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CARLA CIANO

Il contenuto essenziale del diritto all’istruzione dell’alunno disabile:cancellate le limitazioni per gli insegnanti di sostegno.


Nota a sentenza, Corte costituzionale, 26 febbraio 2010, n. 80

 

“La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno; nonché l’illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 414, della l. n. 244 del 2007, nella parte in cui esclude la possibilità di assumere insegnanti di sostegno con contratto a tempo determinato, in deroga al rapporto docenti ed alunni indicato dall'art. 40, comma 3, della l. n. 449 del 1997, in presenza di disabilità particolarmente gravi, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente. L’art. 12 l. n. 104 del 1992 attribuisce al disabile il diritto soggettivo all'educazione ed all'istruzione a partire dalla scuola materna fino all'università; pertanto, il diritto del disabile all'istruzione si configura come un diritto fondamentale. A tal fine, la legge 27 dicembre 1997 n. 449, all'art. 40, comma 1, ha previsto la possibilità di assumere, con contratti a tempo determinato, insegnanti di sostegno in deroga al rapporto alunni-docenti stabilito dal successivo comma 3. Il criterio numerico indicato dalla disposizione da ultimo richiamata è stato poi sostituito con il principio delle effettive esigenze rilevate, introdotto dall'art. 1, comma 605, lett. b), della legge 27 dicembre 2006 n. 296. Le disposizioni censurate che prevedono, da un lato, un limite massimo nella determinazione del numero degli insegnanti di sostegno e, dall'altro, l’eliminazione della possibilità di assumerli in deroga, si pongono in contrasto con il quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza della Corte a protezione dei disabili”.

Il testo della decisione è in dejure.Giuffrè.it, le massime si riportano per agevolare la consultazione.

 

SOMMARIO: 1) Premessa. 2) Il quadro normativo inerente il diritto all’istruzione dei soggetti disabili. 3) Le diverse forme di disabilità: il sistema delle “effettive esigenze rilevate”. 4) La giurisprudenza costituzionale in materia di istruzione dei disabili. 5) Livelli essenziali delle prestazioni e nucleo indefettibile di garanzie del diritto all’istruzione dei disabili. 6) La natura della situazione giuridica soggettiva dell’alunno disabile. 7) Conclusioni.





Premessa.



La recente pronuncia della Corte Costituzionale depositata il 26 febbraio 2010, n. 80, rappresenta lo spunto per una breve riflessione attraverso la quale, partendo dall’esame della giurisprudenza più recente, si analizzerà l’attuale sistema di tutela ed integrazione dei portatori di handicap nell’ordinamento scolastico, sia in ordine alla natura e consistenza della relativa posizione giuridica soggettiva, sia in riferimento alla gamma di strumenti posti dal legislatore a disposizione dei competenti organi amministrativi.

Il tema è di estremo interesse, in quanto si colloca al crocevia dei settori della scuola, dell’assistenza e, per certi aspetti, della sanità.



Il quadro normativo inerente il diritto all’istruzione dei soggetti disabili.



La ricognizione degli attuali orientamenti giurisprudenziali richiede una preliminare valutazione dei parametri normativi di riferimento, le cui radici sono da rinvenire nella stessa Carta fondamentale, ove, al di là dei vincoli precettivi e programmatici in tema di uguaglianza sostanziale, gli artt. 34, comma 1, e 38, comma 3, stabiliscono rispettivamente che “La scuola è aperta a tutti” e che “gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”. Tali disposizioni rappresentano l’antecedente logico-giuridico di tutta la disciplina successiva dettata a livello di legislazione ordinaria.

A partire dagli anni ’70, infatti, si assiste in Italia ad un graduale passaggio dal concetto di “inserimento” a quello di “integrazione” degli alunni e degli studenti con disabilità nella scuola statale. Tale processo ha avuto come obiettivo quello di dare attuazione ad un “diritto”, ma soprattutto di implementare strumenti, metodi e servizi, che potessero favorire la partecipazione sociale e migliorare il rendimento scolastico delle persone con disabilità.

Ripercorrendo brevemente le tappe principali della normativa, vanno ricordate la legge n. 118 del 1971, il cui art. 28 sancisce il diritto all’istruzione nella scuola comune e dispone provvedimenti per assicurarne la frequenza. Si precisa inoltre che: "l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive e da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere difficoltoso l'apprendimento nelle predette classi normali" (art. 28, comma 2).

L'art. 28, comma 3 precisa inoltre che sarà "facilitata" la frequenza delle scuole medie superiori e delle università, istituzioni prescolastiche e doposcuola. Solamente nel 1987, con la sentenza n. 515, la Corte Costituzionale dichiarerà l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 nella parte in cui afferma che la frequenza scolastica sarà “facilitata” invece di disporre che è “assicurata”.

Finalmente, con la legge n. 517 del 1977 si delinea un quadro preciso per la scuola elementare e la media inferiore: l'art. 2 stabilisce che la scuola deve assicurare forme di integrazione a favore di alunni portatori di handicap "cui devono essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio psicopedagogico e forme particolari di sostegno". Il successivo art. 7 prevede che le classi che accolgono alunni handicappati siano costituite "con un massimo di 20 alunni" (oggi tale norma è abolita) e dispone l'abrogazione delle classi differenziali nella scuola media. Inoltre, l'art. 10 stabilisce l'istruzione obbligatoria per i sordomuti nelle classi normali con adeguato supporto; sottolinea l'importanza di interventi educativi individualizzati e finalizzati al pieno sviluppo della personalità degli alunni, prevede attività di gruppo anche fra classi diverse, consente di svolgere attività integrative nell'ambito della programmazione educativa ed indica criteri per l'utilizzazione degli insegnanti di sostegno.

A differenza delle disposizioni precedenti, non si parla più di "inserimento", ma viene introdotto il termine "integrazione", con riferimento a tutte le categorie di handicap, senza distinzione.

Successivamente, viene emanata la legge quadro del 5 febbraio 1992, n. 104, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, che costituisce una tappa fondamentale nell'evoluzione della normativa in materia di diritto allo studio dei disabili. Finalità della legge è promuovere la piena integrazione delle persone in situazione di handicap in ogni ambito nel quale possano esprimere la loro personalità: “nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società” (art. 1, comma 1, lett. a).

Per quanto attiene l’ambito scolastico, la legge n. 104, nel garantire “il diritto all’educazione e all’istruzione” delle persone disabili, ritiene prioritario che tale diritto si compia attraverso un loro inserimento “nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” (art. 12, comma 2).

La frequenza nelle classi comuni costituisce, infatti, uno strumento fondamentale per il raggiungimento dello “…sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione” (art. 12, comma 3). La legge n. 104/92, inoltre, sollecita l’adeguamento tecnologico informatico delle strutture scolastiche e promuove, oltre alla programmazione coordinata con altre strutture del territorio, gestite da enti pubblici o privati, anche la formazione e l’aggiornamento del personale docente e di sostegno (art.13-16).

Con la legge n. 17 del 1999, che integra e modifica la legge quadro, vengono garantiti agli studenti universitari con disabilità sia sussidi tecnici e didattici, sia servizi di tutorato specializzato, nonché trattamenti individualizzati in occasione degli esami universitari e la presenza di un docente con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative circa l’integrazione nell’ambito dell’ateneo.

Sempre nell’ambito della legge quadro n. 104/92 viene anche introdotto lo strumento del Profilo Dinamico Funzionale (PDF) utile alla definizione del livello di sviluppo che “l'alunno in situazione di handicap” può raggiungere in tempi brevi (sei mesi) e in tempi medi (due anni). Il Profilo Funzionale viene redatto sulla base della Diagnosi Funzionale (DF), che consiste in una descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno. Entrambi gli strumenti sopra definiti permettono di elaborare il Piano Educativo Individualizzato (PEI), ossia un documento in cui vengono descritti gli interventi, i progetti didattico-educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché le modalità di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche. Il Piano Educativo viene predisposto dagli operatori delle Unità Sanitarie Locali e dal personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministero della Pubblica Istruzione, in collaborazione con i genitori della persona disabile (art. 12, punto 5).

Successivamente, con il DPR del 24/02/1994, che rappresenta l’"Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap", vengono indicate in modo specifico e circostanziato le caratteristiche della Diagnosi Funzionale, del Profilo Dinamico Funzionale e del Piano Educativo Individualizzato, i soggetti tenuti a redigere gli stessi ed ad effettuare le successive verifiche.

Altra novità da sottolineare nell’ambito di questo excursus normativo nel settore scolastico è la legge n. 9/1999 “Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione”, che riguarda appunto l’elevamento di due anni della scuola dell’obbligo anche per i ragazzi con disabilità.

Ulteriore strumento finalizzato a favorire l’integrazione è il Regolamento sull’autonomia scolastica, approvato dal Consiglio dei Ministri il 25 febbraio 1999, in quanto in esso si sottolinea la necessità di considerare ciascun individuo nelle sue diversità (comprese quelle legate ad un handicap) e di prevedere “interventi di educazione, formazione ed istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti” (art. 1, comma 2). Risulta evidente che le finalità del Regolamento sopra citato costituiscono un ulteriore sviluppo di quanto stabilito nel decreto legislativo n. 112/1998 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della Legge del 15 marzo 1997, n. 59”, ove si fissano i criteri per il decentramento dei “servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”, che vengono attribuiti ai Comuni per la scuola materna e dell’obbligo, ed alle Province per la scuola secondaria superiore.

Come si evince dalla circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca n. 3390 del 30 novembre 2001 (Assistenza di base agli alunni in situazione di handicap) l’assistenza di base agli alunni disabili è parte fondamentale del processo d’integrazione scolastica e la sua concreta attuazione contribuisce a realizzare il diritto allo studio costituzionalmente garantito”: è dunque compito di ciascuna scuola predisporre le condizioni affinché a tutti gli alunni siano offerti i servizi più idonei.

L’assistenza di base gestita dalle scuole è un’attività interconnessa con quella educativa e didattica, e trova nel collaboratore scolastico una figura importante. “Considerata la delicatezza dei compiti connessi all’assistenza degli alunni disabili, vengono organizzati corsi di formazione, secondo quanto previsto dal CCNI 1998-2001 art. 46, in materia di funzioni aggiuntive, individuando uno o più collaboratori scolastici per ciascuna delle scuole con presenza di alunni in situazione di handicap” (nota prot. n. 3390/01). In tal modo ciascuna istituzione scolastica autonoma è in grado di dotarsi di un gruppo di collaboratori scolastici idonei ad assolvere le mansioni previste dall’assistenza di base.

Fondamentale è, inoltre, la figura dell’insegnante di sostegno, che, secondo quanto stabilito dalla L. n. 104/92, deve seguire gli alunni durante tutto il percorso formativo ed effettuare la programmazione della didattica. Inoltre, la legge ricorda che l’insegnante di sostegno deve essere pienamente coinvolto nella programmazione educativa e deve partecipare, a pari titolo degli insegnanti della classe, all’elaborazione ed alla verifica delle attività di competenza dei consigli dei docenti. Per anni è stato mantenuto un rapporto di 1 insegnante di sostegno ogni 4 alunni con disabilità (come previsto dall’art. 12, L. n. 270 del 20 maggio 1982). Con la legge n. 449 del 1997 e con il decreto del Ministro della P.I. n. 331/1998, si è svincolato l’organico di sostegno dal numero di alunni con disabilità: i posti di sostegno venivano calcolati, a livello provinciale, sulla base del rapporto di 1 posto ogni 138 alunni, disabili e non.

Il rapporto di 1 a 4 rimaneva solo come numero “massimo” di alunni con disabilità da assegnare ad ogni docente, ad eccezione del caso in cui fosse necessario “assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti-alunni suindicato, in presenza di handicap particolarmente gravi” (art. 40, comma 1, l. n. 449/1997). In tal caso il rapporto poteva essere anche di 1a 1.

Successivamente, con il DPR 23.2.2006 (Situazione di handicap di particolare gravità ed autorizzazione al funzionamento dei posti di sostegno in deroga), si è ribadito che ''L’autorizzazione all’attivazione di posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni, a norma dell'art. 35, comma 7 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, è disposta dal dirigente preposto all’Ufficio Scolastico Regionale sulla base della certificazione attestante la particolare gravità di cui all'art. 2, comma 2 del presente decreto" (art. 4).

Da ultimo, le Leggi Finanziarie del 2007 e del 2008 (Legge 296/06, articolo 1, comma 605, lettera B e Legge 244/07, articolo 2, commi 413-414) hanno abrogato la previgente modalità di assegnazione degli insegnanti di sostegno per gli alunni con disabilità, (rapporto 1 insegnante di sostegno: 138 alunni), prevedendosi, con la finanziaria del 2007, che “con uno o più decreti del Ministro della Pubblica istruzione sono adottati interventi concernenti «il perseguimento della sostituzione del criterio previsto dall’art. 40 comma 3, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, con l’individuazione di organici corrispondenti alle effettive esigenze rilevate, tramite una stretta collaborazione tra regioni, uffici scolastici regionali, aziende sanitarie locali e istituzioni scolastiche, attraverso certificazioni idonee a definire appropriati interventi formativi».

Secondo la Finanziaria del 2007, dunque, l'assegnazione dell’insegnante di sostegno (e, quindi, anche la determinazione delle ore di presenza in classe dello stesso da dedicare allo studente con disabilità) è il frutto delle «effettive esigenze rilevate e certificate dalle documentazioni sanitarie, sociali e scolastiche», quindi dalle Diagnosi Funzionali, dai Profili Dinamici Funzionali (PDF), dai Piani Educativi Individualizzati (PEI) e dai Piani Educativi Didattici di ogni singolo alunno.

La Finanziaria del 2008 (Legge n. 244/07), poi, tenendo espressamente fermo il principio sancito nell’anno precedente, ha stabilito che:

«criteri e modalità devono essere definiti con riferimento alle effettive esigenze rilevate, assicurando lo sviluppo dei processi di integrazione degli alunni diversamente abili anche attraverso opportune compensazioni tra province diverse ed in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili», (art. 2, comma 413);

“il numero dei posti degli insegnanti di sostegno, a decorrere dall’anno scolastico 2008/2009, non può` superare complessivamente il 25 percento del numero delle sezioni e delle classi previste nell’organico di diritto dell’anno scolastico 2006/2007”, (art. 2, comma 413);

al fine di evitare la formazione di personale precario, resta preclusa la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza di studenti con disabilità grave (art. 2, comma 414).

Orbene, è proprio questo il tema sul quale è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 80/2010, dichiarando «l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno”, nonché “l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente».



Le diverse forme di disabilità: il sistema delle “effettive esigenze rilevate”.



Analizzando le richiamate disposizioni normative contenute nella Legge Finanziaria 2008 emerge con tutta evidenza una "novità" rilevante rispetto al panorama complessivo delle norme a tutela delle persone con disabilità. Sia la Legge Finanziaria del 2008, sia il Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione affermano: «un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili».

Nel limitare il rapporto tra insegnante di sostegno e due alunni diversamente abili, il Legislatore del 2008, a differenza di quasi tutta la legislazione in tema di tutela delle persone con disabilità, nessuna distinzione ha previsto tra tipologie di disabilità e tra connotazioni di gravità (o meno).

Anzi. Proprio la Finanziaria del 2008 espressamente abroga l’articolo 40 della Legge 449/97 nella parte in cui consentiva «la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti alunni indicato al comma 3, in presenza di handicap particolarmente gravi».

In realtà, giova sottolineare che il principio dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno sulla base delle effettive esigenze rilevate, introdotto dalla Finanziaria 2007 non avrebbe fatto minimamente sentire la mancanza del "regime speciale" della deroga giustificata dalla connotazione di gravità dell’alunno, qualora fosse stato correttamente interpretato ed applicato dagli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali.

L’assegnazione dell’insegnante in base alle effettive esigenze rilevate, infatti, rende l'integrazione scolastica "personalizzata" alle obiettive necessità. Ciò, conformemente all'eterogeneità presente nel mondo della disabilità, che per sua intrinseca natura presenta aspetti soggettivi e variabili da caso a caso (per tipologia, connotazione, gravità e condizione anche dell’intero nucleo familiare oltre che dell’intero sistema di risorse e servizi anche diversi dalla scuola,  presenti sul territorio).

Le Amministrazioni scolastiche, al contrario, prescindendo dal disegno normativo complessivo che richiedeva l’assegnazione in base alle «effettive esigenze rilevate» del singolo alunno, hanno operato seguendo il principio, giuridicamente errato, di 1 insegnante di sostegno ogni 2 alunni con disabilità.

Sotto tale profilo non può non concordarsi con l'argomentazione sostenuta dal Tar Calabria nella sentenza n. 998/2009 secondo la quale “la lettera della disposizione recata dalla Legge Finanziaria per l'anno 2008, ….. non giustifica l'interpretazione e l'applicazione rigide che l'amministrazione scolastica, e si aggiunga un po' in tutta Italia, sta operando, dal momento che, la disposizione esprime un principio tendenziale sì da non rendere neppure necessaria la sua impugnazione dinanzi alla Corte Costituzionale al fine di farne dichiarare la illegittimità. Una interpretazione difforme dai principi costituzionali, quale è quella operata dall'Amministrazione scolastica, nasce e vive nell'Amministrazione e dall'Amministrazione va espunta”.

Dunque, non il sistema dell’esigenza personale dell’alunno, ma un’esigenza "economico-matematica". Da ciò una disfunzione del sistema, confermata da molteplici pronunce dei Tribunali Amministrativi Regionali (si richiama per tutti TAR Puglia, Ordinanza n. 100/2009)[1], nelle quali si afferma chiaramente che «il raggiungimento del tendenziale rapporto di 1:2» è da seguire «solo come media nazionale e non come limite normativo».

Il sistema basato sulla valutazione dell'effettiva esigenza dell’alunno disabile, infatti, a differenza della mera divisione/distribuzione di 1 insegnante ogni 2 alunni, tende alla personalizzazione dell’insegnamento. Ciò in quanto, mentre l’effettiva esigenza rilevata determina, inequivocabilmente e inconfutabilmente, la rilevazione di diverse necessità tra alunno con disabilità lieve e alunno con disabilità grave, la medesima cosa, al contrario, non accade se matematicamente si devono dividere le risorse assegnate indistintamente tra gli alunni disabili. Tale attribuzione statistica suddetta viola il principio delle effettive esigenze rilevate per ogni singolo alunno con disabilità allorquando viene disposta la ri-distribuzione di quel poco a tutti gli alunni con disabilità. Così facendo, infatti, nessuna delle "effettive esigenze rilevate" del singolo alunno sarà di fatto rispettata: condizione, questa, che rende gli alunni con disabilità "tendenzialmente uguali", ma ancora più "diversi" dagli altri alunni non disabili.

Dunque, risulta evidente come, non già la normativa vigente, ma l’erronea interpretazione ed applicazione della stessa ad opera dell’amministrazione scolastica italiana sia stata tale da ledere, invece di garantire, i principi costituzionali posti a garanzia del diritto all’istruzione del soggetto diversamente abile.

Infatti, se l’assegnazione dell’insegnante di sostegno all’alunno con disabilità dev'essere compiuta sulla base delle «effettive esigenze rilevate», risulta poi alquanto difficile comprendere, dal punto di vista giuridico, pedagogico e sociologico, per quale ragione un alunno al quale sono state riconosciute diciotto ore di sostegno, pur essendo immutate e certificate eguali esigenze, l’anno successivo possa beneficiare solo di nove o massimo dodici ore di sostegno. Ciò, evidentemente significa che l’assegnazione al singolo alunno disabile non viene più compiuta sulla scorta della previsione legislativa delle «effettive esigenze rilevate», ma sulla base di calcoli economico-matematici che poco hanno a che vedere con i "diritti" degli alunni, con conseguente grave violazione dei livelli essenziali di istruzione previsti e garantiti dall’ordinamento giuridico italiano.

Fatta questa breve considerazione, occorre sottolineare che la necessità di distinguere le diverse tipologie di disabilità emerge con chiarezza dall’incipit della sentenza in commento, nella quale la Corte precisa preliminarmente che “i disabili non costituiscono un gruppo omogeneo”. Vi sono, infatti, forme diverse di disabilita’, per ognuna delle quali “e’ necessario individuare meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona. Ciascun disabile, infatti, e’ coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo completo inserimento nella societa’; processo all’interno del quale l’istruzione e l’integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano”.

La Corte prosegue sottolineando come, dal punto di vista normativo, il diritto all’istruzione dei disabili sia oggetto di specifica tutela da parte sia dell’ordinamento internazionale che di quello interno.

In particolare, per quanto attiene alla normativa internazionale, viene in rilievo la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’ – adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18 – il cui art. 24 statuisce che gli Stati Parti “riconoscono il diritto delle persone con disabilita’ all’istruzione”. Diritto che deve essere garantito anche attraverso la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, al fine di “andare incontro alle esigenze individuali” del disabile (art. 24, par. 2, lett. c), della Convenzione).

Per ciò che concerne l’ordinamento interno, partendo dall’analisi delle disposizioni costituzionali (art. 38, comma 3, Cost.) ed ordinarie (art. 12, l. n. 104/1992), che riconoscono ai disabili il diritto soggettivo all’istruzione e all’integrazione scolastica, a partire dalla scuola materna fino all’universita’, al fine di “garantire in tutto il territorio nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali dei soggetti portatori di handicaps”, la Corte giunge a configurare il diritto del disabile all’istruzione come un diritto fondamentale, la cui fruizione e’ assicurata, in particolare, attraverso “misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d’istruzione”. Tra le varie misure previste dal legislatore viene in rilievo quella del personale docente specializzato, “chiamato per l’appunto ad adempiere alle “ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno” a favore degli alunni diversamente abili”.

La Corte, pur riconoscendo che il legislatore gode di discrezionalita’ nella individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili, non esita a riaffermare che detto potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel “[...] rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati”. Risulta, pertanto, evidente che le norme impugnate hanno inciso proprio sull’indicato “nucleo indefettibile di garanzie” che la Corte ha gia’ individuato quale “limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore”, in quanto la scelta operata da quest’ultimo, (in particolare quella di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato), “non trova alcuna giustificazione nel nostro ordinamento, posto che detta riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali e’ reso effettivo il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave”.



La giurisprudenza costituzionale in materia di istruzione dei disabili.



Prima di analizzare le affermazioni della Corte, appare opportuno esaminare la giurisprudenza costituzionale in materia di istruzione dei disabili.

Al riguardo giova sottolineare che la giurisprudenza costituzionale in materia di integrazione scolastica dei soggetti portatori di handicap, a differenza di quella in tema di sanità, non è giunta ad individuare con nettezza il limite al di sotto del quale lo Stato non assolve al propri doveri costituzionali e viene meno la garanzia costituzionale[2].

Emblematica dell'iniziale orientamento restrittivo della Corte è la sentenza della metà degli anni Settanta in tema di interventi a favore dei cosiddetti ciechi educabili[3].

Le censure di incostituzionalità riguardavano l'art. 1 della legge 26 ottobre 1952, n. 62, “Statizzazione delle scuole elementari per ciechi”. Ad avviso del giudice a quo, stabilendo che l'obbligo scolastico fosse adempiuto, per i ciechi in condizioni di educabilità, nelle apposite “scuole speciali”, detta norma determinava una situazione di profonda ineguaglianza, privando i bambini che si trovavano in tale situazione della possibilità di utilizzare l'esperienza scolastica come mezzo non soltanto di istruzione, ma anche di inserimento e adattamento sociale, in violazione degli artt. 3 e 34, 1° comma, Cost. La disposizione veniva censurata anche in riferimento all'art. 34, 2° comma, Cost., prevedendo un obbligo il cui adempimento non sarebbe stato possibile per la generalità dei destinatari in ragione della mancanza di un istituto specializzato in ogni provincia e per la conseguente necessità, per le famiglie, di affrontare notevoli spese per mandare i figli in istituti specializzati lontani, in aperto contrasto con il principio, speculare rispetto a quello dell'obbligatorietà, della gratuità dell’istruzione elementare.

La Consulta aveva però dichiarato infondata la questione affermando, in primo luogo, che l'art. 34, 2° comma Cost. “non stabilisce affatto un obbligo assoluto rispetto alla generalità dei cittadini, ma, inteso in connessione con il successivo 3° comma, prevede un diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi dei mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi, diritto che "la Repubblica rende effettivo con borse di studio, assegni alle famiglie cd altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso"; in secondo luogo, che “l’adempimento di tali obblighi, come dei principi della scuola aperta a tutti e di gratuità dell'istruzione elementare e media” era subordinato all'attuazione legislativa e all' “osservanza dei limiti del bilancio”.

Si noti che in tale pronuncia la mancata declaratoria di costituzionalità aveva condotto all'affievolimento dell'obbligo scolastico, escludendo la punibilità dei genitori che non avessero iscritto i propri figli alle scuole speciali a causa della limitatezza numerica delle stesse, della lontananza delle sedi dal luogo di residenza della famiglia, ecc.: si era delineato, quindi, un "diritto-dovere d'istruzione finanziariamente condizionato".

Successivamente, con la fondamentale pronuncia n. 215 del 1987[4], che costituisce ormai un punto di non ritorno nella storia dell'integrazione dei soggetti portatori di handicap, il giudice delle leggi ha dichiarato l'incostituzionalità, in riferimento agli artt. 2, 3 e 34 Cost., dell'art. 28, 3° comma, legge 30 marzo 1971, n. 118, che si limitava a prevedere che ne fosse “facilitata”, anzichè “assicurata”, la frequenza alle scuole medie superiori. Il tenore della norma non era “idoneo a conferire certezza alla condizione giuridica dell'handicappato aspirante alla frequenza della scuola secondaria superiore; a garantirla, cioè, come diritto pieno”.

Quando sono coinvolte persone con disabilità viene meno la distinzione tra scuola dell'obbligo e “gradi più alti degli studi”: “assumere che il riferimento ai "capaci e meritevoli" contenuto nel 3° comma dell'art. 34 comporti l'esclusione dall'istruzione superiore degli handicappati in quanto "incapaci" equivarrebbe a postulare come dato insormontabile una disuguaglianza di fatto, rispetto alla quale è invece doveroso apprestare gli strumenti idonei a rimuoverla”.

Dunque, quando si tratta di persone che vivono una condizione di grave minorazione e difficoltà, la valutazione della capacità, ma al contempo, anche del merito, deve essere rapportata alla specifica situazione delle persone aiutate[5].

Il problema dell'inserimento scolastico dei soggetti portatori di handicap, come evidenziato in premessa, non riguarda solamente l'istruzione, ma involge un complesso di valori che trova specificazione anche in altre coordinate costituzionali come gli artt. 38 e 32 Cost., di cui la Consulta ha cercato di fornire una lettura congiunta con l'art. 34 Cost. La rilevanza dell'art. 32 Cost. si evince dal fatto che l'integrazione scolastica dei disabili richiede talora interventi di tipo medico e, conseguentemente, il necessario concorso del Servizio sanitario nazionale[6].

Per quanto concerne la prima delle due norme, la Corte ha affermato che “l'educazione” che deve essere garantita al minorati, al sensi del 3° comma, non è solamente quella “propedeutica o inerente alla formazione professionale”, ma è anche quella conseguibile attraverso l'istruzione superiore[7]. Di qui, in attuazione della previsione secondo cui ai “compiti” previsti dall'art. 38 Cost. “provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”, la “doverosità delle misure di integrazione e sostegno” atte a consentire la frequenza a tali scuole anche al portatori di handicap.

In seguito il giudice delle leggi è ritornato su tali problematiche statuendo che “nel periodo successivo a quello durante il quale la frequenza scolastica è obbligatoria ... nel quale comunque è consentito il completamento della scuola dell'obbligo - anche sino ai diciotto anni - ... per gli alunni handicappati l'istruzione viene a configurarsi come un diritto, che potrà essere esercitato mediante la frequenza, al di fuori della scuola delI'obbligo, di corsi per adulti finalizzati al conseguimento del diploma”, il che postula “che vengano garantite le medesime misure di sostegno dettagliatamente previste dalla legge quadro n. 104 del 1992”.[8]



Livelli essenziali delle prestazioni e nucleo indefettibile di garanzie del diritto all’istruzione dei disabili.



I principi sanciti dalla Corte sono stati recepiti dalla summenzionata Legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate”, il cui articolo 12 afferma inequivocabilmente che: "È garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie» (comma 2). E ancora, il comma 3 dello stesso articolo sancisce chiaramente che «L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione». Ed infine, volendo precisare che non possono sussistere ipotesi per legge di alunni "non scolarizzabili", il comma 4 prevede che «L’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap».

Orbene, volendo ricondurre tali disposizioni normative sotto l’alveo dell’articolo 3, comma 2, della Costituzione secondo il quale: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione” alla vita …. del Paese, emerge chiaramente la sussistenza nell’ordinamento scolastico Italiano di un livello essenziale di educazione e di istruzione per gli alunni con disabilità. Il principio costituzionale sancito dall’articolo 34: «La scuola è aperta a tutti» non rappresenta, quindi, una mera disposizione programmatica, ma è un vincolo normativo fissato a garanzia di un livello essenziale di prestazioni di educazione ed istruzione che la scuola italiana è tenuta a fornire.

Tale affermazione necessita di essere coniugata con quanto affermato dalla Corte nella sentenza in commento: la scelta del legislatore di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato ha inciso sul quel “nucleo indefettibile di garanzie” individuato quale “limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore”.

Il concetto di “nucleo indefettibile di garanzie” richiama inevitabilmente la problematica del “contenuto essenziale” dei diritti sociali di prestazione, concetto elaborato dalla giurisprudenza costituzionale[9], ed al quale in più occasioni la Corte ha fatto riferimento al fine di porre un argine al processo di relativizzazione e degradazione dei diritti sociali, dovuto alla natura “finanziariamente condizionata” degli stessi[10].

Con la formula in esame ci si riferisce alla circostanza secondo cui l’attuazione dei suddetti diritti è subordinata ad un doppio ordine di fattori, appunto, condizionanti: i primi di carattere istituzionale, i secondi di natura economico-finanziaria.

I condizionamenti del primo tipo discendono dalla circostanza secondo cui la concretizzazione degli obiettivi di tutela costituzionalmente sanciti deve necessariamente essere mediata da scelte compiute a livello di indirizzo politico-legislativo e dalle dinamiche organizzative e gestionali delle pubbliche amministrazioni.

In questo quadro opera, come secondo fattore di conformazione “patologico”, la crisi fiscale dello Stato Sociale, da cui scaturisce l’imposizione di stringenti vincoli di finanza pubblica.

Il problema cui dottrina e giurisprudenza costituzionale hanno tentato di rispondere ricorrendo al concetto di contenuto essenziale dei diritti, è quello della individuazione di un nucleo della situazione soggettiva costituzionalmente protetta, di un limite minimo, che non può subire compressioni o limitazioni ad opera del bilanciamento tra valori costituzionali, pena la violazione della disposizione costituzionale che ne impone la tutela. Nucleo indefettibile del diritto che risulterà invalicabile dal legislatore, statale o regionale, in sede di attuazione delle norme che li sanciscono.

E’ noto infatti che, contrariamente all’idea che tali norme fossero suscettibili solo di un’applicazione legislativa sempre più ampia, nel senso che la loro graduale attuazione potesse conoscere un incremento dei servizi sottesi al diritto, ma non una loro restrizione, negli ultimi anni il legislatore ha diminuito, come nella fattispecie in esame, alcune prestazioni precedentemente riconosciute, rendendo necessaria la ricerca del punto estremo entro cui tale reversibilità sia consentita. Un’attenta dottrina ha individuato proprio nel “nucleo essenziale” dei diritti il contenuto del diritto che non può essere sacrificato ad alcun altro principio costituzionale in sede di valutazione politica, pena il dissolvimento del diritto stesso.

La definizione di questo contenuto irriducibile dei diritti, tuttavia, è caratterizzata da un elevato grado di incertezza, che, peraltro, deriva in gran parte dalla impossibilità di enucleare tale contenuto in via astratta e predeterminata, dovendosi ricavare, invece, mediante una valutazione, caso per caso, della ragionevolezza o meno delle scelte del legislatore rispetto al contenuto precettivo delle norme che sanciscono i diritti[11].

Le problematiche inerenti l’incidenza delle disponibilità finanziarie sulla soddisfazione dei diritti sociali sono state oggetto di una copiosa giurisprudenza costituzionale, che ha individuato nella “gradualità” la caratteristica “naturale” dei diritti di prestazione: la loro implementazione dipende dalla concreta disponibilità di risorse organizzative, umane e finanziarie ed è quindi soggetta a continui mutamenti, “anche in negativo”.

I giudici costituzionali, infatti, lungi dal censurare il principio secondo il quale i diritti di prestazione vincolano il legislatore nella scelta dell’an della prestazione ma lo lasciano libero nella determinazione del quantum e del quomodo[12], hanno ammesso a più riprese che nel nostro sistema costituzionale non è interdetto al legislatore di emanare disposizioni che vengano a modificare in senso più sfavorevole per i beneficiari prestazioni precedentemente riconosciute, purché tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, in quanto ciò implicherebbe la violazione del nucleo essenziale del diritto[13].

Orbene, è proprio questa l’affermazione finale della Corte “….le disposizioni impugnate si appalesano irragionevoli e sono, pertanto, illegittime nella parte in cui, stabilendo un limite massimo invalicabile relativamente al numero delle ore di insegnamento di sostegno, comportano automaticamente l’impossibilita’ di avvalersi, in deroga al rapporto tra studenti e docenti stabilito dalla normativa statale, di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico”.

In conclusione, da quanto sostenuto dalla Corte si evince che la prestazione resa dall’insegnante di sostegno assunto a tempo determinato in caso di disabilità grave, riscontrata in base alle “effettive esigenze rilevate”, rientra a pieno titolo nell’ambito di quelle prestazioni che, in quanto dirette a concretizzare il nucleo irriducibile del diritto all’istruzione dell’alunno disabile, possono definirsi essenziali. E l’essenzialità della prestazione, ovviamente, non deve essere intesa in senso assoluto, ma in relazione al singolo caso concreto, ossia, al fine di apprestare una specifica forma di tutela ai disabili che si trovino in condizione di particolare gravita’. Si tratta dunque, come sostiene la Corte “di un intervento mirato, che trova applicazione una volta esperite tutte le possibilita’ previste dalla normativa vigente e che, giova precisare, non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilita’, bensi’ tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui e’ affetta la persona de qua”.



La natura della situazione giuridica soggettiva dell’alunno disabile.



Passando ad analizzare la problematica relativa alla natura della situazione giuridica dell’alunno disabile, occorre preliminarmente sottolineare che il condizionamento finanziario insito nell’attuazione dei diritti sociali ha notevoli implicazioni sulla configurazione dei rapporti tra amministrazione ed utenti, (intesi quali fruitori delle prestazioni erogate dall’Amministrazione) e, conseguentemente, sulle posizioni giuridiche soggettive di questi ultimi[14].

L'utilizzo della locuzione "diritti sociali", tra cui anche il diritto all’istruzione, non sempre corrisponde alla sussistenza di una situazione giuridica di diritto soggettivo, pieno ed incondizionato, potendosi più spesso avere degli interessi legittimi o dei meri interessi di fatto.

Recenti studi, aventi principalmente ad oggetto il diritto alla salute, ma applicabili a tutti gli altri diritti sociali e, dunque, anche al diritto all’istruzione degli alunni disabili, hanno chiarito come tale processo di dequotazione, riassunto nella formula “diritti finanziariamente condizionati”, si articoli in tre successivi “passaggi logici”: “la norma costituzionale riconosce e garantisce il diritto sociale; la legge ordinaria ne determina le modalità di attuazione, la cui concreta modulazione dà forma e sostanza reali al principio costituzionale; l'attività di selezione delle modalità di attuazione del diritto si presenta come esercizio di potere discrezionale il quale è, certamente e innanzitutto del legislatore, ma anche dell'amministrazione la quale conserva il proprio potere di auto- organizzazione , contribuendo in questo modo ad eventualmente depotenziare e degradare il diritto sociale al rango di (mero) interesse legittimo”.[15]

Può essere di interesse approfondire i singoli passaggi appena accennati.

II primo concerne la necessità dell'intervento legislativo, scaturente dalla struttura stessa dei diritti sociali, nella cui “costruzione tradizionale”, come si è visto, “destinatario immediato è lo Stato-legislatore”: “la prestazione amministrativa del servizio (o l'ammissione amministrativa al servizio) richiede un momento preliminare di organizzazione del servizio, corrispondente ad una determinazione legislativa”, rispetto al quale “il privato non dispone di un diritto o di altra situazione soggettiva tutelabile”[16].

Come già affermava Giannini, “se il legislatore resta a contemplare gli astri , come avviene in Italia, gli enunciati costituzionali finiscono in misteriosi mari dei sargassi: contro la non legiferazione non esistono situazioni soggettive attivabili, nè garanzie azionabili”[17].

Nella definizione in concreto delle modalità di attuazione del servizio, all'intermediazione del legislatore segue quella dell'amministrazione nell’esercizio dei propri ampi poteri discrezionali di organizzazione e di gestione. A fronte dell'esercizio da parte del soggetto pubblico di poteri di programmazione e di organizzazione dell'attività di erogazione, il privato è per lo più titolare di soli interessi di fatto, di aspettative non qualificate, anche se non mancano casi in cui, incidendo i provvedimenti in maniera concreta sulla sua sfera soggettiva, la giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza di interessi legittimi[18].

Infine, anche quando gli apparati amministrativi deputati al servizi siano “costituiti” e “funzionanti”, l'accesso dell'utente alla prestazione presuppone la previa “ammissione” ad opera dell'ente erogante, che decide se il privato possa fruirne o meno[19]. Spesso l'ammissione si accompagna a valutazioni discrezionali, relative, ad esempio, alla sussistenza e all'entità della situazione di bisogno del richiedente: sono questi i casi in cui in capo al soggetto si ha un interesse legittimo.

Talora, tuttavia, essa corrisponde ad un'”attività totalmente vincolata”, in cui, cioè, l'amministrazione non effettua valutazioni discrezionali, ma si limita al mero accertamento di requisiti, rispetto al quali si hanno semplici “verifiche a risultato univoco”[20]: in queste ipotesi la posizione del privato si atteggia a diritto soggettivo.

Orbene, è proprio di tal natura l’attività posta in essere dall’Amministrazione in caso di assegnazione di insegnanti di sostegno in ipotesi di handicap particolarmente gravi.

Infatti, nella fattispecie suddetta non può ravvisarsi l'esercizio nè di un potere autoritativo, nè tanto meno di potestà discrezionale, bensì di una attività nella quale l'intervento della pubblica amministrazione è circoscritto a valutazioni di natura squisitamente tecnica, demandate, peraltro, al servizio riabilitativo dell'ASL, quale organo tecnico deputato ad accertare quali forme di intervento siano imposte dalle “effettive esigenze rilevate” nel singolo alunno disabile ed a redigere il c.d. profilo dinamico funzionale di cui alla legge 104/92 e successivo DPR 24.2.1994, esaurendosi in tale valutazione ogni profilo di discrezionalità.

Dunque, qualora dalla valutazione tecnica compiuta dalla competente ASL emerga la necessità per l'alunno di un insegnante di sostegno con rapporto in deroga 1:1, come nel caso che ha dato origine alla declaratoria di incostitituzionalità, non residua in capo alla pubblica amministrazione alcun potere discrezionale, ma l'attività sarà vincolata (“l'autorizzazione...è disposta”) al proprio accertamento di carattere tecnico.

La pubblica amministrazione, quindi, è tenuta ad effettuare, attraverso valutazioni di natura squisitamente tecnica, una mera attività di accertamento di quelle condizioni oggettive richieste dalla legge per l'attuazione del diritto allo studio, attraverso l'assegnazione dell'insegnante di sostegno per il numero di ore stimato necessario, assegnazione che risulta, dunque, atto dovuto rispetto alle risultanze della valutazione tecnica dell'ASL.

Nella specie, difetta dunque, alla stregua della normativa disciplinatrice del settore, un ambito autoritativo dell'intervento della pubblica amministrazione che sia tale da incidere sulla situazione giuridica riconosciuta dall’ordinamento al disabile (diritto soggettivo perfetto), degradandola a mero interesse legittimo.

Né, in tal senso, può valere il richiamo al potere organizzativo in quanto, come affermato da consolidato orientamento giurisprudenziale in materia[21], "la situazione giuridica soggettiva della persona disabile non può ritenersi condizionata, nè tanto meno assume carattere recessivo rispetto all'esercizio del potere attribuito alla p.a. di organizzazione dell'attività scolastica pubblica (ed in particolare delle misure volte a realizzare la "integrazione scolastica" mediante "l'attivazione di servizi previsti dalla presente legge" come recitano testualmente l 'art. 4 lett. m e l 'art. 8 della legge 104/92); diversamente opinando si verrebbe a negare, in palese contraddizione con il complesso normativo sopra richiamato, la stessa consistenza originaria di diritto soggettivo dell’handicappato che verrebbe a dipendere da scelte discrezionali e di merito della p.a....”.

Ciò comporta che i poteri organizzativi che competono all'amministrazione scolastica nella ripartizione di docenti specializzati e la limitatezza delle disponibilità finanziarie non possono affievolire la posizione giuridica di diritto soggettivo dell'alunno disabile al sostegno specializzato.

Non può non convenirsi, dunque, con quanto lapidariamente affermato dal TAR Puglia-Bari in una recentissima pronuncia[22], nella quale i giudici hanno mostrato grandissima sensibilità innanzi al dramma di una bimba di otto anni, con grave disabilità, che si è vista ridurre drasticamente le ore di sostegno scolastico. Attraverso un’interpretazione oculata delle norme, l’adito TAR ha evidenziato che «il contenuto della prestazione di sostegno o assistenziale non deve essere determinato e specificato né dai genitori esercenti la potestà sul disabile, né tantomeno dall’Amministrazione Scolastica, bensì esclusivamente ed unicamente dalla A.S.L., organo tecnico competente, ed in grado, quindi, di attribuire al diritto il concreto contenuto rapportato alle esigenze del disabile». I Giudici, quindi, hanno seguito la tesi maggioritaria nel considerare il «diritto del disabile al sostegno e all’assistenza scolastica» un «diritto fondamentale della persona». Pertanto, l’amministrazione scolastica non ha alcuna discrezionalità in materia di “monte ore” per l’ insegnamento di sostegno a favore del disabile, poiché deve esattamente erogare il livello di assistenza indicato dalla A.S.L. Ciò conduce, dunque, a rifiutare scale di valori che osino comparare i diritti fondamentali dell’individuo, come la salute e l’istruzione, con interessi pubblici legati alla mancata disponibilità finanziaria o all’esigenza di contenimento della spesa pubblica.

Affermare che, pur in presenza di siffatto diritto soggettivo, spetta esclusivamente alla pubblica amministrazione, attraverso l’esercizio di un potere pienamente discrezionale, il compito di stabilire quante ore di sostegno attribuire al singolo alunno, significherebbe non già comprimere ma del tutto negare tale diritto.

Ma vi è di più. Gli entusiasmi accesi dalla sentenza del TAR Puglia del 25 giugno 2009 sono legati, senza ombra di dubbio, dal riconoscimento del «danno esistenziale» in favore della piccola disabile. Ebbene, il provvedimento del TAR Puglia rientra, tra i primi in Italia ad aver riconosciuto il danno esistenziale per la riduzione delle ore di sostegno ad una bimba disabile. Un traguardo importantissimo non soltanto per chi, in questa vicenda, ha sostenuto e difeso la parte lesa nei suoi diritti fondamentali, ma, soprattutto, per l’intera società. Basti riflettere sulle motivazioni della sentenza, dalle quali emerge che «pur in assenza di specifica prova del danno esistenziale subito dalla minore, deve ritenersi che il venir meno dell’assistenza scolastica e di base in presenza della grave e documentata situazione di disabilità abbia determinato un regresso nella vita scolastica e relazionale del minore […] con conseguente aggravamento del senso di insicurezza e del livello di autostima della bambina, nonché del senso di emarginazione, con grave pregiudizio subito dalla piccola».



Conclusioni.



Infine del presente scritto appare opportuno fare un breve accenno alla Circolare n. 37/10, adottata dal Ministero dell’Istruzione il 13 aprile scorso,  concernente gli organici per il prossimo anno scolastico 2010-2011.

Tale documento, contenente tutta la normativa relativa all’ordinamento scolastico conseguente alle riforme degli ultimi anni, ivi comprese le norme abrogate sul numero massimo di alunni con disabilità nella stessa classe, nel preannunciare un'apposita circolare sull'assegnazione delle ore di sostegno conseguente alla Sentenza n. 80/10 della Corte Costituzionale, dedica un paragrafo proprio a quest'ultima.

Innanzitutto, nella Circolare si precisa che il ripristino delle deroghe consiste in «ore aggiuntive di sostegno», e ciò fuga il timore che queste potessero essere ricavate sottraendole ad alunni con disabilità certificata, ma non versanti in situazione di gravità.

Ecco un primo passaggio: «Ovviamente, alla complessiva dotazione riportata nella colonna C vanno aggiunti gli eventuali ulteriori posti in deroga da autorizzare, da parte del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale ai sensi dell’articolo 35, comma 7 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, secondo le effettive esigenze rilevate ai sensi dell’art. 1, comma 605, lett. b) della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che deve tenere in debita considerazione la specifica tipologia di handicap».

Dunque, attraverso il richiamo alla Legge 289/02, si sottolinea l’obbligo dell'Amministrazione di assegnare le deroghe, precisando che esse debbono essere commisurate alle «effettive esigenze» dell’alunno, con riguardo alla «specifica tipologia di minorazione». Ad esempio disabilità intellettiva, sensoriale, relazionale o pluriminorazione.

Nonostante tale importante precisazione, la Circolare si conclude sottolineando la “necessità di raggiungimento dei risparmi previsti con la formulazione di tutti gli organici”.

In realtà, tale affermazione non dovrebbe destare particolare preoccupazione proprio in considerazione di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento: se le esigenze economico-finanziarie non possono assumere, nel bilanciamento posto in essere dall’Amministrazione, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo essenziale/irriducibile del diritto all’istruzione dell’alunno disabile, costituzionalmente garantito, vorrà dire che la finalità di “raggiungimento dei risparmi previsti con la formulazione di tutti gli organici” verrà perseguita “tagliando” altrove.

 

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(*) Dottore di ricerca in “La tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza delle Corti Costituzionali nazionali e delle Alte Corti Europee”, Università degli Studi di Cassino.

 

[1] (TAR Puglia, Sez. II, Ord. Sospensiva n. 100/2009), che accoglie la domanda incidentale di sospensione della mancata erogazione e/o diminuzione di ore di insegnante di sostegno a degli alunni con disabilità. Si tratta di un'importante ordinanza con cui il Giudice Amministrativo - seppur con le peculiarità della sede cautelare - motiva e approfondisce il fumus boni iuris (ovvero la bontà delle ragioni giuridiche a fondamento della richiesta di giustizia), con riferimento all'ultima normativa vigente (Leggi Finanziarie anno 2007 e anno 2008) e le Circolari Ministeriali (in particolare la n. 19 del 1° febbraio 2008) che ne sono seguite. Rilevante in quanto (anche a conferma della precedente pronuncia del TAR di Catania) il TAR della Puglia stabilisce che le leggi vigenti non sono poi così restrittive o lesive dei diritti all’integrazione scolastica e allo studio delle persone con disabilità. Segue il ragionamento logico giuridico. Innanzitutto già il primo capoverso dell’Ordinanza in commento fa comprendere al lettore l’orientamento dell’organo giudicante: si premette, infatti, che «...il diritto del disabile al sostegno costituisce diritto soggettivo fondamentale…» e, quindi, che «…le modalità della concreta erogazione del sostegno non possono riguardarsi come un elemento esterno ed accessorio rispetto al diritto tutelato, costituendo viceversa condizione essenziale ed imprescindibile dell’accesso all’istruzione». Nel successivo capoverso, quindi, il TAR della Puglia, conferma quella lettura prima accennata alla nuova normativa introdotta dalle Leggi Finanziarie per il 2007 e il 2008; ovvero che il diritto all’insegnante di sostegno «…deve rapportarsi alle effettive esigenze rilevate del disabile, secondo un giudizio che non è rimesso alla discrezionalità dell'amministrazione, bensì demandato in via esclusiva alla valutazione della competente ASL. Infatti, non si vede a cosa possano servire gli strumenti (e passaggi burocratici amministrativi) quali la Diagnosi Funzionale, il Profilo Dinamico Funzionale e il Piano Educativo Individualizzato e la conseguente individuazione del numero di ore di insegnante di sostegno necessarie per l’alunno con disabilità che ne deriva, se, al momento dell’assegnazione dell’insegnante, il numero di ore risulta inferiore a quello determinato dagli organismi competenti (che non è solo l’ASL, ma questa insieme ai Gruppi di Lavoro Handicap). Ed è chiarissimo il Tribunale Amministrativo Regionale Pugliese nel sostenere che «…l’erogazione di un servizio di sostegno che non sia adeguato alle effettive esigenze del disabile come specificamente individuate dall'ASL integra mancata erogazione del servizio medesimo e inutile spreco di risorse finanziarie”. In conclusione dell’analisi, è chiaro che il raggiungimento del tendenziale rapporto di 1:2 (un insegnante ogni due alunni con disabilità) - tra l’altro tanto opposto dagli organi amministrativi competenti, a ragione della diminuzione degli insegnanti di sostegno disponibili - è da seguire «solo come media nazionale e non come limite normativo». Dunque, la considerevole diminuzione di insegnamenti di sostegno e la conseguente limitazione del diritto allo studio e all’integrazione scolastica dell’alunno con disabilità non risulta essere legittima, se incongruente con il lavoro di valutazione (fondamentale) e di certificazione compiuto dagli organi competenti (di concerto con la famiglia, si ricorda), in sede di stesura di Diagnosi Funzionale, Profilo Dinamico Funzionale e Piano Individualizzato di Studi.

[2] Il rilievo è di E. Boscolo-M. Cafagno, Lo 'Stato dispensatore': le prestazioni di servizio pubblico tra universalismo e selettività, in G. Della Cananea-M. Dugato (a cura di), Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, 114 ss.

[3] Cfr. Corte. Cost., 28 maggio 1975, n. 125, in ”Giur. Cost”, 1975, 52 ss.

[4] Cfr. Corte Cost., 8 giugno 1987, n. 215, in Foro it., 1987,I, 2935.

[5] Così la stessa Corte Cost., sent. 215/1987 cit.

[6] V. già l'art 2, comma 2, lett. d) della legge 23 dicembre 1978, n. 833. istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che ha posto tra gli obiettivi da perseguire ad opera del sistema sanitario “la promozione della salute nell'età evolutiva, garantendo l'attuazione dei servizi medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuoia materna, e favorendo con ogni mezzo l'integrazione dei soggetti handicappati”. Attualmente, al sensi dell'art. 3 septies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, che ha provveduto al riordino della disciplina in materia sanitaria come modificato dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, l'handicap è una delle aree in cui vengono erogate prestazioni socio-sanitarie.

[7] Al fini della comprensione del passaggio argomentativo della Consulta giova ricordare che, ex art. 38, 3 comma, Cost., “gli inabili cd i minorati hanno diritto all'educazione e all’ avviamento professionale”.

[8] In questi termini v. Corte Cost., 6 luglio 2001, n. 226, in Foro it., 2001, I, 3041.

[9] Corte Costituzionale, sentenza n. 307/1999, in “Giur. cost.”, 1874; Corte Costituzionale, sentenza n. 184/1993, in “Foro.it”, I, 1329; Corte Costituzionale, sentenza n. 27/1998, in “Giur. cost.”, 134.

[10] In argomento v. F. MERUSI, Servizi pubblici instabili, Il Mulino, Bologna, 1990, 28 ss. Con particolare riferimento al diritto alla salute v. R. FERRARA, L'ordinamento della Sanità, Giappichelli, Torino, 2007, 37 ss. e 215 ss; ID., Prestazioni amministrative e situazioni giuridiche soggettive degli utenti del Servizio sanitario nazionale, in R. Ferrara-P.M. Vipiana, Principi di diritto sanitario, Giappichelli, Torino, 1999, 197 ss; ID, Professioni mediche e tutela delle situazioni giuridiche degli utenti : appunti, in Sanità pubblica, 1999, 1077 ss.; ID., voce Salute (diritto alla), in Dig. Disc. Pubbl., UTET, Torino, 1997, 530 ss. V. altresì ID., Introduzione al diritto amministrativo, Laterza, Bari, 2005, 59 ss. Sulla distinzione dei diritti sociali in “condizionati” e “incondizionati”, v. A. BALDASSARRE, voce Diritti sociali, in Enc. Giur. Treccani, vol. Xl, ROMA, 1989, 30 ss.

[11] SALAZAR, C., Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte a confronto, Giappichelli, Torino 2001, 130. L’Autrice individua due possibili ipotesi per la determinazione di tale contenuto: o si ritiene che “la soglia minima di tutela dei diritti sociali” sia “un elemento che né il legislatore, né la stessa Corte costituzionale potranno ignorare”, oppure si propende per una concezione del contenuto essenziale non come un quid predeterminato, ma “ricostruibile volta per volta, alla luce delle “esigenze” del caso che “guidano” l’analisi del bilanciamento operato dalla disciplina sottoposta allo scrutinio di costituzionalità”.

[12] Cfr. Corte cost., sent. N.267/1998, in Giur. Cost. 1998, 2076-2083.

[13] Cfr. Corte cost., sent. N. 390/1995, in Giur.Ccost., 1995, 2818-2823.

[14] In argomento v. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, IX ed., Giuffrè, Milano, 2008, 649-650; R. FERRARA, L'ordinamento della Sanità,cit, 215 ss.; ID., Prestazioni amministrative e situazioni giuridiche soggettive degli utenti del Servizio sanitario nazionale, cit., 183 ss.; A MASSERA, Individuo e amministrazione nello Stato sociale: alcune considerazioni sulla questione delle situazioni giuridiche soggettive, in Riv. trim. dir proc. civ, 1991, I ss.; C.E. GALLO, Gli utenti del Servizio sanitario e le loro situazioni soggettive, in F. ROVERSI MONACO (a cura di), Riordinamento del Servizio Sanitario Nazionale, Maggioli, Rimini, 1991, 154 ss.; D. SORACE, Gli interessi di servizio pubblico tra obblighi e poteri delle amministrazioni, in Foro it, 1988, 205 ss.; ID., Notazioni in tema di posizioni giuridiche soggettive e tecniche di tutela nella giustizia amministrativa, in Foro amm., 1988, 3914 ss. V. altresì G. FALCON, voce Obbligazioni pubbliche, in Enc. Giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988, 5 ss. Sui rapporti tra gestori di servizi pubblici ed utenti v. inoltre G. CAIA, La disciplina dei servizi pubblici, in L. MAZZAROLLI G., PERICU A., ROMANO F.A., ROVERSI MONACO, F.G., SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. 1, Monduzzi, Bologna, 2001, 984 ss;a V. MOLASCHI, Giurisdizione esclusiva e tutela delle situazioni giuridiche soggettive degli utenti del Servizio sanitario nazionale, in Sanità pubblica, 2000,619 ss.

[15] R. FERRARA, L'ordinamento della Sanità, cit. 252: ID., Prestazioni amministrative e situazioni giuridiche soggettive degli utenti del Servizio sanitario nazionale, cit., 203. Sui rapporti tra i diritti sociali e le aspettative di prestazione dei cittadini utenti e sul processo di relativizzazione e storicizzazione che di tale diritto ha fatto un “diritto finanziariamente condizionato” v. altresì R. FERRARA, voce Salute (diritto alla), cit., 527 ss.

[16] G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1981, 762 ss.

[17] M. S. GIANNINI, Stato sociale: una nozione inutile, in Il politico, 1977, 223 ss.

[18] V. R. F ERRARA, Prestazioni amministrative e situazioni giuridiche soggettive d egli utenti del Servizio sanitario nazionale, cit., 197, secondo il quale “allorchè si tratti di atti amministrativi a carattere generale e/o di valenza normativa con cui si dispone in merito all'organizzazione del servizio, senza tuttavia toccare concretamente la sfera di interessi di una singola persona fisica”, la posizione soggettiva del privato “non supera la soglia della mera aspettativa non qualificata”.

[19] In questi termini G. FALCON, voce Obbligazioni pubbliche, cit., 5, secondo cui, anche nelle ipotesi in cui “l'organizzazione amministrativa sia costituita e funzionante”, “non sempre è agevole concepire ab initio il rapporto tra utente richiedente ed istituzione amministrativa come un semplice rapporto obbligatorio avente ad oggetto la prestazione”. In argomento v. altresì D. SORACE, Gli “interessi di servizio pubblico tra obblighi e poteri delle amministrazioni, cit., 213 ss.

[20] Così D. SORACE, ivi, 213.

[21] Cfr. Trib. Roma, ordinanza del 26.02.2006, in Foro it, 2006, 524 ss.

[22] Cfr. Tar Puglia, 25 giugno 2009, in Foro it, 2009, 124 ss.




 

(pubblicato il 30.4.2010)

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