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n. 6 -2010 - © copyright

 

 

FLORIANA LISENA

L’Unione europea “aderisce” alla CEDU: quando le parole non bastano a “fare cose”*

 

 


 

 

Il nuovo art. 6, comma 2, primo periodo, TUE stabilisce che: «L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali».
L’Unione aderisce.
Poniamo l’ipotesi che il giorno prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – che, come noto, ha modificato in tal senso la norma appena citata – qualcuno abbia suggerito: “l’Unione dovrebbe aderire alla CEDU” ed il giorno dopo l’avvenuta adesione qualcuno constati: “l’Unione ha aderito alla CEDU”. Evidentemente, la prima affermazione è un enunciato prescrittivo de jure condendo, la seconda è un enunciato descrittivo de jure condito. Residua un terzo senso dell’enunciato, quello costitutivo (di ciò che il giorno prima si poteva solo prescrivere e il giorno dopo solo descrivere), vale a dire jus condens[1].
A prima vista, parrebbe che proprio quest’ultimo è il senso che ha scelto il Trattato quando ha utilizzato il termine “aderisce”. Tuttavia, la realtà dei fatti, prima ancora che il contesto giuridico entro cui si inserisce la norma, smentisce tale impressione.
Occorre, però, innanzitutto chiedersi cosa significa attribuire significato costitutivo ad una norma, per poi escludere tale eventualità nel nostro caso.
La teorizzazione di regole costitutive[2] parte dall’idea che il linguaggio possa essere performativo, vale a dire che con le parole, a condizioni date, si possano “fare cose”. La performatività degli atti linguistici è una caratteristica propria di quelle proposizioni che non prescrivono comportamenti ma producono direttamente qualcosa, in quanto mediante tali enunciati chi parla non comanda ma realizza: “battezzo questa nave Cristoforo Colombo”, “dichiaro aperta la seduta”, ma anche più semplicemente “Mario non è più mio amico”.
Allo stesso modo nell’ordinamento giuridico, le norme costitutive producono l’effetto realizzandolo da sé, lo costituiscono nel momento stesso del loro entrare in vigore, differenziandosi in ciò da quelle di comportamento che tendono a produrre un evento esercitando una pressione sul comportamento di qualcuno. In altri termini, le situazioni e i fatti costituiti si producono in maniera immediata, senza che occorra fare appello all’obbedienza o alla collaborazione esecutiva di alcuno. Evidentemente si tratta di norme che, non contenendo una regola di condotta, non hanno destinatari, per cui non richiedono alcuna forma di esecuzione e quindi non sono suscettibili di violazione. Tipico esempio di performativo costitutivo è la norma abrogativa, la quale costituisce immediatamente, ovvero crea senza ulteriori interventi il proprio contenuto, vale a dire la scomparsa della norma abrogata dall’ordinamento giuridico: «Dichiarandosi l’abrogazione dell’art. 100 Cod. pen. è certo che non si è voluta prescrivere un’abrogazione di là da venire […]: dicendo “è abrogato” ciò che il legislatore ha inteso ed ottenuto è stata proprio quella scomparsa immediata di norme dell’ordinamento che sarebbe estranea alla struttura logica di una prescrizione: l’ordinamento è divenuto subito diverso in forza della stessa disposizione abrogativa, senza bisogno di ulteriori iniziative di chicchessia»[3].
Una norma è costitutiva, in sostanza, quando crea immediatamente ed automaticamente uno stato di cose nella realtà giuridica.
Si veda un altro esempio: l’art. 10, comma 1, Cost. quando stabilisce che «L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (corsivo nostro) non prende atto di una conformità realizzatasi di per sé indipendentemente dalla disposizione costituzionale, ma anzi crea direttamente tale effetto giuridico. La banale constatazione secondo la quale se l’art. 10 non esistesse, l’ordinamento italiano non si conformerebbe autonomamente alle consuetudini internazionali dimostra che tale conformità è creata dalla stessa disposizione costituzionale. Si tratta perciò di un enunciato solo apparentemente descrittivo di uno stato di cose che in realtà è determinato ipso facto dalla regola. Che tale norma sia costitutiva e non prescrittiva è dimostrato anche dal fatto che effettivamente le norme di diritto internazionale generalmente riconosciuto – vale a dire le consuetudini internazionali – entrano nel nostro ordinamento automaticamente, senza necessità cioè di alcun recepimento, proprio in forza del c.d. “trasformatore automatico permanente”, a differenza delle norme internazionali pattizie che hanno bisogno di un atto di esecuzione interno.
Ora, si può attribuire la medesima valenza costitutiva all’art. 6, comma 2, TUE? L’enunciato normativo “aderisce” ha comportato un’adesione immediata ed automatica dell’Unione europea alla CEDU? L’ordinamento è divenuto subito diverso in forza dell’entrata in vigore di tale norma, senza bisogno di ulteriori adempimenti?
In realtà, tutti sappiamo che l’Unione europea non ha ancora aderito alla CEDU. E sappiamo anche che per farlo deve seguire una determinata procedura per di più particolarmente complessa.
Sul versante del Consiglio d’Europa, l’adesione dell’Unione come tale si distingue dalla sottoscrizione e dalla ratifica di un trattato, prevista dall’art. 59, comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per i soli Stati membri del Consiglio d’Europa. Sarà quindi necessario un accordo nelle forme di un trattato o di un protocollo di emendamento della CEDU. Le modalità dell’adesione non potranno prescindere quindi da una procedura di negoziazione in cui avranno voce i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa.
Per di più l’adesione dell’Unione richiederà, oltre ad alcuni adattamenti testuali (ad esempio in riferimento alle parole “nazionale” o “stato”) della CEDU ed alle previsioni amministrative e finanziarie (in particolare sulla partecipazione dell’UE al bilancio del Consiglio ed alle spese di funzionamento della Corte), alcune modifiche nella composizione della Corte di Strasburgo e del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa[4]. Quanto al primo aspetto, la partecipazione di un giudice eletto a titolo dell’Unione sarebbe coerente con l’autonomia del sistema giuridico dell’Unione rispetto a quello dei 27 paesi membri sia dell’Unione che della Convenzione.
Quanto alla composizione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che secondo l’articolo 46 della Convenzione, sorveglia, tra l’altro, l’esecuzione delle sentenze della Corte CEDU, anche in questo caso occorrerà studiare una via che permetta all’Unione di avere un proprio rappresentante. Sarà però necessario porre particolare attenzione alle situazioni in cui la esecuzione di una sentenza richieda l’adozione di misure di carattere legislativo, nella misura in cui si dovrà stabilire se queste spettino all’Unione o agli Stati secondo la normale disciplina delle competenze nel sistema Unione. Infatti, la necessità di tener conto della particolare natura e struttura dell’Unione – che non è né uno Stato, né una Federazione di Stati, ma un organismo internazionale le cui competenze derivano da un “trasferimento” da parte degli Stati membri[5] – si accompagna alla difficoltà di rispettare il riparto di competenze tra Stati e Unione, su cui l’adesione non inciderà in alcun modo, come afferma espressamente il Trattato (art. 6, comma 2, secondo periodo: «Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati») e ribadisce il Protocollo n. 8 annesso al Trattato di Lisbona[6].
Data la necessità di procedere a tali modifiche della Convenzione, necessarie al fine di consentirne l’operatività anche nei confronti di un’organizzazione internazionale anziché di un’entità statuale “tradizionale”, è da escludere la possibilità di un’adesione unilaterale dell’Unione alla CEDU, pur se originariamente prospettata[7].
Sul versante dell’Unione, invece, il nuovo art. 218 TFUE (già art. 300 TCE) prevede che il Parlamento europeo debba approvare l’adesione alla Convenzione prima che la stessa sia deliberata dal Consiglio europeo ed aggiunge che il Consiglio europeo delibera all’unanimità; inoltre la decisione relativa allo strumento di adesione non entrerà in vigore prima che sia approvata da ognuno degli Stati Membri secondo le rispettive procedure costituzionali interne e previo parere della Corte EU (se richiesto da uno Stato membro)[8].
Si tratta evidentemente di una procedura particolarmente articolata, cosicché è prevedibile che i tempi dell’effettiva adesione siano lunghi[9].
Ma soprattutto se l’adesione fosse stata affidata ad una norma costitutiva non ci sarebbe stato bisogno di prevedere tutto questo, dato l’automatico effetto che ne sarebbe derivato.
A ben vedere, quindi, l’art. 6, comma 2, TUE è norma di comportamento. Si tratta tutt’al più di verificare se contenga un obbligo, una facoltà o addirittura un permesso.
Secondo alcuni, infatti, la disposizione prevederebbe un vero e proprio «obbligo di risultato», nel senso che oramai a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona la procedura di adesione sarebbe divenuta obbligatoria[10]. Si tratterebbe tuttavia di un obbligo “in senso debole” data la mancanza di coercibilità della norma che risulta priva di sanzione. Non sembra, infatti, che dalla mancata adesione possa sorgere alcuna responsabilità in capo all’Unione se non quella di tipo politico.
Meno plausibile è l’ipotesi del permesso come situazione giuridica in cui è stato rimosso dalla norma un divieto che non permetteva di tenere quel determinato comportamento. Come noto, infatti, prima dell’ultima modifica dei trattati non era presente nell’ordinamento comunitario alcun espresso divieto per l’Unione europea di aderire alla Convenzione, anche se il parere n. 2/94 del 28 marzo 1996 della Corte di Giustizia metteva in luce l’evidente ostacolo alla adesione, costituito dall’inesistenza di una base legale e dalla conseguente incompetenza della Comunità ad aderire alla CEDU[11].
In definitiva, anche se letteralmente l’espressione “aderisce” denoterebbe una connotazione categorica più che facoltativa, ci sono alcuni elementi che farebbero propendere per la seconda accezione. In primo luogo, l’interpretazione sistematica della norma rispetto alle altre versioni linguistiche del trattato[12]. In alcune versioni linguistiche, infatti, è utilizzato il tempo verbale futuro – come in quella spagnola “se adherirá” – il cui utilizzo, con lo spostamento dell’azione in un tempo indeterminato, lascia spazio ad un margine di eventualità assente nel tempo presente.
Per di più, il protocollo n. 14 modificativo della CEDU (entrato in vigore il 1 giugno 2010), prevedendo all’art. 17 una norma che consente all’Unione di accedere alla Convenzione, utilizza – più correttamente – il verbo deontico “potere”: «L’Unione europea può aderire alla presente Convenzione» (corsivo nostro).
Alla luce di tutto quanto detto, il termine italiano “aderisce” deve essere interpretato come conferente una possibilità e non certo come costitutivo immediatamente di un nuovo stato di fatto.
Eppure avvertiamo che qualcosa è cambiato. Ciò che è effettivamente cambiato, infatti, è che questa possibilità, ora concessa, prima non c’era. In altri termini, la norma offre soltanto la base legale per l’adesione. L’Unione potrebbe decidere di usufruirne – come pare stia avvenendo – oppure no. Quello che si vuole dire è che ieri l’Unione, anche volendo, non avrebbe potuto aderire alla CEDU; oggi non ha ancora aderito ma può farlo anche se non ne è obbligata; domani (quasi sicuramente) aderirà. Certo, l’esito negativo della procedura di adesione, pur essendo alquanto improbabile, potrebbe essere determinato da più di un fattore: mancata approvazione del Parlamento, mancato raggiungimento dell’unanimità in seno al Consiglio, parere negativo della Corte di Giustizia o mancata approvazione degli Stati membri dell’Unione, senza escludere il mancato raggiungimento dell’accordo con le 47 alte parti contraenti della CEDU (questa è forse la fase più delicata).
Solo a seguito del verificarsi di questi “sì” da parte di tutti i soggetti coinvolti, l’adesione potrà dirsi avvenuta. E solo allora qualcuno potrà constatare descrittivamente de jure condito: “l’Unione ha aderito alla CEDU”.

 

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* Il presente scritto fa seguito al dibattito sull’efficacia della CEDU nell’ordinamento italiano sviluppatosi su questa rivista a partire dal contributo di Celotto A., Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano? (in margine alla sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato) cui ha risposto Sestini R., Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano? (in margine alla nota del Prof. Alfonso Celotto sulla sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato).
[1] L’esempio è “ad immagine” di quello utilizzato da Carcaterra G., in Le regole del Circolo Pickwick. Nuova civiltà delle macchine 3, 1985, 18: «Poniamo che Pickwick abbia istituito il CP [il Circolo Pickwick, l’esempio fittizio addotto
dall’autore] il 1° gennaio 1820. Può darsi che il giorno prima Smiggers avesse suggerito: “Tupman dovrebbe essere membro del CP”. Questo era un enunciato prescrittivo de jure condendo. Il 2 gennaio Smiggers apprese quella che era stata la decisione di Pickwick e potrebbe aver constatato: “Tupman è membro del CP”. Questo era un enunciato descrittivo de jure condito. Ma il legislatore non può parlare né prescrittivamente de jure condendo né descrittivamente de jure condito: quando Pickwick il 1° gennaio disse “Tupman è membro del CP” deve aver usato l’enunciato in un terzo senso, in un senso costitutivo, appunto, di ciò che il giorno prima si poteva solo prescrivere e il giorno dopo solo descrivere—lo ha usato jus condens».
[2] Il maggiore teorico italiano delle norme costitutive è Carcaterra G. di cui si vedano Le norme costitutive, Milano, Giuffrè, 1974; La forza costitutiva delle norme, Roma, Bulzoni, 1979 e Le regole del Circolo Pickwick, cit. In particolare, l’A. sviluppa l’analisi della teoria dei performativi costitutivi nella seconda delle opere citate. Cfr. anche gli studi di Conte A. G. sulle norme thetico-costitutive nei tre saggi Filosofia del linguaggio normativo, I, Studi 1965-1981; II, Studi 1982-1994; III, Studi 1995-2001, Torino, Giappichelli, rispettivamente 1989, 1995, 2001. Per avere un’idea del dibattito sulle regole costitutive sviluppatosi nel contesto della filosofia del diritto italiana, si veda per tutti Guastini R., Cognitivismo ludico e regole costitutive, in Scarpelli U. (a cura di), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, 153–76, Milano, Comunità, 1983; Id., Teoria delle regole costitutive, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1983, 548 ss. Com’è ben noto, l’autore di riferimento internazionale per il dibattito sulle regole costitutive è J. R. Searle, il quale a partire dal 1964 ha sviluppato il concetto di constitutive rule in opere come How to Derive “Ought” from “Is”, in The Philosophical Review, 1964, 43 ss.; Speech Acts, Cambridge, Cambridge University Press, 1969 e The Construction of Social Reality, London, Penguin, 1995.
[3] Così, Carcaterra G., Le norme costitutive, cit., 52.
[4] Per approfondimenti su alcuni aspetti “problematici” posti dall’adesione, cfr. Zagrebelsky V., La prevista adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e De Matteis L., L’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il dibattito in corso, in www.europeanrights.eu. Per i principali aspetti tecnici e giuridici dell’adesione dell’Unione, si veda lo studio effettuato nel 2002 dal Comité directeur pour les droits de l'homme (CDDH) del Consiglio d’Europa: Etude des questions juridiques et techniques d’une éventuelle adhésion des CE/de l'UE à la Convention européenne des Droits de l'Homme, Rapporto adottato alla 53° riunione (25-28 giugno 2002), Doc. DGII(2002)006.
[5] Si noti che ai sensi del nuovo art. 48 TUE nell’ambito della procedura di revisione ordinaria dei trattati il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati, che possono, tra l'altro, essere mirati ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all'Unione nei trattati. Si potrebbe perciò parlare anche di un “prestito” (a tempo indeterminato) di competenze da parte degli Stati all’Unione in quanto un originario trasferimento è divenuto oramai revocabile a seguito della modifica apportata con il Trattato di Lisbona nei termini sopra descritti.
[6] Il Protocollo n. 8 relativo all'articolo 6, paragrafo 2 del Trattato sull'Unione europea sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali prevede alcuni vincoli di contenuto a tale adesione: «Articolo 1. L'accordo relativo all'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in appresso denominata «convenzione europea»), previsto dall'articolo 6, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea deve garantire che siano preservate le caratteristiche specifiche dell'Unione e del diritto dell'Unione, in particolare per quanto riguarda: a) le modalità specifiche dell'eventuale partecipazione dell'Unione agli organi di controllo della convenzione europea, b) i meccanismi necessari per garantire che i procedimenti avviati da Stati non membri e le singole domande siano indirizzate correttamente, a seconda dei casi, agli Stati membri e/o all'Unione. Articolo 2. L'accordo di cui all'articolo 1 deve garantire che l'adesione non incida né sulle competenze dell'Unione né sulle attribuzioni delle sue istituzioni. Deve inoltre garantire che nessuna disposizione dello stesso incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti della convenzione europea e, in particolare, riguardo ai suoi protocolli, alle misure prese dagli Stati membri in deroga alla convenzione europea ai sensi del suo articolo 15 e a riserve formulate dagli Stati membri nei confronti della convenzione europea ai sensi del suo articolo 57. Articolo 3. Nessuna disposizione dell'accordo di cui all'articolo 1 deve avere effetti sull'articolo 292 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea».
[7] Di tale opinione è De Matteis L., L’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., a differenza di quanto afferma Sestini R., Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano?, cit., il quale ipotizza, per l’appunto, l’adesione per accettazione unilaterale.
[8] Art. 218 TFUE: «[…] Tranne quando l'accordo riguarda esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune, il Consiglio adotta la decisione di conclusione dell'accordo: a) previa approvazione del Parlamento europeo nei casi seguenti: (…) ii) accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (…). Il Consiglio delibera all'unanimità anche per l'accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; la decisione sulla conclusione di tale accordo entra in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. (…) Uno Stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso di parere negativo della Corte, l'accordo previsto non può entrare in vigore, salvo modifiche dello stesso o revisione dei trattati».
[9] La Commissione europea ha adottato il 17 marzo scorso una raccomandazione sulla nomina del negoziatore e sulle direttive negoziali. Tale raccomandazione è stata presentata al Consiglio ed è attualmente all’esame dell’apposito organo tecnico del Consiglio. In seguito, il negoziatore (o l’equipe negoziale) tratterà con le 47 Alte Parti Contraenti della CEDU un accordo di adesione e solo successivamente presenterà la bozza d’accordo al Consiglio che ne autorizzerà la sottoscrizione e lo concluderà previo approvazione da parte del Parlamento Europeo secondo quanto stabilito dall’art. 218 TFUE.
[10] In tal senso, De Matteis L., L’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.
[11] CGCE parere n. 2/1994 del 28 marzo 1996, par. 6: «En l'état actuel du droit communautaire, la Communauté n'a pas compétence pour adhérer à la convention européenne de sauvegarde des droits de l'homme et des libertés fondamentales, car, d'une part, aucune disposition du traité ne confère aux institutions communautaires, de manière générale, le pouvoir d'édicter des règles en matière de droits de l'homme ou de conclure des conventions internationales dans ce domaine et, d'autre part, une telle adhésion ne saurait s'opérer par le recours à l'article 235 du traité. En effet, si le respect des droits de l'homme constitue une condition de la légalité des actes communautaires, l'adhésion de la Communauté à la convention européenne des droits de l'homme entraînerait un changement substantiel du régime actuel de la protection des droits de l'homme, en ce qu'elle comporterait l'insertion de la Communauté dans un système institutionnel international distinct ainsi que l'intégration de l'ensemble des dispositions de la convention dans l'ordre juridique communautaire. Une telle modification du régime de la protection des droits de l'homme dans la Communauté, dont les implications institutionnelles seraient également fondamentales tant pour la Communauté que pour les États membres, revêtirait une envergure constitutionnelle et dépasserait donc par sa nature les limites de l'article 235. Elle ne saurait être réalisée que par la voie d'une modification du traité ».
[12] Cfr., per tutte, CGCE, sentenza 15 aprile 2010, causa C-511/08, punto 51: «Secondo una giurisprudenza costante, la necessità che le direttive dell’Unione vengano interpretate in modo uniforme esclude che, in caso di dubbio, il testo di una disposizione sia considerato isolatamente, e impone, invece, che esso venga interpretato e applicato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali (v., in tal senso, sentenze 2 aprile 1998, causa C 296/95, EMU Tabac e a., Racc. pag. I 1605, punto 36; 17 giugno 1998, causa C 321/96, Mecklenburg, Racc. pag. I 3809, punto 29; 20 novembre 2008, causa C 375/07, Heuschen & Schrouff Oriëntal Foods Trading, Racc. pag. I 8691, punto 46, nonché 10 settembre 2009, causa C 199/08, Eschig, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 54). Inoltre, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte (v. sentenze 9 marzo 2000, causa C 437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag. I 1157, punto 42; 4 ottobre 2007, causa C 457/05, Schutzverband der Spirituosen-Industrie, Racc. pag. I 8075, punto 18, nonché 9 ottobre 2008, causa C 239/07, Sabatauskas e a., Racc. pag. I 7523, punto 39)».

 

(pubblicato il 24.6.2010)

 

 

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