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n. 5-2008 - © copyright |
FABIO SAITTA
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Annullamento non pronunciabile o (inopportuna) preclusione all’autonoma deducibilità del vizio?
Discutendo con Leonardo Ferrara dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (*) |
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1. Quando mi accingo a leggere uno scritto di Leonardo Ferrara, lo faccio sempre con molto entusiasmo perché sono certo di impiegare bene il mio tempo.
La capacità di stupirmi con intuizioni geniali ed interpretazioni originali, che l’amico e collega conferma in ogni occasione, è stata, nella specie, immediata: già un inciso contenuto nel titolo, laddove si parla di «annullamento non pronunciabile», mi ha in certo senso sorpreso, evocando limiti al sindacato giurisdizionale che in passato mi avevano indotto a dubitare della compatibilità dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 – e, prim’ancora, del precedente art. 8, ultimo comma – con l’art. 113 della Costituzione[1].
La sorpresa, che invero ha reso ancora più stimolante il prosieguo della lettura, era, però, destinata a sparire, perché l’Autore – dopo avere, più o meno consapevolmente non è dato sapere, tenuto in ansia i lettori – ha infine (soltanto dopo diverse pagine) opportunamente precisato che la surriportata espressione può essere utilizzata "solo nell’intento di confrontare il nuovo regime con il vecchio (annullamento non più pronunciabile), dato che essa sembra impropriamente coniugare annullabilità astratta e non pronunciabilità concreta"[2].
Come si comprenderà al termine di queste brevi note, era, invece, destinata a durare fino alla fine (e persiste tuttora) l’ulteriore sorpresa generata in me dalla lettura del primo periodo, a conclusione del quale Ferrara, anticipando la conclusione della sua indagine, afferma che l’istituto della partecipazione "risulta valorizzato, piuttosto che compromesso", dalla disciplina dettata dall’art. 21-octies, comma 2[3]. |
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2. Quasi mostrando consapevolezza della provocatorietà dell’esordio, Ferrara prende subito di petto le questioni principali: non pronunciabilità dell’annullamento in rapporto allo stato, più o meno viziato (rectius: anormale), del provvedimento; supposta incostituzionalità della disposizione.
Egli definisce subito poco convincente la tesi secondo cui la novella legislativa avrebbe sostanzialmente codificato alcune tendenze giurisprudenziali intese a valorizzare l’interesse a ricorrere[4].
Ora, se, posta in questi termini lapidari, l’affermazione può forse risultare eccessiva, mi sembra comunque evidente che, al pari dell’art. 8, ultimo comma, della stessa legge, la disposizione in commento abbia ripreso quell’orientamento (non solo giurisprudenziale, ma anche dottrinale) che, collegando la teoria dell’invalidità in diritto amministrativo a quella delle situazioni giuridiche soggettive, aveva affermato che "[l]’interesse del privato, le ragioni della sua tutela vengono allora richiamati per delimitare la rilevanza del vizio: non l’astratto scostamento dal modello normativo determina l’illegittimità dell’atto, ma solo la difformità che danneggia la parte che lo denunci»[5]. In tal senso, del resto, ho il recente conforto sia della giurisprudenza[6] che della dottrina, che ha letto in questo modo l’intervento del legislatore, aggiungendo peraltro che la giurisprudenza successiva al 2005 «non ha fatto altro che dare seguito ad un percorso da anni intrapreso"[7].
Gli argomenti addotti da Ferrara per confutare quest’ultima lettura mi convincono, del resto, solo in parte.
Se sono d’accordo, infatti, sul fatto che al titolare di un interesse legittimo oppositivo può tornare utile anche l’annullamento per vizi meramente formali, ritengo che quest’ultimo possa, invece, giovare poco o nulla al titolare di un interesse legittimo pretensivo, essendo assai rara l’adombrata prospettiva delle sopravvenienze, le quali, peraltro, sono di dubbio rilievo processuale, non foss’altro perché l’interesse a ricorrere dev’essere – com’è noto – concreto ed attuale[8], e non già meramente ipotetico e/o futuribile.
Così come mi lascia sinceramente perplesso l’affermazione secondo cui la tutela avverso l’illegittimità potrebbe risultare anche una ipoprotezione in quanto l’annullamento non potrebbe tutelare, ad es., il valore della trasparenza[9].
Ritengo, infatti, che, se la pubblica amministrazione non considerasse la partecipazione procedimentale del cittadino un inutile fastidio, l’annullamento del provvedimento, seguito dalla rinnovazione del procedimento svolto e concluso all’insaputa dell’interessato, potrebbe bastare a consentire l’emersione di quei fatti e/o interessi che erano stati pretermessi. |
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3. Ferrara comincia quindi a cimentarsi nel tentativo di stabilire il «sesso giuridico»[10] dei provvedimenti (almeno in apparenza) illegittimi, ma non annullabili, confutando le numerose varianti alla tesi secondo cui, nelle ipotesi in esame, l’annullamento non sarebbe pronunciabile per il semplice fatto che il provvedimento sarebbe in realtà legittimo.
Ora, se non si vuole negare che, di regola, il provvedimento amministrativo annullabile è quello illegittimo in quanto adottato in violazione di legge (art. 21-octies, comma 1) e che in questa categoria rientra, sempre tendenzialmente, il provvedimento adottato in violazione delle norme che impongono la comunicazione di avvio del procedimento[11], deve convenirsi sul fatto che osta a tale esegesi, innanzitutto, il dato letterale, che parla di provvedimento non annullabile con riguardo ad un provvedimento che deve presumersi, fino a prova contraria, illegittimo.
Abbiamo, d’altronde, in più occasioni mostrato piena adesione a quella dottrina che, messa di fronte al crescente fastidio della giurisprudenza nei confronti degli annullamenti pronunciati per omessa comunicazione di avvio del procedimento, ha infine osservato che, se le norme sulla partecipazione sono in definitiva ritenute inutili, tanto vale abrogarle[12].
Sono pienamente d’accordo con Ferrara anche quando afferma che non è pertinente rifarsi all’art. 156, comma 3, c.p.c.[13].
Sul punto, infatti, mi pare insuperabile l’obiezione che l’art. 21-octies, comma 2, si muove in un’ottica ben diversa, in quanto rende irrilevante l’omessa comunicazione di avvio del procedimento ancorché non possa certo ritenersi raggiunto lo scopo cui essa era destinata[14]. |
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4. Nel tentativo di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, Ferrara tenta, quindi, di dimostrare che, in simili ipotesi, è il procedimento – e non anche il provvedimento – ad essere illegittimo, sicchè non vi sarebbero problemi di compatibilità con l’art. 113 della Costituzione[15].
Personalmente, resto dell’opinione che solo individuando la chiave di lettura nell’interesse a ricorrere si possa salvare la norma dal contrasto con l’anzidetto precetto costituzionale: solo muovendo dal presupposto che, in ragione dell’effetto vincolante assai blando dell’annullamento per vizi procedimentali[16], in simili casi "non si fa luogo ad annullamento poiché l’eventuale pronuncia di annullamento si rivelerebbe inutiliter data, in quanto l’eventuale caducazione dell’atto impugnato non produrrebbe l’effetto voluto dall’interessato, dovendo l’amministrazione, in esecuzione della sentenza, reiterare un provvedimento di contenuto identico a quello annullato"[17], si riesce, infatti, a coniugare natura processuale della norma[18] e garanzia costituzionale del diritto di difesa nei confronti dei provvedimenti amministrativi.
Tuttavia, avendo già espresso altrove le ragioni del mio dissenso rispetto alle altre possibili interpretazioni[19], mi limito qui a segnalare un’ulteriore, recentissima, opinione, secondo cui il provvedimento, pur illegittimo, non sarebbe, nella specie, annullabile perché l’interessato vanterebbe al riguardo un interesse "illegittimo": l’annullamento sarebbe, pertanto, "diseconomico" (art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990)[20].
Tesi, quest’ultima, a mio avviso opinabile – non essendo dato capire cos’avrebbe di «illegittimo» l’interesse all’annullamento vantato in siffatte ipotesi dal soggetto pretermesso[21] – e corredata di temperamenti assai blandi allo strapotere dell’amministrazione che si verrebbe così a configurare.
Ma, tornando a Ferrara, è soprattutto la conclusione a cui perviene con riguardo al profilo della tutela giurisdizionale che mi sembra troppo sbrigativa.
Sostenere che, in simili evenienze, il risarcimento del danno – che, peraltro, rappresenta un aggravio per la collettività assai maggiore di quello derivante da un adempimento estremamente semplice come la comunicazione di avvio del procedimento[22] – costituisca adeguato strumento di tutela[23] significa – a mio avviso – snaturare il concetto di pienezza della tutela: la limitazione al solo risarcimento dev’essere, infatti, una scelta del ricorrente, non già un’imposizione – peraltro implicita in quanto non ricavabile expressis verbis da alcuna norma, né sostanziale né processuale – del legislatore. Non mi pare, insomma, che così si superi l’ostacolo dell’art. 113, specie se interpretato in linea con il diritto vivente[24]. |
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5. In definitiva, Ferrara ritiene preferibile la tesi secondo cui chi agisce contro un provvedimento vincolato non può limitarsi a dedurre vizi formali[25].
Certo, la realtà oggi è questa, nel senso che – come ha ben rilevato la dottrina richiamata dall’Autore – l’omessa comunicazione di avvio del procedimento risulta, in sostanza, priva di autonomo rilievo invalidante – o quantomeno inidonea, ex se, a comportare l’annullamento del provvedimento – nella misura in cui, dovendo essere accompagnata dall’allegazione di altri vizi sostanziali, è, in definitiva, assorbita e superata dall’accertamento che il giudice sarà preventivamente chiamato a svolgere su questi ultimi.
Ciò non significa, tuttavia, che questa realtà, determinata in pratica da orientamenti giurisprudenziali non del tutto condivisibili, debba essere accettata, essendo innegabile che, così opinando, si dequota il valore della partecipazione.
E’, del resto, quantomeno curioso che – come abbiamo avuto modo di notare in precedente occasione – lo stesso Consiglio di Stato, prima della riforma del 2005, avesse, al contrario, apertamente escluso che il vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento dovesse essere accompagnato dalla prova che la partecipazione al procedimento avrebbe determinato un diverso esito, in quanto, in tal modo, si sarebbe finito per rendere irrilevante il motivo di ricorso, facendo in definitiva dipendere l’esito della controversia dalla fondatezza delle altre doglianze[26].
E’ per questo che in me permane intatto lo stupore generato dalla lettura delle prime righe dello scritto di Ferrara, laddove si assume che la novella del 2005 avrebbe addirittura valorizzato l’istituto partecipativo.
E la sensazione non muta nemmeno leggendo l’ultimo periodo, quando l’Autore attribuisce al legislatore riformista anche il merito di avere sollevato il cittadino dall’onere di provare l’utilità della partecipazione: ma, invece di dare giudizi sin troppo benevoli ad un legislatore quantomeno affrettato, perché non dire, una volta per tutte, che quella giurisprudenza non stava proprio in piedi[27]?!? |
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6. Conclusivamente, il pregevolissimo scritto di Ferrara ridesta in me il timore, forse eccessivo, di una "deriva efficientista" ancora più accentuata di quella che avevo denunciato qualche anno fa, quando manifestavo la sensazione che, negli ultimi anni, il legislatore sembrasse quasi voler depotenziare il ruolo del procedimento amministrativo in sé e per sé considerato, evidentemente visto come un inutile intralcio burocratico, da evitare il più possibile[28].
A me pare che, sia nel procedimento che nel processo[29], le forme rappresentino il punto di equilibrio tra le opposte esigenze e mirino a rassicurare circa la presumibile conformità a diritto di una decisione che – amministrativa o giurisdizionale che sia – non può aspirare a legittimarsi esclusivamente per forza propria. Il contraddittorio, in particolare, è lo strumento per proporre (nel senso di suscitare) il dubbio – di fatto o di diritto – al decidente[30], ragion per cui precluderlo – ergo, preferire un’amministrazione che decide senza porsi alcun dubbio, sulla base di una rappresentazione soltanto parziale della realtà procedurale[31] – dovrebbe presupporre l’assoluta certezza circa l’unicità di soluzione: una scelta da compiere, dunque, con estrema prudenza[32]. |
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(*) Riflessioni a margine di L. Ferrara, La partecipazione tra «illegittimità» e «illegalità». Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in Dir. amm. 2008, 103 ss. |
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[1] Sul punto, sia consentito rinviare a F. Saitta, Nuove riflessioni sul trattamento processuale
dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento: gli artt. 8, ultimo comma, e 21-octies, 2° comma, della legge n. 241 del 1990 a confronto, in Foro amm.: TAR 2006, 2295 ss.
[2] Invero, l’Autore ritiene (di aver dimostrato) che «l’annullabilità non sussista neppure in astratto – quale riflesso della illegittimità –» (ivi, 115, nota 45); ma di questo è prematuro parlare.
[3] Ivi, 103.
[4] Ivi, 104-107.
[5] G. Corso, Validità (dir. amm.), in Enc. dir., XLVI, Milano 1993, 105. Per la giurisprudenza che, prima della riforma del 2005, aveva ripreso tale impostazione dottrinale, sia consentito rinviare a F. Saitta, op. cit., 2303-2304.
[6] Ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5251, in www.giustizia-amministrativa.it.
[7] Così A. Police, Annullabilità e annullamento (dir. amm.), in Enc. dir., Annali, I, Milano 2007, 64-66.
[8] Da ultimo, T.A.R. Sardegna, Sez. I, 10 dicembre 2007, n. 2214, in Giur. amm. 2007, II, 2620.
[9] Ivi, 108.
[10] La colorita espressione è di S. Giacchetti, Il diritto privato della pubblica amministrazione (sospeso tra realtà, mistificazione e fantasia), in Giur. amm. 2007, IV, 514.
[11] Sul punto, sia consentito rinviare a F. Saitta, L’omessa comunicazione di avvio del procedimento: profili sostanziali e processuali, in Dir. amm. 2000, 461 ss..
[12] Così A. Zito, Spunti di riflessione su alcune questioni «vecchie» e «nuove» in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, in La partecipazione negli enti locali. Problemi e prospettive, a cura di F. Manganaro e A. Romano Tassone, Torino 2002, 41 ss..
[13] Ivi, 109, nota 26.
[14] Per i relativi riferimenti dottrinali v., se vuoi, F. Saitta, Nuove riflessioni, cit., 2300.
[15] Ivi, 113-115.
[16] Per tutti, M. Nigro, Giustizia amministrativa, 6ª ed., a cura di E. Cardi e A. Nigro, Bologna 2002, 315-316.
[17] T.A.R. Campania-Napoli, Sez. II, 1 agosto 2007, n. 7210, in www.giustizia-amministrativa.it.
[18] Ribadita da Cons. St., Sez. VI, 4 settembre 2007, n. 4614, in www.giustizia-amministrativa.it, che ha sottolineato come il legislatore abbia soltanto inteso escludere la possibilità che il provvedimento, comunque illegittimo, ed i suoi effetti vengano eliminati dal giudice, senza spingersi ad affermare che il provvedimento stesso non sia più qualificabile, sul piano sostanziale, come annullabile.
[19] Cfr., se vuoi, F. Saitta, op. ult. cit., passim.
[20] In tal senso, S. Giacchetti, op. cit., 514-515.
[21] Ed infatti, potrebbe ritenersi inammissibile, in quanto non sorretto da un interesse meritevole di tutela, il ricorso proposto dal soggetto che si trovi consapevolmente in una situazione di illegalità ed al tempo stesso invochi giustizia per rimuovere la medesima situazione d’illegalità della controparte (così, da ultimo, T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 13 dicembre 2007, n. 2976, in Giur. amm. 2007, II, 2558). Ma non è questo, evidentemente, il caso dell’interessato che non sia stato messo nelle condizioni di partecipare ad un procedimento che lo riguarda.
[22] A. Pubusa, La Legge 241 novellata: antinomie e ipotesi ricostruttive, in DPA 2007, 587.
[23] Ivi, 115.
[24] Per maggiori approfondimenti al riguardo, sia consentito rinviare a F. Saitta, Art. 113, in Commentario della Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto e M. Olivetti, Torino 2006, III, 2136 ss..
[25] Ivi, 119-120.
[26] Riferimenti giurisprudenziali in F. Saitta, Nuove riflessioni, cit., 2304.
[27] Come pensiamo di aver diffusamente dimostrato nel nostro L’omessa comunicazione di avvio del procedimento, cit., 475-482.
[28] F. Saitta, Garanzie partecipative ed «ansia» di provvedere, in Nuove autonomie 2002, 319 ss., spec. 328.
[29] Con riguardo a quest’ultimo ambito, v. le acute considerazioni di A. Romano Tassone, Sulla differenziazione dei riti processuali (dalla decodificazione alla ricodificazione?), in DPA 2008, 88-89.
[30] F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli 1959, 212 ss.; Id., Principi del processo penale, Napoli 1960, 46.
[31] Ed infatti, come giustamente notato da A. Pubusa, ibidem, la realtà procedurale è interamente costruita solo se ad essa partecipano tutti i soggetti interessati.
[32] E’ il caso, ad. es., in cui si debba prolungare una pista aeroportuale nell’unica direzione non impedita dal mare o da un monte (su cui Cons. Giust. Amm. Reg. sic., 14 settembre 2007, n. 851, in Giorn. dir. amm. 2007, 1209). |
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(pubblicato il 5.5.2008) |
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