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n. 3 -2010 - © copyright

 

LOREDANA GIANI

Attori istituzionali indipendenti ed effettività della tutela dei diritti dell’infanzia


Sommario: 1. Introduzione. - 2. Verso il riconoscimento dei diritti del fanciullo. - 3. Effettività della tutela dei diritti fondamentali del fanciullo e limite delle risorse economiche. - 4. La strategia comunitaria sui diritti dei minori. - 5. Istituzioni indipendenti e promozione e protezione dei diritti dell’infanzia. - 6. Cenni sulla realtà italiana. Dal Garante ai Garanti dell’infanzia. Quale garanzia senza poteri?

1. Introduzione
La storia dei diritti dell’infanzia affonda le proprie radici in un passato lontano nel quale, però, i minori erano considerati soggetti di diritto solo in quanto coinvolti in attività lavorative. I primi interventi legislativi a protezione dei bambini nascono proprio per il minore lavoratore dapprima nel Regno Unito (1802), poi in altri stati europei quali la Francia (1813), la Prussia (1835), la Sassonia (1861).
Con riferimento alla nostra realtà, la prima disciplina sul lavoro minorile risale al Regno di Sardegna (1851) e riguarda essenzialmente il divieto di impiegare all’interno delle miniere i fanciulli di età inferiore a 10 anni. Occorrerà attendere la fine del secolo (1886) per avere una disciplina organica per la tutela del lavoro infantile nelle fabbriche. All’inizio del nuovo secolo (1900) la Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato promosse una Convenzione per regolare la tutela dei minori. E una iniziativa del governo belga, di tredici anni successiva, portò alla convocazione a Bruxelles della conferenza internazionale per la protezione dell’infanzia[1].
I successivi interventi normativi prodotti nelle sedi internazionali (1919, Convenzione Oil sul lavoro notturno degli adolescenti nell’industria; 1921, Convenzione di Ginevra sull’età per i lavori agricoli, industriali e di lavoro notturno) erano anch’essi comunque limitati alla figura dei fanciulli lavoratori.
Soltanto nel 1924 la Società delle Nazioni approvò la Dichiarazione di Ginevra dei Diritti del fanciullo, su iniziativa dell’organizzazione internazionale “Save the children”, che rappresenta il primo tentativo di creare un unico statuto dei diritti dei minori senza circoscrivere i profili di garanzia ad alcuni aspetti. Si apre così la via ad un ampliamento del quadro della tutela che trova conferma nello stesso Statuto dell’ONU, che parla di promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali “per tutti”, e nella Dichiarazione universale dei diritti Umani del 1948, nella quale si sottolinea che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. E nella stessa Dichiarazione si precisa che “la maternità e l’infanzia hanno diritto a cura e protezione speciali”. Accanto al richiamato documento, che costituisce una pietra miliare nella costruzione di un sistema di tutele, con riferimento ai minori assume un ruolo centrale la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia, adottata nel 1948 dall’Assemblea Generale, articolata in 7 punti e fondata sulla Dichiarazione del 1924. In essa significativamente si legge: “Con la presente Dichiarazione dei Diritti dell’infanzia… uomini e donne di tutte le nazioni, riconoscendo che l’umanità deve all’infanzia il meglio di ciò che ha da dare, dichiarano ed accettano il dovere di far fronte a questo obbligo in ogni suo aspetto”.
Circa dieci anni più tardi, nel 1959, fu adottata la Dichiarazione dei diritti del fanciullo che manteneva alcuni dei contenuti degli atti richiamati risultando maggiormente esplicita nelle sue previsioni. Tale documento rappresenta una chiara presa di coscienza dell’esistenza di diritti inalienabili; un vero e proprio testo giuridico sull’infanzia che, però, data la sua scarsa diffusione, non ha, se non in tempi recenti, consentito lo sviluppo di una piena coscienza dei diritti del fanciullo.
Due anni più tardi, nella Convenzione dell’Aja (5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori)[2] è stata sancita una protezione internazionale per gli interessi del minore. Sono seguiti, poi, due patti internazionali sui diritti dell’uomo nel 1966, ratificati, come è noto, solo successivamente da parte degli Stati[3].
Nonostante i numerosi interventi richiamati, soltanto agli inizi degli anni ’70 ha cominciato, sia pure molto lentamente, a diffondersi una cultura dei diritti dell’infanzia. Ma occorrerà attendere la fine degli anni ’80 per l’approvazione di un testo interamente dedicato ai fanciulli: la Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989 ed entrata in vigore l’anno successivo[4].
Il passo decisivo per un cambiamento culturale è rappresentato dalla adozione, all’interno della Convenzione, di una concezione del bambino come soggetto di diritti e non (solo) come oggetto di tutela e dalla introduzione del criterio del “superiore interesse del bambino” come parametro centrale di valutazione per l’analisi e la decisione di tutte le questioni che lo coinvolgono.
La Convenzione tende da un lato a promuovere l’adozione di nuove forme di tutela, dall’altro promuove l’avvio di una politica per l’infanzia “attraverso una dilatazione di funzioni e l’acquisizione di veri diritti di cittadinanza per il minore”[5], anche attraverso un intervento sul livello istituzionale che, come si dirà, assume un ruolo centrale nella costruzione di un sistema di tutela dei diritti fondamentali in generale, e dei diritti dei minori in particolare.

2. Verso il riconoscimento dei Diritti del fanciullo.
I principali contenuti della Convenzione dell’ONU del 1989 sono il riconoscimento del diritto a una famiglia; di diritti civili e libertà dei bambini, estendendo loro quei diritti che in occidente il mondo adulto ha rivendicato per sé a seguito delle grandi rivoluzioni del Settecento; di diritti culturali, tra cui emerge in prima battuta il diritto all’educazione ed all’istruzione, affiancati dal diritto al tempo libero ed alle attività culturali; del diritto alla salute, dei diritti di tutela contro ogni forma di abuso.
Non è certamente questa la sede in cui soffermarci sui numerosi punti degni di una attenta riflessione, soprattutto in relazione ad una loro contestualizzazione rispetto alle singole realtà nazionali che ne renderebbe necessario un discorso assai critico, proprio con riferimento alla delicatissima questione della effettività dei diritti in essa contemplati. Sia consentito, però, svolgere alcune rapide osservazioni che consentono di evidenziare i punti di forza e le criticità del testo.
Se da un lato l’impianto della Convenzione è tale da rendere evidente, già dai primi articoli, l’adozione di una concezione dei diritti umani che prescinde, ad esempio, dalla considerazione della cittadinanza, individuando negli Stati i soggetti deputati alla realizzazione dei diritti, dall’altro il condizionamento all’esistenza di risorse economiche, espressamente richiamata nel testo della Convenzione, nonché di soggetti all’uopo costituiti, pongono in luce le défaillances dello stesso che pesano sulla effettività dei diritti.
Con riferimento al primo profilo considerato è evidente, infatti, che nel contesto della Convenzione i diritti sono riconosciuti ai fanciulli ex se, in quanto dotati dello status di persone. Si tratta, cioè, di diritti primari dei fanciulli, spettanti indistintamente a tutti, quali il diritto alla vita, all’integrità della persona, alla libertà personale, la libertà di coscienza e di manifestazione del pensiero, il diritto alla salute ed il diritto all’istruzione. Dall’esame del testo emerge, infatti, una concezione peculiare e illimitata dei diritti fondamentali[6], che corrisponde ad interessi e ad aspettative di tutti, e che costituisce il fondamento e il “parametro dell’uguaglianza giuridica” e, dunque, la “stessa dimensione sostanziale della democrazia; pregiudiziale rispetto alla sua stessa dimensione politica o formale, fondata invece sui poteri della maggioranza”[7]. Diritti la cui positivizzazione ne ha consentito una configurazione in termini di vincoli e limiti all’insieme dei pubblici poteri, vincoli e limiti che però scontano il condizionamento delle risorse finanziarie esistenti. E’ evidente, dunque, che i diritti fondamentali consentono di individuare dei veri e propri limiti all’azione dei pubblici poteri. Come sottolineato dalla richiamata dottrina[8], le norme che li attribuiscono sono norme tetiche, in quanto immediatamente dispongono le situazioni con esse espresse. Esse “esprimono la dimensione nomostatica dell’ordinamento”[9] ed i rapporti intrattenuti dai titolari di diritti fondamentali sono di tipo pubblicistico, ossia dell’individuo nei confronti (solo o anche) dello Stato. Ad essi corrispondono, ove espressi da norme costituzionali, divieti e obblighi a carico dello Stato, la cui violazione è causa di invalidità delle leggi e degli altri provvedimenti pubblici e la cui osservanza è, al contrario, condizione di legittimità dell’azione dei pubblici poteri[10]. E in questo insieme di obbligazioni, ossia di limiti e vincoli posti a tutela dei diritti fondamentali, che risiede la sfera pubblica dello Stato di diritto – in opposizione alla sfera privata dei rapporti patrimoniali – e la dimensione sostanziale della democrazia[11].
La loro formula (universale, inalienabile e costituzionale), rivela “la tecnica – o garanzia – apprestata a tutela di ciò che nel patto costituzionale viene ritenuto fondamentale: ossia quei bisogni sostanziali la cui soddisfazione è condizione della convivenza civile e insieme causa o ragione sociale di quell’artificio che è lo Stato”[12].
I profili testé richiamati consentono di cogliere il rilievo che il momento istituzionale assume nel processo di costruzione di un sistema di tutele dei diritti fondamentali. Rilievo, come si dirà tra breve, riconosciuto anche in seno alla stessa Assemblea delle Nazioni Unite.

3. Effettività della tutela dei diritti fondamentali del fanciullo e limite delle risorse economiche.
Prima di passare ad analizzare i profili istituzionali è, però, opportuno domandarsi preliminarmente in che termini la effettività di tali diritti viene garantita all’interno delle singole realtà nazionali, soprattutto alla luce di quelle previsioni richiamate che, come si diceva, condizionano l’impegno statale nella promozione, attuazione e garanzia dei diritti fondamentali alle risorse economiche effettivamente disponibili[13].
E’ sì vero, infatti, che con la sottoscrizione e ratifica della Convenzione ogni Stato si è vincolato di fronte a tutti gli altri ad adottare misure concrete in favore dell’infanzia, ma, trattandosi di un’obbligazione che non è assistita da alcun tipo di sanzione, non si può certo confidare nel fatto che questo basti a trasformare la realtà. Un importante meccanismo di controllo è rappresentato dal Comitato dei diritti dell’infanzia, istituito ai sensi dell’art. 43 della Convenzione, competente ad analizzare i rapporti inviati dagli Stati parti con cadenza quinquennale sullo stato d’attuazione dei diritti dell’infanzia all’interno dei sistemi giuridici parti della convenzione.
L’attività svolta dal Comitato, date le sue caratteristiche, tende a garantire una sorta di moral suasion degli attori nazionali rispetto alla quale rimane, comunque, forte l’ipoteca rappresentata, appunto, dal condizionamento economico alla realizzazione di detti diritti. E’, infatti, la stessa formulazione complessiva delle norme che tendono, come già detto, a richiamare, tra le condizioni di realizzabilità di detti diritti, proprio la “compatibilità” con le condizioni economiche dello Stato, a delineare un quadro normativo di riferimento rispetto al quale non risulta in alcun modo agevole, sebbene da più parti auspicata, la configurazione di una responsabilità degli Stati per la mancata implementazione di detti diritti[14].
Va rilevato, però, che nel corso degli anni si è chiaramente delineato nelle sedi internazionali un orientamento teso a confinare l’interpretazione di dette disposizioni entro limiti ben precisi che presuppongono comunque un impegno e un intervento positivo dello Stato. E non è un caso, infatti, che lo stesso Comitato dei diritti dell’infanzia, nel Commento generale n. 5[15] abbia tenuto a precisare che il richiamo alle condizioni economiche dello Stato non possa in alcun modo giustificare un ridotto impegno dello Stato stesso. La limitatezza delle risorse, infatti, giustifica, come espressamente precisato dallo stesso Comitato al più una attuazione progressiva dei diritti fondamentali da parte degli Stati in capo ai quali grava comunque un obbligo (non assistito da sanzione) di “dimostrare di aver applicato” tali diritti “entro i limiti delle risorse di cui dispongono” e ricercare, nel caso, una cooperazione internazionale[16].

4. La strategia comunitaria sui diritti dei minori.

A livello comunitario già nel 1996 era stata sottoscritta la Convenzione (del Consiglio d’Europa) sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, ratificata in Italia con la l. 20 marzo 2003, n. 77, ma un decisivo passo in avanti è stato compiuto, senza dubbio alcuno, con la Carta di Nizza e le sue successive evoluzioni[17] e, soprattutto, con la costituzione della Corte europea dei diritti dell’uomo, con la quale si è riconosciuto il diritto a presentare ricorso davanti a un collegio di giudici contro gravi violazioni dei diritti individuali, con la conseguenza che le carte europee diventano atti giuridici vincolanti per i governi che le hanno ratificate[18]. E ciò in linea con la decisione dei Capi di Stato e di Governo, adottata il 19 ottobre 2007, a conclusione della conferenza intergovernativa di Lisbona, di rendere giuridicamente vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il cui art. 24 disciplina proprio i diritti del bambino[19].
L’attenzione delle istituzioni comunitarie per la realizzazione di un sistema effettivo di garanzia dei diritti fondamentali del fanciullo trova conferma nei numerosi atti tesi ad elaborare una vera e propria strategia comunitaria. Assai rilevante è la comunicazione della Commissione dell’Unione europea il 4 luglio 2006 (COM(2006)0367) “Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori” nella quale i diritti dei minori vengono indicati tra le priorità dell’azione europea[20].
La loro centralità, invero, era stata già sottolineata nella comunicazione sugli obiettivi strategici per il quadriennio 2005-2009 nella quale la Commissione aveva significativamente affermato che “Una particolare priorità consiste nell’efficace tutela dei diritti dei minori contro lo sfruttamento economico e tutte le forme di abuso. A tal riguardo, l’Unione dovrebbe fungere da esempio per il resto del mondo”. Successivamente, nel marzo 2006 il Consiglio europeo aveva chiesto agli Stati membri "di adottare le misure necessarie per ridurre in modo rapido e significativo la povertà infantile, offrendo a tutti i bambini pari opportunità a prescindere dal loro ambiente sociale”. E’ interessante notare che il punto di partenza della strategia individuata dalla Commissione è la considerazione in base alla quale i diritti umani debbono essere riconosciuti ai minori nella loro integrità, nella loro specificità “e non semplicemente considerati alla luce dello sforzo più ampio di farli convergere nei diritti umani in generale”. La Commissione sottolinea, ad esempio, la peculiarità di alcuni diritti, come quello all’istruzione e quello a mantenere rapporti con entrambi i genitori, per i quali occorre garantire la soddisfazione delle loro esigenze fondamentali.
E’ interessante sottolineare come sia la stessa Commissione a riconoscere che il rispetto e la garanzia dei diritti fondamentali implicano non soltanto il dovere generale di astenersi da qualsiasi atto che possa comportarne la violazione, ma anche di integrarli, ove ritenuto opportuno, nelle politiche attuate in virtù delle diverse basi giuridiche dei trattati (il cosiddetto mainstreaming), o attraverso l’adozione di azioni positive specifiche per la salvaguardia e la promozione dei diritti dei minori. E la stessa Commissione nella richiamata comunicazione anticipava la nomina di un suo “coordinatore per i diritti dei minori” al quale attribuire il ruolo di referente della Commissione europea con il compito di assicurare maggiore visibilità ai diritti dei minori e di coordinare la strategia con tutti i servizi interessati ponendo, così, le basi per un coinvolgimento più incisivo anche delle istituzioni nazionali.
Infine, la comunicazione, oltre ad individuare alcuni obiettivi specifici[21] passava in rassegna in via preliminare gli oltre 75 strumenti UE che incidono sui diritti dei minori, ossia le azioni normative, non normative e finanziarie concrete da proporsi nel biennio 2006-2007. E’ evidente, dunque, l’approccio trasversale e transettoriale per una effettiva tutela dei diritti dei minori così come sanciti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e relativi protocolli addizionali, nella Convenzione europea sui diritti umani, nonché nella Carta europea dei diritti fondamentali con particolare riferimento al richiamato articolo 24.
Obiettivi, quelli menzionati, ulteriormente specificati non solo nella relazione del 12 dicembre 2007 della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, - Proposta di risoluzione del Parlamento europeo (2007/2013), ma anche nella comunicazione della Commissione intitolata “Riservare ai minori un posto speciale nella politica esterna dell’UE” (Doc. 6175/08), accolta appieno dal Consiglio dell’Unione Europea[22] che nello stesso documento sottolineava l’esigenza di portare avanti un’azione integrata, realizzata con il coordinamento di tutti gli Stati dell’Unione[23].
Tanto nelle sedi internazionali, quanto in quella comunitaria, e come si vedrà anche a livello nazionale, un ruolo centrale nel percorso di tutela e garanzia della effettività dei diritti fondamentali in generale e di quelli dei minori in particolare, viene riconosciuto al livello istituzionale.
Nel panorama comunitario, rileva l’Agenzia per i diritti fondamentali, che sostituisce il precedente Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, avente sede a Vienna ed istituita con il Regolamento (CE) n. 168/2007 del 15 febbraio 2007 allo scopo di fornire alle istituzioni europee ed alle autorità nazionali competenti assistenza e consulenza sui diritti fondamentali nell’attuazione del diritto comunitario, nonché di aiutarle a definire le iniziative appropriate (art. 2).
Più in particolare, l’Agenzia, che, come precisato nello stesso Regolamento (art. 16, comma 1) assolve i suoi compiti in completa indipendenza, è tenuta a raccogliere, analizzare e diffondere dati obiettivi e attendibili; migliorare la comparabilità e attendibilità dei dati con nuovi metodi e norme; condurre e/o promuovere ricerche e studi nel campo dei diritti fondamentali; formulare e pubblicare conclusioni e pareri su argomenti specifici, di propria iniziativa o su richiesta delle istituzioni comunitarie.
Ed infatti, obiettivo dichiarato dell’Agenzia è quello di fornire alle competenti istituzioni, organi, uffici e agenzie comunitari e nazionali, assistenza e consulenza in materia di diritti fondamentali in modo da aiutarli a rispettare pienamente tali diritti quando essi adottano misure o definiscono iniziative nei loro rispettivi settori di competenza (art. 2).

5. Istituzioni indipendenti e promozione e protezione dei diritti dell’infanzia.
Sebbene già la scelta operata nelle sedi comunitarie di affidare un ruolo così delicato ad una agenzia, con tutto ciò che consegue alla scelta di un simile modello organizzativo, stia a sottolineare il ruolo centrale che il momento istituzionale viene ad assumere nel quadro della costruzione di un sistema di tutele dei diritti dei minori, ai fini della presente analisi è interessante notare che in attuazione degli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione[24] - che all’art. 4 espressamente contempla l’obbligo per gli Stati di “adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed atti necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione”[25], obbligo confermato poi nel Commento Generale n. 2 del 13-31 gennaio 2003 dedicato proprio al ruolo delle autorità nazionali indipendenti nella promozione e protezione dei diritti dell’infanzia[26]-, in alcuni Stati si è proceduto, come si dirà, alla istituzione di un difensore civico per l’infanzia, o comunque di una autorità avente il precipuo fine di garantire la promozione e protezione dei diritti del fanciullo all’interno dei territori nazionali.
E’ interessante notare che, sebbene nella Convenzione non sia contenuto alcun richiamo espresso né agli organismi in sé e per sé considerati, né tantomeno al modello organizzativo cui gli Stati dovrebbero ispirarsi all’atto della loro istituzione, il Comitato sui diritti per l’infanzia, istituito dalla stessa Convenzione (art. 43), nel Commento generale[27] appena richiamato ha delineato le caratteristiche essenziali che detti organismi dovrebbero avere per svolgere adeguatamente il ruolo di <> dei diritti dei minori.
E’ interessante notare che il primo requisito indicato dal Comitato è proprio l’indipendenza la cui essenzialità, in conformità ai Principi di Parigi[28], è stata più volte ribadita nelle sedi internazionali e che va di pari passo con l’attribuzione auspicata dal Comitato a dette autorità di competenze quasi-giurisdizionali[29].
Il profilo dell’indipendenza diventa, in quella sede, il perno attorno al quale ruotano una serie di elementi strutturali ed organizzativi che vanno a comporre la matrice che gli Stati membri dovrebbero assumere al momento della istituzione delle autorità nazionali. Nello stesso Handbook on National Human Rights Institutions delle Nazioni Unite sono stati precisati gli elementi indispensabili per garantire l’indipendenza di detti organismi. In aggiunta ai requisiti soggettivi, quali la competenza e la professionalità, la garanzia di indipendenza ruota attorno ad elementi ulteriori. Più in particolare, si sottolinea l’importanza che questi soggetti siano istituiti per legge in modo da poterne definire gli scopi in relazione alla Convenzione. Inoltre, viene sottolineata l’importanza dell’attribuzione della personalità giuridica alle istituende autorità, in modo da consentire loro l’esercizio di poteri decisori, con autonomia ed indipendenza, scevri da interferenze o ostacoli e limiti di qualsiasi tipo da parte di qualsiasi branca del governo o qualsiasi altro soggetto pubblico o privato. Un obiettivo, quello appena richiamato, raggiungibile, secondo quanto precisato nel richiamato testo, configurando una responsabilità di queste istituzioni nei confronti del Parlamento o del Capo dello Stato. E’ chiaro che l’indipendenza dal Governo rappresenta soltanto uno degli aspetto ed essa non viene intesa, però, in senso rigido, essendo compatibile, almeno secondo quanto dichiarato nel richiamato documento, anche con eventuale una nomina governativa di alcuni dei membri di tali autorità, purché comunque siano presenti ulteriori elementi, quali, ad esempio, la precisazione degli obiettivi che esse debbono perseguire[30]; la previsione di strutture e mezzi finanziari necessari per lo svolgimento della loro attività[31] e, più in generale, l’attribuzione di poteri idonei alla garanzia dei diritti fondamentali.
L’indipendenza riguarda, dunque, il profilo funzionale, organizzativo e finanziario di dette istituzioni tanto che nel richiamato Handbook si precisa: "Any institution can only ever be as independent as the individuals of which it is composed. The granting of legal, technical and even financial autonomy to a national institution will be insufficient in the absence of specific measures to ensure that its members are, individually and collectively, capable of generating and sustaining independence of action".
Il primo esempio di organismo indipendente per la tutela dei diritti del fanciullo è stato istituito in Norvegia, nel 1979 (l’Ombudsperson per i minori). Eletto dal re, presenta anche un comitato consultivo nominato dal governo che dura in carica 4 anni. Esso gode di una indipendenza “pratica”, pur essendo posto formalmente sotto l’amministrazione del Ministero dell’infanzia e della famiglia. Si tratta di un organo avente funzioni consultive e propositive al quale è negata la possibilità di influire sulle decisioni assunte dal commissario dell’infanzia, il c.d. Ombudsdet, presidente dell’OPI. L’Ombudsperson è un organo monocratico affiancato anche da personale pubblico che svolge i propri compiti soprattutto attraverso campagne di promozione e continue azioni di monitoraggio tese a scoprire eventuali conseguenze negative prodotte nei confronti dell’universo infantile da precedenti disposizioni legislative. L’esperienza dimostra che l’attività dell’OPI ha avuto un rilievo notevole nell’evoluzione del sistema delle tutele, tant’è che oggi l’organo viene frequentemente invitato ad esprimere osservazioni e pareri a commissioni del Parlamento e del governo, unitamente alla relazione pubblica redatta annualmente concernente la descrizione della situazione dei minori nel paese.
Sullo schema dell’Ombudsperson sono stati creati analoghi organismi in Svezia, nel 1993; in Germania, nel 1988, dove si sono registrati numerosi problemi di funzionamento connessi ai rapporti tra il livello locale e quello federale dove è stata costituita la Kinderkommission, una Sottocommissione della Commissione für Familie, Senioren, Frauen und Jugend; in Austria nel 1991, dove si registra la presenza di due organismi, uno a livello federale, Kinder &Jugend Anwaltschaft come organo interno al Ministero per l’Ambiente, i giovani e la famiglia, e uno dei Länder federati.
Un Défenseur des enfants è stato istituito anche in Francia con la Legge n. 2000-196 del 6 marzo 2000. Si tratta di una autorità indipendente “chargé de défendre et de promouvoir les droits de l'enfant consacrés par la loi ou par un engagement international régulièrement ratifié ou approuvé”.
Analogamente, in Gran Bretagna sono istituiti tre organismi: Children’s Commissioner for England -2005-, Children’s Commissioner Wales -2001-, Scotland’s Commissioner for Children and Young People -2004.
I richiamati organismi fanno parte dell’European Network of Ombudspersons for Children (ENOC), un’associazione no profit, istituita nel 1997, che riunisce le organizzazioni costituite per la tutela dei diritti del fanciullo.
Assieme al CRIN – The Children’s Rights Information Network, l’ENOC ha dato vita ad una rete di soggetti indipendenti, tra cui spicca l’assenza dell’Italia, che svolgono un ruolo essenziale nella promozione dei diritti del fanciullo, da un lato elaborando strategie comuni per la piena attuazione dei principi contemplati nella Convenzione, dall’altro sviluppando piani di intervento mirati e calibrati sulle single realtà nazionali[32].

6. Cenni sulla realtà italiana. Dal garante ai Garanti per l’infanzia. Quale garanzia senza poteri?
Con riferimento alla realtà italiana un passo molto importante nell’evoluzione dei diritti dell’infanzia a livello nazionale è rappresentato dall’adozione della l. n. 176 del 27 maggio 1991, con la quale l’Italia ha ratificato e introdotto integralmente nel nostro sistema la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989.
Successivamente nel 1997 è stata adottata la legge n. 451 “Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia”, che assume una importanza centrale per le attività di controllo e di indirizzo in materia di tutela dell’infanzia.
Il quadro normativo nazionale contemplava poi la l. n. 285/1997 contenente provvedimenti per la promozione dei diritti e delle opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, con la quale è stata prevista l’istituzione di un fondo nazionale presso la Presidenza del Consiglio, adibito a finanziare progetti volti alla promozione dei diritti, della qualità della vita, dello sviluppo, della realizzazione individuale e della socializzazione. Privilegiando in tal senso gli ambienti ritenuti più favorevoli al raggiungimento di questi scopi, ossia la famiglia naturale, adottiva o affidataria.
L’assetto descritto è stato di fatto superato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione con la quale la “politica sociale” è rientrata nella competenza esclusiva delle Regioni. Una scelta che, se da un lato può essere guardata con occhio benevolo, ove considerata nella prospettiva della predisposizione di piani di intervento che siano adeguati alle singole realtà territoriali, dall’altro certamente non può non suscitare forti perplessità in relazione alla necessità di garantire un eguale livello delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Un’esigenza ribadita dallo stesso Comitato ONU per i diritti dell’infanzia che nel Commento Generale n. 5[33] ha sottolineato la necessità di sviluppare una strategia nazionale integrale fondata sulla Convenzione[34] ispirata al principio di non discriminazione.
Nello stesso Commento si ribadisce l’irrilevanza della organizzazione statale e del riparto di competenza all’interno della stessa ai fini della garanzia di attuazione dei diritti consacrati nella Convenzione la cui responsabilità ricade comunque sullo Stato[35], e ciò anche nelle ipotesi in cui i servizi siano offerti dal settore privato[36].
Ma proprio la dislocazione su due livelli alla luce di quanto appena detto si pone un problema di coordinamento degli interventi in ordine alla garanzia di una effettività di tutela ed un identico livello di garanzia su tutto il territorio nazionale che, proiettato nella nostra realtà nazionale, intercetta, così, la delicatissima e molto discussa questione relativa alla determinazione, da parte dello Stato, dei livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale che, come risulta evidente, assumono un ruolo centrale ai fini di una omogenea applicazione dei diritti dell’infanzia. Liveas che, come noto, non sono a tutt’oggi stati individuati dallo Stato e la cui mancanza costituisce indubbiamente una seria ipoteca sulla garanzia di una uniforme attuazione di detti diritti sul territorio nazionale, anche in applicazione del principio di sussidiarietà[37].
Si è creato, così, un complesso quadro istituzionale che contempla due livelli, quello nazionale e quello regionale. A livello nazionale si contano, o meglio si dovrebbero contare, tre figure. La prima individuabile nella Commissione parlamentare per l’infanzia (art. 1), istituita al fine di garantire organicità alle politiche a favore dell’infanzia. La Commissione è dotata di funzioni di indirizzo e di controllo sulla concreta attuazione degli accordi internazionali e della legislazione nazionale. Essa svolge funzioni di controllo anche sull’operato delle pubbliche amministrazioni e degli altri organismi che si occupano di questioni attinenti alla tutela dell’infanzia, essendo autorizzata a richiedere informazioni, dati e documenti agli enti e agli organismi di cui sopra.
Ogni anno la Commissione presenta i risultati della propria attività alle Camere, formulando osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità di adeguamento della legislazione nazionale a quella comunitaria e internazionale.
La seconda, invece, è rappresentata dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia[38], istituito presso la Presidenza del Consiglio, presieduto dal Ministro per la solidarietà sociale e composto da esperti, rappresentanti dei Ministeri con competenze in materia minorile, rappresentanti degli enti locali e di organismi di volontariato impegnati nella promozione e nella tutela dei diritti dell’infanzia.
Il compito principale dell’Osservatorio è rappresentato dalla predisposizione, con cadenza biennale, del Piano nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva nel quale vengono individuati ed analizzati gli interventi necessari al miglioramento della condizione dell’infanzia a livello nazionale e agli aspetti relativi alla cooperazione internazionale per lo sviluppo dell’infanzia. L’Osservatorio è parte della rete europea di Osservatori nazionali per l’infanzia (ChildONEurope) istituita il 24 gennaio 2003 nell’ambito del gruppo intergovernativo permanente L’Europe de Enfance.
Accanto ai diversi organismi con funzioni di coordinamento[39] non si registra, però, a livello nazionale un intervento significativo, sebbene esso sia da tempo auspicato e sollecitato nelle sedi internazionali e che dovrebbe rappresentare la terza figura istituzionale deputata, a livello nazionale, alla tutela dei diritti dei minori.
Non risulta di fatto istituito il Garante nazionale per l’infanzia ed ha naufragato anche il progetto di creazione di una Istituzione nazionale indipendente per i diritti umani, sebbene sia evidente la rilevanza che entrambi i soggetti possono assumere nel panorama di un sistema di garanzie nel quale, non solo risulta essenziale la promozione e la vigilanza sul rispetto dei livelli essenziali per i diritti civili e sociali dei minori, ma risulta in concreto indispensabile anche una interfaccia che si relazioni con le diverse istituzioni nazionali coinvolte nel sistema di garanzia e che assicuri il collegamento non solo con le autorità nazionali ma anche con i garanti regionali.
Dei diversi progetti e disegni di legge presentati nel corso degli anni, nessuno risulta in concreto approdato in Parlamento e ciò nonostante l’esigenza di un Garante nazionale per l’infanzia sia stata addirittura ribadita dalla stessa Commissione parlamentare per l’infanzia in una relazione espressamente dedicata al tema[40]. Da ultimo si registra il DDL 1.8.2008 – 19.11.2008, rispetto al quale è stato acquisito anche il parere della Conferenza Stato-Regioni. E’ interessante notare che nel DDL, conformemente alle indicazioni offerte nelle sedi internazionali, era stata prevista la nomina del Garante d’intesa dei Presidenti di Camera e Senato. Riecheggiando esperienze ben note nel nostro ordinamento, il Garante, il cui mandato quadriennale era rinnovabile una sola volta, doveva presentare dei requisiti soggettivi specifici: “la notoria indipendenza e la comprovata professionalità ed esperienza nei campi del disagio minorile e delle problematiche familiari ed educative”. Requisiti cui andava ad aggiungersi la previsione di incompatibilità con altre cariche pubbliche ed il divieto di svolgere attività professionali. Quanto ai compiti, disciplinati all’articolo 3 del DDL, erano state delineate delle funzioni di proposta – tra cui spiccava la proposta di adizione di iniziative, anche legislative, per assicurare la piena promozione e tutela dei diritti dell’infanzia – consultive, informative e di ascolto del minore.
Al Garante, che di fatto veniva ad essere il punto di snodo tra le diverse realtà internazionali e regionali e tra le diverse esigenze, e ad esso, in maniera alquanto anomala, risultavano però attribuite funzioni di iniziativa giudiziaria sì da consentire la richiesta, al competente Tribunale dei minorenni, di adozione di provvedimenti e l’apertura di procedimenti volti alla protezione dei minori anche su semplice segnalazione dei privati.
Quello relativo ai poteri rappresenta, però, un punto assai delicato in quanto non solo vi sono di fatto delle sovrapposizioni con i compiti affidati ad altri organi, ma manca la specificazione di quei compiti quasi-giudiziari e comunque di poteri di intervento diretto, se non quello di iniziativa giudiziaria prima richiamato, rispetto al quale forti perplessità non può non suscitare l’inciso “su segnalazione dei privati”, sui quali tanto è stato posto l’accento, già a partire dalla specificazione dei Principi di Parigi, e che in concreto rappresenterebbero il complemento indispensabile per riconoscere in capo al Garante un ruolo di effettiva garanzia dei diritti dei minori, secondo quanto prescritto nella Convenzione di New York e nella Convenzione europea.
Meno critica, ma non certo ottimale, la situazione a livello regionale nella quale, come detto, si registra la presenza di diverse figure che, nell’assetto attuale, non solo risultano pensate come articolazioni dell’eventuale garante nazionale[41], scelta al più condivisibile se si attribuisce la giusta prevalenza al profilo della indipendenza, ma non presentano un modello uniforme. Inoltre, passando alla considerazione del profilo funzionale, a fronte della autonomia, indipendenza di giudizio e valutazione, ed alla non sottoposizione di detti organismi ad alcuna relazione gerarchica con le amministrazioni presenti sul territorio, riconosciuta in molti casi, non si rinviene una corrispondente ed effettiva attribuzione di poteri di intervento diretto, riproponendo quelle perplessità in ordine alla effettività del ruolo dei garanti regionali, già espresse rispetto a quello nazionale.
Il più antico intervento è quello delle Regioni Veneto e Abruzzo: la prima con la l.r. 9 agosto 1988, n. 42 ha istituito il pubblico tutore dei minori[42], seguendo uno schema, ripreso poi da alcune Regioni, e consono solo in parte alle indicazioni offerte successivamente dal Comitato, la cui indipendenza è espressamente contemplata al secondo comma dell’art. 1 nel quale è previsto che esso svolga “la sua attività a tutela dei minori in piena libertà e indipendenza e non è sottoposto ad alcuna forma di controllo gerarchico o funzionale”. La seconda, invece, con la L.R. 2 giugno 1988, n. 46, seguendo una scelta del tutto originale, ha affidato in convenzione la funzione ed il ruolo di “difensore dell’infanzia” al Comitato italiano per l’Unicef.
Le altre Regioni sono intervenute solo in momenti di gran lunga successivi, secondo moduli istituzionali differenti[43]. Non è certamente possibile analizzare le singole discipline regionali, ma certamente non ci si può esimere dal rilevare, a conclusione di questa rapida analisi, come l’assenza di un modello unitario rischi di riflettersi negativamente sui diversi livelli di tutela che saranno raggiunti nelle varie realtà regionali. Infatti, come detto, dalla lettura del dato normativo emerge come in generale agli organi regionali siano attribuite funzioni di promozione (in collaborazione con gli enti e le istituzioni che si occupano di minori) di iniziative per la diffusione di una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, finalizzate al riconoscimento dei bambini e delle bambine come soggetti titolari di diritti; nonché attività di promozione e sostegno di forme di partecipazione degli stessi alla vita delle comunità locali, e altre attività che, però, contrariamente alle indicazioni del Comitato dell’Unicef, non vanno ad aggiungersi a quelle funzioni attraverso cui poter realizzare un intervento diretto sulle singole realtà, relegando, così, il loro ruolo nel quadro di funzioni essenzialmente propulsive[44] e di mera vigilanza di un sistema che stenta a decollare, almeno nella configurazione pensata ed espressa nelle sedi internazionali.

 

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[1] Sul punto cfr. De Giovani A., Genesi della convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989) e suoi più recenti sviluppi legislativi in http://siba2.unile.it.
[2] Ratificata e resa esecutiva con la Legge 24 ottobre 1980, n. 742.
[3] Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea Generale il 16 dicembre 1976, entrato in vigore il 3 gennaio 1976; Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea Generale il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976; Protocollo facoltativo al patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea Generale il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976.
[4] La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
[5] Così il Consiglio nazionale dei minori, I minori in Italia, Prima relazione del CNM, Milano, 1989, p. 31.
[6] Sul punto la bibliografia è amplissima. Tra i numerosissimi Autori che si sono occupati del tema cfr. Orsello G. P., Diritti umani e libertà fondamentali. Incremento, evoluzione, universalità nell’organizzazione internazionale e nell’ordinamento interno, Milano, 2005, in particolare pp. 111-170; Viola F., Dignità umana, voce in Enciclopedia filosofica, vol. 3, Milano, 2006, pp. 2863-2865; Id., Diritti umani, voce in Enciclopedia filosofica, vol. 3, Milano, 2006, pp. 2931-2938; Id., L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in F. Botturi e F. Totaro (a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Vita e Pensiero, Milano, 2006, pp. 155-187.
[6] Il tema dei diritti sociali è stato approfondito da numerosissimi Autori. Tra i molti pregevoli studi sul tema cfr. Amirante C., Diritti fondamentali e diritti sociali nella giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., Diritti di libertà e diritti sociali tra giudice costituzionale e giudice comune, Napoli, 1999; Id., Diritti di libertà e diritti sociali, Napoli, 2000; Arrigo G., I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario, pagg. 17 e ss., in http://www.eurocharta.it/Diritti_fondamentali.htm.; Baldassarre A., Diritti sociali, in Enc. Giur. (ad vocem), XI, Roma, 1989; Id., Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 1997; Berenstein A., Economic and Social Rights; their Inclusion in the ECHR. Problems of Formulation and Interpretation, in Human Rights L. J., 1981; Bifulco R., L’inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, Napoli, 2003; Bobbio N., L’età dei diritti, Torino, 1990; Id., Sui diritti sociali, in AA.VV., Cinquant’anni di Repubblica italiana, a cura di G. Neppi Modana, Torino, 1996; Carabelli U., Una sfida determinante per il futuro dei diritti sociali in Europa: la tutela dei lavoratori di fronte alla libertà di prestazione dei servizi nella CE, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” INT-49/2006G.; Caretti P., I Diritti Fondamentali. Libertà e diritti sociali, Torino, 2002; Cassese S., Diritti sociali, in Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, Vol. III, pp. 1904 ss.; Cheli E., Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995; Cicala G., Diritti sociali e crisi del diritto soggettivo nel sistema costituzionale italiano, Napoli, 1965; Corso G., I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir pubbl., 1981; Giubboni S., Da Roma a Nizza. Libertà economiche e diritti sociali fondamentali nell’Unione europea, in Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2004, pp. 9-35; Id., Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea Bologna, 2003; Id., I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Dir. un. eur., 2003; Kenner J., Economic and Social Rights in the EU Legal Order: The Mirage of Indivisibility, in T. HERVEY e J. KENNER (eds.), Economic and Social Rights under the EU Charter of Fundamental Rights. A Legal Perspective, Portland, Oregon, 2006, pp. 17-21; Luciani M., Sui diritti sociali, in Scritti in onore di M. Mazziotti di Celso, II, Padova, 1995; Id., Diritti sociali e integrazione europea, Relazione al Convegno dell’AIC su La Costituzione europea, Perugia, 7-9 ottobre 1999; Marques G., I diritti sociali nella concezione storico-giuridica di Pietro Calamandrei: la speranza riformatrice e le inadempienze costituzionali, in Scienza politica, 1996; Mazziotti, M., Diritti sociali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964; Mengoni, L., I diritti sociali, in ADL, 1998; Mutarelli M., Il ruolo potenziale dei diritti sociali fondamentali nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” INT.54/2007; Pezzini B., La Decisione sui diritti sociali, Milano, 2001; Pilia R., I Diritti sociali, Napoli, 2005; Principato L., I diritti sociali nel quadro dei diritti fondamentali, in Giur. cost., 2001, 2; Trujillo I., La questione dei diritti sociali, in «Ragion pratica», 14, 2000, pp. 43-63.
[7] Così Ferrajoli L., Diritti fondamentali, in www.processocriminalpslf.com.br.
[8] Ferrajoli L., Diritti fondamentali, cit.
[9] Ferrajoli L., Diritti fondamentali, cit.
[10] Da questo deriva la connotazione sostanziale impressa dai diritti fondamentali allo Stato di diritto ed alla democrazia costituzionale. Sono sostanziali, cioè relativi non alla forma (al chi e al come) ma alla sostanza o al contenuto (al che cosa) delle decisioni (ossia al cosa è lecito o non è lecito decidere o non decidere). In questo quadro la democrazia cessa di essere un sistema politico fondato su una serie di regole che assicurano l’onnipotenza della maggioranza, così Ferrajoli L., Diritti fondamentali, cit., il quale sottolinea che “Il paradigma della democrazia costituzionale non è altro che la soggezione del diritto al diritto generata da questa dissociazione tra vigore e validità, tra mera legalità e stretta legalità, tra legittimazione formale e legittimazione sostanziale o, se si vuole, tra le weberiane "razionalità formale" e "razionalità materiale"”. Ed è proprio in forza del riconoscimento di questa dissociazione, che viene meno la “presunzione di regolarità degli atti compiuti dal potere” (Gianformaggio L., Diritto e ragione tra essere e dover essere, in Le ragioni del garantismo. Discutendo con Luigi Ferrajoli, a cura di L. Gianformaggio, Torino, 1993, p. 28 ss.), tanto più che, il principio formale della democrazia politica, relativo al chi decide e al come si decide - in altre parole il principio della sovranità popolare e la regola della maggioranza – si subordina ai principi sostanziali espressi dai diritti fondamentali e relativi a ciò che non è lecito decidere e a ciò che non è lecito non decidere. Dal dato testuale emerge, altresì, una concezione dei diritti fondamentali che non può essere appiattita sulla cittadinanza assurta ad elemento condizionante il riconoscimento e, soprattutto, la garanzia dei diritti stessi con una conseguente negazione della loro universalità (cfr. Ferrajoli L., op. cit.).
[11] Ferrajoli L., op. cit.
[12] Ferrajoli L., op. cit.
[13] Sul punto sia consentito rinviare a Giani L., Diritti fondamentali, disabilità e prestazioni amministrative. Effettività dei diritti delle persone con problemi cognitivo-comportamentali, Relazione al convegno Building for Autism, Università di Roma Sapienza, Dipartimento ITACA, Facoltà di Architettura “Valle Giulia”, ga architects London, Roma 9 ottobre 2009, in corso di pubblicazione negli atti del Convegno.
[14] Sul percorso dottrinale e giurisprudenziale che va verso la configurazione di una responsabilità degli Stati sia consentito rinviare a Giani L., Diritti fondamentali, cit.
[15] Comitato dei diritti dell’Infanzia, CRC/GG/2003/5, Commento generale n. 5, 19 settembre-3 ottobre 2003, Misure generali di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia (artt 4, 42 e 44, par. 6).
[16] Il Comitato al punto 7 del Commento generale n. 5, cit., sottolinea “La seconda frase dell’articolo 4 riflette un’accettazione realistica del fatto che la mancanza di risorse – finanziarie e di altro tipo – possa ostacolare la totale attuazione dei diritti economici, sociali e culturali in alcuni Stati; questo introduce il concetto di “attuazione progressiva” di tali diritti: gli Stati devono dimostrare di aver applicato “entro i limiti delle risorse di cui dispongono” e ricercato, nel caso, una cooperazione internazionale. All’atto della ratifica della Convenzione, gli Stati contraggono l’obbligo di applicarla all’interno della loro giurisdizione, ma anche di contribuire, attraverso la cooperazione internazionale, alla sua attuazione globale (vedere paragrafo 60 qui di seguito)”. Inoltre, nel punto successivo, si precisa: “La frase è simile all’espressione utilizzata all’interno del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Comitato è pienamente d’accordo con il Comitato per i diritti economici, sociali e culturali nell’asserire che “persino dove le risorse disponibili risultano chiaramente inadeguate, lo Stato parte è comunque obbligato a garantire il massimo godimento possibile dei diritti in questione in base alle circostanze prevalenti…”. Qualunque siano le loro circostanze economiche, gli Stati sono tenuti a intraprendere tutte le misure possibili per realizzare i diritti dell’infanzia, ponendo particolare attenzione ai gruppi più svantaggiati” (pp. 7 e 8).
[17] Ai fini del discorso che si sta conducendo è forse utile richiamare l’articolo 1bis del Trattato dell’Unione nel quale è specificato che: “L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
[18] Sul punto cfr. Liuzzi A., La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli: prime osservazioni, in Famiglia e diritto, 2003, 3, pp. 287 ss.; Manera G., Prime impressioni e valutazioni della Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, in Giurisprudenza di merito, 2004, 1, pt. 4, pp. 166 ss.; Fumagalli Carulli O., I diritti dei minori nelle carte internazionali, in Jus, 2007, I, pp. 139 ss.; Movi C., La tutela dei diritti dei minori nell’ordinamento comunitario, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2007, 1, pp. 186 ss.; Fontana A., I diritti dell’uomo e quelli del fanciullo (A proposito di un saggio recente), in Il diritto di famiglia e delle persone, 2008, 3, pp. 1666 ss.; Turri G., I grandi principi europei di tutela dei minori, in Minori e giustizia, 2008, 2, pp. 7 ss.
[19] Articolo 24 - Diritti del bambino: 1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. Nel testo approvato e pubblicato il 14 dicembre 2007 l’articolo richiamato è stato così riformulato: Articolo 24 - Diritti del minore: 1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. 3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.Come precisato dallo stesso legislatore comunitario si tratta di un articolo basato “sulla convenzione di New York sui diritti del fanciullo, firmata il 20 novembre 1989 e ratificata da tutti gli Stati membri, e in particolare, sugli articoli 3, 9, 12 e 13 di detta Convenzione.Il paragrafo 3 tiene conto del fatto che, nell’ambito della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la normativa dell’Unione nelle materie civili che presentano implicazioni transnazionali, per cui la competenza è conferita dall’articolo 81 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, può comprendere tra l’altro i diritti di visita che consentono ai figli di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori”.
[20] “Conformemente ai trattati e alla giurisprudenza della Corte di giustizia, l’UE non ha una competenza generale nel settore dei diritti fondamentali e dei diritti dei minori, tuttavia ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2 del trattato sull'Unione Europea è tenuta a rispettare i diritti fondamentali nelle azioni intraprese nel quadro delle sue competenze. Sono questi i diritti sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che contiene disposizioni relative ai diritti dei minori. Bisogna inoltre tenere pienamente conto delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti del fanciullo. La Carta dei diritti fondamentali, a prescindere dal suo status giuridico, può essere considerata un'espressione particolarmente autentica dei diritti fondamentali che sancisce come principi generali di diritto” (Comunicazione della Commissione Europea COM-367 del 4 luglio 2006 – Verso una strategia dell’UE sui diritti dei minori).
[21] La Comunicazione è strutturata attorno a sette obiettivi specifici, ciascuno dei quali è sostenuto da una serie di azioni.
Gli obiettivi sono:
• necessità di fare tesoro delle attività già realizzate per affrontare i bisogni urgenti;
• individuare le priorità per l’azione futura dell’UE;
• inserire i diritti dei bambini nelle azioni dell’Unione Europea;
• fissare meccanismi efficienti di coordinazione e consultazione;
• accrescere le capacità di tutela e l’esperienza in tema di diritti dei fanciulli;
• promuovere una comunicazione più efficiente sui diritti dei fanciulli;
• promuovere i diritti dei fanciulli nelle relazioni esterne (Comunicazione della Commissione, cit.).
[22] Conclusioni del Consiglio dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri in sede di Consiglio sulla promozione e tutela dei diritti dei minori nell’azione esterna dell’Unione Europea – dimensione dello sviluppo e dimensione umanitaria, 9739/08 del 26 maggio 2008.
[23] Documento 9739/08, cit.
[24] Commento Generale n. 2, par. 1.
[25] La seconda parte dell’art. 4 espressamente prevede: “Trattandosi di diritti economici, sociali e culturali essi adottano tali provvedimenti entro i limiti delle risorse di cui dispongono e, se del caso, nell’ambito della cooperazione internazionale”.
[26] “It is the view of the Committee that every State needs an independent human rights institution with responsibility for promoting and protecting children’s rights. The Committee’s principal concern is that the institution, whatever its form, should be able, independently and effectively, to monitor, promote and protect children’s rights. It is essential that promotion and protection of children’s rights is “mainstreamed” and that all human rights institutions existing in a country work closely together to this end" (UN CRC/GC/2002/2, 15 novembre 2002-3 giugno 2005).
[27] Commento Generale n. 2, cit.
[28] Si tratta dei principi relativi allo status delle istituzioni nazionali per i diritti umani, adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1993 (Risoluzione 48/134 dell’Assemblea generale e allegati), nei quali è precisato che le istituzioni nazionali dovranno essere nominate e composte “secondo una procedura che offra tutte le necessarie garanzie per assicurare la rappresentanza pluralistica delle forze sociali” e dovranno essere dotate di “[2.]… un’infrastruttura adatta ad uno svolgimento spedito delle sue attività, in particolare un adeguato finanziamento. Lo scopo di tale finanziamento dovrebbe essere quello di renderla in grado di dotarsi di personale e sede propri, per essere indipendente dal governo e non soggetta a controllo finanziario, ciò che potrebbe minare la sua indipendenza”.
[29] Nei Principi di Parigi, cit., si precisa, infatti, che un’istituzione nazionale può essere autorizzata a ricevere ed esaminare reclami e petizioni riguardanti situazioni individuali. I casi possono essere presentati davanti ad essa da individui, loro rappresentanti, terzi, organizzazioni non governative, associazioni sindacali e ogni altra organizzazione rappresentativa. In tali casi, e senza pregiudizio dei principi sopra affermati riguardanti gli altri poteri delle commissioni, le funzioni loro affidate possono essere basate sui seguenti principi: a) cercare una composizione amichevole attraverso la conciliazione o, nel rispetto dei limiti di legge, attraverso decisioni vincolanti ovvero, se necessario, su base confidenziale; b) informare la parte che presenta una petizione in merito a propri diritti, in particolare riguardo ai rimedi legali disponibili e favorire l’accesso ad essi; c) ricevere reclami o petizioni o trasmetterli a altra autorità competente, secondo quanto prescritto dalla legge; d) rivolgere raccomandazioni alle autorità competenti, specialmente proponendo emendamenti o riforme di leggi, di politiche o di prassi amministrative, in modo particolare se da esse sono derivate difficoltà alle persone che presentano petizioni in sede di affermazione dei loro diritti.
[30] “Le istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani dovrebbero, dove possibile, essere oggetto di un riconoscimento costituzionale ed essere almeno investite da un mandato legislativo. È opinione del Comitato che il campo d’azione del loro mandato dovrebbe essere, al fine di promuovere e proteggere i diritti umani, il più ampio possibile, includendo la Convenzione sui diritti dell’infanzia, i suoi Protocolli Opzionali e ogni altro strumento internazionale pertinente la tutela di diritti umani; così da riunificare tutti i diritti fondamentali dei bambini, in particolare quelli civili, politici, economici, sociali e culturali. La legislazione istitutiva di tali figure dovrebbe prevedere disposizioni che stabiliscano con precisione le funzioni, i poteri e gli obiettivi relativi all’infanzia sulla base di quanto previsto dalla Convenzione e dai suoi Protocolli Opzionali. Se una istituzione è stata fondata prima dell’adozione della Convenzione, o senza farvi espressamente riferimento, dovranno essere adottate le modifiche necessarie – tra le quali l’adozione di un testo legislativo o la revisione dello stesso – al fine di garantire la conformità del mandato dell’istituzione con i principi e le norme della Convenzione”, Comitato dei diritti dell’Infanzia, CRC/GG/2002/2, Commento generale n. 2, 13-31 gennaio 2003, Il ruolo delle istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani in materia di promozione e protezione dei diritti dell’infanzia, par. 8.
[31] Cfr. Commento Generale n. 2, cit. par. 9: “Le istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani dovrebbero essere investite dei poteri necessari per svolgere efficacemente il proprio mandato, in particolare il potere di ascoltare ogni persona e ottenere ogni tipo di informazione e documento necessario per valutare le situazioni di loro competenza. Tali poteri dovrebbero inglobare la promozione e la protezione dei diritti di tutti i bambini posti sotto la giurisdizione dello Stato parte, così come di tutte le entità private o pubbliche pertinenti”, e par. 10: “Il processo istitutivo delle istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani dovrebbe essere consultivo, partecipato e trasparente. Dovrebbe essere avviato e supportato dai massimi livelli di governo e coinvolgere tutti gli elementi rilevanti dello Stato, l’apparato legislativo e la società civile. La loro indipendenza e il loro effettivo funzionamento dipendono dalla dotazione di adeguate infrastrutture, risorse finanziarie (ivi compresi fondi specificatamente destinati ai diritti dei bambini nel caso di istituzioni con un ampio mandato), risorse umane e libertà da ogni forma di controllo finanziario che potrebbe compromettere la loro indipendenza”.
[32] Come precisato dallo stesso ENOC, in generale, tra gli scopi perseguiti da detti organismi indipendenti, si possono ricordare:
to promote full implementation of the Convention on the Rights of the Child;
to promote a higher priority for children, in central, regional or local government and in civil society, and to improve public attitudes to children;
to influence law, policy and practice, both by responding to governmental and other proposals and by actively proposing changes;
to promote effective co-ordination of government for children at all levels;
to promote effective use of resources for children;
to provide a channel for children’s views, and to encourage government and the public to give proper respect to children’s views;
to collect and publish data on the situation of children and/or encourage the government to collect and publish adequate data;
to promote awareness of the human rights of children among children and adults;
to conduct investigations and undertake or encourage research;
to review children’s access to, and the effectiveness of, all forms of advocacy and complaints systems, for example in institutions and schools, and including children’s access to the courts;
to respond to individual complaints from children or those representing children, and where appropriate to initiate or support legal action on behalf of children.
[33] CRC/GC/2003/5 – 19 settembre, 3 ottobre 2003, n. 5 “Misure generali di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia (artt. 4, 42 e 44, par. 6).
[34] Più in particolare nel Commento generale si precisa che ”28. Per promuovere e rispettare i diritti dell’infanzia il Governo, nel suo insieme e a tutti i livelli, deve necessariamente lavorare sulla base di una strategia nazionale integrale, completa e basata sui diritti e fondata sulla Convenzione. 29. Il Comitato approva lo sviluppo di una strategia nazionale integrale o di un piano d’azione nazionale per i bambini, istituiti nel quadro della Convenzione. Il Comitato si aspetta che gli Stati parti tengano conto delle raccomandazioni all’interno delle Osservazioni conclusive formulate nei loro rapporti periodici all’atto di sviluppare e/o esaminare le loro strategie nazionali. Tale strategia, per risultare efficace, deve fare riferimento alla situazione di tutti i bambini e a tutti i diritti enunciati dalla Convenzione. (…)”. Inoltre si precisa che “30. Particolare attenzione deve essere posta al fine di identificare e dare priorità ai gruppi di bambini emarginati e svantaggiati. Il principio di non-discriminazione enunciato nella Convenzione richiede che tutti i diritti garantiti dalla Convenzione siano riconosciuti a tutti i bambini all’interno della giurisdizione degli Stati. Come è stato citato precedentemente (par. 12), il principio di non-discriminazione non impedisce l’adozione di misure speciali per combattere la discriminazione”.
[35] “40. Il Comitato ha considerato necessario far notare a molti Stati che il decentramento del potere, attraverso la devoluzione e la delega del Governo, non riduce in alcun modo la responsabilità diretta del Governo dello Stato parte di adempiere ai propri obblighi verso tutti i bambini entro la propria giurisdizione, indipendentemente dalla struttura dello Stato.41. Il Comitato ribadisce che in tutte le circostanze lo Stato che ratifica o aderisce alla Convenzione rimane responsabile di garantire la totale attuazione della Convenzione nei territori entro la propria giurisdizione. In qualsiasi processo di devoluzione, gli Stati parti devono garantire che le autorità locali abbiano le risorse finanziarie, umane e di altro tipo necessarie per adempiere efficacemente alle responsabilità di attuazione della Convenzione. I Governi degli Stati parti devono mantenere i poteri per esigere dalle amministrazioni devolute o dalle autorità locali la totale compatibilità con la Convenzione, e devono istituire dispositivi permanenti di monitoraggio al fine di garantire che la Convenzione venga rispettata e applicata per tutti i bambini entro la loro giurisdizione senza distinzione di sorta. Inoltre, deve essere garantito che il decentramento o la devoluzione non conduca alla discriminazione nel godimento dei diritti da parte dei bambini nelle diverse regioni”, Commento generale n. 5, cit.
[36] “42. Il processo di privatizzazione dei servizi può avere un impatto considerevole sul riconoscimento e la realizzazione dei diritti dei bambini. Il Comitato ha dedicato la giornata di discussione generale del 2002 al tema “Il settore privato come fornitore di servizi e il suo ruolo nell’attuazione dei diritti dell’infanzia”, definendo il settore privato come settore in cui sono comprese tanto le aziende quanto le Ong e altre associazioni private profit e non profit. In seguito a quella giornata di discussione generale, il Comitato ha adottato raccomandazioni approfondite alle quali richiama l’attenzione degli Stati parti13.
(…)
44. Il Comitato pone l’accento sul fatto che gli Stati, pur permettendo al settore privato di fornire servizi e gestire istituti, non sono esentati in alcun modo dall’obbligo di garantire a tutti i bambini entro la propria giurisdizione il pieno riconoscimento e la realizzazione di tutti i diritti enunciati nella Convenzione (artt. 2 (1) e 3 (2)). L’articolo 3 (1) stabilisce che l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione primaria in tutte le azioni che riguardano i bambini, sia che vengano intraprese da organi pubblici che da privati. L’articolo 3 (3) richiede l’istituzione di standard appropriati da parte degli organi competenti (organi con la competenza legale adeguata), in particolare nell’ambito della salute e relativi al numero e all’idoneità dello staff. Ciò richiede un’ispezione rigorosa per garantire la conformità con la Convenzione. Il Comitato suggerisce l’adozione di un dispositivo o di un processo di monitoraggio permanente finalizzato a garantire che i fornitori di servizi statali e non statali rispettino la Convenzione”, Commento generale n. 5, cit.
[37] Sul punto cfr. Diritti in crescita. Terzo-quarto rapporto delle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 18-26 febbraio 2009, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, Ministero del Lavoro, Salute e politiche sociali, Ministero degli affari esteri, Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza.
[38] Oggetto di riordino con il D.P.R: 103/2007, Regolamento per il riordino dell’Osservatorio nazionale infanzia e del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza.
[39] Si pensi ad esempio all’Osservatorio per il disagio giovanile legato alle dipendenze o all’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri.
[40] Commissione parlamentare per l’infanzia, Doc. XVI-bis, n. 4.
[41] L’indipendenza delle diverse figure è auspicata anche nella Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2008-2009, nella quale sono raccolti i contributi dei gruppi di lavoro dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia. In essa si precisa che “Il garante nazionale e i garanti territoriali devono essere pensati come assolutamente indipendenti fra loro. In particolare, i secondi non sono un’articolazione decentrata del garante nazionale, come è chiaro sia per le diverse modalità di nomina (il garante nazionale dallo Stato, gli altri da Regioni e Province autonome), sia per le leggi che li regolano (ogni Regione e Provincia autonoma disciplinerà le funzioni del suo garante), sia per i diversi livelli di competenze, anche se occorre istituire fra essi forme di coordinamento e di relazione”.
[42] Sul punto cfr. Strumendo L., Il ruolo del pubblico tutore dei minori, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2004, 3, pp. 141 ss.; ID, La rilevanza dei difensori civici settoriali, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2007, 4, pp. 364 ss.
[43] E’ il caso del Friuli Venezia Giulia - che con la L.R. 24 giugno 1993, n. 40, recante le norme per il sostegno della famiglia e per la tutela dei minori, ha istituito l’Ufficio del tutore pubblico dei minori (art. 19), nominato con decreto del Presidente della Giunta regionale a seguito di designazione del Consiglio regionale- Le funzioni sono attualmente esercitate in via transitoria dal Presidente del Consiglio regionale a seguito della abrogazione dell’ufficio del pubblico tutore dei minori, avvenuta con la L.R. 14 agosto 2008, n. 9 – del Lazio – L.R. 28 ottobre 2002, n. 38 “istituzione del garante dell’infanzia e dell’adolescenza” presso il Consiglio regionale per il Lazio e dotato di “piena autonomia e (…) indipendenza di giudizio e valutazione” (art. 1, comma 2) – delle Marche – L.R. 15 ottobre 2002, n. 18, istituzione del garante per l’infanzia e l’adolescenza, nominato dal Consiglio regionale con sede presso la Giunta regionale, ora sostituito dall’Autorità di garanzia per il rispetto dei diritti di adulti e bambini, Ombudsman regionale, nel quale sono state accorpate le funzioni di difensore civico, garante dei minori e garante dei detenuti (L.R. 28 luglio 2008, n. 23) – della Campania (L.R. 24 luglio 2006, n. 17) – del Molise (L.R. 2 ottobre 2006, n. 32) – della Calabria (L.R. 12 novembre 2004, n. 28, modificata con la L.R. 10 luglio 2008, n. 22) – dell’Emilia Romagna (L.R. 17 febbraio 2005, n. 9, modificata con la L.R. 6 febbraio 2007, n. 1) – della Puglia (L.R. 10 luglio 2006, n.. 19) – della Liguria (L.R. 16 marzo 2007, n. 9) – della Provincia autonoma di Trento (L.P. 3 aprile 2007, n. 10) – della Lombardia (L.R. 30 marzo 2009, n. 6) - della Basilicata (L. R. 29 giugno 2009, n. 18) dell’Umbria (L.R. 21 luglio 2009, n. 18) - del Piemonte (L.R. 9 dicembre 2009, n. 31) e della Provincia autonoma di Bolzano (L.P. 26 giugno 2009, n. 3).
[44] Così Relazione sulla condizione dell’infanzia e l’adolescenza in Italia 2008-2009, dove si legge “L’esperienza storica dei garanti territoriali nelle prime Regioni che li hanno costituiti è stata molto positiva. I garanti, in assenza di una legislazione nazionale che attribuisse loro poteri di intervento nei confronti delle istituzioni pubbliche, hanno avuto un ruolo propulsivo che ha innalzato la qualità del livello di protezione dei minori, hanno contribuito all’elaborazione di nuove politiche per i minori e all’investimento di risorse in queste direzioni, hanno operato in modo innovativo per la formazione permanente degli operatori sociali che si occupano di infanzia e di nuovi attori del volontariato sociale”.

 

(pubblicato il 1.3.2010)

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