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n. 4-2007 - © copyright |
GIANLUCA BELFIORE
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L’espropriazione fra Costituzione e CEDU
SOMMARIO: 1. Proprietà ed espropriazione nei lavori della Costituente. - 2. L’espropriazione nella giurisprudenza di Strasburgo. – 3. La parola alla Corte Costituzionale. - 4. Chi deve dare attuazione alla CEDU?
1. Il tema dell’indennizzo conseguente all’espropriazione per pubblica utilità comporta valutazioni di “politica costituzionale” che affondano le loro radici nei lavori della Costituente. In quella sede, infatti, si ebbe modo di esaminare la questione all’interno del dibattito sul diritto di proprietà. La discussione fu particolarmente accesa e le posizioni ivi espresse delle più varie[1].
In Prima Sottocommissione l’argomento che ci occupa fu trattato come parte del tema “principii dei rapporti sociali (economici)”. Nell’ambito di quel consesso vi furono due relazioni in proposito: una dell’On. Togliatti, l’altra dell’On. Lucifero. La motivazione della doppia relazione la troviamo in quella dell’On. Togliatti, ove si legge: «esaminati gli articoli proposti sullo stesso tema dal correlatore onorevole Roberto Lucifero, non potevo trovarmi d’accordo con essi, e diventava superflua la collaborazione, essendo il divario delle concezioni da cui partiamo così profondo da non potersi superare con emendamenti o contaminazioni»[2]. Più “gustosa” la giustificazione che offre l’On. Lucifero: «Purtroppo non ho potuto avvalermi nel mio lavoro della collaborazione, che sarebbe stata certamente preziosa, dell’onorevole Togliatti, perché non mi è stato possibile incontrarlo data la sua assenza da Roma. E certamente per le stesse ragioni egli non ha potuto rispondere alle mie lettere, né esprimermi il suo parere sulla articolazione che, come mio dovere, gli ho mandato in visione»[3]. Il tono acceso, sebbene insolitamente – per chi è abituato al lessico e ai modi dell’attuale classe politica – garbato, denota profonda distanza fra le posizioni dei due commissari. Tale diversità, che è portato di una differente impostazione ideologica, connotò tutto il dibattito in Costituente ed, infine, si risolse nell’alto compromesso dell’art. 42 Cost[4].
In nessuna delle due relazioni, comunque, si prospetta una tutela totale ed assoluta della proprietà privata, volendosi, piuttosto, sottolineare la necessaria subordinazione della proprietà privata dinnanzi all’interesse pubblico e la funzione sociale della prima.
Nella relazione Togliatti l’articolo riguardante la proprietà, al suo III comma recita: «Il diritto di proprietà non potrà essere esercitato in modo contrario all’interesse sociale, né in modo che rechi danno agli altri cittadini. Sarà regolata con legge l’espropriazione per causa di pubblica utilità legalmente costatata»[5]. Si tenga conto che in questa formulazione non compare cenno all’indennizzo e si riconosce ampia discrezionalità alla legge ordinaria nel regolare il fenomeno.
Nella relazione Lucifero, invece, sebbene si affermi che «la vecchia formula quasi religiosa che consacrava questo diritto non mi pare corrispondere ai tempi ed alle concezioni attuali»[6], si propone un articolo che, nei suoi primi due commi, dispone: «I. La proprietà è garantita dallo Stato. II. La espropriazione di beni immobili e la requisizione in proprietà od in uso di beni mobili, di brevetti industriali, di opere dell’ingegno e di imprese, per motivo di necessità pubblica, possono aver luogo soltanto sul fondamento di una legge fondamentale e mediante corresponsione di adeguata indennità»[7]. In questa enunciazione non soltanto compare il termine indennità, ma esso è preceduto dall’aggettivo “adeguata” [8].
Per completezza va evidenziato che nessuna delle precedenti versioni venne accolta dalla I Sottocommissione che, invece, optò per una proposta Tupini-Dossetti-Moro dal seguente tenore letterale: «I. I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere di proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni e dello Stato. II. La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio, viene riconosciuta al fine di garantire la libertà e lo sviluppo della persona e della sua famiglia. III. Allo scopo di rendere la proprietà personale accessibile a tutti, di coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo e di assicurare quindi in concreto il diritto al lavoro e ad una vita degna ed adeguata per tutti i cittadini la legge: determina i modi d’acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata della terra e degli altri mezzi di produzione; riserva allo Stato, ad istituzioni, a comunità di lavoratori o di utenti, la proprietà di determinate categorie di imprese aventi carattere di servizio pubblico o di monopolio di fatto; trasferisce agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, la proprietà di determinate imprese o di determinati complessi di beni»[9]. In tale formula, dove compare il sistema dell’espropriazione con indennizzo (senza ulteriori attributi), si palesa l’opzione dei Costituenti di trattare assieme la questione dell’impresa e della proprietà privata[10], di delineare quel sistema di economia mista che connota la nostra Costituzione economica.
Dibattito ancora più ricco si ebbe (alcuni giorni prima che in I Sottocommissione) in III Sottocommissione. Nella relazione dell’On. Taviani si distinguono con grande chiarezza le due funzioni della proprietà: quella personale e quella sociale[11]. Nell’articolato ivi proposto si stabilisce, fra l’altro, che «l’espropriazione si attua solo contro giusto indennizzo»[12]. Nella prima seduta in cui il consesso si occupa del tema, l’On. Giua rileva quanto inopportuno sarebbe stato utilizzare l’espressione «giusto indennizzo» specie in un momento cui si mirava alla riforma agraria ed industriale[13]. Nella seduta pomeridiana del 27 Settembre, poi, si registra una discussione circa la previsione costituzionale dell’indennizzo conseguente all’atto ablatorio. L’On. Ghidini afferma l’opportunità di considerare alcuni casi di espropriazione senza indennizzo[14], l’On. Canevari ritiene di dover lasciare libero il legislatore di prevedere l’espropriazione senza indennizzo, l’On. Lombardo propone il sistema della «riserva d’indennizzo»[15], ma a fine seduta l’On. Taviani e l’On. Marinaro riescono a fare approvare una formulazione che prevede l’indennizzo[16].
La III Sottocommissione torna a parlare d’indennizzo, in relazione agli atti ablativi sia della proprietà che dell’impresa, nella seduta antimeridiana del 2 Ottobre 1946[17]. In quella sede l’On Ghidini ripropone la necessità che si considerino casi di espropriazione senza indennizzo, a questo si associa l’On. Corbi e l’On. Assennato e a tale proposta si oppongono l’On. Taviani, l’On. Colitto, l’On. Marinaro e l’On. Dominedò. Anche in detta seduta prevale, comunque, dopo lunga ed articolata discussione, con votazione a maggioranza, il sistema dell’espropriazione contro indennizzo.
Si è dato finora conto dei più rilevanti momenti di dibattito che si ebbero nelle due Sottocommissioni. Tale discussione ebbe seguito anche in Assemblea, nella seduta del 13 Maggio 1947[18], sulla base del testo approvato in III Sottocommissione, ove si addivenne alla definitiva formulazione della disposizione concernente la proprietà.
2. La superiore ricostruzione è stata fatta al fine di sottolineare la centralità del tema concernente l’equilibrio fra interesse pubblico e proprietà privata all’interno dei lavori della Costituente[19]. Questo equilibrio, che è strettamente collegato al concetto di forma di Stato, inteso nel senso di rapporto intercorrente tra libertà (dei privati) e (pubblica) autorità, è consacrato nell’art. 42 della Costituzione. Detto articolo segna il passaggio dall’assetto proprietario dello Stato liberale a quello dello Stato sociale che si fonda non sulla sacralità della proprietà, sibbene sulla funzione sociale della stessa[20].
Le questioni su cui la Corte Costituzionale dovrà a breve esprimersi vanno inquadrate nella più ampia giurisprudenza della CorteEDU sull’espropriazione e il conseguente indennizzo. In numerose pronunce, infatti, la CorteEDU adotta un indirizzo che è assolutamente dissonante rispetto allo statuto della proprietà riconosciuto dalla nostra Costituzione[21] e che equipara – se non addirittura antepone – la proprietà privata al pubblico interesse. Tale orientamento è palese nella sentenza Scordino del 29 Marzo 2006, ma già presente nella precedente ex re di Grecia del 28 Novembre 2002 ove s’afferma che «nel caso di espropriazione lecita, solo un indennizzo integrale pari al valore del bene può essere ragionevolmente rapportato al sacrificio imposto».
La CorteEDU ha forgiato una regola in base alla quale, anche in presenza di espropriazione che segua ogni passaggio del procedimento ablatorio legalmente prescritto, è necessario di un indennizzo coincidente al valore di mercato del bene, salvo in alcuni casi che la stessa Corte definisce di pubblica utilità e nei quali ammette un indennizzo ridotto[22].
I casi in cui la CorteEDU rinviene la presenza della pubblica utilità legittimante la deroga all’integralità dell’indennizzo sono, essenzialmente, misure di riforma economica o di giustizia sociale e cambiamenti radicali del sistema costituzionale. Ma a questo punto sorge una domanda fondamentale: possiamo consentire che sia la CorteEDU a stabilire e delimitare il concetto di interesse pubblico? E, quindi, possiamo consentire a quest’organo di determinare quell’elemento fondamentale della forma di Stato che è il rapporto fra proprietà privata ed interesse pubblico?
3. Affermare che la Corte Costituzionale possa dichiarare illegittima la disposizione interna sulla base dell’interpretazione della CEDU fornita dalla CorteEDU significherebbe demandare a quell’ordinamento la scelta politica circa il rapporto intercorrente fra i due principi costituzionali in esame.
Sulla base di quale parametro potrebbe il Giudice delle leggi stabilire che l’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo alla CEDU rende illegittima la normativa interna? Sembra da escludere l’art. 111 Cost. perché lì si parla di giusto processo, nel caso a noi sottoposto si tratta del «procedimento» di espropriazione. Da escludere parrebbe anche l’art. 10 Cost. che è stato tradizionalmente riservato al diritto internazionale consuetudinario[23]. Quanto all’art. 11 Cost., ritenendo che la CEDU non sia “comunitarizzata”[24], abbiamo qualche riserva a considerare che il Consiglio d’Europa rientri a pieno nella previsione ivi contenuta[25]. Il parametro più stringente sembrerebbe, dunque, quello dell’art. 117 co. 1 Cost. interpretato anche alla luce dell’art. 1 della Legge La Loggia[26]. La dizione “obblighi comunitari”, sebbene sia una svista del legislatore del 2001[27], è una “bomba” della cui pericolosità l’interprete deve essere conscio e alle cui potenzialità deflagranti deve tentare di porre argine[28].
Anche qualora, tuttavia, la Corte dovesse riconoscere l’ingresso del diritto CEDU ex art. 117 Cost.[29], dovrebbe, al tempo stesso, escluderne l’applicazione al caso concreto sulla base della cd. “teoria dei controlimiti”. In virtù di detta tesi, elaborata in relazione al Diritto UE[30], si sottraggono all’ingresso diretto quelle disposizioni che non siano conformi ai principi supremi dell’ordinamento ed ai diritti inviolabili dell'uomo. In base alle considerazioni sopra esposte e, in modo particolare, al dibattito costituzionale richiamato, si ritiene che il peculiare rilievo che assume nel nostro ordinamento l’equilibrio fra il diritto di proprietà, la sua funzione sociale e il pubblico interesse sia tale da impedire che fonti – pattizie o derivate – del diritto internazionale possano comprometterlo. Tale teoria, d’altronde, è certamente applicabile anche alle fonti del diritto internazionale, così come è stata utilizzata pure in relazione ai rapporti fra ordinamento interno ed ordinamento canonico, circa l’efficacia delle dispense super rato, nella Sent. C. Cost. n. 18 del 1982[31].
C’è un’altra via per cui la Corte Costituzionale potrebbe escludere l’illegittimità della vigente normativa malgrado l’art. 117 I co. Cost. Potrebbe, infatti, fare perno sul “principio di continuità/unità dell’ordinamento”. Sulla base di tale principio, già utilizzato dalla Corte nella Sent. 389 del 1991 e, con riferimento all’art. 117 novellato, nella Sent. 422 del 2002[32] ha affermato che la questione di costituzionalità va decisa, in base al principio tempus regit actum, avendo riguardo «esclusivamente alle disposizioni costituzionali nel testo anteriore alla riforma», mentre «l’eventuale incidenza delle nuove norme costituzionali» potrebbe dar luogo unicamente «a nuove e diverse possibilità di intervento legislativo della Regione o dello Stato, senza che però venga meno, in forza del principio di continuità, l'efficacia della normativa preesistente conforme al quadro costituzionale in vigore all'epoca della sua emanazione». Atteso che, dunque, che l’art. 5-bis della L. n. 359 del 1992 è precedente alla revisione costituzionale del 2001, la questione di legittimità sarebbe non fondata.
4. Quanto alla disapplicazione da parte del giudice nazionale nella disposizione interna difforme dal diritto CEDU, si ritiene di dovere sposare la posizione espressa e le argomentazioni sostenute dalla Cassazione. Il sistema d’attuazione della CEDU e del suo diritto derivato (le pronunce della CorteEDU), peraltro, non è di matrice propriamente giurisdizionale[33], quanto piuttosto di tipo misto. A seguito dell’XI e del XIV Protocollo, infatti, sebbene vi sia una prevalenza dell’organo giurisdizionale (la Corte), forti poteri sono assegnati anche al Comitato dei Ministri, i cui componenti sono i Ministri degli Esteri degli Stati membri. Ciò significa che l’adempimento segue, in ultima istanza, la via politica e, per una questione di simmetria e nitore del sistema, l’obbligo di conformarsi non può gravare sugli organi giurisdizionali interni, sibbene su quelli legislativi.
In tal senso la L. n. 12 del 2006 riconosce un ruolo centrale nell’adempimento delle pronunce della CorteEDU al Presidente del Consiglio dei Ministri e il DPCM 1 Febbraio 2006 individua nel Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri l’organo che, rapportandosi con «l’Amministrazione competente a conformarsi ai principi convenzionali» e col Parlamento, è a ciò preposto[34].
Pertanto, in relazione ai princìpii di separazione dei poteri e di legalità, il Giudice si occupa di applicare le leggi che il Parlamento, ove lo ritenga, rende compatibili con gli obblighi assunti con la comunità internazionale.
È chiaro che, laddove il legislatore non provveda ad adeguare la legislazione, l’organizzazione internazionale potrà utilizzare il proprio apparato sanzionatorio[35].
Riguardo a quest’ultimo punto ci sia consentito un breve riferimento ad un’altra disposizione che, se da una parte riconosce rilevanza alla CEDU, dall’altra importa uno squilibrio dei rapporti fra Stato ed EE. LL. Si tratta del co. 1217 dell’art. unico della legge finanziaria 2007 (l. n. 296/2006) con cui si attribuisce allo Stato il diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti responsabili dell’inadempimento degli obblighi CEDU.
Avendo nei commi precedenti introdotto l’istituto con riferimento al Diritto UE, il 1217 dispone: «Lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (…)».
Calando la disposizione nel caso dell’espropriazione regolare potrebbe aversi una situazione per cui: un Comune espropria applicando alla lettera la vigente normativa statale, il cittadino espropriato, esaurite le vie interne, si rivolge alla CorteEDU deducendo l’inadeguatezza dell’indennizzo, la CorteEDU condanna lo Stato ex art. 41 CEDU. A questo punto lo Stato può, in forza del richiamato comma della finanziaria, rivalersi sul Comune il quale non ha altra colpa che essersi attenuto al principio di legalità. Tutto ciò pare privo di senso e di dubbia legittimità costituzionale.
In conclusione si ritiene che: il sistema d’indennizzo attualmente vigente per l’espropriazione regolare risponda alle esigenze di contemperamento dell’interesse pubblico e del diritto di proprietà privata su cui s’è fondato tutto il dibattito della Costituente intorno all’attuale art. 42 della Costituzione; che se ciò dovesse confliggere con la CEDU e la Corte dovesse ritenere che tali disposizioni possano configurare parametro interposto ex art. 117 co. 1 Cost. (o anche, sebbene non si ritenga la migliore soluzione, ex art. 11 Cost.), dovrebbe dichiarare la questione non fondata per la “teoria dei controlimiti” o, in subordine (con riferimento all’art. 117 co. 1 Cost), per il “principio di continuità dell’ordinamento”; che alla CEDU bisogna dare applicazione per via politica e non per via giurisdizionale e che il diritto di rivalsa può essere utilizzato come pungolo per gli EE.LL. ad applicare le leggi, ma non come metodo per fare disapplicare la normativa interna difforme dalla CEDU. |
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AVVERTENZA: tutti i documenti relativi all’Assemblea Costituente sono stati tratti dal sito Internet della Camera dei Deputati, si indicherà, pertanto, soltanto la numerazione delle pagine ivi riportata.
[1] Si tenga conto che tanto la I quanto la III Sottocommissione si ritennero competenti alla trattazione degli articoli concernenti la proprietà privata. V. Resoconto della seduta della Prima Sottocommissione del 16 Ottobre 1946, Commissione per la Costituzione, I Sottocommissione, Verbali e Resoconti, 249 ss.
[2] Commiss. per la Costituz., I Sottocommiss., Relaz., 64.
[3] Commiss. per la Costituz., I Sottocommiss., Relaz., 68.
[4] Sull’Art. 42 Cost. v. S. Rodotà, Art. 42, in G. Branca (a c. di), Commentario alla Costituzione, Rapporti Economici, Tomo II, Bologna, 1982, 69 ss. e F. Macario, Art. 42, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a c. di), Commentario alla Costituzione, vol. I, Utet, 2006, 864 ss.
[5] Commiss. per la Costituz., I Sottocommiss., Relaz., 67.
[6] Commiss. per la Costituz., I Sottocommiss., Relaz., 69.
[7] Commiss. per la Costituz., I Sottocommiss., Relaz., 69.
[8] Infra si segnaleranno le motivazioni che hanno spinto il costituente ad omettere ogni aggettivo accanto alla parola indennità.
[9] V. Resoconto della seduta della Prima Sottocommissione del 16 Ottobre 1946, Commissione per la Costituzione, I Sottocommissione, Verbali e Resoconti, 260.
[10] Tale scelta è espressamente motivata nelle relazioni dell’On. Pesenti sull’impresa (Commissione per la Costituzione, III Sottocommissione, Relazioni, 109 ss.) e dell’On. Fanfani sul controllo pubblico dell’economia (Commiss. per la Costituz., III Sottocommiss., Relaz., 119 ss.), svolte in seno alla III Sottocommissione.
[11] Espressioni di analogo tenore sono presenti anche nella relazione dell’On. Pesenti sull’impresa, svolta per la stessa Sottocommissione.
[12] Commiss. per la Costituz., III Sottocommiss., Relaz.,108.
[13] V. Resoconto della seduta della III Sottocommissione del 25 Settembre 1946, Commissione per la Costituzione, III Sottocommissione, Verbali e Resoconti, 71.
[14] Così come faceva l’art. 153 co. 2 della Costituzione di Weimar: «[…] Sie erfolgt gegen angemessene Entschädigung soweit nicht ein Reichsgesetz etwas anderes bestimmt […]» (Salvo che la legge del Reich non disponga altrimenti, deve essere corrisposto all’espropriato un congruo indennizzo).
[15] Per cui non sarebbero automaticamente connessi espropriazione e indennità, ma sarebbe rimesso alla legge ordinaria prevedere i casi in cui riconoscere l’indennizzo. Ciò significa che l’espropriazione senza indennizzo sarebbe la regola, l’espropriazione con indennizzo, invece, l’eccezione.
[16] Per addivenire a questa soluzione si rese necessario rimuovere l’aggettivo «giusto». Nella seduta del 2 Ottobre 1946 l’On. Taviani sottolinea che «ha aderito a togliere l’aggettivo “equo” onde evitare il pericolo di contestazioni da parte di privati sulla entità dello indennizzo stesso» (Commiss. per la Costituz., III Sottocommiss., Verbali e Resoconti,125).
[17] Commiss. per la Costituz., III Sottocommiss., Verbali e Resoconti, 126 ss.
[18] V. il verbale della seduta antimeridiana dell’Assemblea Plenaria a Assemblea Costituente, Verbali delle sedute d'Aula, 3929 ss.
[19] V. S. Rodotà, La proprietà all’assemblea costituente, in Politica del diritto, 1979 fasc. 4, pp. 395 - 422
[20] V. G. Alpa, M. Bessone, L. Francario, Il privato e l’espropriazione, III ed., Milano, 1994 e A. Di Maio, L. Francario, Proprietà ed autonomia contrattuale, Milano 1990.
[21] Del quale la Corte Costituzionale ha specificato il contenuto sin dalla Sent. n. 61 del 1957: «Posta la necessità di coordinazione col pubblico interesse, indennizzo non può significare quell'integrale risarcimento che la difesa sostiene, ma soltanto il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la Pubblica Amministrazione può garentire all’interesse privato».
[22] V. i casi Lithgow c. Regno Unito, 08.07.1986; James c. Regno Unito, 21.02.1987; Papachelas c. Grecia, 25.031999; Kopecky c. Slovacchia, 28.02.2004; Broniowsky c. Polonia 22.06.2004. Talora la Corte ha anche consentito l’espropriazione senza indennizzo: Santi monasteri c. Grecia, 09.12.1994; ex Re di Grecia c. Grecia, 23.11.2000..
[23] V.: A. Cassese, Art. 10, in A. Scialoja e G. Branca (a c. di), Commentario alla Costituzione, Roma-Bologna 1975, 480; A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, I, L’evoluzione del sistema, Torino 1995, 249; V. Crisafulli, Lezioni di Diritto costituzionale, II ed., I, Padova 1970, 69. Su differenti posizioni: R. Quadri, Diritto internazionale pubblico, Napoli 1989, 64 ss.; B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli 1996, 301; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, 442; G. Sorrenti, La Corte corregge il giudice a quo o piuttosto…se stessa? In tema di «copertura» costituzionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in Giurisprudenza Costituzionale, 1999, 2303.
[24] Ma ciò, da solo, non osterebbe all’utilizzo del parametro dell’art. 11 il quale è mai stato unicamente riservato al Diritto UE, essendo nato, piuttosto, per la Società delle Nazioni.
[25] Sul tema della limitazione di sovranità ex art. 11 Cost V. M. Cartabia, L. Chieffi, Art. 11, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a c. di) Commentario alla Costituzione cit., 263 ss. e C. Cost. Sent 170 del 1984.
[26] Sull’art. 117 co. 1 v. M. Luciani, Camicia di forza federale, in La Stampa del 3 marzo 2001 e la stringatissima risposta fornita alle sue perplessità dal Sen. Prof. L. Elia in Senato, rinvenibile nel Resoconto Stenografico della seduta dell’8 Marzo 2001, pag. 49. V. Anche M. Luciani, Le nuove competenze legislative delle Regioni a Statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, in www.associazionedeicostituzionalisti.it e sul fronte del rapporto fra ordinamento interno e ordinamento UE v. I. Nicotra, Norma comunitaria come parametro di costituzionalità tra monismo e dualismo, in Diritto Pubblico, 5.1999, 231 ss. e F. Paterniti, La riforma dell’art. 117, 1° co. della Costituzione e le nuove prospettive nei rapporti tra ordinamento giuridico nazionale e Unione Europea, in I. Nicotra (a c. di), Scritti di diritto costituzionale italiano e comparato, Torino 2005, 35 ss.
[27] Cui nella Riforma della XIV leg.ra si dava rimedio rimuovendo il sintagma dalla formulazione dell’art. 117. V. F. Paterniti, La potestà legislativa regionale – I limiti, in I. Nicotra (a c. di), Il Tempo delle Riforme, Roma 2006, 122 ss.
[28] La Corte Costituzionale, d’altronde, è ormai, suo malgrado, avvezza a porre rimedio agli errori contenuti nel Titolo V riformato.
[29] Ma anche se lo facesse ex art. 11 Cost.
[30] V. la ricostruzione di A. Celotto,Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana: verso il "Trattato costituzionale" europeo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it .
[31] V. sul punto G. Lo Castro, Matrimonio Diritto e Giustizia, Milano 2003, 225 ss.
[32] V.: G. Grasso, La Corte salva la continuità dell'ordinamento giuridico (di fonti di grado legislativo), ma indebolisce la forza delle (nuove) norme costituzionali di modifica del Titolo V, Brevi note sulla sentenza 7-18 ottobre 2002, n. 422, in www.associazionedeicostituzionalisti.it e critico sulla pronuncia A. Ruggeri, Ancora in tema di ius superveniens costituzionale e del suo (mancato) rilievo nei giudizi in via principale (Nota alla sentenza della Corte costituzionale n. 422 del 2002), in www.giurcost.org. Il principio è stato anche utilizzato, per esempio, nelle Sentt. n. 376/2002, 242/2003.
[33] La natura giurisdizionale del sistema dei controlli è sostenuta da A. Guazzaroti, La CEDU e l’ordinamento nazionale: tendenze giurisprudenziali e nuove esigenze teoriche, in Quaderni Costituzionali, 3.2003, 493.
[34] V. C. Ciuffetti, La legge n. 12 del 2006: alla ricerca di un molo parlamentare in tema di attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo, in I diritti dell’uomo, 2.2006, 34 ss.
[35] Nel caso di specie sarà quello predisposto dagli artt. 41 ss. CEDU. |
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(pubblicato il 30.4.2007) |
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