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n. 8-2009 - © copyright |
CARLO PADULA
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Gli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale sugli atti amministrativi applicativi della legge annullata
Sommario: 1. Individuazione della questione. – 2. Opinabilità della tesi giurisprudenziale, secondo la quale l’annullamento della legge applicata dall’atto amministrativo produce sempre l’illegittimità (e mai la nullità) dell’atto stesso. - 2.1 Analisi della sentenza “capostipite”: Cons. Stato, adun. plenaria, n. 8/1963. - 2.2 Assenza di argomenti ulteriori nella recente giurisprudenza comune. - 2.3 Incoerenza della tesi dominante con la teoria dell’invalidità caducante. – 3. L’orientamento della Corte costituzionale. - 4. Definizione dei casi in cui l’atto amministrativo può essere considerato nullo, a seguito dell’annullamento della legge posta alla sua base. - 5. Considerazioni conclusive. - 5.1 L’”esaurimento” del rapporto non va valutata prima della sentenza di accoglimento ma dopo. - 5.2 Infondatezza delle ragioni “pratiche” e “ideologiche” a sostegno della tesi dominante
1. Individuazione della questione
Nel 1984 Lorenza Carlassare, nel commentare la sent. 139 del 1984 della Corte costituzionale, considerava in modo problematico il fatto che la decadenza desse luogo ad un rapporto esaurito, in grado di limitare la retroattività delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale. L’Autrice riteneva “indispensabili” dei “ripensamenti” sull’individuazione dei rapporti esauriti, “soprattutto in ordine alla decadenza legata spesso a termini assai brevi, in particolare per l’impugnazione di atti della pubblica amministrazione”[1].
In questo modo si toccava una questione assai delicata, che non ha solo una valenza tecnica, riguardando l’estensione degli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte sugli atti amministrativi, ma ha una portata di più ampio respiro, perché, calibrando in modo diversi gli effetti di cui sopra, cambia il rapporto tra giudice costituzionale e altri poteri dello Stato (quello giurisdizionale e quello esecutivo) e cambia l’effettività della giustizia costituzionale, e dunque anche quella della soggezione della pubblica amministrazione alle norme costituzionali, con inevitabili conseguenze sul rapporto tra essa ed i diritti fondamentali dei privati.
Il tema in questione si pone a cavallo fra il diritto costituzionale ed il diritto amministrativo ed è stato oggetto di discreta attenzione da parte della dottrina. Sembra, però, che esso possa essere ancora oggetto di un utile approfondimento.
Peraltro, i limiti quantitativi che questo lavoro deve rispettare non consentono di analizzare tutti i profili del tema. Mi concentrerò, dunque, sulla questione se sia corretto l'orientamento prevalente (in base al quale la mancata impugnazione di un atto amministrativo implica sempre la formazione di un “rapporto esaurito”, qualsiasi sia il rapporto tra l'atto e la legge annullata) o se, invece, sia possibile distinguere tra la caducazione di norme che costituiscono il fondamento dei poteri esercitati dall’amministrazione (nel qual caso, la retroattività della sentenza implicherebbe la nullità sopravvenuta ma... originaria dell'atto amministrativo[2], invocabile oltre il termine di decadenza) e quella di norme che, invece, si limitano a disciplinare l’esercizio di attribuzioni fondate su diverse basi normative (nel qual caso, l'atto sarebbe affetto da illegittimità derivata e, in caso di mancata impugnazione, sarebbe ormai inoppugnabile)[3].
2. Opinabilità della tesi giurisprudenziale, secondo la quale l’annullamento della legge applicata dall’atto amministrativo produce sempre l’illegittimità (e mai la nullità) dell’atto stesso
2.1 Analisi della sentenza “capostipite”: Cons. Stato, adun. plenaria, n. 8/1963
Un ruolo centrale per il tema in questione è rivestito ancora dalla sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 8 aprile 1963, n. 8[4]. Questa decisione risolve in modo netto la questione sopra posta: l'annullamento della legge non travolge (nel senso di farne cessare direttamente l'efficacia) l'atto amministrativo applicativo di essa e, dunque, questo non può più essere contestato da chi non l'ha tempestivamente impugnato[5].
Gli argomenti della sentenza sono due. Il primo parte da un dato acquisito, che è la “communis opinio” che si è formata sul significato dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30, co. 3, l. 87/1953: la dichiarazione di incostituzionalità ha effetti ex tunc, salvo il limite dei “rapporti esauriti”. Appurato ciò, il Consiglio di Stato afferma l’erroneità della tesi secondo la quale la norma dichiarata incostituzionale sarebbe “affetta da quella più grave forma di nullità che si suole talvolta indicare in dottrina come inesistenza”: se la legge fosse nulla, non si spiegherebbe la possibilità di formazione di rapporti esauriti. Smentita la tesi dell’inesistenza della legge illegittima, il Consiglio di Stato conclude negando quelli che sarebbero i corollari di quella tesi: “l’inesistenza dell’organo amministrativo creato in base ad essa, e l’inesistenza degli atti emessi da tale organo”.
Come si vede, se si può condividere la premessa della prima argomentazione (la legge incostituzionale è annullabile e non nulla), pare debole la conclusione, perché essa non si confronta con la retroattività della sentenza di annullamento, in base alla quale la legge viene posta nel nulla sin dall’inizio. Se la legge annullata ex tunc attribuiva il potere, dopo la sentenza l’atto risulta adottato sin dall’inizio in carenza di potere e ciò dovrebbe implicare la nullità dell’atto[6].
Il secondo argomento della sentenza è il seguente: “non esiste, tra la legge e l’atto amministrativo, un rapporto di consequenzialità, quale si ravvisa ad esempio tra l’atto preparatorio e l’atto finale d’un procedimento amministrativo, dove la caducazione del primo travolge il secondo. L’atto amministrativo è manifestazione di autonomia del potere esecutivo, ed ha perciò una vita ed una individualità sua propria; esso quindi non viene travolto dalla cessazione dell’efficacia della legge, pur subendo ovviamente l’influsso delle vicende della norma cui ha dato applicazione”.
Anche tale argomento non pare immune da obiezioni: il fatto che la legge e l’atto amministrativo appartengano a diversi procedimenti può, semmai, condurre ad affermare che il vizio della legge non si trasmette all’atto, finché la legge è efficace[7], ma non rileva più una volta che la legge è annullata ex tunc: dopo la sentenza della Corte, non si tratta più di valutare il rapporto tra la legge e l’atto ma di definire lo status dell’atto senza la legge da esso applicata. E’ vero che l’atto amministrativo è manifestazione di autonomia del potere esecutivo, ma esso è anche soggetto al principio di legalità e occorre, dunque, verificare quale vizio colpisca l’atto nel caso in cui venga meno sin dall’inizio la legge che attribuiva il potere di compierlo. La sopravvivenza dell’atto amministrativo alla sentenza di annullamento della legge posta alla sua base non si può reggere sull’autonomia del potere esecutivo ma deve confrontarsi con la disciplina positiva dei casi di nullità dell’atto amministrativo stesso.
E’ da dire che la sent. 8/1963 faceva valere anche un’utilità “pratica” della tesi da essa accolta: infatti, solo affermando la mera illegittimità dell’atto dopo l’annullamento della legge da esso applicata, si consentiva al ricorrente di “ottenere l’effetto reale dell’annullamento dell’atto impugnato”, mentre la tesi della caducazione automatica dell’atto (in virtù del venir meno della legge) condurrebbe il giudice amministrativo a pronunciare la cessazione della materia del contendere e “lo costringerebbe [il ricorrente], ove dovessero nascere ulteriori controversie circa i limiti dell’asserita invalidità dell’atto, ad iniziare nuovi giudizi”[8]. Per il Consiglio di Stato, “se il giudice amministrativo non pronuncia l’annullamento ma dichiara cessata la materia del contendere, il ricorrente ha agito inutiliter, perché sebbene il giudice abbia motivato affermando un dovere giuridico dell’amministrazione, tale dovere sarebbe incoercibile in sede d’esecuzione del giudicato”[9].
Tale argomento “pratico” risulterà poi superato, alla luce dell’evoluzione che avrebbe avuto l’istituto dell’ottemperanza. Infatti, benché il regime processuale dell'atto nullo non sia stato regolato dal legislatore che ha dettato la disciplina generale dell'istituto[10], si ritiene ora comunemente che anche le sentenze dei giudici amministrativi che dichiarano l’inammissibilità (o l’improcedibilità) del ricorso per la nullità dell’atto impugnato siano idonee a passare in giudicato, in relazione all’accertamento della nullità, e ad essere “seguite” dal giudizio di ottemperanza: in pratica, esse non sono considerate meramente di rito se contengono un accertamento sostanziale, cioè se nella motivazione il giudice accerta la nullità dell’atto[11].
Ancora, il rifiuto dell’ipotesi della nullità derivata dalla sentenza di accoglimento evitava la perdita di giurisdizione da parte del giudice amministrativo: infatti, la sent. 8/1963 ricorda che, in un precedente caso, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che l’annullamento di una legge (che attribuiva alla p.a. un potere discrezionale) trasformasse “ex tunc le ordinarie posizioni d’interesse legittimo in diritti soggettivi, col conseguente difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato”. Ragionando in questo modo, secondo la sentenza del 1963, sarebbe privo d’interesse chi agisse davanti al giudice amministrativo affermando l’incostituzionalità della legge attributiva del potere, perché “la vittoria eventuale nella questione incidentale di costituzionalità avrebbe come risultato la soccombenza della questione principale…, per difetto di giurisdizione del giudice adito” (ed il rigetto della questione di costituzionalità implicherebbe il rigetto del ricorso).
La questione della giurisdizione sugli atti nulli è complessa ma ci si può appoggiare su alcuni punti fermi. In primo luogo, non sempre a fronte di un atto nullo sta un diritto soggettivo. Questo avviene quando l'atto ha inciso su un diritto preesistente (e su un interesse legittimo “oppositivo”), non quando l'atto ha inciso su un interesse legittimo “pretensivo”: in questo secondo caso, l'annullamento della legge attributiva del potere non fa rivivere un diritto (che non c'era), per cui resta ferma la giurisdizione del giudice amministrativo[12]. Inoltre, se può esistere l'inconveniente lamentato dalla sent. 8/1963 per chi ha iniziato un giudizio amministrativo, l’affermazione della nullità derivata produce anche un vantaggio pratico: cioè, la possibilità di iniziare un giudizio di accertamento per chi non ha impugnato l’atto amministrativo entro il termine di decadenza[13]. In terzo luogo, la sent. 77/2007 della Corte costituzionale ha “semplificato” la situazione conseguente ad una pronuncia di difetto di giurisdizione, consentendo la translatio iudicii anche fra giudici appartenenti a giurisdizioni diverse[14]. Infine, l'ipotesi delineata dal Consiglio di Stato nel 1963 si verificherebbe in un caso piuttosto raro, cioè qualora l'atto amministrativo (lesivo di un diritto) fosse impugnato solo per l'illegittimità derivata dall'incostituzionalità della legge attributiva del potere[15]; ma è difficile che a questa censura non si accompagnino altre censure, di spettanza del giudice amministrativo in caso di rigetto della questione di costituzionalità.
In definitiva, i due argomenti giuridici ed il primo argomento “pratico” posti alla base della sent. 8/1963 non risultano convincenti ed il secondo argomento “pratico” è comunque superabile.
Significativa è la conclusione della sent. 8/1963: “quando, con la dichiarazione di incostituzionalità, la legge perde l’efficacia, la conseguenza che bisogna trarre è solo che vi è stata una illegittima attribuzione di potestà discrezionale: ma non già che vi sia stato l’esercizio d’un potere arbitrario, privo di qualsiasi fondamento giuridico”; non si tratterebbe “dell’esercizio di un potere inesistente, ma dell’esercizio di un potere viziato per riflesso del vizio di costituzionalità che inficia la norma attributiva”. Ma l’illegittima attribuzione di potere e l’esercizio di un potere viziato per riflesso dell’incostituzionalità della legge possono essere affermati nella fase che precede la sentenza della Corte, non dopo: venuta meno ex tunc la legge, viene meno sin dall’inizio anche il potere. Se, dopo la sentenza di accoglimento, si afferma che c’è stata un’illegittima attribuzione di potere e che, dunque, il potere c’era (pur essendo viziato), ciò significa che si continua ad applicare la legge annullata, in violazione dell’art. 30 l. 87/1953[16].
E’ vero che, nel momento dell’esercizio, il potere c’era e si può, quindi, anche affermare che la sua inesistenza ex tunc è una finzione giuridica: ma si tratta della finzione che “va in scena” ogni volta che c’è un annullamento[17] e che è imposta dal divieto di applicazione delle leggi annullate. Dunque, nei limiti in cui può essere considerato nullo un atto amministrativo adottato in carenza di potere (su ciò v. infra), tale nullità dovrebbe essere riconosciuta anche a seguito dell’annullamento ex tunc della legge attributiva del potere.
2.2 Assenza di argomenti ulteriori nella recente giurisprudenza comune
La sentenza del Consiglio di Stato del 1963 è stata esaminata con attenzione perché la giurisprudenza successiva ha confermato l'orientamento dell'Adunanza plenaria sopra esposto[18], senza aggiungere altri argomenti, per cui le ragioni della tesi dominante restano quelle sopra esaminate. Alcune sentenze, citando espressamente il precedente del 1963, hanno ribadito che, “in linea di principio la dichiarazione di incostituzionalità della legge attributiva di un potere amministrativo non rende di per sé nulli i provvedimenti emessi in attuazione della norma dichiarata incostituzionale (cfr. Ad. Plen., 10 aprile 1963, n. 8)” (così Cons. St., VI, n. 1153/2001; nel medesimo senso v. Cons. St., VI, n. 3237/2001[19]).
Possono essere poi citati diversi casi in cui la giurisprudenza amministrativa ragiona di illegittimità derivata di fronte all'annullamento di norme legislative che fondavano il potere amministrativo e non erano meramente regolative di un potere attribuito da altre norme (o, comunque, senza distinguere a seconda del rapporto tra atto amministrativo e legge annullata).
Così, la sent. Cons. St., VI, n. 3458/2006 (che si è pronunciata sulla legittimità dell'annullamento d'ufficio delle autorizzazioni ad installare SRB (stazione radio base), rilasciate in base al d. lgs. 198/2002, dichiarato incostituzionale dalla sent. 303/2003 della Corte costituzionale) parla specificamente di illegittimità derivata con riferimento alle autorizzazioni stesse, rilasciate nell'esercizio di un potere attribuito dalla norma annullata[20]. La sent. Cons. St., VI, n. 2575/2006 qualifica come illegittimo un provvedimento di revoca della patente adottato nell'esercizio di un potere attribuito da una norma (l'art. 120 d. lgs. 285/1992) annullata dalla sent. 239/2003 della Corte costituzionale: di un potere, dunque, che – in relazione a quella fattispecie - non esisteva più (ex tunc) dopo la sentenza della Corte[21]. La sent. Cons. St., IV, n. 6691/2002 annulla un provvedimento di collocamento a riposo di un dirigente statale per ragioni di servizio, ritenendolo affetto da illegittimità derivata a seguito della sentenza della Corte costituzionale 193/2002, che aveva annullato l'art. 20, co. 9, d. lgs. 29/1993[22]. La sent. Cons. St., V, n. 8056/2006, richiamando espressamente la sent. 8/1963, ha confermato la pronuncia di primo grado che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 971/1988 (che aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 85, lett. a), d.P.R. 3/1957, nella parte in cui, in luogo del mero provvedimento di destituzione di diritto, non prevedeva l'esperimento del procedimento disciplinare), aveva annullato una destituzione di un impiegato pronunciata da un Comune a seguito di una condanna penale.
Anche la giurisprudenza della Cassazione si è attenuta all'orientamento della sentenza “capostipite”[23]. Interessante è soprattutto il caso di cui alla sent. Cass s.u. 10.12.1993, n. 12160. In un giudizio amministrativo avente ad oggetto una concessione edilizia per l’ampliamento di un hotel era stato sollevato regolamento di giurisdizione davanti alle sezioni unite della Cassazione “per carenza assoluta del potere esercitato sia dal Consiglio Comunale di Milano, sia dalla Giunta della regione Lombardia, sia infine dal Sindaco di Milano”, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 212/1991, che aveva annullato alcune disposizioni della l. Lombardia 39/1988 che avevano sostanzialmente attribuito poteri decisori, in materia di concessioni edilizie, alla Regione, lasciando al Comune poteri meramente consultivi, di proposta ed esecutivi[24]. Si trattava, dunque, di un caso in cui – a seguito di una sentenza di accoglimento - era emersa la carenza assoluta del potere esercitato (dalla Regione) con l’atto impugnato. La Cassazione dichiarò la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo in quanto “la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma che attribuisce alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale, quale quello per cui si fonda la concessione edilizia, operando esclusivamente per il suo stesso oggetto, sulla efficacia della norma, non comporta la inesistenza degli atti amministrativi adottati in base ad essa, l'annullamento dei quali per la conseguita illegittimità deve essere pronunciato nella debita sede dal Giudice Amministrativo”[25].
Come si vede, la Cassazione non fa valere l’argomento dell’efficacia della legge illegittima al momento dell’adozione dell’atto amministrativo ma sembra ricollegarsi (implicitamente) al secondo argomento utilizzato dalla sent. 8/1963, cioè a quello dell’autonomia dell’atto amministrativo rispetto alla legge: solo in questa prospettiva può reggere la conclusione cui arriva la Cassazione, mentre – di per sé – il fatto che la sentenza della Corte costituzionale incida direttamente sull’efficacia della legge non sarebbe sufficiente per escludere la nullità, dovendo verificarsi in che modo l’annullamento della legge (e la conseguente eliminazione retroattiva del potere esercitato) si rifletta sull’atto amministrativo, in base alla disciplina positiva dell’invalidità.
Tale orientamento è stato in seguito confermato. Si possono qui menzionare alcune decisioni emesse dalla sezione tributaria (che si occupa di atti amministrativi): v. Cass., sez. V trib, 27.6.2005, n. 13817[26], Cass., sez. trib., n. 423/2008; Cass., sez. trib., n. 4549/2006; Cass., sez. trib., n. 1773/2003.
2.3 Incoerenza della tesi dominante con la teoria dell’invalidità caducante
Un ulteriore elemento di debolezza della tesi dominante è la sua incoerenza con la teoria dell’invalidità caducante, in base alla quale, “se l’atto presupposto è l’unico antecedente logico-giuridico dell’atto consequenziale, l’annullamento del primo genera un’invalidità caducante e non solo viziante dell’atto attuativo; ciò implica, sul piano processuale, l’insussistenza di un onere di impugnativa”[27].
Così, ad es., si è affermato che “il provvedimento di autorizzazione alla apertura di una farmacia, nell’ambito della nuova circoscrizione delimitata al momento della revisione della pianta organica delle sedi farmaceutiche, è destinato ad essere travolto automaticamente per invalidità derivata caducante ove venga annullato il provvedimento di revisione di detta pianta organica”[28]; che “l’annullamento dell’atto di scioglimento di un consiglio comunale travolge automaticamente l’atto di convocazione dei comizi e l’atto di proclamazione degli eletti”[29], e che “la invalidità dell’atto presupposto ha effetto «caducante» solo quando l’atto conseguente si basa unicamente sul precedente, trovando in esso l’esclusiva ragione della sua esistenza; è il caso, ad esempio, della relazione tra approvazione della graduatoria e conseguenti atti di nomina dei vincitori”[30].
Ora, pare che anche certe leggi potrebbero essere considerate unico presupposto dell'atto amministrativo, con conseguente effetto caducante dell'annullamento della legge sull'atto stesso: e l’effetto caducante di cui parla la giurisprudenza corrisponde alla nullità “sopravvenuta ma originaria” da noi affermata in caso di annullamento della legge attributiva di potere.
La ragione per cui la giurisprudenza amministrativa non ha considerato l'ipotesi dell'invalidità caducante per l'annullamento della legge si può forse far risalire a esigenza di tutela dei controinteressati: infatti, se l'atto non è stato impugnato davanti al giudice amministrativo, l'effetto caducante della sentenza della Corte potrebbe incidere sui soggetti che traggono beneficio dall'atto senza che essi abbiano avuto la possibilità di difendersi, dato che la Corte ammette l’intervento dei terzi nel giudizio in via incidentale in casi limitati, cioè quando l’incidenza sul loro interesse derivi dall’immediato effetto che la decisione della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo e non quando il loro interesse sia semplicemente toccato dall’annullamento della legge: stando così le cose, i soggetti che traggono beneficio dall’atto non possono partecipare al giudizio davanti alla Corte. Certamente essi potrebbero partecipare al giudizio instaurato per far dichiarare la nullità ma, a questo punto, per loro il “danno” è già fatto.
L’esigenza di tutela dei terzi emerge anche dalla sentenza n. 5559/2007 del Consiglio di Stato, sez. VI, che pare limitare i casi di invalidità caducante, appunto in nome del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Secondo questa sentenza, quando l’atto successivo, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto precedente, non ne costituisce conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implica nuove e ulteriori valutazioni di interessi, (specie se di terzi soggetti), la immediata impugnazione dell’atto presupposto non fa venire meno la necessità di impugnare l’atto successivo. Nel caso di specie della sentenza l’impugnazione dell’atto di revoca di un commissario e il suo annullamento giurisdizionale non bastava a far cadere il successivo provvedimento di nomina del nuovo commissario, non impugnato: diversamente opinando, si finirebbe per precludere la tempestiva tutela giurisdizionale del controinteressato, consentendo processi amministrativi in assenza dei veri controinteressati. La sentenza afferma anche che la tesi opposta (della non necessaria impugnazione dell’atto) urta contro le ragioni di economia processuale, perché comporta che il terzo beneficiario dell’atto finale, che viene travolto a seguito di un giudizio cui non è stato posto in condizione di partecipare, si debba avvalere del rimedio dell’opposizione di terzo.
Tali considerazioni possono mettere in luce un’ulteriore “utilità pratica” (oltre a quelle evidenziate dalla sent. 8/1963) alla base della riluttanza ad imputare effetti caducanti alle sentenze costituzionali di accoglimento: non solo i controinteressati non possono partecipare al giudizio di costituzionalità, ma essi non potrebbero neppure proporre opposizione di terzo contro la sentenza della Corte, che – come noto – non è impugnabile.
3. L'orientamento della Corte costituzionale
Nella giurisprudenza costituzionale si può individuare un indirizzo generale in tema di effetti retroattivi delle sentenze di accoglimento (v. il § 5.1), ma il tema particolare che ci interessa è stato affrontato solo con qualche spunto sporadico e non sempre coerente (e, in effetti, esso riguarda più i giudici comuni che la Corte).
Nella sent. 36/1961, che aveva ad oggetto una legge siciliana che prevedeva una spesa in violazione dell'art. 81 (e, dunque, fondava il potere di iscrivere a bilancio la spesa[31]), la Corte statuisce che “la dichiarazione di incostituzionalità della legge impugnata ha per conseguenza l'inefficacia degli atti emessi sulla base della medesima, ed in particolare dell'iscrizione nel bilancio di previsione per l'anno finanziario 1960-61 della somma di lire 388.416.000 imputata al capitolo n. 612 della spesa effettiva straordinaria”. Pur avendo quella vicenda alcune peculiarità[32], pare interessante sottolineare l'effetto attribuito dalla Corte alla propria pronuncia.
In senso diverso sembra orientarsi la Corte nella sent. 398/1989. Il TAR Lazio aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, co. 2, della legge 1766/1927, “nella parte in cui rimette alla competenza del Ministro dell'agricoltura e delle foreste la scelta dei magistrati ordinari cui affidare l'ufficio di Commissario agli usi civici”. Si trattava, dunque, di una norma sulla costituzione dell'organo. La Corte dichiara la illegittimità costituzionale della disposizione censurata (“nella parte in cui in luogo della disciplina ivi prevista non rimette alla competenza del Consiglio superiore della magistratura... le assegnazioni a magistrati ordinari dell'ufficio di Commissario agli usi civici”), ma precisa che “la norma impugnata va caducata senza che le nomine divenute inoppugnabili siano toccate nella loro legittimità (argom. ex art. 136 Cost.)”. Dunque, la Corte non solo esclude la possibilità di contestare le nomine non impugnate ma addirittura nega la loro illegittimità derivata (probabilmente per evitare un effetto invalidante a catena sulle decisioni assunte dai commissari già nominati).
Un'impostazione decisamente diversa risulta dalla sent. 16/1991, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 26 l. Lombardia 44/1983, contemplante la destituzione di diritto dell'impiegato che aveva subito determinate condanne penali. La Corte, fra l'altro, osserva che, “ove la norma fosse dalla Corte delegittimata, cadrebbe al contempo ex tunc il provvedimento assunto sulla base della norma dichiarata illegittima, e il ricorrente si troverebbe di nuovo automaticamente in servizio”[33].
La sent. 16/1991, dunque, si discosta dall'indirizzo accolto dalla giurisprudenza comune, che, però, viene seguito dalla sent. 43/1992. Erano stati impugnati in sede di conflitto due provvedimenti del Commissario del governo - datati 26 giugno 1991 - di nomina di amministratori straordinari di unità sanitarie locali (in sostituzione della Regione) ai sensi del d.l. 35/1991, conv. nella l. 4 aprile 1991, n. 111. La Corte, con la sentenza n. 386 del 17 ottobre 1991, aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 1, co. 8, d.l. 35/1991, cioè della norma fondante il potere sostitutivo del Commissario; con la sent. 43/1992 la Corte accoglie il conflitto perché “gli impugnati provvedimenti... sono... illegittimi e vanno annullati, per essere stati emanati da autorità sprovvista di potere”.
Dunque, in questo caso la Corte sembra accogliere la tesi del Consiglio di Stato (mera illegittimità derivata degli atti amministrativi anche a seguito di annullamento della norma fondante il potere), ma è da tener presente che gli atti in questione erano stati impugnati davanti alla Corte, e dunque ad essa non “serviva” affermare la nullità per far venir meno l'efficacia degli atti stessi.
Ancora diversa è la posizione assunta dalla Corte nella sent. 390/2008, che afferma l'effetto direttamente caducante sugli atti amministrativi applicativi della norma annullata. La l.r. Lazio 4/2006 aveva previsto nuove norme in materia di organi di controllo contabile delle aziende sanitarie ed ospedaliere e, in connessione a ciò, aveva previsto il rinnovo degli organi in carica, stabilendo la possibilità di confermare i membri del collegio sindacale in carica o di “effettuare nuove designazioni, entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge” (art. 133, co. 5). Il TAR Lazio aveva contestato tale disposizione nella parte in cui prevedeva la «decadenza automatica» (in realtà, non era automatica) degli incarichi di componente del collegio sindacale e nella parte in cui, per i medesimi incarichi, «consente di effettuare nuove designazioni senza alcun vincolo procedimentale». La Corte accoglie la prima questione, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., e dichiara inammissibile la seconda “in conseguenza della fondatezza della prima questione”. Infatti, dichiarato illegittimo l'art. 133, co. 5, l.r. Lazio 4/2006 “e venuto quindi meno, con essa, anche l'effetto di cessazione dalla carica dei ricorrenti nei giudizi a quibus, diviene irrilevante, ai fini della decisione di questi ultimi, la questione relativa alle modalità di designazione dei nuovi componenti”.
Dunque, di fronte ad un caso di sopravvenuto difetto di potere in concreto (l'organo autore delle nuove nomine aveva in astratto il potere di nomina ma, dopo la sentenza della Corte, è venuto meno ex tunc il presupposto legittimante l'esercizio del potere), la Corte ha ritenuto che l'annullamento della legge determinasse direttamente l'inefficacia degli atti amministrativi adottati in carenza di potere. La Corte ha fatto riferimento agli atti impugnati nel giudizio a quo (per trarne la conseguenza dell'irrilevanza della seconda questione di costituzionalità sollevata dal TAR), ma – a rigore – tutti i vecchi componenti di collegi sindacali sostituiti in applicazione della norma annullata potrebbero far valere la propria pretesa alla carica, invocando la sentenza della Corte[34].
Infine, è opportuno segnalare la sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2007. Il Presidente del Consiglio dei ministri aveva impugnato la l. Veneto 26/2005. La Corte ha dichiarato non fondata la censura relativa all’art. 3, co. 3, che affida al Consiglio regionale la nomina dei componenti del consiglio di indirizzo e verifica dell’Istituto oncologico veneto. Tale norma contrastava con un atto di intesa del 1° luglio 2004, ma la Corte ha rilevato che esso (prevedendo la nomina di tre membri da parte del Ministro della salute) si era conformato all’art. 42, co. 1, lettera p), l. n. 3/2003, che era stato annullato dalla sentenza n. 270/2005 della Corte. Il giudice costituzionale ha, dunque, dovuto determinare le conseguenze che sull’atto di intesa erano derivate dall’annullamento non della norma legislativa che lo prevedeva ma della norma al cui contenuto l’intesa si conformava: la Corte ha, da un lato, affermato che “l’intesa, nella parte in cui riproduce la norma annullata, è divenuta anch’essa illegittima”, dall'altro ha osservato che “essa non ha più efficacia vincolante”. La Corte non chiarisce il rapporto fra le due categorie concettuali (l’illegittimità e l’inefficacia), ma non pare che l’inefficacia sia da ricondurre ad un caso di nullità, che contraddirebbe la precedente affermazione di illegittimità dell’intesa. L’annullamento della norma riprodotta era una novità “normativa” incompatibile con il permanere dell’efficacia dell’intesa. Si può pensare, dunque, ad un caso di inapplicabilità per venir meno della norma riprodotta: cioè, ad una specie di “abrogazione” dell’atto amministrativo[35].
Come si può vedere dalle sentenze sopra esposte, se è vero che, di regola, la “ricaduta” delle sentenze di accoglimento sugli atti applicativi e sui giudizi comuni va determinata dai giudici comuni, è anche vero che, talvolta, si creano sovrapposizioni tra Corte e giudici comuni.
4. Definizione dei casi in cui l’atto amministrativo può essere considerato nullo, a seguito dell’annullamento della legge posta alla sua base
Se, dunque, si possono sollevare dubbi sulla fondatezza della tesi secondo la quale la sentenza di annullamento della legge non ha mai effetto (direttamente) caducante sugli atti amministrativi fondati su di essa, occorre ora definire con precisione in quali ipotesi l'atto amministrativo può essere considerato nullo.
La nullità degli atti amministrativi è un istituto che, a parte specifiche previsioni contenute in leggi di settore[36], è nato in via giurisprudenziale ed infine è stato previsto in via generale dalla l. 15/2005, che ha introdotto l'art. 21-septies nella l. 241/1990. In particolare, la giurisprudenza della Cassazione, pronunciandosi in sede di regolamento di giurisdizione[37], è pervenuta a stabilire – come noto – che la carenza di potere produce la nullità del provvedimento, con conseguente “sopravvivenza” del diritto soggettivo (che non viene “degradato” a interesse legittimo) e giurisdizione del giudice ordinario. Nel 1992 anche l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato riconobbe ufficialmente l'esistenza della nullità del provvedimento amministrativo[38].
Dal nostro punto di vista, il dubbio da risolvere è se la nullità dell'atto sia configurabile solo se, dopo l'annullamento della legge, quell'ente pubblico è privo del potere “in astratto” (nel senso che non può più adottare, in assoluto, l'atto in questione) o anche quando la sentenza di accoglimento lo priva del potere “in concreto”, cioè del potere di adottare l'atto in quello specifico caso ma non del potere in via generale[39]. L'inquadramento giuridico dei casi di carenza di potere “in concreto” è stato a lungo controverso[40], ma l'art. 21-septies l. 241/1990 stabilisce che “è nullo il provvedimento amministrativo... che è viziato da difetto assoluto di attribuzione”. Questa disposizione è stata intesa come limitativa dei casi di nullità, nel senso che andrebbero sottoposti al regime dell'annullabilità i casi di difetto di attribuzione non “assoluto”, cioè di carenza di potere “in concreto” (salva quella particolare ipotesi di carenza di potere “in concreto” rappresentata dalla violazione o elusione del giudicato, che dà luogo – in base all’art. 21-septies – a nullità)[41].
5. Considerazioni conclusive
5.1 L’”esaurimento” del rapporto non va valutato prima della sentenza di accoglimento ma dopo
Come visto, la giurisprudenza comune è univocamente indirizzata nel senso di ritenere che l'annullamento della legge applicata dall'atto amministrativo non possa “rimettere in termini” il privato, a prescindere dal carattere (attributivo del potere o regolativo di esso) della legge annullata, e che, dunque, l'inadempimento dell'onere di impugnazione dell'atto lesivo determini l'irreversibile “chiusura” del rapporto. Però, in base a quello che si è detto e che si dirà di seguito, risultano superabili gli argomenti addotti per negare che l'annullamento di una legge attributiva di un potere amministrativo produca la nullità sopravvenuta ma originaria dell'atto amministrativo col quale è stato esercitato quel potere e che, perciò, esso possa essere contestato anche da chi non l'ha impugnato entro il termine di decadenza.
Nella dottrina costituzionalistica (che si fonda evidentemente sul “diritto vivente” derivante dall'orientamento del Consiglio di Stato), la decadenza dal potere di impugnare un atto amministrativo è un esempio “classico” di rapporto “esaurito”, nel senso che l'atto non impugnato tempestivamente diventa non più contestabile in giudizio, pur dopo l'annullamento della legge da esso applicata e senza distinzioni a seconda del rapporto tra la legge e l'atto applicativo[42].
In realtà, a parte l’eventuale esercizio dei poteri di autotutela da parte della p.a.[43], l'esaurimento del rapporto determinato dalla scadenza del termine di impugnazione non riguarda l'atto amministrativo in sé e per sé ma solo i vizi di legittimità dell'atto, non i vizi di nullità, essendo pacifico che questi possono essere fatti valere oltre il termine di decadenza[44]. Dunque, scaduto il termine di impugnazione, l'atto non è inoppugnabile tout court, ma è inoppugnabile solo se si vuol far valere un vizio di illegittimità. Sarebbe preferibile, dunque, evitare una definizione di rapporto esaurito troppo rigida e concepirlo in modo più elastico, cioè come quel rapporto che non può essere più messo in discussione neppure dopo la sentenza di accoglimento.
In sostanza, l'esaurimento del rapporto non va valutata prima della sentenza della Corte (accertando se l'atto è stato impugnato o no) ma dopo, verificando se la sentenza della Corte determina o meno la possibilità di contestare l'atto in giudizio[45].
L'opposto modo “aprioristico” di concepire i rapporti esauriti ha forse origine in una delle sentenze più importanti della Corte costituzionale, in materia di effetti delle sentenze di accoglimento, ove si imposta l’intera tematica sul parallelismo “applicabilità-divieto di applicazione”, nel senso che “il sistema positivamente adottato implica, per logica necessità, che le norme colpite da pronuncia di illegittimità, e alle quali é pertanto vietato fare riferimento, sarebbero altrimenti applicabili, poiché il divieto non avrebbe senso con riguardo a norme che già fossero di per sé insuscettibili di applicazione per ragioni diverse dalla loro dichiarata illegittimità”; in altre parole, “rilevanza della questione e divieto di applicazione di norme dichiarate costituzionalmente illegittime sono termini inscindibili” (sent. 49/1970)[46]. E, in una sentenza successiva, la Corte afferma che “vanno considerati esauriti anche i rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad essi relativi” (sent. 139/1984, punto 15).
In questo modo, però, si cerca di definire la retroattività della sentenza di accoglimento con una valutazione a priori, avente ad oggetto i rapporti pendenti prima della sentenza della Corte[47]. L'art. 30 l. 87/1953, invece, non vieta di applicare la legge ai rapporti ai quali, prima della sentenza, era applicabile, ma vieta di applicare in ogni caso la legge annullata. Il punto, dunque, non è stabilire quali rapporti fossero aperti prima della sentenza, ma quali possano essere rimessi in discussione dopo la decisione di accoglimento: se, dopo la sentenza della Corte, si può sollevare davanti ad un giudice una questione che dipende dall'applicazione o disapplicazione della legge annullata, il giudice non può applicare la legge[48].
Nella dottrina amministrativistica la questione delle conseguenze dell'annullamento della legge sull'atto amministrativo applicativo di essa non è di solito oggetto di particolare considerazione: l'annullamento della legge è presentato come uno dei due casi in cui ci può essere un'illegittimità sopravvenuta dell'atto amministrativo[49] (l'altro è quello della legge retroattiva), in deroga al principio secondo il quale la validità dell'atto amministrativo va valutata solo in base alle norme vigenti al momento della sua adozione, o come uno dei casi in cui non c'è un'illegittimità sopravvenuta dell'atto amministrativo, dovendo questo essere considerato invalido sin dall'inizio, a seguito dell'annullamento retroattivo della legge (v. la nota 7). Solo raramente la dottrina ipotizza la nullità sopravvenuta in caso di annullamento della legge attributiva del potere[50].
5.2 Infondatezza delle ragioni “pratiche” e “ideologiche” a sostegno della tesi dominante
Se, dal punto di vista giuridico, non sembra possibile ravvisare la mera illegittimità derivata anche quando la legge annullata dalla Corte costituzionale fosse attributiva (e non semplicemente regolativa) del potere esercitato dalla p.a., occorre valutare il peso delle altre possibili ragioni alla base dell'orientamento dominante.
L'atteggiamento della giurisprudenza amministrativa sopra illustrata trae origine, da un lato, dalla tradizionale “diffidenza” del giudice amministrativo verso la nullità degli atti amministrativi, vista come un ostacolo alla tutela degli interessi pubblici perseguiti dagli atti stessi[51], dall'altro, da ragioni “pratiche”, cioè dalla convenienza di ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto da parte del giudice amministrativo piuttosto che una pronuncia di rito (improcedibilità per difetto di interesse o declinatoria di giurisdizione).
Sulla scarsa consistenza delle ragioni pratiche ci si è già soffermati (v. il § 2.1). Quanto alle ragioni “ideologiche”, se è vero che il regime dell'annullabilità è volto a garantire certezza sulla sorte dei provvedimenti amministrativi, a tutela degli interessi pubblici (e degli interessi dei controinteressati), è anche vero che ciò si traduce nell'”eccezionalità” del regime della nullità (a fronte della regola generale per cui la violazione di norme produce la mera annullabilità[52]) e che, qualora si verifichi uno dei casi di nullità, essa va affermata perché si tratta di un mezzo di difesa di fronte agli abusi più gravi della pubblica amministrazione.
Si può anche notare che, se in generale un provvedimento amministrativo (adottato sulla base di una legge legittima) può essere nullo per varie cause, ma non necessariamente difforme dall'interesse pubblico, un atto nullo per sopravvenuto annullamento della legge attributiva del potere è verosimilmente lesivo di un diritto fondamentale o dell'art. 3 Cost. o di un fondamentale principio di organizzazione o funzionamento della p.a. (v. l'art. 97 Cost.): in questi casi, dunque, la nullità va vista come un mezzo di tutela di interessi di rango costituzionale.
Dunque, negare la nullità degli atti adottati nell'esercizio di un potere che è venuto meno sin dall'inizio, insieme alla legge attributiva (dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale), vuol dire mettere a repentaglio i diritti garantiti dalla Costituzione ai privati, perché una legge attributiva di un potere può essere annullata dalla Corte per ragioni procedurali o di competenza ma può essere annullata anche perché prevedeva un potere lesivo di un diritto costituzionalmente garantito[53].
Ancora, è da tener presente che, per certi provvedimenti, l'impugnazione tempestiva da parte di un privato è un'eventualità difficile da immaginare, perché si tratta di provvedimenti favorevoli, previsti da una legge incostituzionale in quanto contrastante con norme poste a tutela dell'interesse pubblico[54] (si pensi alle leggi che prevedono assunzioni o promozioni “facili”, in contrasto con l'art. 97, co. 1 e 3, Cost.). In questi casi, la tesi qui sostenuta consente di rilevare d'ufficio, o ad iniziativa di qualunque interessato al di là del termine di decadenza, la nullità del provvedimento adottato nell'esercizio di un potere incostituzionale.
Altra ragione che potrebbe giustificare (dal punto di vista pratico più che giuridico) la tesi dominante è l'esigenza di tutelare l'affidamento e la certezza del diritto, che potrebbero essere lesi qualora la legge annullata sia stata applicata per un lungo periodo. Oltre al fattore temporale, si potrebbe anche far valere il criterio dell'”evidenza del vizio”, che nel diritto comparato e comunitario viene utilizzato - insieme a quello della gravità e sempre per ragioni di certezza - per individuare i casi di nullità[55].
Ora, è vero che nel nostro caso l'evidenza del vizio sopraggiunge solo dopo l'annullamento della legge, ma le ragioni di certezza devono anche condurre a dare sempre tutela agli interessi costituzionali: non si può ammettere che la p.a. violi i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione o l'art. 97 Cost. perché l'interessato non ha fatto ricorso entro 60 gg. o perché non esiste un soggetto interessato a fare ricorso.
Inoltre, nella tesi dominante c'è l'idea della “sanzione” per l'inadempimento dell'onere di impugnazione, ma tale idea risulta difficilmente conciliabile con la tesi prevalente secondo la quale l'atto applicativo di legge incostituzionale è originariamente legittimo e diventa illegittimo solo dopo la sentenza di accoglimento[56]. Dunque, proprio la mancanza di evidenza del vizio dovrebbe indurre a non “sanzionare” chi non ha impugnato l'atto lesivo entro il termine di decadenza.
Ancora, si può osservare che i rischi per la certezza del diritto sono stati ridotti dalla l. 15/2005, che ha limitato alla carenza di potere “in astratto” la nullità del provvedimento amministrativo, per cui, in molti casi (quelli in cui l'annullamento della legge produce la carenza di potere “in concreto”), l'atto amministrativo applicativo della legge annullata sarà semplicemente annullabile e, dunque, non più contestabile se non tempestivamente impugnato.
Infine, è da dire che agli inconvenienti derivanti dalla retroattività delle sentenze di accoglimento della Corte può porre rimedio sia la stessa Corte (che, come noto, in qualche occasione ha limitato tale retroattività) sia il legislatore, al quale spetta primariamente il compito di intervenire per far fronte alla pronuncia di accoglimento.
Tutto ciò fermo restando che, di per sé, gli inconvenienti pratici non dovrebbero condurre a disapplicare la disciplina positiva della nullità degli atti amministrativi.
In conclusione, è da ritenere fondato lo spunto di Lorenza Carlassare da cui si è partiti: non esistono argomenti idonei a far accettare il fatto che gli atti amministrativi “resistono alla decisione d’incostituzionalità della stessa legge che li prevede: legge che viene eliminata; mentre quelli – nel vuoto – le sopravvivono”[57].
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Il presente saggio è destinato alla pubblicazione negli "Scritti in onore di Lorenza Carlassare", a cura di G.Brunelli - A. Pugiotto - P. Veronesi, Napoli 2009. |
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[1] V. L. Carlassare, Le precisazioni della Corte sulla “retroattività” delle sentenze di accoglimento, in Le nuove leggi civili commentate, 1984, 1088. L’Autrice notava che gli atti amministrativi, “decorso il termine, resistono alla decisione d’incostituzionalità della stessa legge che li prevede: legge che viene eliminata; mentre quelli – nel vuoto – le sopravvivono”. Non sentiva quest’esigenza H. Kelsen, La giustizia costituzionale, Milano, 1981, 191: “sarebbe opportuno,… nell’interesse della certezza del diritto, non attribuire, in linea di principio, effetti retroattivi all’annullamento delle norme generali, quanto meno nel senso di lasciar sussistere tutti gli atti giuridici anteriormente posti in essere sulla base di tali norme”.
[2] In dottrina si è detto che la nullità sarebbe “originaria... quoad effectum (cioè alla decorrenza), ma sopravvenuta quoad causam”: v. F. La Valle, La retroazione della pronuncia d'incostituzionalità sui provvedimenti e sugli adempimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1963, 885.
[3] Una compiuta formulazione di questa tesi si trova in F. La Valle, op. cit., 882 s. Oggetto del lavoro, dunque, sono le conseguenze della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale sulla validità degli atti amministrativi applicativi della legge annullata e sulla loro contestabilità giurisdizionale. Resta escluso il tema delle conseguenze della sentenza di accoglimento sulla ulteriore applicabilità della legge annullata da parte della p.a., quando sulla base della legge annullata sia stato adottato un atto amministrativo ad efficacia durevole o un atto presupposto di ulteriori atti: sul tema v. soprattutto M. Magri, Inapplicabilità e disapplicazione delle norme dichiarate incostituzionali da parte della pubblica amministrazione, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi (a cura di), “Effettività” e “seguito” delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 113 ss.; G. Falzone, Sull’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi alle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1969, 463 ss. Resta escluso anche un confronto con l’analogo tema degli effetti che la disapplicazione di una legge contrastante con una fonte comunitaria produce a carico degli atti amministrativi adottati sulla base della legge disapplicata: su tale tema v., anche per ulteriori citazioni, R. Villata – M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 399 ss.; M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2008, 542 ss.; G. Greco, L’incidenza del diritto amministrativo comunitario sugli atti amministrativi nazionali, in M.P. Chiti – G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte generale, II, Milano, 2007, 936 s.; N. Pignatelli, L'illegittimità “comunitaria” dell'atto amministrativo, in Giur. cost., 2008, 3635 ss.
[4] Vedila in Giur.cost., 1963, pp. 1212 ss. o, più di recente, in G. Pasquini – A. Sandulli, Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 2001, 355 ss. Su di essa v., in senso adesivo, F. Modugno, Esistenza della legge incostituzionale e autonomia del “potere esecutivo”, in Giur. cost., 1963, 1728 ss.; A.A. Cervati, Gli effetti della pronuncia d’incostituzionalità delle leggi sull’atto amministrativo, in Giur. cost., 1963, 1214 ss.; G. Falzone, op. cit., 462; R. Perez, I vizi dell’atto amministrativo conseguenti alla pronuncia di incostituzionalità delle leggi, in Foro it., III, 1964, 360 ss.; in senso contrario v. N. Lipari, Orientamenti in tema di effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1963, 2252 s. Nella dottrina recente v. M. Magri, La legalità costituzionale dell’amministrazione - Ipotesi dottrinali e casistica giurisprudenziale, Milano, 2002, 344 ss; P. Giangaspero, Il principio di legalità ed il seguito amministrativo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Trieste, 2003, 39 ss.; P. Giangaspero, Il “seguito” amministrativo delle decisioni pronunciate dalla Corte in sede di giudizio incidentale, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, op. cit., 70 s.; F. Politi, L'efficacia nel tempo delle sentenze di accoglimento nelle riflessioni della rivista “Giurisprudenza costituzionale”, in A. Pace (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale, Milano, 2006, 869 ss.
[5] La sentenza ha poi risolto la questione relativa alla possibilità per il giudice amministrativo di dare rilievo o meno alla dichiarazione di illegittimità della legge nel caso in cui l’atto sia stato impugnato per motivi diversi dall’incostituzionalità, stabilendo che il vizio dell'atto può essere preso in considerazione dal giudice (di qualsiasi processo) anche se l'illegittimità derivata dall'incostituzionalità della legge non era stata dedotta come motivo di ricorso.
[6] V. F. La Valle, op. cit., 882 s. Questa tesi è condivisa da N. Lipari, op. cit., 2252 s. Invece, per F. Modugno, op. cit., 1741, “la retroattività della pronuncia…, lungi dall’implicare la eliminazione dell’esistenza di una legge che, se è esistita, non può più, in nessun modo, per il tempo che è esistita, essere cancellata dalla scena dell’ordinamento giuridico, importa invece la necessità (giuridica) ossia la doverosità della rimozione – per quanto possibile – degli effetti riconducibili a quella legge, anche se scaturiti da essa prima della dichiarazione della sua incostituzionalità”: ma la conservazione dell’efficacia della legge fra la sua entrata in vigore e la sentenza della Corte non si concilia con la configurazione comune degli effetti di una sentenza di annullamento (l’atto annullato è tamquam non esset). La legge non può essere cancellata retroattivamente dalla realtà dei fatti ma dall’ordinamento giuridico sì. V. anche V. Onida, Illegittimità costituzionale di leggi limitatrici di diritti e decorso del termine di decadenza, in Giur. cost., 1965, 540 nt. 36 e nt. 37. A.A. Cervati, op. cit., 1224 ss., pone l’accento sul principio dell’affidamento e osserva che “l’effettivo esercizio in base alla attribuzione legislativa, sia pure incostituzionale, esclude in ogni caso l’inesistenza giuridica di tutta l’attività svolta in applicazione della legge incostituzionale”; “ciò che rileva… per l’esistenza dell’atto è che l’amministrazione abbia agito nell’esercizio di funzioni attribuitele dalla legge vigente al momento in cui l’atto è stato emesso”; “mentre è esatto sostenere che esiste un rapporto tra esistenza dell’atto ed efficacia della norma, si deve escludere che un tale rapporto sussista tra esistenza dell’atto e validità della norma su cui l’atto è fondato”. Quest’ultimo passaggio (condiviso da N. Pignatelli, Le “interazioni” tra processo amministrativo e processo costituzionale in via incidentale, Torino, 2008, 85 s., e F. Fenucci, Giudicato implicito ed impliciti effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi sugli atti amministrativi, in Giur. cost., 1981, 1998), però, ripropone il problema di come si possa conciliare la tesi di questi Autori con l’effetto di annullamento della sentenza di accoglimento: infatti, dopo la sentenza di accoglimento anche l’efficacia della norma (e non solo la validità) viene meno ex tunc.
[7] Secondo alcuni (v., ad es., G. Falcon, Questioni sulla validità e sull'efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo, in Dir. amm., 2003, 17; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, 1, Napoli, 1989, 690; E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2008, 525) l’atto amministrativo applicativo di una legge illegittima è viziato ab origine (anche per V. Onida, op. cit., 537 nt. 36, l’atto amministrativo adottato sulla base di una legge incostituzionale “è viziato da originaria invalidità”, ma tale assunto si fonda sulla sua tesi, minoritaria, della originaria inefficacia della legge incostituzionale, che non vincolerebbe la p.a.) mentre, secondo altri (v. F. Modugno, op. cit., 1748; A. Pace, Espropri incostituzionali: restituzioni e responsabilità civili della Pubblica amministrazione per l’applicazione di leggi illegittime, in Giur. cost., 1962, 1238; F. La Valle, op. cit., 883 nt. 15 e 888; N. Lipari, op. cit., 2254; F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2008, 325; R. Villata – M. Ramajoli, op. cit., 394; G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2008, 323; V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2008, 462; N. Pignatelli, Legalità costituzionale ed autotutela amministrativa, in Foro it., V, 2008, 312; ID., Le “interazioni”, cit., 81), il vizio sopraggiunge solo dopo l'annullamento della legge, non potendosi l'illegittimità della legge trasmettersi all'atto amministrativo, data l'autonomia dei due procedimenti. Ai nostri fini non occorre approfondire tale questione, però si può osservare che la soluzione potrebbe essere articolata. La prima tesi risulta convincente quando il vizio della legge è di contenuto e l’atto amministrativo lo riproduce sin dall’inizio. Si pensi agli atti applicativi della legge sull’incremento di punteggio agli insegnanti precari “di montagna” (vedi la sentenza Corte cost. 11/2007) e agli atti che toglievano punti della patente in applicazione dell’art. 126-bis, comma 2, del nuovo Codice della Strada (annullato con sent. 27/2005): sembra possibile ritenere che tali atti violassero, sin dall’inizio, le medesime norme costituzionali che la Corte ha giudicato violate dalle norme legislative. Pare, invece, più difficile ipotizzare un’illegittimità originaria quando la legge è affetta da vizio formale (ad es., una legge approvata in Commissione deliberante in materia coperta da riserva di legge d’assemblea). In questo caso, l’atto amministrativo non risulta contrastante con l’art. 72, comma 4, Cost.; non si vede, cioè, come il vizio formale possa trasmettersi agli atti amministrativi applicativi, dato che legge e atto amministrativo rientrano in procedure distinte. Ancora, è da segnalare che la prima tesi sembra trovare conforto nella sent. Corte cost. 304/2002, che afferma il carattere preventivo del ricorso governativo contro gli statuti regionali in quanto “la previsione di un controllo di legittimità costituzionale in via preventiva delle deliberazioni statutarie è intesa… ad impedire che eventuali vizi di legittimità dello statuto si riversino a cascata sull’attività legislativa e amministrativa della Regione, per le parti in cui queste siano destinate a trovare nello statuto medesimo il proprio fondamento esclusivo o concorrente”. D’altra parte, nella sent. 178/2007 la Corte costituzionale, di fronte ad un’intesa che si conformava ad una norma legislativa, ha affermato – dopo la sent. 270/2005 (che annullava la norma di legge) – che “l’intesa, nella parte in cui riproduce la norma annullata, è divenuta anch’essa illegittima” (enfasi aggiunta). Anche nella giurisprudenza comune sembra prevalere l’idea che l'illegittimità derivata degli atti amministrativi sia un effetto della sentenza di annullamento della legge: v., ad es., Cons. St., VI, n. 2575/2006; Cons. St., VI, n. 3458/2006; Cons. St., IV, n. 6691/2002; Cass s.u. 10.12.1993, n. 12160; Cass., sez. trib., n. 1773/2003.
[8] Secondo il Consiglio di Stato, “non è affatto vero in via generale che l’asserita invalidità dell’atto derivata dalla incostituzionalità della norma abbia pieno effetto satisfattorio, indipendentemente dalla rimozione reale dell’atto stesso”.
[9] Continua la sentenza: “non si potrebbe agire” in sede di ottemperanza “per ottenere, di fronte all’inerzia dell’Amministrazione, che questa si conformi non già al dispositivo (il quale nella specie ha il solo effetto di estinguere il rapporto processuale) bensì ad un inciso della motivazione”.
[10] Si fa riferimento all'art. 21-septies l. 241/1990, introdotto dalla l. 15/2005: su di esso v. il § 4. Sulla mancata regolazione del regime processuale della nullità v., ad es., L. Contieri, Le nuove patologie della funzione amministrativa tra inesistenza, nullità ed annullabilità degli atti, in AA. VV., Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, II, Padova, 2007, 38; G. Carlotti, Profilo processuale della nullità del provvedimento amministrativo, in L. Perfetti (a cura di), Le riforme della l. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato, Padova, 2008, 354.
[11] V., ad es., F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, II, Milano, 2008, 1967 s.; v. anche la sent. Cons. St., VI, 661/1995, e la sent. Cons. St., VI, 40/1995.
[12] V. F. Caringella, op. cit., 1964 e 2637; M. D'Orsogna, La nullità del provvedimento amministrativo, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell'azione amministrativa, Napoli, 2006, 369; G. Carlotti, op. cit., 361.
[13] Per non dire che l'inconveniente pratico de quo (derivante dall’esistenza in Italia di due giurisdizioni, in relazione alle controversie riguardanti la p.a.) non può essere sufficiente per negare la tesi della nullità.
[14] Come noto, la sent. 77/2007 ha dichiarato incostituzionale l’art. 30 l. 1034/1971 (istituzione dei Tar), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.
[15] V. V. Onida, Conseguenze processuali, cit., 1045 s.
[16] V. V. Onida, Conseguenze processuali, cit., 1035 s., che ha ravvisato un’”intima contraddittorietà” nella sent. 8/1963 e ha contestato il concetto di “potere viziato”: “viziati sono la legge e, di riflesso, l’atto che su di essa si fonda: ma il potere, o esiste non esiste” (1037); v. anche N. Lipari, op. cit., 2253.
[17] F. La Valle, op. cit., 886.
[18] V. M. Magri, op. loc. ult. cit.; P. Giangaspero, op. ult. cit., 70; F. Politi, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Padova, 1997, 196 e 205; N. Pignatelli, Legalità costituzionale, cit. V, 312.
[19] Nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto un provvedimento del 1988 con il quale la Gestione Governativa delle ferrovie della Sardegna aveva collocato in esodo obbligatorio un dipendente in applicazione dell’art. 3 l. 270/1988, la sentenza dichiara che “il rapporto di lavoro... non è stato ripristinato a seguito del deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 60 del 1991” (che aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 3, co. 1, l. 270/1988), in quanto, “per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide e fa propria, la dichiarazione di incostituzionalità della legge attributiva di un potere amministrativo non rende di per sé nulli o inefficaci i provvedimenti emessi in attuazione della norma poi dichiarata incostituzionale (cfr. Ad. Plen., 10 aprile 1963, n. 8)”.
[20] L'art. 4, co. 1, d. lgs. 198/2002 stabiliva che “l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici... viene autorizzata dagli enti locali”, e l'art. 3, co. 1, disponeva che “le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto, anche in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 1, lettera c), della legge 22 febbraio 2001, n. 36”. Il Consiglio di Stato precisa che la mancata impugnazione delle autorizzazioni non impedisce alla p.a. di esercitare il suo potere di autotutela: l'atto favorevole non può “resistere, quanto alla sua qualificazione in termini di legittimità, alla statuizione costituzionale, perché nessun giudicato contrario si oppone a tale espansione della caducazione degli effetti della norma censurata, e perché non si configura, rispetto all’Amministrazione, nessuna ipotesi di decadenza dalla possibilità di far valere la detta illegittimità. Connotandosi pertanto di illegittimità il provvedimento stesso (originaria, in virtù dell’effetto retroattivo collegato alla prevalenza degli interessi costituzionalmente tutelati), si verifica la conseguente abilitazione dell’Amministrazione ad esercitare il potere di annullamento in sede di autotutela” (punto 2.1).
[21] Sent. 2575/2006, punto 3: “poiché l’art. 120, comma 2, cit, è posto, come accennato, a fondamento del provvedimento di revoca oggetto dell’attuale giudizio, la pronuncia di illegittimità costituzionale, provocando il venir meno con effetti ex tunc della norma stessa, determina l’illegittimità del provvedimento che su di essa si fonda. Deve ritenersi, infatti, che la dichiarazione di illegittimità della disposizione che stabilisce un presupposto per l’esercizio di un potere, determina l’illegittimità del provvedimento, emesso nell’esercizio del medesimo potere, perché posto in violazione di legge”. In materia di revoca della patente v. anche la sent. Cons. St., VI, n. 6655/2007, e la sent. Cons. St., IV, n. 546/2004.
[22] “Alla stregua di tale decisione e dell’effettivo retroattivo che hanno le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale (con l’unico limite dei rapporti esauriti, quali quelli derivanti da un giudicato, da un atto amministrativo non più impugnabile ovvero da una prescrizione o da una decadenza) consegue l’illegittimità dell’impugnato decreto del Presidente della Repubblica del 19 febbraio 1997, registrato alla Corte dei conti il 5 marzo 1997, con il quale è stato disposto il collocamento a riposo per ragioni di servizio del dott. Ernesto Liccardi, essendo venuto meno ex tunc l’articolo 20, 9° comma, ultima parte, del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, così come sostituito dall’articolo 6 del decreto legislativo 18 novembre 1993 n. 470, che ne costituiva il presupposto normativo”.
[23] Un’isolata “deviazione” risulta dalla sent. Cass. s.u. 21.1.1976, n. 180 (in Giust. civ., 1976, I, 519), che avanza la tesi della nullità.
[24] Per la Corte costituzionale, la legge attribuiva alla Regione "una competenza di natura provvedimentale che esula dall'ambito delle attribuzioni più generali relative alla disciplina dell'uso del territorio affidate alla stessa Regione dagli artt. 80 e segg.D.P.R. n. 616 del 1977”.
[25] In questo senso, in dottrina, v. G. Falzone, op. cit., 462.
[26] Il problema riguardava gli effetti della sent. della Corte costituzionale 175/1986 (che aveva limitato temporalmente la possibilità di emettere avvisi di accertamento in attuazione del d.l. 429/1982 sul condono fiscale) sugli atti adottati fuori termine (dunque, senza il relativo potere). Per la Cassazione “la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma legislativa attributiva del potere, nell'esercizio del quale è stato adottato un atto amministrativo, non determina una condizione di inesistenza o di nullità dell'atto, ma una condizione di annullabilità che può essere fatta valere dall'amministrato se il relativo rapporto giuridico amministrativo non sia ancora esaurito per la incompleta decorrenza dei termini di impugnazione o per la pendenza di un processo attivato con l'esercizio dell'azione giurisdizionale contro di esso”.
[27] V. Cons. Stato, sez. II, n. 2669/2003. In dottrina sull’invalidità caducante v., ad es., F.G. Scoca, op. cit., 325; E. Casetta, op. cit., 525 s.
[28] V. TAR. Abruzzo, n. 234/1998.
[29] V. Cons. Stato, sez. V, n. 696/1998.
[30] V. Cons. giust. amm. sic., sez. consult., n. 493/1995; si può citare anche la sentenza del TAR. Campania, Napoli, sez. V, n. 997/2007.
[31] La Corte osserva che “il bilancio regionale per l'anno finanziario 1960-61, approvato con la legge 3 gennaio 1961, n. 6, comprende, nella categoria delle spese effettive straordinarie, il capitolo 612, in cui é stanziata la somma di lire 388.416.000, destinata, appunto, al pagamento degli interessi sui mutui concessi in forza della legge regionale n. 8 del 1959 [quella impugnata], e gravanti sull'esercizio in corso”; per la Corte “é chiaro che tale spesa... trova la sua fonte immediata ed esclusiva nell'art. 1 della legge in esame”.
[32] La legge siciliana era stata impugnata in via principale dal Commissario dello Stato e non risulta essere stata promulgata in pendenza di giudizio, per cui non dovrebbe aver, in realtà, prodotto effetti giuridici; inoltre, il bilancio regionale per l'anno finanziario 1960-61 è stato approvato con la legge 3 gennaio 1961, n. 6, per cui non sembra che la sentenza di accoglimento abbia prodotto la caducazione di un atto amministrativo.
[33] Sulla sent. 16/1991 v. V. Angiolini, L'atto amministrativo incostituzionale è nullo?, in le Regioni, 1992, 73, che invita a non trarre conclusioni “eccessive” dalla sentenza, che potrebbe essere legata alle peculiarità dei provvedimenti di destituzione.
[34] Si può segnalare anche la sent. 38/2009 (che ha giudicato di una l. Emilia-Romagna che dava soldi ai comuni per sostenere scuole materne private), nella quale la Corte dà atto che, “secondo l’ordinanza di rimessione, la richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge regionale dovrebbe comportare, per illegittimità derivata, la caducazione della delibera regionale di approvazione dei criteri per la ripartizione del finanziamento”: senza svolgere alcuna osservazione sul punto.
[35] Una vicenda analoga è, forse, quella del dPCm 21 dicembre 1995 (Identificazione delle aree demaniali marittime escluse dalla delega alle regioni ai sensi dell’art. 59 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616): la sent. 412/2008 della Corte costituzionale, ribadendo diversi precedenti conformi, ha stabilito che “il nuovo sistema di riparto delle competenze, introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), impedisce che possa attribuirsi attuale valenza all’inserimento dei porti turistici e commerciali, di rilevanza economica regionale ed interregionale, nel citato d.P.C.m. del 1995, ai fini del riparto delle funzioni amministrative”.
[36] L'art. 3 dPR 3/1957 (t.u. impiegati civili dello Stato) prevedeva la nullità delle assunzioni effettuate senza concorso.
[37] Per la prima volta con la sent. delle Sezioni unite n. 1657/1949.
[38] La materia era quella delle assunzioni contra legem nel pubblico impiego: v. la sent. dell'Ad. plen. n. 5/1992, in G. Pasquini – A. Sandulli, op. cit., 593. Sulla nullità dell'atto amministrativo, ovviamente, la letteratura è molto vasta: qui basti il rinvio, anche per ulteriori citazioni, a F.G. Scoca, op. cit., 313 ss.; R. Villata – M. Ramajoli, op. cit., 333 ss.; G. Corso, op. cit., 334 ss.; V. Cerulli Irelli, op. cit., 466 s.; F. Caringella, op. cit., 1911 ss.; M. D'Orsogna, op. cit., 359.
[39] Un esempio di difetto di potere “in concreto” è il caso deciso dalla già citata sent. Cons. St., VI, n. 2575/2006, avente ad oggetto un provvedimento di revoca della patente adottato nell'esercizio di un potere che, in relazione a quello specifico caso, non esisteva più dopo la sent. 239/2003 della Corte costituzionale (mentre, ovviamente, il potere del prefetto di revocare la patente è sopravvissuto in relazione ad altre fattispecie).
[40] V., ad es., F. Caringella, op. cit., 1919 ss. e 2604 ss.; L. Mazzarolli – G. Pericu – A. Romano – F.A. Roversi Monaco – F.G. Scoca, Diritto amministrativo, II, Bologna, 2005, 461 ss.; A. Susca, L’invalidità del provvedimento amministrativo dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, 2005, 64 ss.
[41] Il legislatore, dunque, sembra voler accogliere l'orientamento del giudice amministrativo, che affermava la propria giurisdizione nei casi di carenza di potere in concreto, per la difficoltà di distinguere tra requisiti di legittimità e presupposti di esistenza del potere. In dottrina, la tesi dell'annullabilità in caso di carenza di potere “in concreto” era già stata sostenuta da A.M. Sandulli, op. cit., 669 s. Sul nuovo art. 21-septies v., nel senso di cui in testo, V. Cerulli Irelli, op. cit., 469; G.Greco, La trasmissione dell'antigiuridicità, in AA. VV., Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, IV, cit., 241; F.G. Scoca, op. cit., 319; F. Caringella, op. cit., 1878, 1914, 1923 ss., 1946 ss. e 2634 ss.; R. Chieppa, Il nuovo regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo, in www.giustamm.it; A. Susca, op. cit., 16 s., 69 e 94 ss.; P.M. Vipiana, Invalidità, annullamento d’ufficio e revoca degli atti amministrativi : alla luce della legge n. 15 del 2005, Padova, 2007, 19 ss; F. Lacava, L'invalidità del provvedimento amministrativo dopo la l. 15/2005: nullità ed annullabilità, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, § 2.3.2; G. Carlotti, op. cit., 359; B. Giliberti, La nullità del provvedimento amministrativo, in L. Perfetti, op. cit., 426 e 434 . V. anche la sent. Cons. St., V, n. 4694/2006.
[42] V., ad es., G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 267; G. Dolso, Art. 136, in S. Bartole – R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, 1191 e 1193; G. Parodi, Art. 136, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, Torino 2006, 2659; L.A. Mazzarolli, Il giudice delle leggi tra predeterminazione costituzionale e creatività, Padova, 2000, 39 nt. 68; R. Pinardi, La Corte, i giudici e il legislatore, Milano, 1993, 28; M. Ruotolo, La dimensione temporale dell’invalidità della legge, Padova, 2000, 75; N. Pignatelli, Legalità costituzionale, cit., 312. Sui rapporti “esauriti” v. anche A. Pace, Effetti temporali delle decisioni di accoglimento e tutela costituzionale del diritto di agire nei rapporti pendenti, in AA. VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, Milano, 1989, 54 ss.
[43] Sul punto v. la dottrina citata nella nota 3.
[44] L'art. 1422 c.c. sancisce l'imprescrittibilità dell'azione di nullità; l'applicabilità di tale norma agli atti amministrativi nulli non è pacifica, sostenendosi da parte della dottrina che dovrebbe valere il termine ordinario decennale di prescrizione (e questa soluzione è stata seguita dalla giurisprudenza a proposito della nullità dell'atto adottato in violazione del giudicato), mentre del tutto minoritaria è la tesi che afferma la necessità di impugnare gli atti amministrativi nulli entro il termine di decadenza se incidono su un interesse legittimo: sulla questione v. F. Caringella, op. cit., 1970; M. D'Orsogna, op. cit. , 372; R. Chieppa, op. cit.
[45] Risultano ancora valide, dunque, le osservazioni di P. Barile, La parziale retroattività delle sentenze della Corte costituzionale in una pronuncia sul principio di eguaglianza, in Giur. it., I, 1960, 911 s., per il quale “esauriti, perché immutabili, sono soltanto quei rapporti che non sono suscettibili di essere modificati per effetto dell’invocazione in giudizio della decisione della Corte”; “dovunque vi possa essere un’impugnativa sulla base della sentenza della Corte costituzionale,… il rapporto è potenzialmente aperto” (corsivi originari).
[46] L'impostazione della sent. 49/1970 si ritrova in V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, 1984, 385 s. e 391 (che fu il redattore di quella sentenza).
[47] Tale impostazione si ritrova anche in A. Pizzorusso, Art. 136, in G. Branca – A. Pizzorusso (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1981, 184 (“per decidere quali rapporti si presentino in concreto come esauriti le valutazioni da compiere... sono le stesse che dovrebbero essere compiute per valutare la rilevanza della questione di costituzionalità se questa non fosse stata ancora decisa”), e in R. Pinardi, op. cit., 23.
[48] A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2008, 253, osserva che, nei “casi-limite” di annullamento di una legge “che istituisce un ufficio o fonda un potere amministrativo”, “non basta ragionare in termini di inapplicabilità della norma dichiarata incostituzionale per tutte le fattispecie in cui sarebbe ancora applicabile perché non si saprebbe dire, in astratto, se è la decadenza a precludere l'applicabilità della norma od è l'incostituzionalità di questa a prevenire la decadenza”. A me pare che l'illegittimità della legge, di per sé, non prevenga la decadenza (perché, prima della sentenza della Corte, il potere amministrativo esiste e l'atto è semplicemente annullabile) ma che, dopo la sentenza di accoglimento, “sorga” un vizio di nullità che può essere fatto valere in qualsiasi momento. V. anche N. Lipari, op. cit., 2242; V. Onida, Conseguenze processuali, cit., 1047. M. Magri, Inapplicabilità e disapplicazione, cit., 107 ss., auspica un ampliamento del modo di intendere l’art. 30, co. 3, l. 87/1953 ma in senso diverso, cioè al fine di riferire il divieto di applicazione non solo ai giudici di cause pendenti ma anche a soggetti diversi (la p.a.). Vale anche ai nostri fini, però, l’affermazione dell’inopportunità di concepire il rapporto esaurito “in astratto”, “nel senso… di ritenere la vicenda chiusa in modo irrevocabile ogni qual volta non sia più possibile instaurare una controversia identica a quella che si sarebbe potuto promuovere nel periodo che precede la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale” (p. 116).
[49] V. G. Corso, op. cit., 323; V. Cerulli Irelli, op. cit., 462; F.G. Scoca, op. cit., 325; R. Villata – M. Ramajoli, op. cit., 394.
[50] V. E. Casetta, op. cit., 525; G. Falcon, Questioni sulla validità, cit., 17.
[51] Come visto, solo nel 1992 il Consiglio di Stato ha ammesso che le “nullità” di cui parlavano alcune leggi di settore erano vere nullità; sui retaggi “ideologici” che hanno condizionato la concezione della nullità dell'atto amministrativo v. L. Perfetti, La nullità come problema, in L. Perfetti, op. cit., 389 ss.
[52] V. G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2005, 142.
[53] Per L. Perfetti, op. cit., 390, l'orientamento contrario ad ammettere la nullità del provvedimento amministrativo si fondava sull'idea della supremazia della p.a. a fronte delle libertà del privato.
[54] Proprio il caso dei provvedimenti favorevoli è quello che ha indotto il Consiglio di Stato, nel 1992, a “prendere sul serio” le previsioni legislative di nullità e a non trattarle più come casi di annullabilità: v. la sent. Ad. plen. 5/1992, già citata nella nota 38.
[55] V. D. Corletto, Sulla nullità degli atti amministrativi, in AA. VV., Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, II, cit., 58 ss.; sent. CGCE 26.2.1987 in causa 15/85, Consorzio cooperative d’Abruzzo c. Commissione.
[56] Su questo punto v. la nota 7.
[57] V. la nota 1; per “legge che li prevede” si può intendere la legge attributiva del potere.
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(pubblicato il 28.8.2009)
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