REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Tribunale di Lanusei
dott. Sebastiano Napolitano, in funzione di Giudice del lavoro ha pronunciato all’udienza del 27 maggio 2008 la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 107/2006 R.G. LAVORO, Pubblico Impiego vertente
TRA
XX RICORRENTE
E
A.S.L. n. 4 di Lanusei, CONVENUTA
CONCLUSIONI
Per il ricorrente: 1) accertati i fatti esposti in premessa, dichiarare che il ricorrente, dall'ottobre 1997 al 05.07.2002, ha di fatto svolto ininterrottamente mansioni corrispondenti a qualifiche funzionali inquadrabili nella categoria "D" C.C.N.L. Sanità o comunque mansioni corrispondenti a qualifiche funzionali superiori rispetto alla qualifica dallo stesso all'epoca rivestita e, per l'effetto, condannare l'azienda convenuta al pagamento di €. 25.443,19, o la somma maggiore o minore accertanda, anche in relazione al disposto di cui all'art. 36 Cost.., corrispondente alla differenza di trattamento economico tra la mansione superiore effettivamente svolta e la mansione per la quale era stato assunto, con rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al saldo; Con vittoria di spese ed onorari di lite.
Per l’Azienda USL convenuta: in via preliminare: dichiarare l'intervenuta prescrizione dei crediti vantati dal ricorrente fino alla data del 18 aprile 1998; nel merito: mandare assolta la convenuta da ogni avversa pretesa; in ogni caso:con vittoria di spese ed onorari del presente giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 16 giugno 2006, la parte ricorrente di cui in epigrafe adiva l’intestato Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo:
che a partire dal mese di Maggio del 1987, veniva assunto in ruolo alle dipendenze della U.S.L., ricevendo l’inquadramento di "addetto alle pulizie" - posizione funzionale di II livello;
che, dalla fine del mese di gennaio 1991 al mese di settembre 1997, veniva assegnato, con la medesima posizione funzionale, all’Ospedale di Lanusei (salvo che per un periodo di dieci mesi in cui aveva prestato servizio presso il Poliambulatorio di Tortolì);
che nel 1995, dopo aver frequentato un corso triennale organizzato dalla U.S.L. 7 di Nuoro, conseguiva il titolo di studio di infermiere professionale;
che nel mese di ottobre del 1997, faceva rientro presso il Gruppo Famiglia di Lotzorai, ove lavora tuttora, presso la nuove sede di Lanusei, aperta in data 31 dicembre 2002;
che a far data dal 16 luglio 2002, dopo aver superato un concorso interno, veniva nominato nella nuova posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario –infermiere professionale, categoria “D”;
che, dall’ottobre del 1997 al 5 luglio 2002, aveva svolto di fatto ed ininterrottamente mansioni corrispondenti a qualifiche funzionali superiori rispetto alla qualifica ausiliario specializzato all’epoca rivestita;
che il lavoro prestato all’interno del Gruppo Famiglia comportava il continuo svolgimento di mansioni proprie dell’infermiere professionale, quindi, tipiche della posizione funzionale rientrante nella categoria "D" del C.C.N.L. Sanità;
che lo svolgimento di mansioni superiori costituiva l’ineluttabile conseguenza dell’annosa carenza d’organico;
che tra le attività, proprie della mansione di infermiere professionale, svolte con carattere di prevalenza e continuità dall’ottobre 1997 al 5 luglio 2002, rientravano: rilievo di parametri vitali, rilevazione del livello glicemico e terapia insulinica ai pazienti diabetici, somministrazione dei medicinali per via orale e parenterale secondo gli schemi terapeutici prescritti dai medici, misurazione della pressione arteriosa e della temperatura e rilevazione battiti frequenza cardiaca, applicazione e rimozione cateteri a permanenza e monitoraggio degli stessi per evitare infrazioni, controllo liquidi organici, rilevazione stato fisico e mentale del paziente e predisposizione degli interventi terapeutico-relazionali appropriati congiuntamente ai responsabili medici, il tutto con assunzione di autonomia e discrezionalità operativa e impiego di conoscenze professionali nel campo della psicologia dei gruppi;
che per lo svolgimento delle mansioni superiori non aveva ricevuto la corresponsione del trattamento economico corrispondente al superiore inquadramento.
Su tali premesse, il ricorrente rassegnava le conclusioni in epigrafe trascritte.
Si costituiva l’Azienda ASL convenuta ed eccepiva, preliminarmente, la prescrizione dei crediti vantati dal ricorrente fino al 18 aprile 1998 e, nel merito, contestava con varie argomentazioni la fondatezza dell’avversa domanda.
All’udienza del 7 novembre 2006, con sentenza non definitiva veniva dichiarato il difetto di giurisdizione del G.O. per la parte delle domande antecedenti all’ 1 luglio 1998, mentre veniva riconosciuta la giurisdizione del Giudice adito per il periodo successivo, indi con ordinanza di pari data, la causa veniva rimessa sul ruolo per la prosecuzione.
Istruita la causa mediante prova testi, all’odierna udienza la causa è stata discussa; sulle conclusioni indicate nell’atto introduttivo veniva decisa come da separato dispositivo, di cui veniva data pubblica lettura al termine della camera di consiglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è procedibile essendo stato ritualmente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art.410 c.p.c.
Nel merito il thema decidendum involge la questione relativa alla disciplina delle mansioni nel pubblico impiego.
Ai fini di un corretto inquadramento della vicenda in esame è opportuno delineare il quadro normativo di riferimento.
All’uopo è opportuno ricordare che, nell’ambito della cd. contruattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, la materia dello svolgimento delle mansioni superiori è stata disciplinata, a seguito della novellazione del Dlgs 3 febbraio 1993 n.29, operata dal Dlgs 31 marzo 1998 n.80, dall’art.56 del primo di detti decreti, nel testo di cui all’art.25 del secondo decreto. Pertanto, il sesto comma è stato modificato dall’art.15 del Dlgs 29 ottobre 1998 n.387. Il conseguente tenore dell’art.56 citato è stato riprodotto dall’art.52 del Dlgs 30 marzo 2001 n.156 (norme generali dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
Nella formulazione definitiva della norma introdotta dal Testo Unico sul pubblico impiego 30 marzo 2001 n.165 all’art. 52 si prevede che: “1) Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive.
L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.
2) Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici quando siano state avviate le procedure per la copertura di posti vacanti come previsto dal quarto comma;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
3) Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
4)Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione sia stata disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.
5)Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza dei trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente se ha agito con dolo o colpa grave.
6)Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2,3,4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore”.
L’ius singolare si giustifica con riferimento a varie finalità ed esigenze, peculiari del lavoro pubblico, quali la regola, di rango costituzionale del concorso, il controllo della spesa pubblica, la salvaguardia della stabilità di un’organizzazione predefinita. Si è temuto, in altri termini, che la regola della promozione automatica, ove accolta avrebbe potuto determinare effetti assolutamente incompatibili con i valori di imparzialità e di buon andamento enunciati dall’art.97 Cost e con gli interessi della P.A., tra i quali quello della stabilità della pianta organica e della certezza organizzativo-burocratica e finanziaria.
Tale disposizione ha, comunque, riconosciuto per il periodo di effettiva adibizione a mansioni superiori, il diritto al corrispondente trattamento economico sia nel caso di assegnazione legittima, nelle fattispecie indicate dalla stessa norma, sia nei casi di assegnazione nulla perché fuori dalle ipotesi contemplate.
Nel comparto Sanità il CCNL relativo al quadriennio normativo 1998 –2001 e al biennio economico 1998 – 1999 ha completato all’art.28 la disciplina delle mansioni prevista dai commi 2, 3 e 4 dell’art.56 del dlgs 29/93, per la parte demandata alla contrattazione collettiva, attraverso la definizione del concetto di mansioni immediatamente superiori(cfr. secondo comma), l’esclusione da detto concetto delle mansioni svolte in sostituzione di un dipendente appartenente alla medesima categoria e allo stesso livello, ma collocato in una fascia economica della progressione orizzontale superiore a quella di appartenenza (cfr comma 3), nonché attraverso l’individuazione delle modalità di conferimento delle mansioni superiori e il trattamento economico riservato al personale che svolga le mansioni superiori secondo le anzidette modalità. Per quanto non previsto dal citato articolo resta ferma la disciplina dell’art.56 del Dlgs. 29/1993.
L’art.28 del CCNL comparto Sanità 1998/2001 del 07.04.1999 ha, dunque, stabilito, in riferimento alle mansioni superiori:
“1. Il presente articolo completa la disciplina delle mansioni prevista dai commi 2,3 e 4 dell’art.56 del Dlgs n.29 del 1993 per la parte demandata alla contrattazione.
2. Nell’ambito del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal presente contratto, si considerano “mansioni immediatamente superiori”:
a) all’interno delle categorie B e D, le mansioni svolte dal dipendente di posizione iniziale nel corrispondente profilo del livello super secondo la declaratoria riportata nell’allegato 1 del presente contratto;
b) all’interno delle categorie A e C, le mansioni svolte dal dipendente nella posizione iniziale della categoria immediatamente superiore;
c) le mansioni svolte dal personale collocato nel livello Bs della categoria B, nel livello iniziale della categoria C.
3. Non sono mansioni immediatamente superiori quelle svolte in sostituzione di un dipendente appartenente alla medesima categoria ed allo stesso livello, ma collocato in una fascia economica della progressione orizzontale superiore a quella di appartenenza.
4. Il conferimento delle mansioni immediatamente superiori di cui al comma 2 è comunicato per iscritto al dipendente incaricato mediante le procedure stabilite da ciascuna amministrazione secondo i propri ordinamenti, sulla base di criteri, da definire entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente contratto, previa consultazione dei soggetti di cui all’art.9, comma 2, che tengano conto del contenuto professionale delle mansioni da conferire. La disciplina delle mansioni superiori come integrata dal presente articolo entra pertanto in vigore dalla data di definizione dei predetti criteri.
6. Il dipendente assegnato alle mansioni superiori indicate nel comma 2 ha diritto alla differenza tra i trattamenti economici iniziali previsti per la posizione rivestita e quella corrispondente alle relative mansioni nella tabella 9 e 9 bis, fermo rimanendo quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità, di fascia retributiva nella propria posizione nonché di indennità specifica professionale ove spettante per il profilo, ma non prevista per la posizione superiore. Ove questa sia prevista, il relativo importo è assorbito per la durata delle mansioni dall’indennità attribuita al profilo di riferimento.
7. Per quanto non previsto dal presente articolo resta ferma la disciplina dell’art.56 del Dlgs 29/93.
Quanto allo svolgimento di mansioni proprie di qualifiche superiori, l’art.52 citato, come visto, contiene due ordini di disposizioni. In primo luogo, si indicano i casi in cui è legittima la temporanea assegnazione a mansioni superiori, con la precisa specificazione dei relativi presupposti e dei limiti temporali e la previsione del diritto del lavoratore al trattamento previsto per la qualifica superiore, per il periodo di effettiva prestazione; in secondo luogo, si indica il caso in cui l’assegnazione a mansioni proprie di una qualifica superiore avvenga fuori dalle ipotesi previste dalle precedenti disposizioni.
Dunque, il dipendente presso amministrazioni pubbliche non può per attività negoziale o anche solo per una situazione di facere o pati del datore di lavoro che agevoli o rimanga inerte rispetto all’esercizio di mansioni superiori, progredire da una categoria professionale ad un’altra.
In questa seconda ipotesi, il diritto ad essere compensato per lo svolgimento di mansioni superiori non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità dell’assegnazione e alle previsioni dei contratti collettivi (cfr.Cass., 17 aprile 2007 n.9130), ma è stabilita la nullità di detta assegnazione ed il diritto del lavoratore alla differenza di trattamento economico con la qualifica superiore (comma 5 dell’art.52 cit.). In quest’ultima disposizione, l’espressione “qualifica superiore” ha valore generico ed omnicomprensivo e non può ritenersi equivalente alla dizione “qualifica immediatamente superiore” utilizzata dal secondo comma nel delineare i presupposti dell’assegnazione legittima a mansioni superiori. Una diversa conclusione non è giustificata né dalla lettera della disposizione in esame, né dalla ratio, che è quella di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (Cass.14944/2004); pertanto, può essere riconosciuto il trattamento economico (e non anche l’inquadramento) per ogni mansione corrispondente alla qualifica superiore, anche se non coincidente con la qualifica “immediatamente” superiore.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa ha seguito un orientamento volto al diniego dell’applicabilità dell’art. 36 Cost. al pubblico impiego sul presupposto che su detta norma volta al rispetto della “giusta retribuzione” dovessero prevalere gli artt.97 e 98 Cost., non potendo il rapporto di pubblico impiego essere in alcun modo assimilato ad un rapporto di scambio e dovendosi, anche ai fini del controllo della spesa, rispettare l’esigenza di conservazione di un assetto della pubblica amministrazione rigido e trasparente, corollario di quest’orientamento è quello della supremazia del parametro della qualifica su quello delle mansioni, sicchè in una siffatta ottica ostano all’applicabilità dell’art.36 Cost. le norme codicistiche dell’art.2116 e 2041 c.c. (cfr. per tale indirizzo ex plurimis: Cons. Stato, sez.V, 28 febbraio 2001 n.1073; Cons. Stato, sez.VI, 4 dicembre 2000 n.6466; Cons. Stato, sez.V, 12 ottobre n.1438; Cons. Stato, sez.VI, 29 settembre 1999 n.1291).
Nonostante tale indirizzo –secondo cui, come visto, il principio della corrispondenza, ex art.36 Cost., della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in tale ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale- anche di recente ribadito (cfr. Cons. Sato, sez.VI, 7 giugno 2005 n.2184; Cons.Stato, sez.VI, 23 gennaio 2004 n.222), si sono sul punto manifestate, in alcune pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, significative aperture verso una maggiore tutela del lavoratore, essendosi ritenuto: che è consentita la trasposizione di regole privatistiche nell’area del pubblico impiego, sicchè l’art.2126 c.c. può trovare applicazione anche in un rapporto instauratosi con la P.A. senza il rispetto delle norme che ne regolano la costituzione, con l’effetto che al dipendente di mero fatto della pubblica amministrazione devono essere riconosciute le prestazioni retributive e previdenziali (cfr. Cons Stato A.P. 29 febbraio 1992, n.1). A diverse conclusioni è pervenuta la giurisprudenza dei Giudici della legge per avere, infatti, la Corte Costituzionale con numerose pronunce patrocinato la diretta applicabilità al rapporto di pubblico impiego dei principi dettati dall’art.36 della Costituzione, specificando al riguardo che detta norma: “determina l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della qualità del lavoro effettivamente prestato” a prescindere dall’eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione o meno dell’impiegato a mansioni superiori (Corte Cost. 23 febbraio 1989, n.57; Corte Cost. ord. 26 luglio 1988 n.908); che “il principio dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso, non è incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa retribuzione sancito dall’art.36 Cost.” (cfr. Corte Cost. 27 maggio 1992 n.236); che il mantenere, da parte della pubblica amministrazione, l’impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determina una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto –ai sensi dell’art.2126 c.c. e, tramite detta disposizione, dell’art.36 Cost. (Corte Cost.19 giugno 1990 n.296).
L’estensione della norma costituzionale all’impiego pubblico è condivisa anche dalla dottrina giuslavoristica che evidenzia come i cennati vincoli derivanti da esigenze di bilancio non impediscono, comunque, la piena operatività, anche nel settore del lavoro pubblico, dei principi costituzionali di proporzionalità ed efficienza della retribuzione espressi dall’art.36 Cost.
Ne consegue che, ad avviso del giudicante e sulla scorta dell’autorevole principio da ultimo espresso dalla Suprema Corte – Cass.SS.UU. 11 dicembre 2007 n.25837: “in materia di pubblico impiego l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art.36” (in senso conforme: Cass. 14 giugno 2007 n.13877; Cass. 17 aprile 2007 n.9130)- il principio della retribuzione proporzionato e sufficiente ex art.36 Cost. è applicabile anche al pubblico impiego. Né al fine di patrocinare una interpretazione del dato normativo diversa da quella seguita sulla scia della giurisprudenza costituzionale vale prospettare la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un’equa retribuzione ex art.36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perché, come è stato rimarcato dalla Suprema Corte, il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale (e finanche penale qualora si finisse per configurare un abuso d’ufficio per recare ad altri vantaggio) del dirigente preposto alla gestione dell’organizzazione del lavoro, “ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di cui in precedenza si è evidenziata la rilevanza costituzionale” (in tal senso C. Cass. SS.UU. 11 dicembre 2007 n.25837).
Sul versante fattuale, poi, l’estensione della norma costituzionale nei sensi innanzi precisati richiede in ogni caso che le mansioni assegnate siano in concreto svolte nella loro pienezza, sia per quanto attiene al profilo quantitativo che qualitativo dell’attività spiegata, sia per quanto attiene all’esercizio dei poteri e alle correlative responsabilità attribuite (cfr. al riguardo Cass. 19 aprile 2007 n.9328) .
A mente del comma 3° dell’art.52 cit., infatti, costituisce esercizio di mansioni superiori solo l’attribuzione in “modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti” propri di dette mansioni superiori. Dunque, anche in difetto della prevalenza per uno solo dei predetti aspetti, non vi sarà titolo per le differenze retributive.
Orbene, nella valutazione della riconducibilità delle mansioni svolte a quelle corrispondenti al profilo superiore, a fini del solo riconoscimento del relativo trattamento economico, analogamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicazione dell’art.2103 c.c., occorre accertare le mansioni concretamente svolte dal dipendente, individuare la categoria ed i livelli in cui queste si articolano, ed operare un confronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali, verificando, infine, che l’assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori abbia comportato anche l’assunzione delle relative responsabilità e l’autonomia propria della qualifica rivendicata (cfr. Cass. sez. lav. 25.10.2004 n.20692; Cass.civ. sez. lav. 25.08.87 n.7007; Cass. civ. sez. lav. 16.05.1983 n.3384). Nella controversia in esame il ricorrente invoca il diritto al trattamento economico previsto per le mansioni superiori corrispondenti alla posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario - infermiere professionale, categoria D del CCNL Sanità,deducendo di avere svolto le relative funzioni nel periodo precisato in ricorso.
Si evidenzia, ad ogni buon conto, che il ricorrente a far data dal 16 luglio 2002 è stato nominato nella nuova posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario – infermiere professionale, categoria “D”, reclamato, risultando vincitore della relativa procedura concorsuale.
Nel caso di specie sono emerse, con sufficiente chiarezza, le incombenze assegnate al ricorrente successivamente all’acquisizione del diploma di infermiere professionale.
In particolare, il teste xxx, infermiera professionale, ha dichiarato “Ho conosciuto il ricorrente al gruppo famiglia di Lotzorai, dove lavoravamo assieme….io facevo l’infermiera professionale e quindi assistenza diretta ed indiretta ai pazienti con erogazione di terapia farmacologia e rilevazione dei valori pressorici, della temperatura corporea, della glicemia, dei liquidi organici, il tutto in base alle singole patologie dei pazienti. Preciso che il ricorrente si è assentato per un periodo e poi è rientrato nel 1997 e al suo rientro in pratica svolgeva le stesse mansioni che svolgevo io e cioè quelle che ho sostanzialmente descritto, e che svolgevano gli infermieri professionali” (cfr. udienza del 3 luglio 2007)
Tali circostanze sono confermate dalle deposizioni dei colleghi di lavoro del ricorrente: xxx (cfr. verbale d’udienza del 6 febbraio 2007: Avevano uno scritto del responsabile che ci autorizzava in caso di mancanza di personale infermieristico a somministrare i farmaci. Gli infermieri mancavano spesso, perché c’era carenza di personale. C’era un paziente in particolare che aveva bisogno della somministrazione dell’insulina e della misurazione della glicemia. Per la somministrazione dell’insulina noi, cioè io, il ricorrente e tutti quelli che capitavano in turno usavano una “penna” cioè uno strumento simile ad una siringa in cui era già contenuta l’insulina, che però andava dosata. Anche il ricorrente si è occupato di questa operazione, cioè ha dosato l’insulina secondo le prescrizioni contenute in una cartella depositata nel mobiletto dei farmaci ed aggiornata dai medici che seguivano i malati. Anche della misurazione della glicemia si è occupato il ricorrente. Avevamo inoltre uno schema presente nella stessa cartella del paziente che si seguiva nel dosaggio della insulina… io, il ricorrente e i colleghi che capitavano di turno, misuravamo la glicemia con apposite striscette e poi a seguito dei risultati che davano quelle striscette dosavano in caso di necessità la insulina da somministrare. Preciso che quasi tutti i pazienti o meglio “gli ospiti” prendevano farmaci”; sempre lo stesso soggetto diabetico era stato cateterizzato e ci occupavamo, anche il ricorrente, della sostituzione della busta. È capitato anche che lo stesso soggetto si fosse strappato il catetere ed il ricorrente ha sostituito il catetere. Lui lo sapeva fare perché aveva fatto un corso di infermiere. Io so che il catetere si doveva sostituire periodicamente, ho visto farlo al ricorrente solo nell’occasione descritta. Se eravamo soli in turno nel caso in cui il paziente si agitava chiamavamo il centro di igiene mentale e loro telefonicamente ci davano istruzioni circa i farmaci da somministrare. Questi eventi erano frequenti. Ascoltavamo inoltre i pazienti nei momenti di lucidità e li consolavamo. Il ricorrente misurava la pressione con lo strumento con la colonnina a mercurio, in caso di pressione alta ci si preoccupava di chiamare un medico per saper il da farsi, e nel caso fosse necessario somministrare un farmaco lo facevamo. I turni giravano, sono stata spesso in turno con il ricorrente. Allorquando il ricorrente misurava la pressione controllava anche la frequenza dei battiti che poi provvedeva ad annotare. Noi scrivevamo la “consegna” a fine turno”), xxx (cfr.verbale d’udienza del 3 luglio 2007: “vi erano pazienti con patologie diverse oltre a quelle psichiatriche, in particolare c’erano due pazienti diabetici di cui uno insulinodipendente, un paziente con catetere vescicale, pazienti ipertesi con cura farmacologia, altri con patologie pneumologiche, per questi pazienti in particolare per quello insulinodipendente dovevamo controllare la glicemia,con una macchinetta apposita che fa una piccola puntura sul dito e successivamente applicavamo una striscetta reattiva ed in base ai valori della glicemia somministravamo sia io che il ricorrente, a seconda di chi era impegnato con quel paziente, la dose di insulina secondo il protocollo del medico curante, in particolare dosavamo lo strumento erogatore dell’insulina -una pennina con dosatore; il portatore di catetere vescicale lo assistevamo nel senso che cambiavamo la busta, poiché il paziente a volte si strappava il catetere, glielo riposizionavamo, perché non poteva stare senza catetere, questo paziente era particolarmente nervoso e pertanto quest’ultima operazione la compivamo piuttosto spesso. Controllavamo la pressione dei soggetti ipertesi ed in base alla pressione se si superava certi valori, avvertivamo il medico di famiglia che telefonicamente valutava se modificare la terapia, se la pressione era regolare seguivamo la terapia indicata nelle cartelle del paziente. Quando la pressione superava i 90 di minima e i 150 di massima avvertivamo telefonicamente il medico. Non ricordo i farmaci che il medico ci indicava, comunque se li avevamo disponibili in un apposito armadietto li somministravamo, altrimenti attendevamo l’apertura della farmacia. Capitava che il medico ci chiedesse che farmaci erano disponibili presso la struttura e ci indicava quale potesse servire nell’emergenza. Per i pazienti con patologie polmonari controllavamo la temperatura e l’espettorato. I pazienti in genera avevano una cartella in cui era indicata la terapia e noi la seguivamo …il paziente insulinodipendente era anche sordo muto e aveva delle difficoltà di comunicazione, comunque eravamo noi a somministrargli l’insulina e non lui direttamente….), xxx (cfr.verbale d’udienza del 5 febbraio 2008: “…nel 1997il ricorrente rientrò a lavorare presso la casa famiglia di Lotzorai con titolo di infermiere professionale e nonostante non fosse inquadrato nei ruoli degli infermieri svolgeva tutte le attività degli infermieri professionali: faceva le iniezioni mensili, e nel caso di un paziente insulino-dipendente, somministrava l’insulina tutti i giorni, avevamo un paziente cardiopatico-iperteso che veniva seguito con cure e somministrazione di farmaci quotidianamente, ed anche a queste attività provvedeva il ricorrente. Generalmente senza essere assistito da un infermiere, era raro che ci fosse un infermiere accanto al ricorrente, era molto frequente che vi fosse lui da solo. Anche quando, nei rari casi in cui era affiancato da un infermiere svolgeva lo stesso queste attività, in collaborazione…succedeva spessissimo che il paziente cardiopatico ci abbia dato dei problemi, in questo caso interveniva il ricorrente, che rilevava la pressione, chiamava il medico e somministrava la terapia che il medico dava ordine che venisse somministrata. C’era un paziente che spesso si strappava il catetere, tale sig. xxx, il ricorrente glielo rimetteva. Tutto questo che ho riferito l’ho visto personalmente ed ho aiutato il ricorrente a compierlo, per esempio mantenevo il sig. xxx quando il ricorrente sistemava il catetere…da quanto è tornato il ricorrente, cioè dal 1997, con il titolo di infermiere, nessuno glielo ha scritto, ma di fatto ha svolto l’attività di infermiere), xxx (cfr.verbale d’udienza del 29 aprile 2008:…provvedeva anche all’applicazione dei cateteri, lui poteva farlo, perché era infermiere diplomato, anche se in ruolo era ausiliario...faceva anche il turno notturno) auditi in qualità di testi, della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare non essendo legati da rapporti di amicizia o parentela con il ricorrente ed avendo gli stessi una cognizione diretta dei fatti di causa, che con dichiarazioni sostanzialmente concordi hanno confermato che il ricorrente provvedeva alla rilevazione del livello glicemico, alla somministrazione di terapia insulinica ai pazienti diabetici, alla somministrazione dei medicinali per via orale secondo gli schemi terapeutici prescritti dai medici, alla misurazione della pressione arteriosa e della temperatura e rilevazione dei battiti della frequenza cardiaca, all’applicazione dei cateteri a permanenza, alla predisposizione degli interventi terapeutici su prescrizione e controllo medico e che dette attività avvenivano in autonomia (cfr. verbale deposizione teste xxx udienza del 3 luglio 2007: “il XX capitava che facesse queste operazioni da solo, posso riferire quest’ultima circostanza, perché leggevo le consegne. Preciso che c’era un registro in cui ognuno alla fine del proprio turno registrava quello che aveva fatto”; verbale dell’11 settembre 2007 deposizione teste xxx, infermiere professionale, la quale dichiarava: “spesso capitava che il ricorrente svolgesse il turno da solo…quasi tutti i pazienti facevano iniezioni intramuscolari…queste iniezioni venivano praticate dagli infermieri professionali…anche il ricorrente faceva queste iniezioni…dopo che il ricorrente aveva fatto un corso da infermiere e sostituiva gli infermieri…veniva tutto scritto in un diario che poi si faceva vedere al medico) e con l’impiego di conoscenze professionali possedute. Dalla documentazione in atti (cfr.doc.5 della produzione di parte ricorrente) emerge, infatti, il possesso da parte del ricorrente del diploma di infermiere professionale. Tali deposizioni trovano ulteriore conferma nei rapporti di fine turno agli atti (cfr. doc. 6 della produzione di parte ricorrente; “preciso che c’era un registro in cui ognuno alla fine del proprio turno registrava quello che aveva fatto” cfr. deposizione teste xxx in verbale d’udienza del 3 luglio 2007; “il ricorrente svolgeva turni anche da solo, posso riferirlo perché al termine del turno, il che avveniva anche con il ricorrente ci scambiavamo le consegne e sapevamo come aveva operato chi ci aveva preceduto, lo scambio di consegna era anche documentato per iscritto” cfr. deposizione teste xxx in verbale d’udienza del 3 luglio 2007; “ribadisco che il ricorrente faceva il turno anche da solo, non so se gli è capitato di praticare lasix intramuscolare su ordine del medico, prima del 2000. Se l’avesse fatto risulterebbe dalle consegne, infatti noi scrivevamo tutto ciò che di rilevante avveniva” cfr. deposizione teste xxx nel verbale d’udienza dell’11 settembre 2007), dove si legge, ad esempio che in data 10 dicembre 2001 “nel primo pomeriggio xxx ha cominciato a lamentarsi e a mostrare dei sintomi di disorientamento e di mal di testa…dal colore rosso intenso della faccia, ho capito che aveva problemi seri di pressione, infatti la p.a. è risultata di 165 su 105…ha assunto regolarmente il lasix”.
Le mansioni, così come descritte, risultano effettivamente non corrispondenti alla qualifica di inquadramento ricoperta dal XX, ovvero corrispondente alla Categoria funzionale “A” con profilo di “ausiliario specializzato” di cui all’Allegato 1 del CCNL Sanità Pubblica Personale non Medico 1998-2001. Più precisamente vi rientrano i dipendenti che “svolgono le attività semplici di tipo manuale che richiedono una normale capacità nella qualificazione professionale posseduta, quali, ad esempio, l’utilizzazione di macchinari ed attrezzature specifici, la pulizia ed il riordino degli ambienti interni ed esterni e tutte le operazioni inerenti il trasporto di materiali in uso, nell’ambito dei settori o servizi di assegnazione, le operazioni elementari e di supporto richieste, necessarie al funzionamento dell’unità operativa”. Le mansioni svolte sono più esattamente riconducibili al profilo professionale di infermiere professionale e quindi tipiche della posizione funzionale rientrante nella categoria “D” del CCNL Sanità citato, in cui rientrano dipendenti che “ ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre alle conoscenze teoriche specialistiche…in relazione a titoli di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa nell’ambito di strutture operative semplici previste dal modello organizzativo aziendale”, con la posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario, profilo di “infermiere”.
Il superiore livello deve essere riconosciuto soprattutto in dipendenza del possesso del diploma di infermiere professionale e dei compiti sopra specificati, che denotano il possesso di molteplici competenze in capo al ricorrente, che nello svolgimento della propria attività doveva cimentarsi in problematiche di differente natura tecnica con impiego di conoscenze professionali ed assunzione di autonomia e discrezionalità operativa.
Pertanto per il periodo decorrente dal 1 luglio 1998 e per l’intera durata di svolgimento delle mansioni superiori, cioè sino al 16 luglio 2002 (data in cui il ricorrente ha assunto la posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario –infermiere professionale, categoria “D”) vanno riconosciute le differenze economiche connesse alla superiore qualifica, correttamente calcolate in ricorso e non specificamente contestate.
Il ricorrente ha conseguentemente diritto a percepire le differenze retributive tra il trattamento economico contrattualmente previsto per il personale inquadrato nella categoria “D” con la posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario, profilo di “infermiere” e quello da lui effettivamente percepito di “operaio specializzato” cat.”A”, a decorrere dal 1 luglio 1998 al 16 luglio 2002. La domanda deve essere conclusivamente accolta per l’importo di € 21.844,14 determinato secondo i conteggi allegati al ricorso, oltre agli interessi legali, in base all’art. 22, comma 36, L. 724/1994.
Sulla somma sono dovuti, dunque, gli interessi legali, ma non la rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 22 co. 36 L. 724/1994, come modificato dalla pronuncia di incostituzionalità n.459/00.
Il divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria per i crediti di lavoro derivanti da un rapporto di pubblico impiego, permane, infatti, anche a seguito della sentenza 2 novembre 2000 n. 459 della Corte Costituzionale. Difatti, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma è stata espressamente limitata ai soli crediti di lavoro aventi origine in obbligazione di soggetto privato.
Le spese di giudizio liquidate in dispositivo vanno a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lanusei - in funzione di Giudice del Lavoro – definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da XX , nei confronti di Azienda USL n.4 di Lanusei, in persona del suo legale rappresentante p.t., ogni diversa istanza e deduzione disattese, così provvede:
- Condanna l’Azienda USL n.4 di Lanusei al pagamento delle differenze retributive tra il trattamento economico contrattualmente previsto per il personale inquadrato nella categoria “D” con la posizione funzionale di collaboratore professionale sanitario, profilo di “infermiere” e quello effettivamente percepito da XX , a decorrere dal 1 luglio 1998 al 16 luglio 2002, pari ad €.21.844,14, oltre agli interessi legali, in base all’art. 22, comma 36, L. 724/1994.
- Condanna l’Azienda USL n.4 di Lanusei al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, che si liquidano in complessive €. 2.700,00 di cui €.1.173,00 per diritti ed €.1.527,00 per onorari oltre IVA CPA e spese generali come per legge.
Lanusei 27 maggio 2008