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n. 10-2009 - © copyright |
MARIA ALESSANDRA SANDULLI
ILARIA CONTE
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Un nuovo esempio di legislazione creativa in spregio ai principi di “better regulation” e di giusto processo
(Spunti per un dibattito sull’art. 41 della legge 23 luglio 2009 n. 99, recante disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia)
Dopo la già ampiamente criticata “creazione” della nuova categoria degli atti “ricorso resistenti” a tutela dei grandi investimenti pubblici[1], il legislatore del 2009, con l’art. 41 della l. n. 99, recante disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia è intervenuto a gamba tesa nell’annoso e mai risolto dibattito sulle giurisdizioni, creando un nuovo comparto di giurisdizione esclusiva per le controversie relative ai grandi impianti di produzione di energia elettrica e alle relative reti di trasporto (elettrodotti e gasdotti).
Ai sensi della citata disposizione, sono invero devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, identificato in primo grado nel TAR del Lazio (nuovo caso di competenza funzionale del Tribunale amministrativo centrale)[2], “tutte le controversie, anche in relazione alla fase cautelare e alle eventuali questioni risarcitorie, comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”, precisando al successivo terzo comma che “Le questioni di cui al comma 1 sono rilevate d’ufficio” [3].
La medesima novella normativa, in deroga (evidentemente non dichiarata) al principio generale della “perpetuatio iurisdictionis” enunciato dall’art. 5 c.p.c. , prevede peraltro l’applicazione immediata delle nuove regole di competenza giurisdizionale “anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”, con la precisazione, peraltro che “l’efficacia delle misure cautelari emanate da un’autorità giudiziaria diversa da quella di cui al comma 1 permane fino alla loro modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, dinanzi al quale la parte interessata ha l’onere di riassumere il ricorso e l’istanza cautelare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, pubblicata peraltro in periodo di sospensione feriale (!).
Il quadro si completa con la clausola che – almeno – in caso di riassunzione, non è dovuto il versamento del contributo unificato (il mitico rag. Fantozzi direbbe: “com’è buono Lei!!”) e con la poco credibile affermazione di stile che “Dall’attuazione delle disposizioni del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Agli adempimenti previsti dal presente articolo si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”.
Senza alcuna pretesa di esaustività, ma all’unico scopo di richiamare l’attenzione su quello che francamente ci appare un ulteriore gravissimo esempio di “worse regulation”, affatto difficilmente giustificabile con la mera “rilevanza” degli impianti su cui incide la tanto “temuta” controversia, abbiamo ritenuto opportuno sottoporre all’interprete alcune riflessioni a prima, anche se un po’ ritardata, lettura.
I primi quesiti di applicazione pratica posti dagli operatori e il tentativo di inquadrare scientificamente il nuovo contenzioso sull’energia nell’ambito dei principi costituzionali e comunitari sulla giustizia amministrativa evidenziano purtroppo come le nuove disposizioni presentino prima facie numerose incertezze interpretative e diversi profili di dubbia compatibilità costituzionale e comunitaria, con particolare riferimento ai principi in tema di riparto delle giurisdizioni, effettività della tutela, giusto processo e certezza del diritto.
Il primo – immediato – dubbio di costituzionalità sorge in relazione alla creazione di un nuovo blocco di materie di giurisdizione esclusiva.
É superfluo ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza 204/2004 ha chiaramente affermato che il legislatore ordinario può ampliare l'area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo purché lo faccia con riguardo a “materie particolari” correlate ad un interesse pubblico e caratterizzate dell'intreccio di posizioni giuridiche riconducibili tanto al diritto soggettivo che all'interesse legittimo. Non sembra inopportuno riportare testualmente le parole delle Corte: “E’ evidente, viceversa, che il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali "la tutela nei confronti della pubblica amministrazione" investe "anche" diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie”.
E ancora il Giudice delle leggi ha sottolineato che “Tale necessario collegamento delle "materie" assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo”.
Con il risultato che, per rientrare nell’ambito della compatibilità costituzionale “Il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice "della" pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”.
Per questo motivo la Corte Costituzionale ha stigmatizzato la tecnica utilizzata dal legislatore consistente nell'attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo interi blocchi di materie, attraverso un generico richiamo a “tutte le controversie” ricadenti in uno specifico settore. Siffatto modo di procedere è sintomatico infatti di una scelta che prescinde dalla presenza di un “inestricabile nodo gordiano” tra le situazioni soggettive coinvolte, e radica la giurisdizione sul mero dato oggettivo dell'esistenza di un rilevante interesse pubblico.
Ciò premesso sul piano dei principi, da una semplice lettura della norma in commento emerge con chiarezza che il legislatore del 2009, nella stesura dell’art 41 della legge 99, sì è radicalmente discostato dalle indicazioni della Corte Costituzionale.
È sufficiente al riguardo rilevare che, per quanto riguarda le centrali termoelettriche, il discrimine tra la giurisdizione esclusiva e quella ordinaria è dato dalla potenza termica dell'impianto (400MW)!
Inoltre non si comprende (o meglio si comprende sin troppo), per quale ragione la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia stata limitata alle controversie attinenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigasificatori, i gasdotti di importazione e non sia stata estesa, come pure sarebbe stato logico, laddove la scelta fosse stata effettivamente dettata dai criteri indicati dalla Corte costituzionale, alle altre fonti di produzione energetica.
Quest’ultima osservazione dimostra inequivocabilmente che la scelta del legislatore è stata effettuata in base a considerazioni di politica economica, e non sul presupposto della concreta difficoltà di individuare con chiarezza la natura delle posizioni giuridiche coinvolte.
Analoghi profili di illegittimità costituzionale sono ravvisabili nell’indicazione delle controversie “relative alle infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”.
In questa definizione così ampia rientrano senza dubbio anche le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi nonché quelle scaturenti dalla c.d. occupazione usurpativa della p.a. Ciò in palese contrasto con le pronunce 204/2004 e 191/2006 della Corte Costituzionale. Nei lavori preparatori si fa del resto esplicito riferimento all’esigenza di specializzazione dell’organo giudicante, criterio evidentemente estraneo alla volontà del Costituente e alla sua rilettura da parte del Giudice delle leggi.
Si dovrà quindi auspicare, ancora una volta, una più saggia “interpretazione costituzionalmente orientata” da parte dei giudici chiamati a dare applicazione alle nuove disposizioni, con gli inevitabili contrasti tra le diverse chiavi di lettura?[4] Un precedente recente in tal senso è dato dalla sentenza TAR Lazio, sez. I, 18 febbraio 2009 n. 1655, che – in riferimento alla nuova competenza giurisdizionale attribuita al Tribunale centrale in materia di rifiuti dall’art. 4 d.l. 23 maggio 2008 n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 123 del 2008, secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica – ha correttamente rilevato che un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 4 cit. “porta a ritenere, in coerenza con i principi espressi dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006, che la norma attiene a situazioni che postulano l’esercizio di un potere pubblico, con conseguente esclusione della giurisdizione amministrativa nelle ipotesi in cui la censura ha ad oggetto il mero accertamento di diritti di carattere patrimoniale senza incidere sull’azione amministrativa di gestione dei rifiuti”.
I profili di incostituzionalità della disposizione in esame, non si esauriscono però nelle considerazioni che precedono.
La Corte costituzionale (basti richiamare la sentenza n. 77 del 2007 sulla translatio iudicii) e la Corte di cassazione (nella nota sentenza 24883 del 2008 sul giudicato implicito sulla giurisdizione e nelle reiterate pronunce sulla pregiudiziale di annullamento) hanno ripetutamente e costantemente posto l’accento sul carattere unitario della tutela giurisdizionale e sull’esigenza di non far gravare sulle parti la complessità di un sistema che prevede due diversi percorsi dinanzi a due diversi ordini di giudici, correttamente ricollegando tali esigenze agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. Ai quali evidentemente si aggiungono, attraverso l’art. 117, primo comma, i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e, come ricordato dalle notissime sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale, dallo stesso diritto europeo: vincoli che, nell’ottica della garanzia del “giusto processo” evidentemente ostano a previsioni normative che, in contrasto con ogni più logico e consolidato principio di perpetuatio iurisdictionis impongono il trasferimento di tutte le controversie considerate, ancorché già legittimamente incardinate presso altro plesso giurisdizionale, al TAR del Lazio.
Il giusto processo, come non ha mancato di sottolineare anche la Corte di Giustizia, è tale se la sua durata è compresa in tempi ragionevoli. In tutt’altra direzione si muove invece la disposizione in esame, la quale, almeno nei termini in cui è scritta, impone una dilatazione abnorme dei tempi di giustizia e un’inutile duplicazione di fasi processuali già esaurite. Per rendersi conto delle sue conseguenze è sufficiente fare l’ipotesi di un giudizio di opposizione alla stima per l’imposizione di una servitù di elettrodotto (ricompresso nella Rete di Trasmissione Nazionale) pendente in Cassazione, che, ad un’applicazione rigorosa dell’art. 41 l. 99, dovrebbe essere riassunto in primo grado!! O, più semplicemente, ma non meno paradossalmente, un giudizio già pendente in Consiglio di Stato deciso in primo grado da un altro TAR (ferma evidentemente la riserva di competenza del TAR Lombardia sugli atti e provvedimenti dell’AEEG, fatta espressamente salva dal secondo comma).
Appare peraltro difficile, questa volta, cercare il soccorso della “interpretazione costituzionalmente orientata”, che, per non essere a sua volta troppo “creativa”, deve comunque muoversi entro binari in qualche modo predefiniti, mentre non sarebbe tale, nel nostro caso, l’individuazione del momento oltre il quale la giurisdizione debba ritenersi definitivamente radicata. C’è anzi addirittura da dubitare che l’assoluta determinazione con cui il legislatore ha voluto imporre il trasferimento al giudice amministrativo superi anche la nuova regola del giudicato implicito sulla giurisdizione, risultante a sua volta dalla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 37 c.p.c. proposta dalla Corte di cassazione nella già richiamata sentenza n. 24883 del 2008. il generico riferimento alla rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione, senza l’inciso “in ogni stato e grado del processo” potrebbe tuttavia favorire – almeno – l’operatività del suddetto limite anche alla nuova giurisdizione esclusiva.
Ne risulta un quadro tutt’altro che confortante, destinato a tradursi in un altro percorso a ostacoli per gli operatori, che, oggi più ce mai, hanno invece bisogno di certezze.
Un quadro che si aggrava se si pone ai delicati dubbi interpretativi che investono, sotto diversi profili, gli stessi contenuti delle nuove disposizioni.
Mi riferisco in primo luogo al riferimento – nel primo comma – all’amministrazione pubblica ed “ai soggetti ad essa equiparati”. Dal momento che, evidentemente, non esistono categorie di soggetti perfettamente “equiparati” all’amministrazione pubblica, ma semplicemente categorie di soggetti che, in riferimento a specifiche attività sono assoggettati da precipue disposizioni di legge alle stesse regole di azione alle quali devono conformarsi le pubbliche amministrazioni, l’espressione utilizzata dall’art. 41 è sicuramente foriera di confusione. Si pensi, per fare soltanto qualche esempio, alla diversa condizione degli organismi di diritto pubblico (che le disposizioni nazionali e comunitarie in materia di appalti pubblici includono nella stessa categoria delle amministrazioni aggiudicatrici) rispetto a quella delle imprese pubbliche o delle imprese titolari di diritti speciali od esclusivi (che le stesse disposizioni disciplinano in modo parzialmente diverso) o a quella degli altri soggetti privati inclusi dall’art. 32 del Codice dei contratti pubblici tra gli “altri soggetti aggiudicatori”; o ancora alle diverse formule di “equiparazione” utilizzate dalla l. n. 241 del 1990 s.m.i.: mentre l’art. 1 ter stabilisce che “I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei princípi di cui al comma 1”, l’art. 22, ai fini dell’accesso agli atti e ai documenti amministrativi dispone, alla lett. e), che si intendono “per "pubblica amministrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” e l’art. 23 afferma che “Il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi”; e, da ultimo, l’art. 29, nel testo modificato dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, recita che “Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative”.
Si può allora onestamente affermare che esiste un concetto di “soggetti equiparati” individuabile con la chiarezza necessaria alle norme sulla giurisdizione?
Le riflessioni svolte nella prima parte di queste note sull’eccessiva espansione dell’ambito della giurisdizione esclusiva hanno per altro verso posto in luce l’assoluta vaghezza del riferimento alle “controversie relative alle infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”. Il legislatore non fa a questo riguardo alcun riferimento alle procedure e ai provvedimenti amministrativi. Qual è allora il limite della “relatività”?
I problemi sollevati per la giurisdizione non sono certo meno gravi sotto il profilo della certezza, che, come sottolineato anche dai Giudici comunitari, deve imprescindibilmente connotare le disposizioni sulla tutela quale minima garanzia necessaria alla sua effettività[5].
L’assoluta labilità dei confini coperti dall’art. 41 e la conseguente illogica dilatazione delle controversie che esso è suscettibile di disciplinare rende parimenti ingiustificato il richiamo all’art. 23 bis, pur considerato ad esempio pacificamente inapplicabile alle azioni di tipi risarcitorio.
Le questioni sin qui prospettate sono apparse a prima lettura ancora più drammatiche, in relazione all’onere di immediata riassunzione del processo entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge (pubblicata sulla G.U. del 31 luglio e dunque entrata in vigore il giorno di ferragosto), imposto dal quinto comma dell’art. 41.
Ripetiamo la formula della disposizione: “l’efficacia delle misure cautelari emanate da un’autorità giudiziaria diversa da quella di cui al comma 1 permane fino alla loro modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, dinanzi al quale la parte interessata ha l’onere di riassumere il ricorso e l’istanza cautelare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Anche se inserita in riferimento al regime transitorio della tutela cautelare, l’infelice formulazione della disposizione ha indotto giustificatamente a dubitare che il predetto termine di riassunzione (di natura singolarmente decadenziale) sia riferito a tutti i giudizi pendenti, operando come illogica deroga al principio della translatio iudicii.
Proprio il convinto riconoscimento della valenza di tale principio da parte tanto della Corte costituzionale che della Corte di Cassazione, confermata dalla sua recente codificazione nella l. n. 69 del 2009 induce peraltro a ritenere che il timore – pur assolutamente legittimo in un sistema in cui ancora qualche Giudice afferma che, nel procedimento di notifica diretta da parte dell’avvocato, la consegna dell’atto all’ufficio postale non valga a perfezionarla per la parte notificante[6] - possa ragionevolmente rivelarsi infondato.
La disposizione ricalca infatti a ben vedere il modello dell’art. 3, comma 2 quater del d.l. n. 245 del 2005 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania), aggiunto, in sede di conversione, dalla l. 27 gennaio 2006 n. 21.
La logica sembra quella sottesa al regime dei decreti cautelari monocratici provvisori e ante causam. La misura cautelare adottata da un soggetto diverso dal Collegio competente è destinata a perdere efficacia se quest’ultimo non la conferma entro un ragionevole lasso di tempo.
Senonché il legislatore del 2009 – e, prima di lui, quello del 2006 – non ha seguito lo schema da ultimo indicato, e, oltre ad utilizzare l’istituto della riassunzione, che presuppone l’interruzione dell’intero processo e la cui omissione ne implica di regola l’estinzione, configura l’intervento del TAR del Lazio nell’ambito di un potere di revoca o di modifica, senza definire le modalità per un riesame dell’istanza ai fini della eventuale conferma della misura cautelare già adottata.
In altri termini, sarebbe ragionevole ritenere, anche alla stregua di una lettura costituzionalmente orientata, che il legislatore abbia voluto dire che, fermo il regime ordinario della translatio iudicii - secondo il quale il Giudice, ove riscontri, anche d’ufficio, il difetto della propria giurisdizione, rileva la circostanza, indicando, ove esistente, il Giudice che ne sia munito e dinanzi al quale la controversia deve essere eventualmente riproposta entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato di tale pronuncia (art. 59 l. n. 69 del 2009) – nei [soli] casi in cui, nell’attuale fase transitoria, l’interessato intenda conservare gli effetti delle misure cautelari eventualmente emesse dal primo Giudice, deve invece immediatamente attivarsi a riassumere il ricorso – e l’istanza cautelare – dinanzi al TAR del Lazio entro il predetto termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, verosimilmente non ampliato dalla sospensione feriale. Se non provvede, perde gli effetti della tutela cautelare, che potrà in ogni caso sempre riproporre nel diverso momento in cui riassumerà il giudizio secondo le regole generali della translatio.
Il quinto comma dell’art. 41 ha usato però una formula più contorta, che potrebbe letteralmente legittimare due diverse interpretazioni:
(i) in deroga alla regola generale di cui all’art. 59 l. n. 69 del 2009, tutti i giudizi di cui all’art. 41 devono essere riassunti, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge dinanzi al TAR del Lazio;
(ii) ferma la validità della regola generale di cui all’art. 59 l. n. 69 del 2009, anche per le controversie di cui all’art. 41, i giudizi nei quali sia stata adottata una misura cautelare devono essere in ogni caso riassunti entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge dinanzi al TAR del Lazio.
L’ultima soluzione, pur essendo forse la più coerente col dato testuale, è indubbiamente la più aberrante.
Così come lo sarebbe la necessità – pur apparentemente imposta dalla lettera della legge – di riportare al TAR del Lazio una decisione già confermata o riformata in sede di appello dal Consiglio di Stato.
E’ d’obbligo a questo punto richiamare la soluzione prospettata dalla Corte costituzionale in riferimento al già citato art. 3, comma 2 quater del d.l. n. 245 del 2005, aggiunto, in sede di conversione, dalla l. n. 21 del 2006, che analogamente disponeva che l’efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso dal TAR del Lazio permaneva fino alla loro modifica o revoca da parte di quest’ultimo, cui la parte interessata poteva riproporre il ricorso. Chiamata a pronunciarsi sui dubbi di costituzionalità sollevati da tale disposizione, nella sentenza 26 giugno 2007 n. 237 ne ritenne l’infondatezza, osservando che “il giudice rimettente avrebbe dovuto valutare la possibilità di interpretare la norma in conformità con quanto previsto dall’art. 21, tredicesimo comma, della legge n. 1034 del 1971; nel senso cioè che l’efficacia del provvedimento cautelare adottato dal Tribunale locale sia destinata a venire meno, in tutto o in parte, non in forza di una revisione da compiersi necessariamente da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale in tal modo assumerebbe una anomala funzione di giudice di secondo grado rispetto a provvedimenti emessi da un organo giurisdizionale equiordinato, bensì in forza di una decisione da prendere sulla base degli ordinari presupposti previsti dall’ordinamento del processo amministrativo per la modificazione o revoca di precedenti misure cautelari già concesse.
Sotto questo profilo, pertanto, la norma – che, in definitiva, ribadisce una regola già presente nel sistema – si giustifica in ragione dell’esigenza di chiarire che se, ordinariamente, il giudice abilitato a revocare o modificare il provvedimento cautelare è quello che lo ha adottato, nei casi oggetto dei giudizi a quibus – attesa la sopravvenuta declaratoria di incompetenza da parte dei Tribunali inizialmente aditi – tale potestà decisoria non può che essere esercitata dal giudice divenuto successivamente competente”.
La soluzione prospettata dal Giudice delle leggi appare anche nel nostro caso, sia pure con qualche forzatura del dato letterale, la più coerente, anche se proprio le questioni sollevate dalla predetta disciplina sull’emergenza rifiuti avrebbero reso opportuna una maggiore attenzione al drafting normativo.
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[1] Cfr. l’art. 20, comma 8 e 8 bis del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge con modificazioni nella l. n. 2 del 2009, su cui si consenta il rinvio a M.A. Sandulli, Il processo amministrativo superaccelerato e i nuovi contratti ricorso-resistenti, in questa Rivista, 2008 e Pregiudiziale amministrativa: la storia infinita continua, ivi, 2009.
[2] Sulla coerenza e sui limiti di tale scelta di concentrazione delle competenze in primo grado, cfr. Corte costituzionale, sent. 26 giugno 2007 n. 237, richiamata infra nel testo
[3] Sono soltanto “ fatte salve le disposizioni in materia di competenza territoriale di cui al comma 25 dell’articolo2 dlaa legge 14 novembre 1995 n. 481”, che, come noto, dispone che “ I ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti delle Autorità rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e sono proposti avanti il tribunale amministrativo regionale ove ha sede l'Autorità”.
[4] Per le perplessità che suscita lo strumento dell’interpretazione costituzionalmente orientata sia consentito rinviare a M.A. Sandulli, I principi costituzionali e comunitari in materia di giurisdizione amministrativa,in questa Rivista, 2009.
[5] Si richiamano ancora da ultimo le riflessioni svolte al riguardo in M.A. Sandulli, Principi.., cit.
[6] Mi riferisco alle note decisioni del TAR Piemonte, Sez. I, 11 agosto 2009 n. 2219 e 10 aprile 2009 n. 1018, con nota critica di A.De Marco, Sulla notificazione a mezzo posta: nuove e vecchie incertezze, in Foro amm – TAR 2009.
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(pubblicato il 5.10.2009)
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