1) Il titolo del mio intervento “Ragionevole durata e udienza pubblica: dietro le quinte” può sembrare suggestivo con il richiamo a un ipotetico palcoscenico dove si rappresenta una pièce dietro le cui quinte, appunto, si nasconde tutta una struttura fatta di persone e strumenti tesi a rendere la rappresentazione perfetta e quindi apprezzato dal pubblico, che ha pagato il biglietto, il risultato del lavoro compito.
Trasponendo il figurato nel reale del processo amministrativo, l’accostamento non è azzardato perché alla fine il processo è una rappresentazione che risponde anch’essa – come nel teatro- a regole precise e rigorose e richiede un prodotto finale - la sentenza - che appaghi prima ancora i protagonisti che il pubblico.
Non vorrei essere dissacrante nei confronti del grande Pirandello facendo mio il titolo di una famosa commedia appartenente alla trilogia del "Teatro nel Teatro" che ha reso celebre nel mondo il drammaturgo siciliano, del quale mi onoro di essere conterraneo: ossia “questa sera si recita a soggetto”, intendendo con tale accostamento ricavare la metafora di una realtà della nostra giustizia sregolata e refrattaria a ogni tentativo di imbrigliarne gli aspetti organizzativi entro i parametri di un ordine prevedibile e/o ragionevole.
Ma andiamo al dunque.
Premetto subito che, dato il taglio pratico del titolo del mio intervento, tratterò gli argomenti de iure condito. Non mi occuperò, quindi, di possibili soluzioni organizzative presupponenti una modifica normativa.
Cominciamo con un po’ di cifre statistiche, tanto per inquadrare il problema e lo scopo che si prefigge la mia relazione: ossia, in sintesi, gli strumenti utilizzabili per far sì che il lavoro preparatorio per l’udienza approdi a un risultato utile in termini di efficienza ed efficacia del processo.
Secondo la puntuale analisi curata da Carlo Talice e Silvia Talice , i ricorsi pendenti al 31.12.2007 (è l’ultimo dato statistico conosciuto perché quello del 2008 ancora non è stato divulgato) sono 733.182 presso i TAR. Si tratta di un dato numerico di elevata grandezza pur se in graduale, lenta discesa.
Circa il 60% dei ricorsi pendenti nei TAR è concentrata in tre Tribunali: TAR Lazio (è difficile se non impossibile che la situazione di questo Tribunale possa migliorare se il legislatore continuerà a prevedere ingiustificate deroghe alle norme sulla competenza contenute nella legge 1034 del 1971), TAR Campania (che ne ha in misura superiore al primo, registrando la Regione campana uno dei tre più alti tassi di litigiosità) e TAR Sicilia. Occorrerebbero in concreto circa otto anni per smaltire- con l’attuale organico e rendimento produttivo- tutto l’arretrato, ipotizzando che non venga depositato nel frattempo alcun altro ricorso. Sappiamo però che così non è, perché i ricorsi in entrata sono sempre in numero elevato (56.412 nell’anno 2007) e l’organico dei magistrati amministrativi, del tutto sottodimensionato rispetto alla domanda di giustizia e rispetto all’organico magistratuale di paesi a noi vicini, come la Francia e la Germania (che possono contare rispettivamente in circa 1000 e 2400 magistrati per un contenzioso minore rispetto al nostro), non consente una produttività complessiva capace di portare l’arretrato a livelli fisiologici .
Questo si traduce in tempi di attesa del tutto incompatibili con una ragionevole durata del processo, secondo i principi dell’art. 6 della Carta di Strasburgo ora trasfusi nell’art. 111 della nostra Carta fondamentale.
E gli effetti si vedono i termini di azioni promosse per violazione della legge 24.3.2001 n. 89, la c.d. legge Pinto.
Sono attualmente pendenti più di 6600 azioni promosse ai sensi della predetta legge per eccessiva durata del processo e il costo dei risarcimenti pagati è tale che potrebbe con gli stessi trovare copertura nel bilancio della Giustizia Amministrativa il fabbisogno occorrente per l’assunzione di altri magistrati.
Come centrare allora con l’attuale assetto organizzativo l’obiettivo della ragionevole durata del processo ?
L’esperienza maturata da cinque anni nelle funzioni di presidente di sezione interna di TAR (prima a Milano e da un anno a Firenze) mi ha consentito di individuare diversi strumenti attraverso i quali è stato ed è possibile, lavorando appunto dietro le quinte, ottimizzare il risultato nel senso di rendere la risposta alla domanda di giustizia più rapida ed efficace.
L’obiettivo da raggiungere è quello di gestire l’archivio dei ricorsi pendenti in modo da assicurare il più possibile un livello standard di efficienza che tenti di ridurre il gap esistente fra la giustizia rapida del contenzioso dei riti speciali e la giustizia lenta del rimanente contenzioso. Una causa oggettivamente urgente richiede una risposta in tempi adeguati all’urgenza indipendentemente dal fatto che rientri o no nelle materie soggette a procedimenti speciali.
2) Possono individuarsi quattro diverse fasi sui quali è possibile intervenire:
2.1 La prima riguarda la gestione dei ricorsi in arrivo.
Normalmente solo i nuovi ricorsi depositati presso l’ufficio ricevimento atti che contengano la domanda cautelare o che riguardino comunque riti camerali, sono inviati subito alla Sezione competente e posti all’attenzione del presidente responsabile.
Gli altri vengono inviati in archivio, in attesa di fissazione dell’udienza, e vengono in evidenza solo in occasione di un’istanza di prelievo o di istruttoria.
Si dovrebbe, invece, monitorarli subito per accertarne l’oggetto e la relativa urgenza di definizione, la connessione con altri ricorsi ai fini di una loro riunione, previa istruttoria presidenziale se necessario. Magari, per qualcuno dei ricorsi connessi è stata già presentata istanza di prelievo o è stata già fissata l’udienza e c’è tempo ancora per una trattazione congiunta evitando in tal modo il rinvio dell’ udienza per il ricorso già fissato.
Devo registrare al riguardo che, almeno nella mia esperienza, raramente gli avvocati segnalano subito o utilmente i casi di riunione. Non raramente, infatti, capita, nonostante che l’avviso d’udienza sia stato spedito oltre 60 giorni prima proprio per venire incontro a tali esigenze, che la segnalazione arrivi in prossimità dell’udienza quando non c’è più nulla da fare se non rinviare il ricorso già fissato.
La cosa si complica senza dubbio in caso di ricorsi connessi proposti da avvocati diversi che sconoscano il precedente contenzioso o l’evoluzione che esso abbia nel frattempo avuto.
A tale inconveniente dovrebbe essere in grado di sopperire il nuovo sistema informatico NSIGA mediante l’utilizzo o (se non presenti) l’inserimento nelle procedure informatiche di funzioni adeguate in aggiunta ai campi obbligatori di ricerca (cognome e nome, ditta o ragione sociale del ricorrente, amministrazione resistente, avvocati, estremi del provvedimento impugnato). Sarebbe forse di aiuto l’uso di parole chiave il più possibile indefettibili da impiegare all’interno della funzione “trova”come codice identificativo idoneo a restringere il campo di ricerca delle cause a “rischio” connessione o che potrebbero anche costituire precedenti utili. Tale emersione consentirebbe anche al presidente della Sezione di verificare eventuali sopravvenute carenze di interesse o cessazione della materia del contendere relativamente agli stessi ricorsi pendenti.
Tale monitoraggio è utile anche per accertare la presenza di ricorsi riguardanti materie ricadenti nell’art. 23 bis o nell’art. 246 codice appalti (che prevede fissazione udienza entro 45 giorni da deposito del ricorso; e se non c’è istanza cautelare, elevato è il rischio, in assenza di segnalazione da parte dell’ufficio ricevimento ricorsi- compulsato magari dall’avvocato- che il termine scorra senza che il responsabile della Sezione competente ne sappia nulla.
2.2 La seconda fase di intervento riguarda la vera e propria programmazione delle udienze e delle camere di consiglio.
L’opportunità data dalla legge 205 del 2000 di definire subito in sede di incidente cautelare il merito del ricorso, ha dato risalto alla fase cautelare, che per un presidente è un prezioso osservatorio dal quale trarre informazioni utili per la rapida definizione dei giudizi.
E’ importante, intanto, non creare ritardi nella trattazione delle istanze cautelari. Dovrebbero essere iscritti a ruolo della camera di consiglio tutti i ricorsi per i quali sono maturati i termini di legge e anzi dovrebbe ritenersi possibile – ove sussistano ragioni d’urgenza – l’abbreviazione d’ufficio dei termini stessi di alcuni giorni se ciò consenta di inserire ricorsi la cui istanza cautelare sia meritevole di urgente trattazione: questo magari in sede di misura cautelare provvisoria, essendo preferibile che il provvedimento presidenziale eviti di occuparsi del fumus boni iuris fissando invece l’esame collegiale alla prima camera utile rispetto alla delicatezza degli interessi in giuoco.
La sede cautelare è comunque – come già detto - utilissima per programmare il carico delle udienze relativamente ai ricorsi per i quali sussista (per legge o per ragioni oggettive) l’urgenza o l’opportunità di un merito a breve. E ciò indipendentemente dall’esito della decisione cautelare, perché anche un ricorso con sospensiva respinta può meritare (pur se non rientrante nelle materie per i quali l’urgenza è indicata dalla legge) di essere trattato con precedenza rispetto ad altri con misura cautelare accolta, ove sussistano obiettive ragioni di definizione del merito a breve.
L’individuazione dei ricorsi da fissare per l’udienza è uno dei compiti più delicati e ingrati (per l’inevitabile riflesso che esso ha nei tempi di attesa dei ricorrenti che attendono la sentenza) affidato al presidente della Sezione. La compilazione del ruolo di udienza, seppure non scevro di discrezionalità, dovrebbe rispondere a una certa coerenza rispetto a criteri predeterminati che ogni presidente dovrebbe darsi a inizio di ogni anno. E’ un compito non delegabile (salvo obiettive ragioni di impedimento) che richiede un lavoro preparatorio nel quale devono essere usati tutta l’attenzione, il prudente apprezzamento e il tempo necessari.
Quanto all’aspetto organizzativo vero e proprio, la prima cautela è quella di evitare che siano fissate cause per le quali o è molto probabile che non ci sia più alcun interesse o non sussistono le condizioni per la definizione del merito perché carenti nell’istruttoria. Bisogna, in breve, evitare il più possibile che le udienze vadano anche in parte a vuoto.
Occorre, inoltre, procedere tenendo conto che uno spazio va trovato non solo per i ricorsi con prelievo o per i quali c’è una ragione di urgenza, ma anche per i ricorsi con sospensiva accolta, per gli ultradecennali (ora quinquennali) con rinnovo dell’istanza di fissazione firmata dalla parte ricorrente, per i ricorsi in c.d. attesa di fissazione (ossia quelli con sospensiva respinta o senza sospensiva), iniziando a prelevarli da quello più vecchio in assoluto, con un occhio sempre alla legge Pinto. In questo non bisogna dimenticare le eventuali connessioni perché un’istanza di rinvio della trattazione per connessione con altro ricorso pendente evidenzia un problema di coordinamento da risolvere che aggiunge un ritardo ai tempi di definizione della causa, oltre al dispendio di energie a vuoto del personale di segreteria per l’attività di preparazione del ruolo, degli avvisi e così via.
Tutto ciò comporta- a monte - un esame sommario da parte del presidente del contenuto dell’atto di ricorso e degli eventuali motivi aggiunti; esame che sarà utilissimo anche per capire lo spessore della causa e quindi per preparare per ciascun magistrato un carico di ricorsi il più possibile equilibrato e omogeneo, tenendo conto, tuttavia, che il totale delle cause di merito da assegnare a ogni magistrato non può discostarsi dal tetto indicato dalle direttive approvate dall’Organo di autogoverno della G.A. in materia di carichi di lavoro.
In tutta questa attività la collaborazione degli avvocati è preziosa in quanto una tempestiva segnalazione dei ricorsi connessi e da riunire, delle esigenze istruttorie, della sopravvenienza di nuove situazioni comportanti una nuova impugnativa in preparazione o una carenza di interesse alla decisione, consentirebbe al responsabile della Sezione di predisporre il ruolo di udienza in maniera efficace, evitando l’inserimento delle cause da non trattare.
A questo proposito è opportuno che tutte le istanze, anche le rinunce, le carenze sopravvenute di interesse o le cessate materie del contendere siano comunicate tempestivamente rispetto all’avviso di udienza, in modo da consentire l’aggiunta di ricorsi connessi e/o eliminare dal ruolo per la decretazione i ricorsi per i quali occorre fare istruttoria o non occorre decidere più il merito, sostituendoli con altri ricorsi.
Pensare ad un termine entro cui formalizzare la dichiarazione di abbandono della causa non pare, tuttavia, percorribile perché a differenza che nel giudizio civile, l’abbandono della causa è (di norma) un atto nell’esclusiva disponibilità della parte ricorrente e sarebbe irrilevante l’eventuale opposizione delle controparti che potrebbero al più insistere sulla condanna alle spese. Per la cessata materia del contendere e la rinuncia, com’è noto, è la stessa legge a regolare la conclusione del processo anche in ordine alle spese.
E poi a cosa potrebbe servire la fissazione di un termine anteriore all’udienza per la formalizzazione di una dichiarazione di abbandono? A mandare comunque in decisione nel merito una causa per la quale è notoria l’insussistenza di un’attualità dell’interesse ? E a che scopo, giacché tale evento è preclusivo al merito e in udienza altro non potrebbe farsi che dare atto di ciò?
Altra questione è il tardivo deposito di un’istanza di rinvio del tutto immotivata o genericamente motivata con trattative in corso o con la necessità di dovere prendere contatto con il cliente per verificare l’attualità dell’interesse. Si tratta di istanze - dilatorie negli effetti anche se non nelle intenzioni del difensore di turno - che non giustificano alcun rinvio e la cosa più saggia è confermare l’udienza. Non è raro, infatti, che sia un atteggiamento eccessivamente prudente o tuzioristico a motivare la richiesta di rinvio di una causa che non interessa più nessuno e in questi casi il diniego opposto dal presidente in udienza convince spesso le parti a dichiarare la carenza di interesse.
Un particolare problema organizzativo può essere dato dai c.d. ricorsi seriali.
Il dubbio è se sia meglio procedere con un’udienza monotematica, dando fondo in un contesto unico a tutti i ricorsi o con un ricorso c.d. campione. Il problema riguarda in particolare un certo tipo di serialità ossia quella fatta da ricorsi che riguardano uno o più provvedimenti, ma che non sono uguali fra loro, provenendo da avvocati diversi e/o recando motivi diversamente articolati. Il ricorso campione dovrebbe essere scelto in base al criterio della completezza delle questioni oggetto di sindacato, ossia quello che contenga tutti i motivi che in altri ricorsi si presentano frammentati. Ma c’è un’altra esigenza da valutare ed è quella di consentire a tutti gli avvocati che hanno una causa pendente sullo stesso oggetto di potersi confrontare nella discussione nel contesto della stessa udienza nella quale il collegio esamina e decide per la prima volta le questioni poste con i ricorsi seriali e questo può essere garantito solo con un’udienza dedicata a tali cause.
Questo è stato, ad esempio, il metodo che ho utilizzato a Milano nella IV Sezione con i ricorsi in materia di delibere dell’ Autorità dell’Energia Elettrica e il Gas (AEEG). A volte si trattava di 60 – 70 ricorsi tutti proposti contro la stessa delibera, ma con molti motivi aventi differenti profili di censura. Alcuni studi legali avevano più ricorsi con un thema decidendum simile, ma non proprio coincidente. Fra questi ultimi veniva fissato il ricorso più completo insieme ad un ricorso per ciascuno degli altri studi legali e essi si assegnavano a un unico relatore o a più relatori se il numero dei ricorsi era particolarmente alto ed elevata la loro complessità. Ad un relatore venivano ovviamente assegnati i ricorsi appartenenti allo stesso studio legale.
2.3 Si può passare, ora, all’esame della terza fase che è quello della gestione delle camere di consiglio e delle udienze.
Per le camere di consiglio, merita un breve accenno lo strumento della conversione del rito nei procedimenti cautelari.
Si tratta di metodo decisorio da usare, a mio avviso, con prudenza per non creare una distorsione nell’uso dell’incidente cautelare. Il ricorso a tale mezzo definitorio, magari con l’uso della tecnica dell’assorbimento dei motivi e accoglimento di vizi meramente formali, dovrebbe essere evitato in particolare modo per la soluzione di controversie complesse, perché ciò non risolve di fatto il contenzioso che il più delle volte si ripresenta dopo poco tempo con un nuovo ricorso. La conversione del rito – in coerenza con la ratio della legge - andrebbe praticata per cause per le quali sia possibile ricorrere (a termini dell’art. 26, comma 4, della legge 1034 del 1971 e quindi di manifesta fondatezza … ecc.) alla sentenza succintamente motivata: ossia per quelle cause la cui soluzione si presenti tanto semplice da potere essere la decisione contenuta nelle poche righe e nello stile proprio della motivazione media di un’ordinanza cautelare.
Per le il problema più ricorrente è quello delle istanze di rinvio presentate direttamente in udienza o alcuni giorni prima.
L’istanza di rinvio dovrebbe essere motivata con ragioni oggettive (ad es. presentazione di motivi aggiunti per l’intervento o la conoscenza di nuovi atti). Diversamente la causa dovrebbe essere trattenuta in decisione. L’esigenza del passaggio in decisione è maggiore laddove c’è la sospensiva accolta. La cancellazione dal ruolo – mai da concedere per ricorsi con sospensiva accolta - dovrebbe essere disposta solo nel caso in cui la situazione si presenti oggettivamente fluida per il sopravvenire di procedimenti ancora in corso che potrebbero fare superare la materia del contendere o comunque spostarla su un altro fronte. In questi casi la decisione del ricorso sarebbe inutile, come pure inutile sarebbe un rinvio a data da destinare. L’incertezza sui tempi di conclusione del nuovo procedimento rende, quindi, necessario e utile la restituzione dell’iniziativa processuale alle parti.
Se il rinvio è motivato con ragioni di connessione con altra causa non fissata, la trattazione dovrebbe essere rinviata all’udienza più prossima alla scadenza dei termini di legge per l’avviso e ciò perché l’urgenza o la necessità della trattazione è stata già apprezzata (almeno per uno dei ricorsi connessi) nella programmazione del ruolo delle udienze.
2.4 L’ultima fase di intervento di cui intendo occuparmi è la gestione dei ricorsi ultraquinquennali.
La recente novella legislativa che ha allargato la forbice dei ricorsi da sottoporre alla particolare procedura dell’art. 9 della legge 205 del 2000, non ha risolto certo i problemi dell’arretrato, ma anzi li ha complicati. In un solo colpo sono divenuti “vecchi” i ricorsi di un intero quinquennio, creando problemi organizzativi non irrilevanti, dovendosi procedere con la massima sollecitudine a movimentare migliaia di fascicoli per i quali va inviato l’avviso di rinnovo dell’istanza di fissazione dell’udienza con firma della parte ricorrente, in mancanza della quale il ricorso va dichiarato perento.
Tale procedura va applicata a tutti i ricorsi rientranti nel quinquennio, anche a quelli con sospensiva accolta e a quelli che hanno istanza di prelievo, posto che l’istanza con firma autografa della parte costituisce presupposto per l’inserimento nel ruolo delle udienze di merito.
A volte inviare gli avvisi via fax è un problema perché nel corso degli anni un avvocato può avere cambiato numero senza comunicarlo, il che rende necessario un paziente lavoro di ricerca.
Quel che è importante, al fine di evitare il maturare di un ingiustificato ritardo che possa legittimare azioni indennitarie in applicazione della legge Pinto, è che sui ricorsi per i quali è stata ripresentata l’istanza di fissazione con firma della parte, si debba fissare l’udienza di discussione del merito al più presto.
E’ da valutare se sia ancora utile percorrere la strada delle c.d. udienze di smistamento, nelle quali la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, rinuncia rituale e non o di cessata materia del contendere potrebbe scremare la massa dei ricorsi ai quali destinare quella che altro non è che la procedura di preavviso di perenzione.
Tale tipo di udienza potrebbe essere programmata con cadenza annuale per ricorsi meno vecchi (ad esempio quelli ultratriennali o ultraquadriennali). Se non altro potrebbe essere l’occasione per fare il punto della situazione in termini di arretrato, fissando una certa priorità nella fissazione dei ricorsi più vecchi per i quali è stata dichiarata la permanenza dell’interesse. Infatti, un’equilibrata composizione del ruolo di udienza ordinaria dovrebbe comprendere una parte di ricorsi con istanza di prelievo, una parte di ricorsi con sospensiva accolta ed una parte di ricorsi più vecchi (e tra questi gli ultraquinquennali con domanda rinnovata) in modo da mantenere i tempi di attesa della sentenza, nella peggiore delle ipotesi, entro i cinque anni dal deposito per evitare il più possibile il promovimento di azioni per la violazione del principio della ragionevole durata del processo
E non è affatto detto che i ricorsi con tre o due anni di anzianità offrano scarse probabilità di carenza sopravvenuta di interesse, perché l’interesse va misurato in concreto sulla vicenda contenziosa e le sorprese sul punto possono non mancare. Ho avuto in proposito diretta esperienza a Milano di un’udienza straordinaria di smistamento con iscritti a ruolo 250 ricorsi non più vecchi di tre anni. Ebbene per quasi un terzo di essi è stata dichiarata la carenza sopravvenuta di interesse! Il che conferma la tesi che molti dei ricorsi che riempiono gli archivi e ampliano il numero dell’arretrato sono in realtà delle cause “morte”.
C’è da osservare tuttavia che l’udienza di smistamento è un’udienza normale sul piano processuale e quindi richiede un’ufficialità anche in ordine alla spedizione degli avvisi e al termine minimo di legge (40 o 20 giorni) da rispettare prima dell’udienza.
A questo riguardo si potrebbe utilizzare una procedura informale che facendo salva la finalità e il confronto diretto con i difensori delle parti ricorrenti, renda più snello e celere (e quindi ripetibile in un arco di tempo ristretto) l’accertamento sulla permanenza dell’attualità dell’interesse alla decisione per gruppi di cause.
In proposito, sarebbe da estendere a livello generale l’impiego di udienze informali (solo presidenziali, ma potrebbe condurle anche un magistrato delegato) come avvenuto, ad esempio, a Milano su iniziativa del presidente della 3^ Sezione di quel Tribunale.
Si tratta, in breve, della convocazione con avviso informale a mezzo fax, per un certo giorno, degli avvocati delle parti costituite nelle cause sulle quali, per il tempo trascorso , si vuole verificare l’attualità dell’interesse.
Il presidente riceve gli avvocati in una sala del Tribunale (non è necessaria l’aula udienze) e, assistito dal direttore di segreteria che redige un verbale, registra le eventuali dichiarazioni di carenza di interesse che trasfonderà in un decreto decisorio. Il vantaggio di tale procedura non è solo quello della informalità e della speditezza, ma anche quello di conoscere per i ricorsi- per i quali è confermato l’interesse- le eventuali esigenze istruttorie, la priorità di trattazione, le connessioni con altri ricorsi. Certo è determinante la collaborazione degli avvocati, ma ciò è la pre-condizione per la buona riuscita di ogni iniziativa.
3) Volendo concludere coerentemente con il titolo del mio intervento, si può affermare che combinando fra loro i tanti diversi strumenti organizzativi disponibili, il lavoro dietro le quinte non dovrebbe far mancare buoni risultati in termini di efficienza e produttività.
Certo, si tratta di sfruttare al meglio solo piccole opportunità, ma come recita un aforisma attribuito a Demostene, spesso le grandi imprese nascono proprio da piccole opportunità. |