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n. 7 -2010 - © copyright

 

TATIANA GUARNIER

Verso il superamento delle differenze? Spunti di riflessione sul dibattito intorno alla prospettiva di “comunitarizzazione” della CEDU.


L'impianto dei rapporti tra Corti e tra sistemi interno, convenzionale e dell'Unione europea delineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale italiana è messo oggi in discussione ed appare suscettibile di evoluzioni significative alla luce delle recenti modifiche apportate ai trattati istitutivi dell'Unione europea ed alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Ci si riferisce in particolare all’articolo 6, par. 2, del nuovo testo del Trattato dell'Unione europea, in combinato con l'articolo 17 del Protocollo n. 14 aggiunto alla Convenzione, di modifica dell'art. 59 CEDU. Le revisioni si propongono di fare ordine circa l'annosa questione dei rapporti intercorrenti tra il sistema comunitario ed il sistema convenzionale, delineando le modalità di ingresso dei diritti contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo all'interno del sistema dell'Unione, prospettando l'eventualità e predisponendo le premesse giuridiche necessarie ad un'adesione dell'Unione europea alla Carta.
È noto come la giurisprudenza della Corte di giustizia tenti da diversi anni di instaurare dei punti di contatto con il sistema convenzionale al fine di colmare il vuoto di tutela da parte dell'ordinamento comunitario in materia di diritti fondamentali; vuoto che, come da anni rilevato in dottrina, è stato avvertito in maniera sempre più problematica con il crescere delle aree di pervasività del diritto dell'Unione[1]. In tale contesto, la Corte di Giustizia ha cercato nella CEDU e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri gli strumenti per assicurare che l'incalzare del diritto comunitario non si ponesse in una dimensione del tutto irriguardosa del rispetto dei diritti dell'uomo[2]. Sempre a tal fine è stata coltivata l'idea di formulare una Carta dei diritti dell'Unione, la cui validità giuridica, dapprima incerta, trova ora un riconoscimento espresso nell'art. 6, par. 1, del TUE Lisbona. La disposizione reinterviene anche sul tema dei rapporti con la CEDU, mantenendo inalterato il recepimento della giurisprudenza della Corte di giustizia operato a Maastricht (ossia, prevedendo l'ingresso delle disposizioni convenzionali come princìpi generali del diritto comunitario) ed aggiungendo la previsione per cui: «L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati»[3].
La dizione delle disposizioni citate è stata oggetto di interpretazioni che vanno ben al di là del recepimento dell'indirizzo della Corte di giustizia menzionato, ritenendo invece che, per tale via, l'Unione europea abbia voluto completare il processo di progressiva “comunitarizzazione” della CEDU. In particolare, da tale interpretazione si è voluta ricavare la possibilità per i giudici nazionali di disapplicare le norme interne in contrasto con quelle CEDU, in qualità, queste ultime, di norme oramai entrate a far parte del diritto comunitario[4].
A nostro parere una tale lettura è, allo stato, prematura, non tenendo conto di una serie di elementi giuridicamente necessari perché l'adesione dell'Unione europea possa dirsi completa, né della lettera delle disposizioni, che, ove intesa alla luce del contesto entro il quale esse si collocano, non sembra supportare una conclusione così radicale. Prima di sviluppare queste considerazioni, però, è opportuno svolgere un breve excursus del processo di “comunitarizzazione” della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per chiarire quali siano i nodi dello svolgimento di tale percorso e quale sia stato in proposito l'atteggiamento dei soggetti istituzionali coinvolti.
La questione della comunitarizzazione della CEDU è stata posta all'attenzione del dibattito comunitario sin dal 1979, quando la Commissione europea, chiamata ad esprimersi in ordine all'eventualità che l'Unione aderisse alla Convenzione[5], ha rivisto l'opinione precedentemente espressa in una Relazione del 1976[6] e sostenuto l'opportunità dell'adesione dell'Unione, utilizzando come base giuridica la cosiddetta clausola dei poteri impliciti di cui all'art. 235 TCE (in seguito, art. 308 TCE e 352 TFUE), pur sottolineando l'esistenza di una serie di problematiche giuridiche di difficile componimento che l'adesione alla Carta avrebbe posto in essere[7]. Di diverso parere è stata la Corte di giustizia, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità dell'adesione con i trattati istitutivi, si è espressa in senso negativo, escludendo che si potesse a tal fine ricorrere alla clausola dei poteri impliciti[8] ed affermando invece che, per poter procedere in tal senso, sarebbe stata necessaria una apposita revisione dei trattati[9].
Prima di entrare nel dettaglio delle modalità di adesione, si vuole sin d'ora sottolineare un dato che emerge chiaramente dalla lettura combinata di questo parere con la giurisprudenza della Corte di giustizia in ordine al recepimento dei diritti convenzionali: nella prospettiva della CGE si opera, correttamente, una netta distinzione tra la “adesione” alle disposizioni della CEDU, intesa nel senso del riconoscimento dei diritti da essa contemplati, e la adesione al trattato nel senso più propriamente giuridico, ossia in quello di un vero e proprio inquadramento dell'Unione all'interno del sistema convenzionale, di una sua formale incorporazione nel complesso impianto istituzionale di Strasburgo. Ben diverso è, infatti, ammettere che le disposizioni convenzionali costituiscano princìpi generali del diritto comunitario, in qualità di disposizioni che incarnano le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, dal procedere ad una adesione a tutti gli effetti alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; incorporazione che implicherebbe una serie di importanti conseguenze sul piano istituzionale e sul piano dei rapporti tra gli organi dell'Unione, gli organi degli Stati membri e quelli di Strasburgo. È questa una differenza che è stata talora – come, ad esempio, in occasione delle menzionate pronunce dei giudici amministrativi italiani – trascurata, facendo discendere dal riconoscimento dei diritti tutelati dalla Carta, quali princìpi generali del diritto comunitario, l'incorporazione di quest'ultima all'interno del diritto dell'Unione, a tutti gli effetti.
In proposito, invece, la Corte di giustizia fu particolarmente chiara in occasione del parere n. 2/94: «Si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l'osservanza. (...) Se il rispetto dei diritti dell'uomo costituisce, quindi, un requisito di legittimità degli atti comunitari, si deve tuttavia rilevare che l'adesione alla Convenzione determinerebbe una modificazione sostanziale dell'attuale regime comunitario di tutela dei diritti dell'uomo, in quanto comporterebbe l'inserimento della Comunità in un sistema istituzionale internazionale distinto, nonché l'integrazione del complesso delle disposizioni della Convenzione nell'ordinamento giuridico comunitario. Una siffatta modifica del regime della tutela dei diritti dell'uomo nella Comunità, le cui implicazioni istituzionali risulterebbero parimenti fondamentali sia per la Comunità, sia per gli Stati membri, rivestirebbe rilevanza costituzionale ed esulerebbe quindi, per sua propria natura, dai limiti dell'art. 235. Essa può essere quindi realizzata unicamente mediante modifica del Trattato».
D'altra parte, la possibilità di una completa adesione ha incontrato una serie di ostacoli anche con riferimento al sistema convenzionale. È stato, infatti, posto in dubbio che una organizzazione avente natura differente da quella statuale, quale quella dell'Unione europea, fosse compatibile con il disposto CEDU, dal momento che molte delle disposizioni della Carta sono pensate con riferimento agli Stati nazionali ed al fine di prevedere obblighi nei loro confronti.
Proprio al fine di risolvere queste problematiche sono state pensate le modifiche alla Convenzione europea, da un lato, ed ai trattati istitutivi dell'Unione europea, dall'altro. Guardate alla luce di quanto fin qui detto, allora, appare chiaro come le nuove previsioni perseguano il fine di eliminare tali impedimenti all'adesione. Esse vanno lette in maniera speculare: da una parte, l'art. 17 del Protocollo n. 14 provvede a consentire all'Unione europea di aderire alla Convenzione, aggiungendo il comma 2 all'art. 59 della CEDU: «L'Unione Europea può aderire alla presente convenzione»; dall'altra l'art. 6, par. 2, del TUE Lisbona prevede che «L'Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali».
Seppure il tenore letterale di quest'ultima disposizione – e, in special modo, l'uso del presente indicativo – possa trarre in inganno, ad una lettura più attenta emerge come l'articolo valga a colmare la lacuna evidenziata dalla Corte di giustizia nel parere n. 2/94 e non possa considerarsi adempimento esaustivo del procedimento di adesione alla Convenzione. A questo ultimo fine, infatti, è indispensabile seguire le apposite procedure predisposte dalla CEDU e dai Trattati istitutivi dell'Unione[10]. Si tratta di una fase imprescindibile e di importanza capitale per l'adesione di un sistema complesso come quello europeo ad una organizzazione internazionale multilaterale, poiché in quella fase dovranno essere delineate le eventuali riserve e modulazioni degli impegni che la particolare fisionomia delle istituzioni e dell'apparato giurisdizionale comunitario senza dubbio richiederanno. Diversi sono, infatti, i punti di attrito tra la Carta e l'organizzazione istituzionale comunitaria, nonché le complicazioni derivanti dal particolarissimo ruolo della Corte di giustizia dell'Unione europea, che verrebbe ad instaurare una complessa rete di rapporti con i giudici nazionali, da un lato, la Corte di Strasburgo, da un altro, e con il sistema di relazioni esistente tra i primi e la seconda, in ultima battuta.
Quanto ai punti di attrito, era già emerso dal Memorandum della Commissione europea del 1979 come la struttura dell'Unione e la configurazione delle sue istituzioni potessero entrare in collisione con talune previsioni convenzionali. In primo luogo, il problema si è posto (e si pone) in relazione all'art. 3 del Primo Protocollo aggiunto alla CEDU, il quale, prevedendo che «le Alte Parti contraenti si impegnano a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo», confligge con il meccanismo di scelta dei membri del Consiglio dell'Unione europea, organo legislativo dell'Unione per il quale non è previsto un sistema elettivo che rispetti il principio di rappresentanza democratica imposto dalla Convenzione.
Problemi si pongono, altresì, con riferimento all'art. 14 della CEDU e del divieto di non discriminazione da esso contemplato. Come è stato limpidamente spiegato dalla Commissione europea, infatti, è inerente al sistema comunitario che esso accordi un trattamento preferenziale ai cittadini dell'Unione europea all'interno del territorio dell'Unione (con riferimento, ad esempio, alla libertà di circolazione) rispetto a quello riconosciuto in capo a soggetti non appartenenti ad uno Stato membro dell'Unione.
Ancora, di difficile applicazione è la previsione di cui all'art. 13 CEDU, che prevede il diritto di ogni individuo ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza “nazionale” (mutatis mutandis, comunitaria) avverso le violazioni ai diritti tutelati dalla Convenzione compiute da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali[11].
In tutti questi casi sarebbe necessario procedere a revisioni importanti del sistema dell'Unione, e talora, come nel caso delle modifiche che richiederebbe il rispetto dell'art. 14, tali da snaturarne le funzioni e gli obiettivi. Pertanto, la soluzione immaginata dalle istituzioni comunitarie è stata piuttosto quella di procedere all'uso dell'istituto della riserva con riferimento alle disposizioni della CEDU assolutamente incompatibili con l'apparato dell'Unione.
Già da questi primissimi rilievi emerge dunque come la scelta per l'incorporazione sia piuttosto delicata e richieda lo svolgimento di complessi negoziati, che coinvolgano anche gli Stati aderenti alla Convenzione non appartenenti all'Unione, i quali potrebbero avere delle obiezioni in ordine alle riserve di cui l'Unione intenda servirsi. Difatti, l'ingresso dell'Unione, con le modulazioni del caso, comporterebbe una serie di conseguenze sul sistema convenzionale di non poco rilievo, alterando sia il sottile equilibrio tra le tutele apprestate ai vari diritti menzionati nella CEDU, sia l'equilibrio tra le istituzioni interessate. Più volte, ad esempio, è stato sottolineato il rischio di una sovrarappresentazione degli Stati membri dell'UE all'interno della Corte di Strasburgo ove vi venga inserito anche un giudice corrispondente all'Unione[12].
Il Parlamento europeo ed il Consiglio dell'Unione hanno mostrato di essere ben consapevoli della rilevanza di tali questioni nei pareri e nelle proposte di risoluzione recentemente resi con riferimento alla prospettiva di adesione al sistema CEDU, nei quali è stata a più riprese evidenziata la necessità che esse trovino un componimento in sede di negoziati[13].
Una lettura dell'art. 6, par. 2, che non tenga conto dell'esistenza di queste problematiche e della posizione assunta dalle istituzioni coinvolte sembra essere, dunque, poco opportuna e prematura e non considera adeguatamente che la decisione in ordine alla piena comunitarizzazione della CEDU non può essere frutto di interpretazione isolata ed unilaterale, ma solo di una congiunta manifestazione di volontà, concordata tra tutti i soggetti coinvolti.
Occorre, inoltre, ricordare che la interpretazione “letterale” della disposizione di cui all'art. 6, par. 2, che è stata posta alla base dell'indirizzo giurisprudenziale qui contestato, dovrebbe essere arricchita da una serie di elementi “sistematici”, che concorrono a conferire ad essa un significato più conforme all'obiettivo che si prefigge (quello di porre in essere le basi giuridiche per l'adesione).
Un primo dato sistematico si può rinvenire già all'interno dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea formulato a Lisbona: è lampante, infatti, la differenza che intercorre tra il primo paragrafo dell'articolo, che attribuisce alla Carta dei diritti dell'Unione europea «lo stesso valore giuridico dei trattati», ed il successivo paragrafo terzo, a norma del quale i diritti CEDU vengono recepiti come princìpi generali del diritto comunitario. Non si vede, infatti, per quale ragione si sarebbe dovuto procedere a due previsioni distinte se si fosse inteso il recepimento della Carta di Nizza e quello della Convenzione europea dei diritti dell'uomo negli stessi termini[14].
Un secondo dato sistematico che non ci pare trascurabile è costituito dal complesso delle disposizioni mediante le quali il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea si occupa di disciplinare espressamente il procedimento per la adesione alla Convenzione. A tal proposito, l'art. 218 TFUE, relativo alla procedura per la negoziazione e la conclusione degli accordi tra Unione e Stati terzi o organizzazioni internazionali[15], prevede al paragrafo 6 che per l'accordo sull'adesione dell'Unione alla CEDU è necessaria la previa approvazione del Parlamento europeo. Il par. 8, poi, richiede che il Consiglio deliberi all'unanimità e che la decisione sulla conclusione venga approvata da tutti gli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Si tratta, insomma, di un procedimento molto complesso, lungo e dagli incerti esiti, pensato al fine di tenere in adeguata considerazione tutte le voci coinvolte, ad ogni livello istituzionale.
Una chiara dimostrazione dell'intento e dello spirito con il quale sono stati immaginati tanto la procedura di adesione, quanto lo stesso art. 6, si può, inoltre, agevolmente riscontrare nel protocollo n. 8 aggiunto ai trattati istitutivi (“Relativo all'art. 6, paragrafo 2, del trattato sull'Unione europea sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”) che individua una serie di profili di particolare rilevanza per l'Unione in sede di negoziato. Nel protocollo si richiede, ad esempio, che l'accordo garantisca che siano preservate le caratteristiche specifiche dell'Unione – in particolare, per quanto riguarda le modalità specifiche dell'eventuale partecipazione agli organi di controllo della Convenzione europea ed i meccanismi necessari per garantire che i procedimenti avviati da Stati non membri e le singole domande siano indirizzate correttamente, a seconda dei casi, agli Stati membri ed all'Unione –, che l'adesione non incida sulle competenze dell'Unione né sulle attribuzioni delle sue istituzioni, che nessuna disposizione dello stesso incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti della Convenzione europea ed, infine, che nessuna disposizione dell'accordo abbia effetti sull'art. 344 del TFUE, per il quale «Gli Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all'interpretazione o all'applicazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dal trattato stesso».
L'esistenza di queste numerose aree di difficile intersezione dei sistemi comunitario e convenzionale, la necessità di avviare apposite procedure ai fini della piena comunitarizzazione della CEDU, risulterebbero gravemente trascurate e frustrate ove prendesse piede una lettura dell'art. 6, quale quella delle recenti pronunce del Consiglio di Stato e del TAR Lazio, che, interpretando la revisione come un pieno ingresso della Convenzione nel diritto comunitario, ne ricavi il potere dei giudici interni di disapplicare le norme interne contrastanti con la CEDU, come se si trattasse di diritto comunitario[16].
Un indirizzo giurisprudenziale di tal fatta genera numerose perplessità poiché scarsamente considera l'impatto che una tale impostazione potrebbe avere sul piano dei rapporti tra Corti e dei rapporti tra norme dei tre ordinamenti coinvolti ed i delicati problemi di coordinamento che si verrebbero a creare. È fuor di dubbio, infatti, che l'equiparazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo al diritto comunitario dotato di efficacia diretta avrebbe un impatto decisivo non solo sui rapporti tra norme e corti interne e convenzionali, ma anche sul ruolo del sistema normativo e giurisdizionale comunitario in rapporto ad essi.
Sono questioni ancora aperte – e che potranno trovare una risposta solo alla luce della prassi applicativa che seguirà la eventuale adesione – quelle relative al ruolo che potrebbe ritagliarsi la Corte di giustizia con riferimento alla tutela dei diritti[17], quelle relative al connubio di Corti profondamente differenti nell'impostazione, nel ruolo e nelle funzioni, nonché nel tipo di tutela apprestata, in qualità di giudici dei “principi generali” o di giudici dei “diritti soggettivi”[18]. Da più parti si è paventato, ad esempio, che a seguito dell'adesione si possa delineare una sorta di riparto di competenze tra i giudici di Lussemburgo e di Strasburgo, escludendo ancora una volta la CGE dal dialogo sulla tutela dei diritti, e, dunque, irragionevolmente eludendo il fine per il quale l'adesione alla Convenzione era stata originariamente immaginata[19]. Altri hanno invece rilevato il rischio che dalla combinazione dei tre sistemi possa discendere una progressiva estromissione dall'area dei diritti delle Corti costituzionali degli Stati membri, in considerazione anche del fatto che nella giurisprudenza della Corte di giustizia si sta affacciando l'idea (o, forse, la pretesa) che l'interpretazione dei princìpi generali da essa resa debba prevalere su quella operata dalle Corti costituzionali degli Stati membri[20].
Ad oggi, in ogni caso, si può registrare nella giurisprudenza delle Corti supreme dei vari ordinamenti un orientamento concorde circa l'opportunità di privilegiare, in caso di adesione, un approccio interpretativo improntato al dialogo tra Corti. Innanzitutto, non si è mai affacciata nella giurisprudenza di nessuna di esse l'ipotesi che il “riconoscimento” delle disposizioni convenzionali quali princìpi generali del diritto comunitario potesse comportare una equiparazione quanto agli effetti delle prime al diritto comunitario autoapplicativo, la piena comunitarizzazione delle disposizioni CEDU o la loro diretta applicabilità all'interno degli Stati membri[21]. In secondo luogo, non sembra essere stata smentita – anzi, risulta semmai rafforzata – l'idea che la composizione tra i tre sistemi combinati (interno, comunitario e convenzionale) debba privilegiare l'operazione ermeneutica piuttosto che l'uso dei tradizionali criteri di risoluzione delle antinomie noti agli ordinamenti nazionali. Si tratteggia ancora, infatti, nella giurisprudenza delle tre Corti, un uso combinato delle operazioni di interpretazione “conforme a” quale strumento preminente per la risoluzione dell'eventuale conflitto delle disposizioni interne con il disposto sovranazionale[22].
Allo stato, comunque, è ancora troppo presto per esprimersi in ordine alle conseguenze che l'eventuale adesione potrà comportare sulla modulazione dei rapporti tra Corti e tra norme, dipendendo sia dalle concrete scelte che verranno in proposito fatte in sede di negoziato, sia dall'atteggiamento che i giudici decideranno di assumere nei reciproci rapporti e nei confronti dei sistemi integrati. Si può, al momento, solo auspicare che i vantaggi del dialogo più compiutamente integrativo[23] sviluppato con riguardo all'ordinamento convenzionale non vadano perduti a seguito della comunitarizzazione della CEDU, ma che, tutto all'opposto, dell'incorporazione di quest'ultima nel sistema comunitario possa beneficiare anche il rapporto con il Giudice dell'Unione europea, mediante la costruzione di una “rete” di relazioni improntata su di una reciproca comprensione, senza la quale il complesso apparato che si sta costruendo non sembra possa saldarsi.

 

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[1] Sul punto vi è una sterminata letteratura. Non essendo possibile, ai limitati fini di questo scritto, rendere conto delle numerosissime problematiche connesse alla tutela “multilivello” dei diritti ed alla questione del vuoto di tutela in sede comunitaria, si fa rinvio alle riflessioni di Cartabia M., Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995.

[2] Numerose sono state le pronunce della CGE che hanno riconosciuto i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU come princìpi generali del diritto comunitario. Si vedano, tra le numerose altre, CGE, sentenza 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder; Id., sentenza 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft; Id., sentenza 14 maggio 1974, in causa 4/73, Nold; Id., sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, punto 18; Id., sentenza 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT, punto 41; Id., sentenza 28 marzo 2000, causa C-7/98, Dieter Krombach e André Bamberski, punto 25; Id., sentenza 6 marzo 2001, C-274/99, Connoly c. Commissione, punto 37; Id., sentenza 14 dicembre 2006, causa C-283/05, ASML Netherlands BV c. Semiconductors Industry Services GmbH (SEMIS), punto 26; Id., sentenza 26 giugno 2007, causa C-305/05, Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni e altri, punto 29. Interessante sottolineare che, nell'ammettere l'ingresso dei diritti CEDU quali princìpi generali del diritto comunitario e quali riferimenti per l'individuazione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, la Corte di giustizia ne ha fatto uso al fine di verificare la compatibilità tanto di disposizioni nazionali quanto di disposizioni comunitarie al dettato convenzionale, mostrando un atteggiamento particolarmente concessivo verso l'utilizzazione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in funzione interpretativa (“eminente”) delle disposizioni CEDU. Per alcune riflessioni sull'atteggiamento della Corte di Giustizia e della Corte europea dei diritti dell'uomo nei loro reciproci confronti, si v. Zagrebelsky V., La prevista adesione dell'Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in www.europeanrights.eu.

[3] La precedente formulazione dell'articolo 6 così recitava: «L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». L'attuale comma terzo dispone invece che «I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali».

[4] Si fa riferimento alle recenti sentenze del Consiglio di Stato n. 1220 del 2010, in www.federalismi.it e del TAR Lazio, n. 11984 del 2010, in www.federalismi.it. Nella sentenza n. 1220 del 2010 del Consiglio di Stato si legge «in questa fase del giudizio la Sezione deve fare applicazione dei principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009)»; nella sentenza n. 11984 del 2010 del TAR Lazio che «il Collegio ritiene altresì necessario integrare le citate acquisizioni giurisprudenziali e svolgere alcune ulteriori considerazioni, accogliendo talune suggestioni delle memorie di parte ricorrente, circa il rinnovato vigore dei sopra indicati principi affermati dalla CEDU, ai quali il legislatore del T.U.E. ha dichiaratamente aderito e che oggi non possono non guidare l’interprete nell’applicazione dello stesso testo normativo. Il Collegio si riferisce, in particolare, alla sentenza n. 349/2007 della Corte Costituzionale (...) Ebbene, a giudizio del Collegio la questione giuridica in esame appare destinata a nuovi e ancor più incisivi sviluppi a seguito dell’entrata in vigore, lo scorso 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona firmato nella capitale portoghese il 13 dicembre 2007 dai rappresentanti dei 27 Stati membri, che modifica il Trattato sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea. Infatti, fra le più rilevanti novità correlate all'entrata in vigore del Trattato, vi è l'adesione dell'Unione alla CEDU, con la modifica dell'art. 6 del Trattato. (...) Il riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU come principi interni al diritto dell'Unione, osserva il Collegio, ha immediate conseguenze di assoluto rilievo, in quanto le norme della Convenzione divengono immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione, e quindi nel nostro ordinamento nazionale, in forza del diritto comunitario, e quindi in Italia ai sensi dell’art. 11 della Costituzione, venendo in tal modo in rilevo l’ampia e decennale evoluzione giurisprudenziale che ha, infine, portato all’obbligo, per il giudice nazionale, di interpretare le norme nazionali in conformità al diritto comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario, previa eventuale pronuncia del giudice comunitario ma senza dover transitare per il filtro dell’accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno».

[5] Si veda il Memorandum Commissione europea, in Boll. C. e. Supp. 2/79, 5, a commento del quale v. Economides K., Weiler J.H.H, Accession of the Communities to the European Convention on Human Rights: Commission Memorandum, in Modern Law Review, 1979, 683 ss.

[6] Si tratta della Relazione trasmessa il 4 febbraio 1976 al Parlamento europeo e al Consiglio, in Boll. C. e., Supp. 5/76, 15, occasione nella quale la Commissione affermò che l'adesione non fosse necessaria, poiché i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU potevano essere considerati già vincolanti nel contesto del diritto comunitario, a prescindere da un ulteriore atto costitutivo.

[7] Su tali problematiche dovremo di qui a breve ritornare, poiché molte di esse si propongono inalterate anche allo stato attuale dell'evoluzione del sistema comunitario.

[8] Sul punto si era già espressa in senso dubitativo la dottrina. Si veda, tra gli altri, Capotorti F., Sull'eventuale adesione delle Comunità alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in Rivista di diritto internazionale, 1980, 6 ss.

[9] Così, il parere n. 2/94, 28 marzo 1996, in Racc., 1996, I-1759, a commento del quale, si vedano Gaja G., Comment. Opinion 2/94, Accession by the Community to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, given on 28 march 1996, in Common Market Law Review, 1996, 973 ss.; Chiti E., La tutela dei diritti dell'uomo nell'ordinamento comunitario, in Giornale di diritto amministrativo, 1996, 959 ss.; Tiberi G., La questione dell'adesione della Comunità alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo al vaglio della Corte di Giustizia, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1997, 437 ss.; Rossi L.S., Il parere 2/94 sull'adesione della Comunità europea alla convenzione europea dei diritto dell'uomo, in Il diritto dell'Unione europea, 1996, 839 ss.; Strazzari D., L'adesione alla Convenzione europea come alternativa alla Carta: una rilettura del parere 2/94 della Corte di giustizia, in Toniatti R. (a cura di), Diritto, diritti, giurisdizione. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Padova, 2002, 75 ss.

[10] Cfr. gli artt. 59 CEDU, 216 e 218 TFUE ed il protocollo n. 8 ai trattati istitutivi dell'Unione. Per una lettura del par. 2, art. 6, come norma facoltizzante e non costitutivo-performativa, si v. Lisena F., L’Unione europea “aderisce” alla CEDU: quando le parole non bastano a “fare cose”, 24 giugno 2010, in www.giustamm.it. Per la tesi che si tratti della previsione di un obbligo in capo all'Unione di aderire alla Convenzione, v. invece De Matteis L., L'adesione dell'UE alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo: il dibattito in corso, 13 maggio 2010, in www.europeanrights.eu.

[11] Vi sono, poi, una serie di altre disposizioni CEDU la cui applicazione al sistema comunitario è di dubbia compatibilità. Tra queste, tutte le disposizioni che presuppongono un potere di coercizione tipicamente statale e che si estrinseca in misure penali o di polizia, come l'art. 2 (diritto alla vita), l'art. 3 (proibizione della tortura), l'art. 4 (proibizione della schiavitù e del lavoro forzato), l'art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), l'art. 7 (nulla poena sine lege), o l'art. 1, prot. 4 (divieto di imprigionamento per debiti). Così, già Capotorti F., Op. cit., 9. La compatibilità di questo tipo di disposizioni con il sistema dell'Unione europea, che solo adesso inizia a sviluppare le prime forme di apparati di sicurezza comunitari (peraltro nella forma degli accordi internazionali tra singoli Stati membri, non estensibili a tutto il sistema europeo), dipende dall'interpretazione che se ne fornisce e se ne fornirà in sede convenzionale, se più lata o più restrittiva.

[12] L'art. 20 CEDU dispone infatti che la Corte si compone di un numero di giudici pari a quello delle Parti contraenti. L'art. 22 prevede inoltre che i giudici sono eletti dall'Assemblea Parlamentare in relazione a ciascuna Alta Parte contraente, a maggioranza dei voti espressi, su una lista di tre candidati presentata dall'Alta Parte contraente». D'altra parte, la circostanza che ancora l'Unione europea non abbia presentato la rosa dei tre candidati tra i quali scegliere il giudice di Strasburgo riferito all'Unione e che quest'ultimo non sia ancora stato nominato costituisce un dato empirico dal quale può agevolmente riscontrarsi che il procedimento di adesione non può intendersi completato.

[13] Cfr., ad esempio, la Proposta di risoluzione del 6 maggio 2010 “Sugli aspetti istituzionali dell'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, 2009/2241(INI), in http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0184+0+DOC+XML+V0//IT&language=IT, nella quale si legge, tra le altre cose: «un accordo di questo tipo dovrebbe altresì trattare questioni amministrative e tecniche, come il principio di un contributo dell'Unione ai costi di funzionamento della Corte europea dei diritti dell'uomo», «essendo l'adesione dell'UE alla CEDU l’adesione di una parte “non Stato” a uno strumento giuridico creato per gli Stati, tale adesione andrebbe completata senza alterare i tratti distintivi della CEDU e riducendo al minimo le modifiche al suo sistema giudiziario; ritiene importante, nell’interesse dei ricorrenti sia dell’Unione che dei paesi terzi, privilegiare modalità d’adesione che determino il minore impatto possibile sul carico di lavoro della Corte europea dei diritti dell’uomo», «l'adesione alla CEDU non fa dell'Unione un membro del Consiglio d'Europa, ma ... una certa partecipazione dell'Unione agli organi della CEDU è necessaria per garantire una buona integrazione dell'Unione stessa nel sistema della CEDU e che l'Unione dovrebbe quindi disporvi di taluni diritti, segnatamente:

– il diritto di presentare una lista di tre candidati per la funzione di giudice, di cui uno, eletto dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa a titolo dell'Unione, che partecipi ai lavori della Corte su un piede di parità con gli altri giudici, a norma dell'articolo 27, paragrafo 2, della CEDU; il Parlamento europeo si occuperà di mettere a punto la lista dei candidati secondo una procedura simile a quella prevista dall’articolo 255 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea concernente i candidati all’esercizio delle funzioni di giudice presso la Corte di giustizia dell'Unione europea o parteciperà secondo una procedura analoga alle audizioni dei candidati designati della Commissione europea,

– il diritto di partecipare attraverso la Commissione europea, con facoltà di voto, a nome dell'UE, alle riunioni del Comitato dei ministri quando quest'ultimo svolge le sue funzioni di organo di controllo dell'esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo o quando delibera sull'opportunità di chiedere un parere alla Corte, nonché il diritto di essere rappresentata in seno al Comitato direttivo per i diritti dell'uomo (sotto-organo del Comitato dei ministri),

– il diritto, per il Parlamento europeo, di designare/inviare un certo numero di rappresentanti all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa in occasione dell'elezione dei giudici alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

Analoga attenzione verso le eventuali aree di scarsa conciliabilità tra i due ordinamenti, dalla parte del sistema convenzionale, si rinviene nel Rapporto del 28 giugno 2002 CDDH(2002)010 Addendum 2, Etude des questions juridiques et techniques d’une eventuelle adhesion des CE/DE l’UE à la Convention Européenne des droits de l’homme, Rapport adopté par le Comité directeur pour les Droits de l’Homme (CDDH) lors de sa 53e réunion (25-28 juin 2002), in http://www.coe.int/t/f/droits_de_l'homme/cddh/2._activit%E9s/StudyAccessionEU_fr.pdf , il quale ha formulato alcune ipotesi di adattamento della Convenzione per il caso di adesione dell’UE.

[14] Così, già Celotto A., Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano? (in margine alla sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato), 21 maggio 2010, in www.giustamm.it; Bernardini M.G., L'Europa dopo Lisbona: cosa cambia, in www.federalismi.it. Contra, Sestini R., Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell'ordinamento italiano? (in margine alla nota del Prof. Alfonso Celotto sulla sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato), 26 maggio 2010, in www.giustamm.it.

[15] La cui base giuridica è individuabile nell'art. 216, par. 2, TFUE.

[16] Già in passato tale orientamento aveva avuto una certa fortuna nell'ordinamento italiano, finché le sentenze 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale non vi avevano posto un argine. La prima statuizione in tal senso si era avuta con la famosa sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite dell'8 maggio 1989, Polo Castro, in Rivista di diritto internazionale, 1990, 1038 ss.: «Le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sono di immediata applicazione in Italia ove contengano il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali, tale cioè da poter senz'altro creare obblighi e diritti». Tale orientamento ha poi trovato seguito nella giurisprudenza comune e di legittimità. Si vedano, tra le altre, Cass., sez. I, 12 maggio 1993, Medrano, in Cassazione penale, 1994, 439 ss., con commento di Raimondi G., Un nuovo status nell'ordinamento italiano per la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ibidem, 443 ss.; Trib. Genova, 4 giugno 2001, in Foro italiano, 2001, 2653 ss.; Corte d'Appello di Roma, sez. lavoro, ordinanza 11 aprile 2002; Cass., sentenza 19 luglio 2002, n. 10542, in Foro italiano, I, 2002, 2606 ss.; Cass., I Sez. civ., sentenza 11 giugno 2004, n. 11096, in Foro italiano, I, 2005, 466 ss.; Cass., ss.uu., 23 dicembre 2005, n. 28507, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Per la dottrina relativa a tale indirizzo giurisprudenziale, si veda Guazzarotti A., I giudici comuni e la CEDU alla luce del nuovo art. 117 della Costituzione, in Quaderni costituzionali, 2003, 25 ss.; Randazzo B., Giudici comuni e Corte europea dei diritti, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, 1357 ss.; Santoli S., La disapplicazione di leggi ordinarie in contrasto con la CEDU in Italia e in Francia, in Giurisprudenza costituzionale, 2002.

[17] Per un quadro dei rapporti tra le Corti in materia di tutela dei diritti fondamentali scaturente da Lisbona, si veda Sorrentino F., I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona (considerazioni preliminari), in Il corriere giuridico, 2010, 2, 145 ss.

[18] Apprestare tutela nei confronti di un diritto soggettivo violato, infatti, è cosa ben diversa dal far valere in giudizio un principio generale. Nel primo caso, l’azione si strutturerà nelle forme del ricorso al giudice al fine di ottenere un rimedio alla violazione del diritto verificatasi; nel secondo caso, la valutazione giudiziale si strutturerà nelle forme del bilanciamento. Un chiaro esempio di tale diversità può rinvenirsi nella differente tutela accordata dalla Corte costituzionale italiana e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo alle modulazioni del “giusto processo” ed, in particolare, alla sua ragionevole durata: ove si concepisca quest’ultima come un diritto – ciò che accade a Strasburgo –, allora la parte che ritenga la durata del processo sia stata irragionevole si rivolgerà al giudice al fine di ottenere un risarcimento del danno causato dalla violazione del suo diritto soggettivo; ove lo si intenda, invece, come un principio al quale il processo deve conformarsi per essere “giusto”, esso potrà essere, in sede giudiziale, contemperato con altri princìpi coessenziali, quale quello del diritto alla difesa. In punto di ragionevole durata del processo tra Corte costituzionale e Corte di Strasburgo, v. Giovannetti T., Il diritto alla durata ragionevole del processo come diritto sui generis nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Navarretta E., Pertici A. (a cura di), Il dialogo tra le Corti. Principi e modelli di argomentazione, Pisa, 2004, 85 ss.; Ferrua P., L. cost. n. 2/1999, in Commentario della Costituzione a cura di Branca. Leggi costituzionali e di revisione costituzionale, 1994-2005, 69 ss.

L'art. 6 TUE, invece, pare indurre in confusione nella parte in cui prevede l’ingresso dei «diritti» tutelati dalla CEDU come «principi» generali del diritto comunitario.

[19] Sul punto, per considerazioni più elaborate, si veda Rossi L.S., Il parere 2/94 sull'adesione della Comunità europea alla convenzione europea dei diritto dell'uomo, cit.; Zagrebelsky V., La prevista adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, cit.; Bernardini M.G., L'Europa dopo Lisbona. Cosa cambia, cit.

[20] Per un’acuta analisi del fenomeno del “colonialismo giurisprudenziale” della Corte di giustizia, v. Cartabia M., L'ora dei diritti fondamentali nell'Unione europea, in Id. (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti nelle Corti europee, Bologna, 2007, 13 ss. Per l'orientamento giurisprudenziale menzionato, cfr. CGE, sentenza 7 settembre 2006 in causa C-81/05, Anacleto Cordero Alonso v. Fondo de Garancìa Salarial. Un tale timore risulta rafforzato, inoltre, dalla ben maggiore disponibilità dimostrata nel corso degli anni da parte della Corte di giustizia verso il dialogo con la Corte di Strasburgo e verso il recepimento dei suoi indirizzi ermeneutici rispetto a quella accordata alle Corti costituzionali nazionali. Per questo ultimo profilo, si vedano le considerazioni di Mezzanotte C., Intervento alla Riunione “Tecniche argomentative e diritti fondamentali”, 6 maggio 2005, riportato in Panunzio S.P., I costituzionalisti e la tutela de diritti nelle corti europee. Il dibattito nelle riunioni dell'osservatorio costituzionale presso la LUISS «Guido Carli» dal 2003 al 2005, Padova, 658 ss.

[21] Si veda, da ultimo, la sentenza n. 227 del 2010 della Corte costituzionale, ove si ribadisce il permanere di una netta differenza tra il recepimento delle disposizioni comunitarie e di quelle convenzionali, anche a seguito della riforma di Lisbona: «restano, infatti, ben fermi, anche successivamente alla riforma, oltre al vincolo in capo al legislatore e alla relativa responsabilità internazionale dello Stato, tutte le conseguenze che derivano dalle limitazioni di sovranità che solo l’art. 11 Cost. consente, sul piano sostanziale e sul piano processuale, per l’amministrazione e i giudici. In particolare, quanto ad eventuali contrasti con la Costituzione, resta ferma la garanzia che, diversamente dalle norme internazionali convenzionali (compresa la CEDU: sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), l’esercizio dei poteri normativi delegati all’Unione europea trova un limite esclusivamente nei principi fondamentali dell’assetto costituzionale e nella maggior tutela dei diritti inalienabili della persona (sentenze n. 102 del 2008, n. 284 del 2007, n.169 del 2006)».

[22] Cfr., ad esempio, CGE, sentenza del 26 giugno 2007, Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni e altri, in cui si legge che gli Stati membri sono tenuti «non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario, ma anche a provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario o con gli altri principi generali del diritto comunitario»; Cedu, sentenza 30 giugno 2005, Bosphorus, che ha escluso la responsabilità dello Stato per inosservanza della CEDU ove la stessa sia dovuta all'adempimento di un obbligo comunitario inderogabile. A commento della sentenza Cannizzaro E., Sulla responsabilità internazionale per condotte di Stati membri dell'Unione europea: in margine al caso Bosphorus, in Rivista di diritto internazionale, 2005, 762 ss.; Cappuccio L., Sul rapporto tra le limitazioni all'uso dei beni e la partecipazione alla Comunità europea nel «caso Bosphorus», in Quaderni costituzionali, 2006, 149 ss.; Repetto G., La Corte di Strasburgo e il sindacato sugli atti comunitari: al Solange non c'è mai fine?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Più in generale, sui rapporti trilaterali tra i sistemi, si vedano Gennusa M.E., La CEDU e l'Unione europea, in Cartabia M. (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, 2007, 131 ss.; De Siervo U., Costituzionalismo e diritto costituzionale negli Stati integrati d'Europa. Una introduzione generale, relazione introduttiva al Convegno “Costituzionalismo e diritto costituzionale negli Stati integrati d’Europa”, Bari, 29-30 aprile 2009, in www.astrid-online.it; Onida V., La Costituzione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionale, cit.; Id., Intervento all'Incontro con la Corte di giustizia della Comunità Europee, Roma, Palazzo Spada, 14 luglio 2003, in www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/valerio_onida_italiano.htm. Per ulteriore giurisprudenza di rilievo della Corte di Strasburgo, si fa rinvio allo scritto di Zagrebelsky V., Op. cit.

[23] Intendendo il termine nel senso più propriamente smendiano, ossia nell'ottica della necessità di un reciproco rispetto ed ascolto tra le “parti” ed il “tutto”.

 

(pubblicato il 5.7.2010)

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