Giustizia Amministrativa - on line
 
Articoli e Note
n. 11-2009 - © copyright

 

ANNA MARIA RITA LIUZZO

Il funzionario di fatto e la tutela del legittimo affidamento dei privati


SOMMARIO: – 1. Il principio di conservazione degli atti giuridici. – 2. La figura del funzionario di fatto nella ricostruzione dogmatica e giurisprudenziale. – 3. La prorogatio. – 4. Funzionario di fatto e pubblico ufficiale. – 5. Usurpatore del potere. – 6. Profili processuali. – 7. Compenso del funzionario di fatto. – 8. Il superamento della teoria del funzionario di fatto dopo l’art. 21 septies, l. 241/1990.

- 1. Il principio di conservazione degli atti giuridici.
L’istituto del funzionario di fatto, nel diritto amministrativo, rappresenta, un’applicazione del principio generale di conservazione degli atti giuridici, che costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, esprimente una generale esigenza di economicità dei mezzi giuridici.
Il principio di conservazione degli atti, mira, infatti, ad evitare un esito di caducazione del provvedimento amministrativo laddove, sia possibile una soluzione che eviti lo spreco delle risorse impiegate ai fini della gestione e dell’adozione dell’atto medesimo e quindi si riveli uno strumento idoneo a perseguire l’interesse pubblico che l’amministrazione è chiamata a tutelare.
La conservazione può scaturire dall’interpretazione, dalla condotta attiva o omissiva del soggetto che, pregiudicato dal provvedimento, sarebbe legittimato a invocarne l’annullamento, dalle determinazioni amministrative (convalida, ratifica, sanatoria) e infine dal raggiungimento dello scopo.
La conservazione trova una sua chiara manifestazione nel privilegio accordato all’annullabilità del provvedimento in luogo della nullità, o a taluni altri istituti conservativi, tra i quali ad esempio la convalida e la ratifica[1], volti a preservare la validità dell’atto amministrativo che abbia comunque raggiunto il suo scopo.
Anche la legge sul procedimento amministrativo, così come novellata dalla l. 15/2005 e, di recente, dalla l. 69/2009, si muove chiaramente in tale ottica conservativa.
Il principio del raggiungimento dello scopo[2] si rinviene, ad esempio, nell’art. 21 octies, che recependo l’orientamento giurisprudenziale che tratta come mera irregolarità il vizio formale o procedimentale non incidente sulla correttezza formale del provvedimento, stabilisce che“non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento quando l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.[3]

- 2. La figura del funzionario di fatto nella ricostruzione dogmatica e giurisprudenziale.
L’espressione “funzionario di fatto “ che deriva dall’esercizio di uffici di fatto, appunto, cioè, senza titolo giuridico di investitura, in dottrina e in giurisprudenza viene utilizzata, invece, nei casi in cui il titolare dell’ufficio, investito di esso sulla base di un atto giuridico adottato nel contesto dell’ordinamento vigente, risulti successivamente invalido e quindi venga annullato o dichiarato nullo.[4]
Talora il rapporto organico si costituisce in via di mero fatto e, cioè, in assenza di atto d’investitura. In particolare, allorché le funzioni esercitate “di fatto” e dunque, senza un atto formale che instauri il rapporto di servizio- siano essenziali e indifferibili, si ritiene che il meccanismo di imputazione proprio dell’organo possa ugualmente funzionare pur in assenza di un atto d’investitura. In queste ipotesi anche il rapporto di servizio si instaura in via di fatto e l’organo di fatto viene definito funzionario di fatto. [5]
Relativamente alle figure riconducibili sotto tale denominazione, in dottrina non c’è omogeneità di vedute.
Secondo un primo orientamento l’esercizio di fatto di pubbliche funzioni si collega al principio dell’effettività e dell’affidamento.

Alla base dell’istituto, vi è l’esigenza di tutela della buona fede e dell’affidamento dei privati: anzi, ponendo l’accento su tale aspetto, si deve concludere che sono imputabili all’ente solo gli atti favorevoli al privato[6]
Pertanto, l’ipotesi del funzionario di fatto ricorre ogniqualvolta sia necessario soddisfare le esigenze di tutelare l’affidamento incolpevole di terzi e di attribuire rilievo all’effettività, cioè al fatto concreto dell’esercizio di funzioni pubbliche
Altra parte della dottrina, invece, sostiene che poiché l’esercizio delle funzioni amministrative, per sua connessione con la realizzazione dell’interesse pubblico, non ammette interruzioni, la figura del funzionario di fatto interviene tutte le volte che sia necessario evitare pericolosi vuoti nell’esercizio della funzione amministrativa.
La figura del funzionario di fatto è dunque riconducibile alla logica del raggiungimento dello scopo e alla continuità dell’azione amministrativa: “l’istituto ricorre, infatti, ogni volta che una pubblica funzione è esercitata di fatto da un soggetto che non può considerarsi organo dell’amministrazione, in ragione dell’assenza di una regolare investitura [7].
Secondo l’opinione dominante, avallata dalla giurisprudenza amministrativa, il fenomeno ricorre nei casi di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro stessa natura riguardino i terzi con efficacia immediata e diretta: i risultati raggiunti dal funzionario di fatto, quando favorevoli per i terzi, vengono così imputati all’attività della P.A[8].
Il problema principale connesso alla figura del funzionario di fatto è costituito, invero, proprio dalla necessità di accordare un’efficace tutela al legittimo affidamento dei soggetti che sono entrati in contatto con la figura del funzionario apparente.
Gli atti assunti dal titolare dell’ufficio la cui nomina venga successivamente annullata o dichiarata nulla, devono considerati atti senz’altro imputati all’Amministrazione attraverso, il rapporto organico.
L’orientamento giurisprudenziale prevalente riconosce, a tal fine, la validità degli atti medio tempore adottati dal funzionario, in considerazione del fatto che normalmente è irrilevante verso l’esterno il rapporto posto in essere fra la P.A. e il funzionario, purché questi operi pubblicamente come se avesse il titolo per farlo[9]. Lo stesso Consiglio di Giustizia Amministrativa ha da tempo affermato che “l’azione svolta da persona fornita di titolo invalido […] è imputabile all’amministrazione ed esplica i suoi effetti nei confronti dei terzi che con questa vengono in rapporto, sia pure per il tramite del funzionario di fatto”[10]
Il Supremo Consesso, poi, prendendo spunto da un caso di impugnazione degli atti di occupazione temporanea di un terreno di proprietà della ricorrente, posti in essere dal Sindaco, la cui nomina era stata annullata in sede giurisdizionale, si è pronunciato anche per delineare i limiti della ricorrenza dell’istituto in esame confermando che “la teoria del funzionario di fatto trova due ordini di limiti, l’uno derivante proprio dal fatto che l’interessato insorge negando il potere di chi li ha emessi e l’altro, in funzione della tutela della buona fede, nel senso che detta teoria può essere invocata a vantaggio del terzo, ma non a danno del terzo” [11]. In riferimento al caso concreto si poneva, infatti, il problema della validità del decreto sindacale con il quale era stata disposta la procedura ablativa. Ad avviso del Consiglio di Stato l’annullamento in sede giurisdizionale del decreto temporaneo di occupazione temporanea emanato dal Sindaco, era legittimo in considerazione non solo del fatto che il soggetto destinatario dell’atto ablativo aveva contestato in sede giurisdizionale la carenza di potere di chi aveva emesso l’atto, ma anche perché, diversamente opinando, l’atto sarebbe andato a danno dell’interessato e non a suo favore.
Al caso di specie, in altre parole, non era applicabile la teoria del funzionario di fatto, in quanto si riscontravano entrambi gli ordini di limiti posti a presidio delle ragioni del terzo e, quindi, ostativi alla ricorrenza dell’istituto.
Quanto esposto trova conferma in un’altra pronuncia del Consiglio di Stato che stabilisce che “restano validi nei confronti dei terzi di buona fede gli atti compiuti dagli organi sociali eletti in esecuzione della decisione del Consiglio di Stato, successivamente annullata dalla Cassazione per difetto di giurisdizione”[12].
In tale decisione il supremo organo della giustizia amministrativa ha riscontrato l’applicabilità della teoria del funzionario di fatto al caso in esame e ha dunque riconosciuto la piena validità degli atti medio tempore compiuti dagli organi sociali poi successivamente privati del titolo da una pronuncia giurisdizionale.
E’ il caso di precisare che uno dei casi in cui più frequentemente trova applicazione l’istituto in esame è proprio quello dell’annullamento o revoca della qualifica pubblicistica di funzionario
Ipotesi diversa, ed invero assai meno frequente, ma tradizionalmente ricondotta alla figura del funzionario di fatto è quella della carenza ab initio di un titolo abilitante all’esercizio di un potere pubblicistico. Gli esempi più ricorrenti sono costituiti dall’apparente ufficiale dello stato civile di cui all’art. 113 c.c. che “ senza avere la qualifica di ufficiale dello stato civile, ne esercita pubblicamente le funzioni”, determinando l’affidamento dei terzi.
Il disposto normativo fa salva, infatti, la validità del matrimonio, non essendo imputabile l’apparenza ad errore dei nubendi o dell’Amministrazione.
Un caso particolare è, poi, quello del funzionario di fatto componente di un organo collegiale. Prioritaria è qui la distinzione tra collegi perfetti e virtuali.
Infatti, nel collegio perfetto essendo le decisioni adottate con la partecipazione di tutti i componenti, la presenza di un funzionario di fatto determina necessariamente l’illegittimità dell’organo così formato e quindi la conseguente illegittimità della delibera assunta. Tuttavia, rimane fermo il limite del legittimo affidamento dei terzi, quando l’illegittimità della composizione dell’organo non poteva essere conosciuta dai terzi (ad esempio perché dichiarata dopo l’adozione di una delibera da parte del collegio).
Al contrario, nel caso del collegio virtuale, dove le decisioni sono adottate in base ad un quorum di presenti, per dimostrare l’eventuale invalidità della composizione dell’organo, occorre dimostrare che il collegio non si sarebbe legittimamente formato in assenza del funzionario di fatto, essendo necessario precisare l’effettiva influenza del funzionario di fatto in sede di deliberazione.
Come noto anche rispetto a tali ipotesi, rimane fermo il principio ispiratore dell’istituto, consistente nel tentativo di valorizzare e salvare dalla nullità gli atti posti in essere dal funzionario di fatto, quando essi abbiano raggiunto lo scopo e abbiano inciso su posizioni di terzi.
Le pronunce giurisdizionali fin qui richiamate possono essere ricondotte ad un unico orientamento dottrinale, la cd “teoria del fatto compiuto” che riconosce l’indefettibilità, la necessità e l’essenzialità dell’esercizio di funzioni sovrane in ottemperanza al principio di buon andamento della PA (ex art. 97 Cost), in base alla quale si legittima l’imputabilità alla PA dell’attività giuridica di fatto posta in essere dal funzionario.
Tuttavia in merito a tale teoria non mancano in dottrina voci critiche, che muovono dall’assunto in base al quale la teoria del fatto compiuto attribuisce, un rilievo predominante all’affidamento dei terzi, ma dimentica il problema della violazione del principio di legalità; in particolare omette di considerare che l’atto posto in essere dal funzionario di fatto è privo del suo presupposto normativo, in quanto compiuto in difetto di una norma che attribuisca legittimamente quel potere pubblicistico al soggetto che lo esercita.
Pertanto, secondo tale orientamento il conflitto tra il principio di continuità e quello di legalità dell’azione amministrativa devono risolversi a favore del primo esclusivamente quando si è presenza di una situazione di urgenza che non consenta dilazioni; quindi il riconoscimento dell’operato giuridico del funzionario di fatto dovrebbe avvenire solo allorquando le funzioni di fatto esercitate siano da qualificarsi così urgenti e rilevanti che la loro esecuzione non consente rinvii. Dunque è possibile assumere una prospettiva che attribuisca prevalenza al principio di legalità, consentendo il pieno riconoscimento giuridico degli atti posti in essere da un soggetto privo del necessario potere (o ab initio o a seguito di annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale) solo quando essi riguardino funzioni essenziali o indifferibili.
Infine, un’altra ricostruzione dogmatica, individua nel principio civilistico dell’apparentia iuris il fondamento della salvezza degli atti del funzionario putativo..
La teoria dell’apparenza costituisce un diretto sviluppo della teoria della dichiarazione, di matrice civilistica, che si basa sull’esigenza di procedere, con criteri oggettivi, all’interpretazione del negozio, dando la prevalenza agli elementi esterni del negozio stesso, anziché alla volontà ad esso sottesa[13]. Essa è espressione del principio di buona fede in senso soggettivo, cui si riconduce anche quello dell’affidamento, che trova nel diritto amministrativo odierno una attestazione sempre più forte.
L’atto amministrativo è, infatti, un modello conforme ad uno schema tipico, legale, già noto nella sua tipicità ai terzi che fanno affidamento sulla validità di quello schema, senza interrogarsi circa l’eventuale distinguibilità tra volontà e dichiarazione, tra volontà e apparenza.
Ed invero, il richiamo all’apparenza coglie indubbiamente uno degli aspetti di maggior rilievo della teoria del funzionario di fatto, in quanto è proprio l’apparenza a generare nei confronti del terzo una situazione psicologica di errore, non colpevole, che il principio di affidamento mira a tutelare[14].
Come affermato anche da una giurisprudenza ormai consolidata, “il fondamento del principio del funzionario di fatto, nella misura in cui esso è vigente e in quanto comporta una deroga ai normali criteri organizzativi degli apparati pubblici, risiede nell’esigenza di non turbare le posizioni giuridiche acquisite da tutti coloro che in buona fede sono entrati in rapporto con il funzionario e di evitare ai privati continue e difficoltose indagini sulla regolarità della posizione dei pubblici dipendenti: è quindi un principio posto a favore del privato ed a tutela del suo affidamento”[15] .

- 3. La prorogatio
L’istituto della prorogatio ricorre quando, nei casi tassativamente previsti dall’ordinamento, i funzionari preposti alla guida di uffici pubblici continuano ad esercitare le funzioni pubbliche dell’ufficio anche dopo la scadenza naturale del mandato e fino all’entrata in carica dei successori. In base al principio della prorogatio, il titolare scaduto resta in carica in attesa del nuovo titolare investito dell’ufficio.
La legge n. 444 del 15 luglio 1994, di conversione del d.l. n. 293 del 16 maggio 1994, colmando un vuoto normativo, ha determinato il termine massimo di durata della prorogatio per gli organi amministrativi dello Stato, fissandolo in 45 giorni dalla scadenza del mandato, e ha delimitato le funzioni che possono essere esercitate in regime di prorogatio, escludendo espressamente la possibilità di adottare atti di straordinaria amministrazione, nelle more della nomina dei nuovi funzionari. Pertanto nel periodo di prorogatio gli organi possono adottare esclusivamente atti di ordinaria amministrazione, nonché atti urgenti e indifferibili con indicazione specifica dei motivi di urgenza e indifferibilità. L’adozione in costanza di proroga, di atti non compresi nelle categorie di legge dà luogo alla sanzione della nullità degli stessi. Decorso il termine di proroga, ove i nuovi titolari non siano stati nominati, i precedenti decadono in toto dalla titolarità dell’ufficio. Eventuali atti che essi dovessero assumere, scaduto questo termine, sono sanzionati con la nullità.
La legge prevede anche meccanismi di sostituzione nell’esercizio dei poteri di nomina degli organi scaduti. Laddove la competenza alla nomina è di organi collegiali, il mancato esercizio della loro competenza dà luogo alla sostituzione nel potere di nomina da parte dei presidenti degli organi collegiali stessi.
Sono previste, altresì, fattispecie di responsabilità amministrative e penali per il mancato esercizio dei poteri di nomina.
Prima dell’intervento del legislatore, il principio della prorogatio, nonostante non fosse formulato in via generale da norme positive, ma solo relativamente a determinate categorie di organi, aveva acquistato nel nostro ordinamento una portata generale e pervasiva, salvi i casi di espresso divieto legislativo.
Il legislatore del 1994 ha accolto il monito del Giudice delle Leggi che si era pronunciato due anni prima statuendo che “se è previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia temporalmente circoscritta, un’eventuale prorogatio di fatto sine die – demandando all’arbitrio di chi debba provvedere alla sostituzione di determinarne la durata pur prevista a termine dal legislatore ordinario – violerebbe il principio di riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonché quelli dell’imparzialità e del buon andamento”[16].
Secondo una parte della dottrina, l’istituto della prorogatio costituisce un’espressione del principio di continuità degli atti e, di conseguenza, risulta collegato nella ratio al regime dell’imputazione degli atti al funzionario di fatto.
Tale orientamento dottrinale appare tuttavia minoritario, in quanto la dottrina prevalente (come anche la giurisprudenza) riconducono la figura del funzionario di fatto ad un diverso fondamento ispirativo, rappresentato dalla priorità accordata alla tutela del legittimo affidamento dei terzi.
Il richiamo, qui proposto, all’istituto della prorogatio nasce espressamente dall’intento di delineare talune somiglianze con la figura del funzionario apparente: ed infatti, anche il funzionario che opera in regime di prorogatio è privo, a seguito della scadenza del mandato, del titolo attributivo del potere. Tuttavia, gli atti eventualmente posti in essere dopo la scadenza del periodo di proroga degli organi sono da considerarsi, invece, nulli.
A differenziare poi le due figure è, ancora, la circostanza che gli atti posti in essere durante il regime di prorogatio degli organi sono validi ed efficaci in forza del riconoscimento legislativo dell’istituto eccezionale della proroga, mentre per il funzionario di fatto il fondamento giuridico dell’operato è da rinvenire principalmente nel principio di tutela del legittimo affidamento, oltre che di continuità dell’azione amministrativa.

- 4. Funzionario di fatto e pubblico ufficiale.
La figura del funzionario pubblico non coincide con quella del pubblico ufficiale, definita dall’art. 357 c.p.
Il funzionario pubblico trova un riconoscimento normativo a livello costituzionale negli artt. 28, 97 e 98 Cost.
L’art. 28 Cost., in particolare, definisce la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, precisando, altresì che la responsabilità civile dei funzionari si estende allo Stato e agli enti pubblici.
L’art. 97 Cost., norma centrale dell’organizzazione dell’apparato amministrativo, dopo il riconoscimento al primo comma della riserva di legge nell’organizzazione dei pubblici uffici, stabilisce al secondo comma che “nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.
Infine, l’art. 98 Cost., intendendo riferirsi al personale di pubblica sicurezza, afferma che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione[17]”.
Pertanto il titolo da cui i funzionari traggono la loro investitura può essere fondato o su un incarico onorario o su un rapporto di impiego pubblico; a tal proposito, i funzionari si distinguono rispettivamente in onorari o impiegati.
La figura del funzionario pubblico, così delineata dalle norme costituzionali, sembra essere, più ristretta rispetto a quella del pubblico ufficiale, rilevante solo agli effetti penali. Infatti non sono funzionari, ma sono pubblici ufficiali, ad esempio coloro che, pur esercitando potestà pubbliche, non ricoprono un ufficio dello stato o di altro ente (per es., notai, testimoni).
Nella Carta Costituzionale, inoltre, non si rinviene alcun riferimento, nemmeno implicito, alla figura del funzionario di fatto.
La Costituzione ha vincolato la pubblica amministrazione ai principi di efficienza, funzionalità, trasparenza, buon andamento ed imparzialità della PA, i quali appaiono inevitabilmente compressi nel caso di esercizio di funzioni di fatto da parte del funzionario pubblico[18].
L’origine della figura del funzionario di fatto è da ricondursi, piuttosto, alla logica organizzativa della P.A. risorgimentale, nella quale il ricorso al funzionario di fatto consentiva di superare le inefficienze ed i vuoti organizzativi frequenti in un apparato amministrativo ancora in fieri.



- 5. Usurpatore del potere
Tale figura, riconducibile alle ipotesi in cui un soggetto privato adotta un atto amministrativo, arrogandosi un potere che non gli appartiene, va tenuta distinta dalla quella del funzionario di fatto cui vanno ricondotte le ipotesi
Infatti all’usurpatore del potere manca l’essenzialità e l’indifferibilità della funzione svolta, propria del funzionario di fatto. Non può, infatti, ritenersi esistente, alcun rapporto di immedesimazione organica, né come fatto, né come atto avente rilevanza giuridica. Inoltre, l’usurpatore generalmente non agisce nell’interesse della P.A., ma opera per fini propri, che possono essere in contrasto (ed in genere lo sono) con quelli dell’Amministrazione.
Secondo la dottrina prevalente, ferma restando la responsabilità penale dell’usurpatore, gli atti giuridici posti in essere devono essere considerati inesistenti, proprio perché inesistente è il soggetto che li ha realizzati.
Secondo un’altra ricostruzione, invero assimilabile alla precedente negli intenti, si determina un’ipotesi di carenza di potere (in assoluto) con conseguente nullità del provvedimento adottato dall’usurpatore[19].
Entrambe le teorie presuppongono che i terzi non siano stati indotti in errore incolpevole dal comportamento dell’usurpatore. Infatti per tale ipotesi, configurandosi il reato di usurpazione di atti d’ufficio[20] (art. 347 c.p.), i terzi hanno a disposizione i rimedi offerti dall’azione penale, che legittima, appunto il danneggiato a costituirsi parte civile nell’eventuale processo penale.
Appare utile richiamare quanto affermato dal Guardasigilli Rocco nella Relazione Ministeriale al progetto definitivo del codice penale, relativamente alla figura criminosa in esame. Egli afferma: “non ho voluto certo considerare come protetto dalla tutela penale l’usurpatore[21], il funzionario di fatto e l’utile gestore di un servizio pubblico. Sono note le controversie dottrinali sulla questione, se e in quale grado l’attività di colui che si sostituisce allo Stato o ad altro ente pubblico possa essere riferita allo Stato o ad altro ente pubblico. Qualunque soluzione si accolga in tale non facile problema, è certo che per il diritto penale la soluzione da accogliere è quella di escludere che possa il soggetto privato trasformarsi, per effetto di un’arbitraria auto assunzione di potere, in un soggetto di diritto pubblico. Anche se la legge amministrativa, utilitatis causa, ammette in casi singoli, la riversibilità allo Stato e agli enti pubblici di quell’attività privata, la utilizzazione di essa da parte della pubblica amministrazione non costituisce causa e titolo sufficienti per mutare la natura di quell’attività, la quale sorge con l’impronta di un’attività privata e tale ognora rimane in confronto del soggetto che l’ha spiegata”.

- 6. Profili processuali
Il soggetto, che ritiene di aver subito pregiudizio da un atto emanato da un funzionario privo del titulus, può contestare in giudizio la validità dell’atto emanato o per vizio di competenza o per violazione di legge.
Tuttavia, chi contesta l’atto del funzionario di fatto deve avere un interesse qualificato a contestare l’assenza dell’investitura: occorre, infatti, che l’atto posto in essere dal soggetto privo del potere di agire cagioni un danno al privato che lo subisce, il quale è così legittimato ad agire in giudizio, per tutelare le proprie ragioni.
L’interesse a ricorrere, più precisamente, è rappresentato dall’ottenimento di una pronuncia giurisdizionale dichiarativa della nullità, la quale accerti che il provvedimento impugnato non ha prodotto effetti fin dall’inizio.

- 7. Compenso del funzionario di fatto
Una conseguenza strettamente connessa al riconoscimento della validità degli atti medio tempore posti in essere dal funzionario di fatto, imputati alla PA quando favorevoli al terzo, è il riconoscimento di un compenso a favore del funzionario di fatto, per l’attività svolta.
A tal proposito occorre però distinguere a seconda della posizione che il funzionario putativo occupa all’interno della pubblica amministrazione. Infatti se l’attività svolta dal funzionario è consistita nella emanazione di provvedimenti amministrativi, poi successivamente dichiarati nulli o revocati, si ritiene che il funzionario abbia diritto a percepire la retribuzione connessa alle funzioni esercitate, avendo a disposizione, per realizzare le proprie pretese economiche, l’azione di condanna al pagamento delle retribuzioni, di cui all’art. 2126 cod. civ.[22]
Nella diversa ipotesi in cui, invece l’attività amministrativa posta in essere dal funzionario abbia cagionato un indebito arricchimento della PA e un correlato depauperamento del funzionario, in assenza di una giusta causa di depauperamento, il funzionario di fatto può avviare l’azione di cd arricchimento senza causa, delineata dall’art. 2041 cod. civ., ai sensi del quale “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.”
Più controversa è l’ammissibilità nei confronti della Pubblica Amministrazione dell’istituto della cd “gestione di affari altrui” ex art. 2028 cod. civ.[23], che potrebbe essere richiamato in ragione dello spontaneo svolgimento della cura degli interessi pubblici ad opera del funzionario di fatto, quando l’attività svolta corrisponda agli interessi della PA.
La disposizione, certamente riferibile all’autonomia privata, trova dei limiti rilevanti nell’esercizio di pubbliche potestà, essendo ostativo a tale applicabilità il generale principio della prohibitio domini, che impedisce ai privati di intervenire nella gestione pubblica.
Nel caso del funzionario di fatto, la PA può riconoscere la gestione di affari, allorquando si sia appropriata degli effetti favorevoli dell’attività svolta dal privato attraverso attività concludenti.
In relazione alla problematica della corresponsione del compenso al funzionario di fatto, la giurisprudenza ha riconosciuto la validità delle somme percepite durante l’attività lavorativa, nell’ipotesi in cui l’inquadramento nella posizione apicale sia stato annullato a seguito di precedente sentenza del Consiglio di Stato e dunque l’attività lavorativa svolta sia qualificabile come attività di funzionario di fatto.
In tale decisione il TAR adito, accogliendo il ricorso proposto dagli eredi di un ex impiegato dell’ASL, volto all’annullamento di una delibera con la quale si chiedeva al de cuius la corresponsione delle differenze retributive ha osservato che “deve rilevarsi che nella fattispecie descritta si è in presenza della figura di un funzionario di fatto, vale a dire di un dipendente che in ragione della qualifica formalmente conferita, e valida al momento del conferimento, ha svolto le funzioni corrispondenti che gli sono state sottratte soltanto a seguito di un nuovo inquadramento disposto in conseguenza della declaratoria di illegittimità e di annullamento della delibera che costituiva il presupposto del suo primo atto di inquadramento nella posizione superiore”. Prosegue il Supremo Consesso affermando che “se si considera che l’attività svolta dal funzionario ha conservato piena validità e che la medesima è stata esercitata in applicazione do delibere efficaci e valide, ancorché impugnate, non può non condividersi la posizione dei ricorrenti (eredi del de cuius funzionario) secondo la quale è assente un obbligo di restituzione delle somme per le quali è causa, atteso che le stesse spettano al ricorrente in forza di un’attività – legittimamente e validamente – svolta all’epoca alla quale si riferiscono”[24].

- 8. Il superamento della teoria del funzionario di fatto dopo l’art. 21 septies, l. 241/1990.
L’art. 21 septies, introdotto dalla l. 15/2005, ha per la prima volta sancito formalmente che “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione”.
L’articolo in oggetto sembra incidere, pertanto, sulla disciplina del funzionario di fatto. Occorre interrogarsi, infatti, sull’attuale esistenza e validità dell’attività provvedimentale posta in essere dal funzionario di fatto, occorrendo statuire se essa si collochi attualmente nella categoria della patologia derivata ad effetto caducante, piuttosto che in quella ad effetto viziante.
Sembra difficile, infatti, che la figura del funzionario di fatto, privo dell’investitura formale, possa sfuggire al dettato dell’art. 21 septies, che sanziona con la nullità il provvedimento amministrativo privo degli elementi essenziali, tra cui in particolare il difetto di attribuzione e la carenza di volontà della PA.
La novità posta dall’art. 21 septies consiste, infatti, nell’aver individuato uno specifico profilo di vizio rispetto al regime tradizionale dell’illegittimità derivata.
Secondo la dottrina, l’introduzione dell’articolo summenzionato avrebbe fatto sì che, nel caso in cui si volesse continuare a ragionare in termini di invalidità derivata, il vizio collegato all’emanazione di un provvedimento in difetto di attribuzione (come nel caso del funzionario di fatto), sarebbe quello di un vizio ad effetto caducante (e non più viziante come era configurato in passato).
Le teorie sorte a seguito dell’introduzione dell’art. 21 septies in merito al difetto assoluto di attribuzione sono state principalmente due.
Secondo la prima il difetto assoluto di attribuzione si riscontrerebbe nel solo caso in cui le norme violate siano quelle volte a ripartire il potere tra le varie amministrazioni. Pertanto sarebbero atti inesistenti quelli adottati in assenza di una norma che attribuisca il potere, come accade nel caso del funzionario di fatto.
Tale ricostruzione si contrappone, però, al principio di tutela del legittimo affidamento, posto, dalla prevalente dottrina, alla base del riconoscimento dell’efficacia degli atti del funzionario apparente, favorevoli per i terzi.
Nella ricostruzione in esame, non trova, infatti, spazio di operatività la teoria dell’apparentia iuris, in quanto se l’atto emanato dal funzionario di fatto è da qualificarsi come inesistente, non potrà in alcun modo produrre effetti giuridici.
Proprio in ossequio a tale interpretazione, la dottrina ritiene che la figura del funzionario di fatto sia oramai in inevitabile declino [25].
Secondo altra ricostruzione, invece, l’art. 21 septies sarebbe riconducibile nell’area dell’annullabilità per violazione di legge in situazioni di carenza di potere in concreto.
Ad avviso di tale dottrina, infatti, il legislatore, parlando di “difetto assoluto di attribuzione” avrebbe inteso far riferimento tanto alle ipotesi di assoluta carenza di potere per mancanza della norma attributiva del potere, quanto a quella di incompetenza assoluta e quindi il rimedio ricollegabile a tale vizio sarebbe quello dell’annullabilità.
Tuttavia, anche a seguito dell’emanazione dell’art. 21 septies, la giurisprudenza ha continuato a ragionare in termini di funzionario di fatto. Infatti, il caso dell’esercizio di funzioni pubbliche in difetto di un titolo abilitante, non necessariamente, è stato ricondotto sotto l’alveo dell’art. 21 septies, ma, al contrario, nelle ipotesi di tutela del principio di affidamento e di conservazione degli atti giuridici.
La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, privilegiato la seconda ricostruzione dogmatica già esposta, ed interpretando la disposizione in termini restrittivi ha statuito che “l’art. 21 septies, nell’introdurre per la prima volta in generale, la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia solo il difetto assoluto di attribuzione, che evoca la cd carenza di potere in astratto, cioè la mancanza in astratto della norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo, con ciò facendo rientrare nell’area dell’annullabilità la categoria della carenza di potere in concreto”[26] .
Tale orientamento, individuando nell’annullabilità il vizio ricollegabile all’ipotesi di carenza di potere in concreto, riconosce la persistenza di spazi di operatività della figura del funzionario di fatto ed appare pienamente coerente con l’impostazione di fondo dell’istituto, in quanto fa salva l’ipotesi in cui gli atti adottati in carenza di potere da parte del funzionario di fatto possano essere comunque considerati validi, allorquando da essi il privato abbia tratto un qualche specifico vantaggio.

 

_____________________________________

 

[1] La ratifica è un’ipotesi di specie della più ampia categoria degli atti di convalida, caratterizzata dalla retroattività degli effetti sananti e dalla particolarità del vizio (l’incompetenza in senso proprio) che affligge l’atto soggetto a sanatoria da parte dell’organo competente.
[2] Si ritrova il principio in esame in numerosi istituti del procedimento amministrativo: ad esempio deve escludersi che l’eventuale omissione della comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e dell’ufficio in cui poter prendere visione degli atti, incida sulla legittimità del provvedimento finale, risolvendosi in una mera irregolarità. Gli artt. 4 e 5 della l. 241/1990 qualificano, in assenza di determinazione, responsabile del procedimento il funzionario preposto alla competente unità organizzativa. Ancora: la mancata comunicazione di avvio del procedimento è qualificata come mera irregolarità quando il privato abbia comunque ricevuto tale comunicazione (conoscenza aliunde percepta).
[3] La giurisprudenza ha accolto il principio secondo cui l’art. 21 octies si applica anche agli atti endoprocedimentali: pertanto va applicato non solo all’art. 7, ma anche all’omesso preavviso di rigetto ex art. 10 bis, quando le violazioni formali non hanno comunque inciso sulla legittimità del provvedimento medesimo: Cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828; Tar Lazio Roma, sez. III, 20 febbraio 2008, n. 1558; Tar Campania Salerno, Sez. I, 11 febbraio 2008, n. 183; Tar Lazio Roma, sez. I, 10 aprile 2006, n. 2553.
[4] CERULLI IRELLI V., Lineamenti di diritto amministrativo, G. Giappichelli, Torino, 2008.
[5] CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, 2006.
[6] cfr. Diritto amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A.ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA, Bologna, 2005.
[7] MERUSI F., Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Giuffrè, 2001.
[8] Cfr., Cons. Stato. Sez. IV, 20 maggio 1999, n. 853; Consiglio di Stato, Sez. V, 15 febbraio 1962, n. 1160.
[9] Cfr., Tar Lazio Roma, Sez. III quater, 23 luglio 2008, n. 7249; Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 aprile 2007, n. 1522; TAR Sicilia Palermo, Sez. II, 12 gennaio 2007, n. 51.
[10] Cfr., C.G.A., 28 ottobre 1966, n. 537.
[11] Cfr., Cons. Stato, 20 maggio 1999, n. 853.
[12] Cfr., Consiglio di Stato, 17 febbraio 2004, n. 662.
[13] SACCO R., La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, Torino, 1949; BETTI E., La teoria delle obbligazioni, vol I., Milano, 1953.
[14] FALZEA A., Voce Apparenza, Enc. del Dir., Giuffrè Editore, 683.
[15] Cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 22 maggio 1993, n. 6; Cons. Giust. Amm., 24 marzo 1960, n. 170.
[16] Cfr., Corte Cost., sent. n. 208 del 4 maggio 1992.
[17] Significativo è l’utilizzo in questo articolo del termine “Nazione”. La carta costituzionale lo usa talvolta come sinonimo di Stato (art. 11, XIII disp. trans.,) o di collettività complessiva (art. 9, comma 2, 49, 87, comma 1, 126, 127). In quest’articolo, come anche nel 67, tuttavia, la parola Nazione rimanda ad un concetto storico, intendo riferirsi alla comunità come collettività connotata da una cultura e tradizione comune.
[18] SCARAMBINO P., Il funzionario di fatto tra realtà e contraddizioni, su www.giustamm.it.
[19] Si ripropone in tal modo la nota distinzione dottrinale tra invalidità ad effetto caducante ed invalità ad effetto viziante: nella prima ipotesi l’atto consequenziale viene travolto in automatico senza necessità di apposita impugnativa, mentre nell’altro caso l’atto resta efficace fino a che non venga impugnato e dichiarato di conseguenza nullo.
[20] Art. 347 c.p. “Chiunque usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti ad un pubblico impiego è punito con la reclusione fino a due anni. Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o impiegato il quale, avendo ricevuto partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospendere le sue funzioni o le sue attribuzioni, continua ad esercitarle. La sentenza importa la pubblicazione della sentenza
[21] Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 10 luglio 1995 n. 9348 “Per la configurabilità del reato di cui all’art. 347 c.p., è necessario che le pubbliche funzioni vengano svolte senza legittima investitura e per fini esclusivamente propri e in contrasto con quelli della PA”.
[22] L’art. 2126 cod. civ., rubricato “Prestazioni di fatto con violazione di legge” dispone infatti che: “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o dalla causa. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione”.
[23] “Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso”.
[24] Cfr., TAR Lazio, Roma, Sez. III quater del 23 aprile 2008, n. 3458.
[25] D’ANGELO L., La nullità del provvedimento amministrativo ex l. n. 15/2005: le esequie del funzionario di fatto, in www.giustamm.it.
[26] Cfr., TAR Sicilia Palermo, Sez. III, 8 maggio 2006, n. 994; Tar Lazio Roma, sez. I, 03 marzo 2009, n, 2192.

 

(pubblicato il 20.11.2009)

Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico Stampa il documento