, della Costituzione da parte dell'articolo 2, commi 5, 7, 8 del d.lgs. n. 190/2002.

6.1. - L'articolo 2 del d.lgs n. 190/2002 disciplina le attività del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Il comma 5 dell'articolo 2 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti può proporre al Presidente del Consiglio dei ministri la nomina di commissari straordinari destinati a seguire l'andamento delle opere e ad adottare le opportune azioni di indirizzo e di supporto

Circa il potere di nomina dei commissari straordinari, il comma 5 distingue a seconda che si tratti di opere aventi carattere interregionale o internazionale e opere che tali caratteristiche non hanno.

Nel primo caso (opere aventi carattere interregionale o internazionale) la proposta di nomina da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è effettuata "sentiti i presidenti delle regioni o province autonome interessate"; nel secondo caso (opere non aventi carattere interregionale o internazionale), la proposta di nomina è formulata sempre dal Ministro delle infrastrutture, ma d'intesa con il presidente della regione o provincia autonoma o sindaco della città metropolitana interessata.

Si è già contestata sopra l'esclusione da parte dell'art. 1, comma 7, lett. e) dalla categoria delle opere per le quali sussiste un concorrente interesse delle regioni di quelle opere aventi carattere interregionale ed internazionale, in questa sede, ed in coerenza con tale censura, si intende contestare la previsione del comma 5 dell'art. 2 nella parte in cui prevede, per le opere di interesse interregionale e internazionale che devono essere localizzate almeno in parte nel territorio di una regione, che il presidente della regione interessata debba essere solo sentito e non sia prevista anche in questo caso l'intesa.

Con riguardo al comma 5 dell'art. 2 le regioni avevano proposto in sede di Conferenza unificata un emendamento irrinunciabile chiedendo che per le infrastrutture ricadenti nel territorio di una sola regione il commissario straordinario fosse individuato nella persona del presidente della regione o suo delegato.

Anche in questo caso il Governo non ha accolto l'emendamento e per la relativa censura si rinvia a quanto esposto al par. 8.

6.2. - Il comma 7 dell'articolo 2 prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, "su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri competenti, nonchè per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatari regionali, i presidenti delle regioni o province autonome interessate", può abilitare i commissari straordinari ad adottare, in sostituzione dei soggetti competenti e con le modalità ed i poteri di cui all'art. 13 del d.l. n. 67/1997 convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 1997, n. 135, i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi.

Il comma 7 dell'articolo 2, a differenza del comma 5, non ripropone neppure la distinzione tra opere aventi carattere interregionale o internazionale e opere che tali caratteristiche non posseggono (tra le quali, evidentemente debbono essere incluse quelle aventi carattere regionale), sottoponendole tutte, indistintamente, ad un unico regime. Tale uniformità di trattamento risulta sicuramente illegittima oltre che irragionevole, non solo perchè non è giustificata la diversità di trattamento tra i due commi, ma soprattutto perchè nel comma 7 non è previsto alcun coinvolgimento dei presidenti delle regioni.

È infatti previsto esclusivamente l'onere di "sentire" i presidenti delle regioni (anche se sarebbe stato più corretto, anche in questo caso, prevedere un'intesa, analogamente a quanto previsto dal comma 5) solo per le "infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatari regionali".

La disciplina prevista dal comma 7, dell'articolo 2 appare inadeguata perchè il legislatore, anche in ragione di quanto dettato dal comma 5 per le opere "non aventi carattere interregionale o internazionale" avrebbe dovuto quanto meno richiedere, almeno per tali opere, una previa intesa con i presidenti delle regioni interessate.

Anzi si sarebbe dovuto configurare per tali specifici ambiti, una sorta di delega obbligatoria di potere di abilitazione da parte del Presidente del Consiglio agli stessi presidenti delle regioni interessate o almeno richiamare quanto disposto dall'articolo 13, comma 4, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67.

Tale norma prevede, in proposito che nei casi di competenza regionale "i provvedimenti necessari ad assicurare la tempestiva esecuzione" adottati dal commissario straordinario siano comunicati al presidente della regione che, entro quindici giorni dalla ricezione, ne può disporre la sospensione, anche provvedendo diversamente.

La previsione di un commissario straordinario, di nomina governativa, in ambiti di spettanza regionale, quali certamente sono quelli relativi a "infrastrutture non aventi carattere interregionale o internazionale" o "opere di competenza di soggetti aggiudicatari regionali" risulta ancora più illegittima se si considera che il Commissario straordinario può essere abilitato dal Presidente del Consiglio dei ministri ad adottare provvedimenti e atti di qualsiasi natura in sostituzione dei soggetti competenti.

Il generico riferimento ai "soggetti competenti" autorizza a ritenere che tale potere sostitutivo possa riferirsi anche a provvedimenti e atti di competenza regionale.

6.3. - Il comma 8, dell'articolo 2 del d.lgs n. 190/2002 prevede, infine, che i commissari straordinari debbano riferire al Presidente del Consiglio, al Ministro per le infrastrutture e dei trasporti e al CIPE e debbano operare secondo le direttive da questi impartiti.

La disposizione appare ulteriormente lesiva della sfera di autonomia e di intervento regionale nella parte in cui non include tra i soggetti a cui commissari straordinari debbano riferire le regioni.

Peraltro, analogamente al comma 7, anche il comma 8 non distingue fra generi di opere da realizzare e nulla si dice con riferimento alle "opere non aventi carattere interregionale o internazionale" o a quelle di "competenza dei soggetti aggiudicatari regionali".

Le tre disposizioni citate risultano pertanto poste in violazione delle competenze legislative, regolamentari e amministrative riconosciute alle regioni in materia di opere pubbliche dagli artt. 117, comma 3, 4, e 6 e 118, comma 1, della Costituzione.

7. - Violazione degli articoli 117, comma 3, e art. 118, comma l della Costituzione da parte dell'articolo 19, comma 2, d.lgs. n. 190/2002.

L'articolo 19 del d.lgs n. 190/2002 disciplina la valutazione di impatto ambientale, valutazione che è finalizzata a individuare "gli effetti diretti e indiretti di un progetto e delle sue principali alternative, compresa l'alternativa zero, sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull'interazione fra detti fattori, nonchè sui beni materiali e sul patrimonio culturale, sociale e ambientale" nonchè a valutare "le condizioni per la realizzazione e l'esercizio delle opere e degli impianti".

Il comma 2, dell'art. 19 demanda la suddetta valutazione a una commissione speciale all'uopo costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

L'assenza della previsione di una partecipazione regionale (o in termini di potere di nomina o come rappresentanza) lede le competenze attribuite alle regioni dagli articoli 117, comma 3 e 118 comma l della Costituzione.

È sì vero, infatti, l'art. 117, comma 2, lett. s), Cost. attribuisce allo Stato la materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", ma è anche vero che alle regioni spetta, ai sensi del comma 3 dell'art. 117, la "valorizzazione dei beni ambientali" e la competenza legislativa in materia di "governo del territorio" e che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente riconosciuto in capo alle regioni competenze in materia di tutela ambientale (cfr. sentenza Corte cost. n. 407/2002).

La lettera della disposizione dell'art. 117, comma 2, lett. s), necessita, pertanto, di una interpretazione che sia coerente con la giurisprudenza costituzionale in materia.

8. - Violazione dell'art. 76 Cost. in relazione all'art, 1, comma 3, della legge 21 dicembre 2001 n. 443 e al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni di cui all'art. 5 Cost.; violazione degli articoli 117, comma 3, 4, e 6 e 118, comma l della Costituzione, da parte dell'art. 1, commi 1, 2, e 3, dell'art. 2, commi 1, 3, e 5 e, dell'art. 3, comma 6 dell'art. 4, commi 4 e 5 e dell'art. 15.

8.1. - La legge delega 21 dicembre 2001, n. 443, in attuazione della quale è stato emanato il decreto legislativo n. 190/2002, all'art. 1, comma 3, ha stabilito che "i decreti legislativi previsti dal comma 2 sono emanati sentito il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs n. 281/1997, nonchè quello delle competenti commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta".

Il parere positivo della Conferenza unificata è stato acquisito nel corso della seduta del 13 giugno 2002, solo dopo che il Governo aveva annunciato di aver accolto gli emendamenti presentati dalle regioni.

Le regioni, infatti, nel corso della suddetta seduta avevano presentato un documento in cui evidenziavano i cinque emendamenti "ritenuti irrinuniciabili" per l'espressione del relativo parere riguardanti rispettivamente l'articolo 1 commi 1, 2, 3 e 5, l'articolo 2, commi 1, 2, lett. f), 3, 5, l'articolo 3, comma 5; l'articolo 4, commi 4, 4-bis (proposto ex novo dalle regioni) e 5, gli articoli 15 e 21 e lo stralcio dell'intero Capo III.

Le determinazioni assunte dal Governo in sede di approvazione definitiva del decreto legislativo risultano in contrasto con le dichiarazioni rese dallo stesso in sede di Conferenza unificata: il Governo, infatti, nella stesura definitiva del testo non ha accolto gli emendamenti irrinunciabili relativi all'articolo 1, commi 1, 2, e 3, all'art, 2, commi 1, 3, e 5, all'art. 3, comma 6, all'art. 4, commi 4 e 5 e all'art. 15.

Il comportamento tenuto dal Governo non può che comportare l'illegittimità costituzionale delle indicate disposizioni del decreto legislativo in ordine alle quali le regioni avevano presentato emendamenti irrinunciabili e che sono state poi confermate dal Governo.

Se è vero, infatti, che nella seduta del 13 giugno 2002, la Conferenza unificata ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, è anche vero che, nella medesima sede, la Conferenza dei presidenti delle regioni aveva subordinato l'espressione del proprio parere favorevole al recepimento da parte del Governo degli emendamenti richiesti nel documento allegato al verbale della Conferenza unificata del 13 giugno 2002, e che il Governo si era dichiarato disponibile ad accogliere.

8.2. - Le norme indicate violano, pertanto, in primo luogo, l'articolo 76 della Costituzione ponendosi sostanzialmente in contrasto con quanto disposto dall'articolo 1, comma 3, della legge delega.

Solo la lettera della legge è stata infatti nel caso di specie rispettata: è sì vero, infatti, che il parere delle regioni è stato acquisito ma è anche vero che il relativo procedimento è stato sostanzialmente falsato dalla dichiarazione resa dal Governo di aver accettato gli emendamenti ritenuti irrinunciabili dalle regioni, dichiarazione poi smentita dal successivo comportamento del Governo.

In proposito, recentemente, con sentenza n. 206/2001, codesta ecc.ma Corte ha deciso un caso analogo dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 443/1999, recante "Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112".

Tale norma, diretta a modificare l'articolo 29, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 112/1998 era stata censurata dalla Regione Veneto in quanto approvata dal Governo in un testo parzialmente diverso da quello risultante dall'intesa sancita nella Conferenza Stato-regioni.

La norma impugnata, infatti, riduceva le competenze statali in materia di energia rispetto a quanto concordato in sede di Conferenza Stato-regioni.

Con la sentenza n. 203/2001, la Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata, sostenendo che il mancato rispetto dell'intesa raggiunta con le regioni da parte del Governo si poneva in contrasto con la legge delega, la n. 59/1997, violando conseguentemente l'art. 76 Cost.

L'articolo 1, comma 4, lett. c), della legge n. 59/1997, infatti, aveva stabilito che, nella predisposizione degli schemi di decreti legislativi, il Governo avrebbe dovuto acquisire l'intesa con la Conferenza Stato - regioni, specificando che, in mancanza dell'intesa, il Consiglio dei ministri era autorizzato a deliberare motivatamente, in via definitiva, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, nella motivazione della sentenza in commento, codesta ecc.ma Corte ha affermato che "la modifica introdotta nel decreto base daIl'art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 443 è difforme dall'intesa raggiunta, e dunque perviene ad una definizione dell'area dei compiti di rilievo nazionale, conservati in capo allo Stato, diversa da quella concordata.

Poichè il Governo non ha motivato specificamente tale difformità dal testo dell'intesa, essa dà luogo a violazione dell'art. 1, comma 4, lett. c) della legge n. 59/1991, e dunque, indirettamente, a violazione dell'art. 76 della Costituzione"

È evidente che anche nel caso di specie le norme del d.lgs. n. 190/2002 si pongono in aperto contrasto con l'articolo 1, comma 3, della legge delega che aveva imposto l'acquisizione del parere della Conferenza unificata: si tratta, pertanto, di una fattispecie analoga a quella già decisa da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 206/2001.

Nel caso deciso con la sentenza n. 206/2001 era stata disattesa l'intesa prevista dalla legge delega: nel caso oggetto del presente giudizio il Governo, sebbene avesse dichiarato di accettare gli emendamenti presentati dalle regioni, ottenendone il parere favorevole, non si è adeguato allo stesso.

Con sentenza n. 110 del 27 aprile 2001, inoltre, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del d.lgs 30 marzo 1996 perchè adottato senza la previa acquisizione del prescritto parere della regione. Nel motivare la pronuncia, la Corte ha evidenziato che a sostenere la fondatezza del ricorso era proprio il fatto che il decreto legislativo impugnato fosse stato adottato in violazione del procedimento previsto dalla legge delega, che prescriveva al Governo l'obbligo di sentire le regioni interessate (si trattava del d.lgs. n. 96/1999, con il quale il Governo aveva esercitato il potere sostitutivo statale per la ripartizione di funzioni amministrative tra regione ed enti locali ex art. 4, comma 5, legge n. 56/1997).

8.3. - La fattispecie oggetto del presente giudizio non è, invece, assimilabile a quella decisa con la sentenza n. 437/2001, con la quale codesta ecc. ma Corte ha rigettato il ricorso proposto da una regione avverso l'articolo 138, comma 16, della legge n. 388/2000 perché in contraddizione con un precedente impegno assunto dal Governo in sede di Conferenza unificata.

Mentre, infatti, nel caso oggetto del presente giudizio, l'acquisizione del parere della Conferenza unificata costituisce un passaggio imposto dalla legge delega, nella fattispecie giudicata con la sentenza n. 437/2001, come riconosce la stessa Corte "l'impegno, genericamente enunciato dal Governo, di istituire un fondo nazionale di 1000 miliardi di lire per la protezione civile non assume altro valore che quello di una manifestazione politica di intento, che non si inserisce come elemento giuridicamente rilevante nel procedimento legislativo, e tanto meno può costituire parametro cui commisurare la legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate".

Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, il parere della Conferenza Unificata si inserisce come passaggio "giuridicamente rilevante" del procedimento legislativo in forza di quanto previsto dall'articolo 1, comma 3, della legge n. 443/2001.

8.4. - D'altra parte va, comunque, considerato che alla luce delle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 3/2001 al Titolo V della Costituzione, gli strumenti di raccordo tra lo Stato e le regioni hanno assunto un ruolo più significativo soprattutto in considerazione del mutato assetto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni.

Come già ampiamente esposto nei paragrafi precedenti, le regioni sono titolari della competenza legislativa concorrente in numerose delle materie disciplinate dal d.lgs. oggetto del presente giudizio e, addirittura secondo parte della dottrina, anche di competenza legislativa esclusiva proprio in virtù di quanto stabilito dal nuovo testo dell'art. 117, comma 3 e 4, della Costituzione. In tali materie, inoltre, in virtù di quanto stabilito dal comma 6 dell'art. 117, le regioni sono titolari di potestà regolamentare nonché, in virtù di quanto stabilito dall'art. 118 di potestà amministrativa.

La mancata conformazione agli emendamenti presentati dalle regioni in materie che gli articoli 117, comma 3, 4, 6, e 118, comma 1, della Costituzione attribuiscono alle competenze legislativa, regolamentare e amministrativa regionali, comporta, pertanto, inevitabilmente la violazione degli stessi articoli.

Alla luce del mutato quadro costituzionale risulta ancora più incisiva pertanto anche la violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni.

Nella vicenda sottoposta alla valutazione di codesta ecc.ma Corte, la violazione del principio di leale collaborazione appare ancora più forte, giacché il parere favorevole delle regioni è stato ottenuto grazie ad una dichiarazione, resa da un rappresentante del Governo, alla quale non è poi stato dato seguito: il rango costituzionale dei soggetti coinvolti spingeva a ritenere che una dichiarazione di un rappresentante del Governo, resa in Conferenza unificata, avrebbe trovato sicura attuazione.

P. Q. M.

la Regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 76, in relazione all'articolo 1, commi 2 e 3, della legge n. 443/2001, dell'articolo 5, in relazione al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, dell'articolo 114, primo e secondo comma, dell'articolo 117, commi 1, 3, 4, 6, dell'articolo 118 comma 1 e dell'articolo 120, comma 2 della Costituzione, dei seguenti articoli del d.lgs n. 190/2002: articolo 1, commi 1, 2, 3 e 5 primo periodo, 7 lett. e); articolo 2, commi 1, 3, 5, 7 e 8; articolo 3, comma 6; articolo 4 comma 4 e 5; articolo 13 comma 5; articolo 15; articolo 19, comma 2.

Roma, addì 25 ottobre 2002.

(Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto)

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