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n. 2 -2010 - © copyright |
FLORIANA LISENA
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L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona: che cosa è cambiato
1. Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 dai Capi di Stato e di Governo, è finalmente entrato in vigore il 1 dicembre 2009, con notevole ritardo rispetto alle previsioni originarie[1], consacrando un obiettivo perseguito con ostinazione dalle istituzioni europee e da quelle di molti paesi membri.
Concepito per far ripartire il processo di integrazione europea, dopo l’arresto dovuto al mancato completamento del processo di ratifica della Costituzione europea[2] a causa della bocciatura nei referendum francese ed olandese del 2005, ha riprodotto sostanzialmente il contenuto di quest’ultima seppur con alcune modifiche[3].
Per quanto riguarda gli elementi di continuità, occorre ammettere che la maggior parte delle innovazioni contenute nel Trattato costituzionale sono sopravvissute al passaggio nel Trattato di Lisbona.
Innanzitutto, quest’ultimo conferma l’attribuzione della personalità giuridica unica all'Unione europea (art. 46a TUE) – già prevista dal Trattato costituzionale – che ha assorbito la Comunità europea (il termine “Comunità” è sostituito ovunque dal termine “Unione”). Ciò ha comportato la semplificazione dell’architettura istituzionale dell’Unione, con l’unificazione degli attuali tre pilastri e l’attribuzione a questa della soggettività giuridica internazionale, con la connessa competenza a stipulare accordi con gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali.
Elementi di continuità si segnalano, inoltre, per le principali riforme istituzionali: dalla trasformazione del Consiglio europeo in un’istituzione vera e propria (art. 230 TFUE), alla creazione di un Presidente del Consiglio stabile, eletto per due anni e mezzo (art. 9b TUE; Dich. 6), dalla nuova carica di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (art. 9e TUE; Dich. 6) al rafforzamento del ruolo del Presidente della Commissione (art. 9d TUE, par. 7, TUE; Dich. 6 e 11), dalla riduzione della composizione del Parlamento europeo e della Commissione (rispettivamente, art. 9a, par. 2, TUE; Dich. 4 e art. 9d, par. 5, TUE; Dich. 10), alla generalizzazione della procedura legislativa ordinaria (art. 251 TFUE).
Il Trattato prevede, infatti, una generale estensione del ricorso alla procedura di codecisione (di Parlamento e Consiglio dei ministri, su proposta della Commissione) con voto a maggioranza qualificata, che diventa la procedura legislativa ordinaria. Gli atti giuridici adottati mediante tale procedura sono atti legislativi, relativamente ai quali è mantenuta la denominazione vigente e l’attuale distinzione tra regolamento, direttiva, decisione europea, raccomandazioni e pareri. È stata ripresa, invece, dal Trattato costituzionale la gerarchia tra le norme, mediante la distinzione tra atti di natura “legislativa”, atti delegati ed atti di esecuzione ed è stato introdotto il nuovo strumento dei regolamenti delegati.
Inoltre, in seguito all’eliminazione della distinzione tra gli attuali diversi “pilastri”, discende un’armonizzazione degli atti giuridici: nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC), l’attuale secondo pilastro, scompaiono le strategie comuni, le azioni comuni, le posizioni comuni e le dichiarazioni comuni e nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, l’attuale terzo pilastro, scompaiono le posizioni comuni, le decisioni-quadro e le convenzioni.
2. Tuttavia, occorre segnalare anche la presenza di numerosi elementi di discontinuità, i quali rispondono alla scelta di procedere ad una de-costituzionalizzazione della riforma[4].
Innanzitutto, il Trattato di Lisbona – a differenza del Trattato costituzionale – non prevede l’abrogazione dei Trattati vigenti e la loro sostituzione con un unico testo, ma si configura – in linea con le modifiche fin qui realizzate dei Trattati di Roma – come un trattato di modifica dei trattati vigenti: il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato che istituisce una Comunità europea (TCE), quest’ultimo rinominato Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).
Il Trattato di Lisbona è dunque articolato in due parti, più le disposizioni finali: la prima parte modifica il TUE, la seconda il TFUE (ex TCE). Nella nuova riorganizzazione operata dal Trattato di Lisbona, nel TUE sono confluite le disposizioni di natura “costitutiva” ed “organizzativa”, mentre nel TFUE sono confluite sia disposizioni di applicazione delle disposizioni del TUE, sia disposizioni per le singole politiche dell’Unione. Scompare quindi la distinzione in quattro parti del Trattato costituzionale (recanti rispettivamente: parte I, norme propriamente costituzionali; parte II, Carta dei diritti fondamentali dell’UE; parte III, politiche dell’Unione; parte IV, disposizioni generali e finali).
Sono stati, poi, eliminati i riferimenti espliciti ai simboli dell’Unione (bandiera, inno, motto, moneta, istituzione della giornata dell’Europa)[5] ed ogni riferimento terminologico che poteva ricondurre alla natura “costituzionale” del testo: il ministro degli affari esteri dell’Unione è stato ridenominato Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza; i termini “legge” e “legge quadro” sono stati abbandonati e sono mantenuti, come detto, i termini attuali “regolamento”, “direttiva” e “decisione”.
Infine, sono stati eliminati alcuni elementi di novità che avvicinavano il nuovo trattato ad una vera e propria carta costituzionale.
Da un lato, il primato del diritto dell’Unione europea – sancito nel nell’art. I-7 del Trattato costituzionale – non è esplicitamente affermato nel testo del Trattato, ma in una dichiarazione. In particolare, nella Dichiarazione n. 17, relativa appunto al primato, si legge che «La conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza»[6].
Dall’altro lato, la Carta dei diritti fondamentali[7], la quale era integralmente riprodotta nella II parte del Trattato costituzionale, non è più compresa nel Trattato: il nuovo art. 6, par. 1, TUE, introdotto con il Trattato di Lisbona, si limita ad affermare che «l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti» nella Carta. Si precisa, tuttavia, che questa assume carattere giuridicamente vincolante, anche se il testo della Carta non è riprodotto in un protocollo né in una dichiarazione allegata all’atto finale.
Il Trattato contiene, però, una base giuridica (art. 6, par. 2, TUE) per l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU)[8]. L’articolo 218 del TFUE, relativo alla procedura unitaria per la conclusione di accordi internazionali prevede che l’accordo sull’adesione dell’Unione alla CEDU sia concluso dal Consiglio all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo e con ratifica da parte degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Altre differenze sembrano invece essersi rese necessarie soprattutto per tenere conto dei «ripensamenti in senso euro-scettico emersi nelle leadership di alcuni Stati membri»[9], dopo il fallimento del Trattato costituzionale.
In tal senso, si segnalano alcuni meccanismi di garanzia a favore degli Stati membri che consentono di bloccare o quantomeno di ritardare l’assunzione di decisioni “sgradite” o di sottrarsi alla obbligatorietà di alcune prescrizioni comunitarie o ancora di accettare di esserne vincolati in maniera meno intensa rispetto agli altri Stati.
Un esempio del meccanismo del primo tipo è dato dal nuovo sistema di calcolo della maggioranza qualificata in sede di Consiglio (art. 9c, par. 4 TUE e 205 TFUE): esso prevede una doppia maggioranza del 55% degli Stati rappresentanti il 65% della popolazione (mentre per formare una minoranza di blocco sono necessari almeno quattro Stati). Numerosi ambiti importanti passano dal voto all'unanimità al voto a maggioranza qualificata, inclusi i campi della giustizia e degli affari interni, mentre soltanto le aree più sensibili rimangono soggette all'unanimità: sistema tributario, sicurezza sociale, diritti dei cittadini, lingue, sedi delle istituzioni e le linee principali delle politiche comuni di difesa, sicurezza e di politica estera. Tuttavia, il nuovo sistema non entrerà in vigore fino al 2014 ed è inoltre previsto un periodo transitorio fino al 2017, durante il quale una decisione potrà essere bloccata in base alle regole di voto definite dal trattato di Nizza.
Nella medesima prospettiva, è stato previsto un nuovo meccanismo basato sul "compromesso di Ioannina", il quale prevede che il 55% degli Stati che formano una minoranza di blocco possa chiedere il riesame di una proposta prima che quest'ultima sia adottata (Dich. 7).
Quanto ai meccanismi che permettono ad uno o più Stati membri di non essere obbligati da certe disposizioni dei trattati o da certi atti delle istituzioni, la tendenza ad ammettere casi di cooperazione rafforzata (art. 10 TUE e artt. 280a-280i TFUE), già presente nei Trattati in vigore e nello stesso Trattato costituzionale, aumenterà col nuovo Trattato, coinvolgendo anche ambiti importanti del diritto comunitario, con la sola esclusione dei settori di competenza esclusiva dell’Unione.
Sul piano delle competenze dell’Unione, infine, viene introdotta una chiara delimitazione di quelle conferite all'Unione da parte degli Stati membri[10]. La relativa ripartizione tra Unione europea e Stati membri si fonda, infatti, sul principio di attribuzione, per il quale l’Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite dagli Stati membri nei trattati, per cui qualsiasi competenza non attribuita all’Unione appartiene agli Stati membri.
Nell’ambito della procedura di revisione ordinaria dei trattati si prevede, inoltre, che il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati, che possono, tra l'altro, essere mirati ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all'Unione nei trattati (art. 48 TUE).
L’esercizio delle competenze è sottoposto a due princìpi: sussidiarietà, per cui l’Unione interviene nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, sia a livello centrale, che regionale o locale (i parlamenti nazionali vigilano sul rispetto di tale principio secondo la procedura prevista nel protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità[11]); proporzionalità, per il quale il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione non vanno al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione (art. 3b TUE).
3. Da quanto detto, emerge che il Trattato di Lisbona mentre tende ad avanzare verso l’inesorabile processo costituente europeo, arretri allo stesso tempo nella speranza di fugare le «fobie anti-europeiste»[12] presenti in alcuni Stati membri.
Significativo, in tal senso, appare il fatto che anche il nuovo Trattato abbia confermato il diritto di recesso unilaterale dai Trattati (art. 49a TUE), già previsto a favore degli Stati membri dal Trattato costituzionale e non presente invece dai Trattati vigenti prima della riforma. In base alle nuove disposizioni, infatti, ogni Stato membro può decidere di ritirarsi dall’Unione europea, notificando tale intenzione al Consiglio europeo e negoziando un accordo con l’Unione volto a definire le modalità del suo ritiro. L’affermazione del carattere reversibile del processo di integrazione europea, certo, mal si concilia con un’ottica di stampo federale.
D’altro canto, si potrebbe osservare che il Trattato di Lisbona consente di compiere un passo decisivo verso l'evoluzione costituzionale dell'Unione europea, soprattutto ove si pensi al rafforzamento delle istituzioni europee e alla maggiore attenzione prestata alla tutela dei diritti fondamentali.
L'accordo sul nuovo Trattato ha segnato, senza dubbio, la fine di una fase di integrazione politica controversa iniziata con la Convenzione sulla Carta dei diritti fondamentali nel 1999 e successivamente sviluppata con il Trattato di Nizza (2000), la dichiarazione di Laeken (2001), la Convenzione sul futuro dell'Europa (2002-2003), il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa (2004), i referendum svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi (2005) e il successivo "periodo di riflessione".
Con l'entrata in vigore del nuovo Trattato, anche grazie alla definizione delle sfere di competenza dell’Unione, il sistema di governo stabilito a Lisbona dovrebbe, in linea di principio, essere forte e stabile[13].
In verità, la storia del processo europeo è quella di un progetto che deve fare i conti con la realtà: il “sogno” di un’unione frenato dalle resistenza degli Stati membri, ancora troppo gelosi – giustamente o meno non è questa la sede per valutarlo – delle proprie sfere di sovranità.
In tale contesto, il Trattato di Lisbona appare perciò il «massimo compromesso possibile che si sarebbe potuto raggiungere nella situazione attuale»[14]. Per alcuni, una scommessa persa, per altri, una riforma progressista e non rivoluzionaria, meno incisiva ma più efficace in prospettiva futura.
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[1] Non sono mancate, infatti, nel processo di ratifica del Trattato di Lisbona, alcune difficoltà che ne hanno ritardato l’entrata in vigore, la quale ha richiesto una modifica della Costituzione francese, senza contare che anche il nuovo Trattato – al pari di quello che adottava una Costituzione per l’Europa – è stato sanzionato da una consultazione referendaria negativa ad opera dei cittadini irlandesi; che i Presidenti della Repubblica polacca e della Repubblica ceca si sono rifiutati a lungo di firmarne la ratifica; che la Corte costituzionale tedesca, con una pronuncia del 30 giugno 2009, pur sancendo la compatibilità del Trattato con la Costituzione federale, rilevasse la sostanziale mancanza di legittimazione democratica delle istituzioni europee, subordinando ad un aumento di quest'ultima ulteriori avanzamenti del processo di integrazione. Il Trattato di Lisbona è stato ratificato in Italia dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 "Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007". Si noti che nel dibattito politico si era delineato anche un diverso orientamento, favorevole all’approvazione della legge di ratifica preceduta da un referendum consultivo popolare. Un percorso simile era già stato seguito nel 1989 quando la legge costituzionale n. 2 del 1989 previde, per la prima volta nel nostro ordinamento, la celebrazione di un referendum consultivo o – per usare la terminologia del legislatore – «d’indirizzo», per consentire lo svolgimento di una consultazione presso l’elettorato sui poteri dell’eleggendo Parlamento europeo.
[2] Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa era stato firmato a Roma il 29 ottobre 2004. A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 approvò una dichiarazione sulla ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa nella quale si invitava a promuovere un ampio dibattito nell’ambito di un periodo di riflessione. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 ha proceduto a una valutazione del periodo di riflessione, prevedendo che una decisione sulle modalità con le quali proseguire il processo di riforma sarebbe dovuta essere assunta dal Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007. In tale sede, si è deciso di convocare una Conferenza intergovernativa, incaricata di elaborare un progetto di Trattato, secondo un mandato “che costituirà la base ed il quadro esclusivi dei suoi lavori”. La Conferenza intergovernativa, avviata sotto Presidenza portoghese il 23 luglio 2007, si è conclusa il 19 ottobre 2007 con la formulazione del testo del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, firmato appunto a Lisbona il 13 dicembre 2007. Pare opportuno ricordare che, in un primo momento, si era proposto di proseguire con l’iter di ratifica negli altri Stati ed indire nuovi referendum nei Paesi che avevano bocciato l’approvazione del Trattato; poi, di avviare delle cooperazioni rafforzate, consentendo l’entrata in vigore della Costituzione nei soli Stati favorevoli; o, infine, di sostituire il testo costituzionale con un Trattato di riforma, più semplice e privo di connotati costituzionali. Se la prima ipotesi, come è ovvio, è stata respinta da Francia e Paesi bassi e la seconda non ha suscitato ampi consensi tra gli Stati membri, la terza soluzione è apparsa la più ragionevole.
[3] Cfr., per approfondimanti sul testo del Trattato, la scheda di lettura del trattato di Lisbona a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea, Camera dei Deputati, XVI legislatura, in http://www.astrid-online.it/eu/Contributi/Studi-e-ri/Camera_Trattato-di-Lisbona_schede-lettura-19_05_08.pdf.
[4] In relazioni a tale profilo, non solo il Presidente della Convenzione Giscard d’Estaing ha rilevato, in più occasioni, che le differenze tra i testi del Trattato costituzionale e del Trattato di Lisbona sono solo “cosmetiche”, ma anche parte della dottrina, confrontando i contenuti del nuovo Trattato con quelli del precedente testo costituzionale, ha constatato che essi si somigliano a tal punto da sembrare «quasi la stessa cosa». Cfr., in tal senso, J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, 26; v. anche C. Pinelli, Il preambolo, i valori, gli obiettivi, in F. Bassanini-G. Tiberi, Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, Il Mulino, 2008, 57 ss.
[5] Su iniziativa della Germania, 16 Stati membri, tra cui l’Italia, hanno firmato una dichiarazione, allegata all’atto finale della CIG, che riconosce il valore dei simboli dell’Unione (la dichiarazione è stata firmata da Belgio, Bulgaria, Germania, Grecia, Spagna, Italia, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Austria, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia).
[6] Si tenga presente che constatare che la positivizzazione della primazia nel Trattato costituzionale viene degradata a mera enunciazione contenuta in una Dichiarazione non è senza rilievo, tenuto presente che le disposizioni contenute nei protocolli hanno lo stesso valore giuridico delle disposizioni dei Trattati, non ugualmente le dichiarazioni. Pertanto, tale dichiarazione, pur avendo un importante valore declaratorio e simbolico, rimane priva di forza giuridica.
[7] La Carta, con le modifiche apportate in occasione del suo inserimento nel Trattato costituzionale, è stata proclamata solennemente in occasione della seduta plenaria del Parlamento europeo del 12 dicembre 2007 dai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea ed è stata poi pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Rispetto al testo della Carta originariamente proclamata a Nizza nel 2000, si prevede esplicitamente che le disposizioni della Carta siano interpretate dai giudici dell’Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni predisposte dal Praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta stessa ed aggiornate dal Praesidium della Convenzione europea. Un protocollo introduce misure specifiche per il Regno Unito e la Polonia, in particolare apportando limitazioni alla giurisdizione della Corte di giustizia europea e dei tribunali nazionali in materia di conformità della normativa nazionale dei due Stati membri rispetto ai diritti, libertà e princìpi sanciti dalla Carta, e prevedendo che ove una disposizione della Carta faccia riferimento a leggi e pratiche nazionali, essa si applicherà a Regno Unito e Polonia solo nella misura in cui i princìpi e i diritti in essa contenuti siano riconosciuti nelle leggi e nelle pratiche di Regno Unito e Polonia.
[8] A tal proposito è opportuno richiamare il noto parere della Corte di giustizia n. 2/1994 del 28 marzo 1996 sulla impossibilità per la Comunità europea di aderire alla Cedu, in cui la Corte di Giustizia, in termini chiarissimi, ha specificato che la Comunità non ha la relativa competenza. Cfr. CGCE parere n. 2/1994 del 28 marzo 1996, par. 6: « En l'état actuel du droit communautaire, la Communauté n'a pas compétence pour adhérer à la convention européenne de sauvegarde des droits de l'homme et des libertés fondamentales, car, d'une part, aucune disposition du traité ne confère aux institutions communautaires, de manière générale, le pouvoir d'édicter des règles en matière de droits de l'homme ou de conclure des conventions internationales dans ce domaine et, d'autre part, une telle adhésion ne saurait s'opérer par le recours à l'article 235 du traité. En effet, si le respect des droits de l'homme constitue une condition de la légalité des actes communautaires, l'adhésion de la Communauté à la convention européenne des droits de l'homme entraînerait un changement substantiel du régime actuel de la protection des droits de l'homme, en ce qu'elle comporterait l'insertion de la Communauté dans un système institutionnel international distinct ainsi que l'intégration de l'ensemble des dispositions de la convention dans l'ordre juridique communautaire. Une telle modification du régime de la protection des droits de l'homme dans la Communauté, dont les implications institutionnelles seraient également fondamentales tant pour la Communauté que pour les États membres, revêtirait une envergure constitutionnelle et dépasserait donc par sa nature les limites de l'article 235. Elle ne saurait être réalisée que par la voie d'une modification du traité ».
[9] In tal senso, cfr. L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, Milano, Giuffrè, 2008, 36.
[10] Cfr. artt. 2a-2e TFUE e il Protocollo sull’esercizio delle competenze condivise. Il Trattato di Lisbona riprende la ripartizione delle competenze, già previste dal Trattato costituzionale, in tre grandi categorie:
- competenze esclusive: l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo previa autorizzazione dell'Unione oppure per l'attuazione degli atti da questa adottati;
- competenze concorrenti: sia l'Unione, sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non esercita la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria;
- azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento: l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro competenza.
L'Unione ha, inoltre, competenza per promuovere le politiche economiche e dell'occupazione degli Stati membri e assicurarne il coordinamento e per definire e attuare una politica estera e di sicurezza comune.
Il Trattato contiene, tuttavia, una clausola di flessibilità (art. 308 del Trattato di Lisbona, art. 352 del TFUE), in base alla quale se un’azione appare necessaria per realizzare uno degli obiettivi stabiliti dai Trattati, senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.
[11] Il ruolo dei Parlamenti nazionali è disciplinato essenzialmente nei due Protocolli - allegati al Trattato di Lisbona - sul ruolo dei Parlamenti nazionali e sui princìpi di sussidiarietà e proporzionalità; ulteriori disposizioni sono contenute nel Trattato. In particolare, il Trattato di Lisbona introduce nel Trattato sull’Unione europea (TUE), nel titolo II Disposizioni relative ai principi democratici, un nuovo articolo 8C (art. 12 del TUE rinumerato) che illustra il ruolo dei Parlamenti nazionali nel contesto europeo. L’articolo recita come segue:
“I parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione:
a) venendo informati dalle istituzioni dell'Unione e ricevendo i progetti di atti legislativi europei in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea;
b) vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo le procedure previste dal protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità;
c) partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi di valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore, in conformità dell'articolo 64 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed essendo associati al controllo politico di Europol e alla valutazione delle attività di Eurojust, in conformità degli articoli 69 K e 69 H di detto trattato;
d) partecipando alle procedure di revisione dei trattati in conformità dell'articolo 33 del presente trattato;
e) venendo informati delle domande di adesione all'Unione in conformità dell'articolo 34 del presente trattato;
f) partecipando alla cooperazione interparlamentare tra parlamenti nazionali e con il Parlamento europeo in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea."
Nei protocolli è invece previsto che il tempo concesso ai Parlamenti nazionali per esaminare le proposte legislative passa da sei a otto settimane. Inoltre, un terzo dei Parlamenti nazionali può respingere una proposta legislativa adducendo la violazione del principio di sussidiarietà, la cosiddetta procedura del "cartellino giallo", a seguito della quale la Commissione riconsidererà la proposta. Se una maggioranza semplice dei Parlamenti nazionali continua a respingere la proposta, la Commissione riferirà il parere motivato al Consiglio e al Parlamento, che dovranno deliberare in merito, secondo la cosiddetta procedura del "cartellino arancione".
[12] Così, ancora, L. Daniele, cit., 37.
[13] In tal senso, si è espresso anche Andrew Duff, deputato al Parlamento europeo e uno dei tre rappresentanti del Parlamento alla Conferenza intergovernativa del 2007 insieme a Elmar Brok e Enriqué Baron Crespo, ed autore di una Guida al Trattato di Lisbona reperibile sul sito www.alde.eu/fileadmin/files/Download/True-Guide-IT-4web.pdf.
[14] In tal senso, D. Del Gaizo, Trattato di Lisbona e metodo comunitario: il nodo da scioglere, in www.federalismi.it
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(pubblicato il 24.2.2010)
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