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n. 10 -2010 - © copyright |
ROBERTO FUSCO *
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Brevi note sul risarcimento del “danno da ritardo” alla luce del nuovo codice del processo amministrativo.
Sommario: 1. Premessa – 2. Conclusione del procedimento: nuovi termini – 3. Risarcimento del “danno da ritardo” – 4. Impatto del nuovo codice sull’azione risarcitoria – 5. Considerazioni conclusive
1. Premessa
Con la legge 18.6.2009, n. 69 (cd. Legge sulla competitività), il Legislatore, nell’ambito dell’ennesima riforma dell’ordinamento della Pubblica Amministrazione tesa ad ottenere un’azione amministrativa più efficiente e più sollecita, ha previsto una nuova formulazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990 (rubricato “Conclusione del procedimento”) contenente la disciplina del termine entro il quale l’amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso.[1] Tale riformulazione prevede una generale riduzione dei previgenti termini di durata dei procedimenti, con l’obiettivo di perseguire i principi di trasparenza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa in vista dell’ottimale funzionamento di una moderna P.A..[2]
Subito dopo l’art. 2, è stato inserito il nuovo art. 2 bis (rubricato “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”) il quale obbliga le P.A., dolosamente o colposamente inosservanti dei termini, a risarcire il danno eventualmente patito dal privato a causa di tale ritardo. Si tratta di una novità importante, poiché viene riconosciuta per la prima volta in modo espresso la “giustiziabilità del danno da ritardo” su cui nel recente passato tanto hanno discusso dottrina e giurisprudenza.
2. Conclusione del procedimento: nuovi termini
L’ art. 7, comma 1, lett. b della legge n. 69/2009 sostituisce integralmente il previgente art. 2 della legge n. 241/1990 (il quale passa da cinque a nove commi).[3]
Con tale norma si è proceduto alla sensibile riduzione dei termini di conclusione dei procedimenti delle amministrazioni statali e degli enti nazionali (e locali) con l’evidente fine di promuovere una generale accelerazione dell’intera attività amministrativa.
Nella sua originaria formulazione l’art. 2 della legge n. 241/1990 stabiliva che le amministrazioni pubbliche dovevano determinare il tempo di conclusione per ciascun tipo di procedimento e che, solo in caso di mancata determinazione in via autonoma, trovava applicazione il termine residuale di 30 giorni.
Su tale disposizione è poi intervenuta la riforma del 2005[4] [5] che introduceva degli specifici meccanismi di fissazione del termine in capo alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali.[6] Veniva cioè introdotto un sistema nel quale i termini del procedimento, ove non direttamente previsti per legge, fossero determinati, non più dalle singole amministrazioni, ma dal Governo su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro della funzione pubblica[7], con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400/1988.[8] Contestualmente il termine residuale era stato portato da trenta a novanta giorni.[9]
La legge n. 69/2009 ha inciso profondamente sulla formulazione dell’art. 2.[10] La struttura della nuova norma non si discosta dalle precedenti essendo sempre basata sul potere di autodeterminazione dei tempi di conclusione del procedimento riconosciuto alle pubbliche amministrazioni e sulla previsione di un termine suppletorio in caso di mancanza di tale termine.
Il comma 1, statuente la fondamentale prescrizione che per ogni procedimento avviato d’ufficio o su istanza di parte “… le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”, rimane sostanzialmente identico (con la sola introduzione del plurale “pubbliche amministrazioni”).
Cambiano radicalmente invece i commi successivi a partire dal secondo.
Il comma 2 stabilisce, in via generale, l’obbligo di definizione dei procedimenti statali nel ridotto termine di trenta giorni, con un sensibile accorciamento del precedente periodo temporale di novanta giorni. Fermo restando quanto si dirà subito appresso (circa la limitata possibilità di determinare termini procedimentali più lunghi), con la fissazione del termine generale residuale di trenta giorni per tutti i procedimenti, si è introdotta una norma di carattere sollecitatorio in vista di una maggiore efficienza operativa dell’intera pubblica amministrazione. Evidenziato che con la prevista riduzione a trenta giorni si è ripristinato il termine stabilito nella originaria versione della legge n. 241/1990, va osservato anche come con il novellato comma 2 dell’art. 2 si è rinnovato l’opportuno parallelismo temporale tra l’obbligo amministrativo del pubblico dipendente di concludere un procedimento e il dovere del pubblico funzionario di rispondere o provvedere entro il medesimo termine rispetto ad una richiesta avanzata da un privato, dovere imposto dall’art. 328 c.p..[11]
Solo con il successivo comma 3 si è, invece, riconfermata la possibilità, per le singole amministrazioni statali e per gli enti pubblici nazionali, di fissare termini più ampi per la conclusione dei procedimenti di propria spettanza. Al riguardo va però osservato, in primo luogo, come l’utilizzo di tale facoltà sia stato volutamente aggravato sotto il profilo procedurale rispetto al regime precedente. Infatti, la più lunga determinazione temporale per il completamento del procedimento non è più rimessa a ciascuna amministrazione interessata (che vi provvedeva con decreti ministeriali), ma è stata accentrata con l’attribuzione della competenza esclusiva del Consiglio dei Ministri (il quale provvede con decreti governativi assunti previo concerto con il Ministero interessato e con quello per la pubblica amministrazione e l’innovazione). In secondo luogo, si sottolinea come l’accelerazione dell’attività amministrativa sia stata imposta dal Legislatore prescrivendo che il determinabile diverso termine non possa risultare superiore a novanta giorni, imponendosi così automaticamente una drastica e generale revisione riduttiva dei termini di completamento dei procedimenti amministrativi.
Rispetto a tale previsione generale, nel successivo comma 4, si è ammessa una limitata eccezione di prolungamento dei termini procedimentali fino a centottanta giorni, che però deve essere espressamente giustificata nel regolamento governativo con la particolare natura degli interessi da tutelare, con l’evidenziata complessità della procedura da espletare e con la difficoltosa sostenibilità dei tempi procedurali avuto riguardo all’assetto organizzativo della singola amministrazione interessata.[12]
3. Risarcimento del “danno da ritardo”
Sicuramente la maggiore novità della legge. n. 69/2009 è rappresentata dall’art. 7, comma 1, lett. c, che ha introdotto, nella legge n. 241/1990, l’art. 2 bis, il quale, come reso esplicito dalla stessa intitolazione, viene a disciplinare “Le conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento” prevedendo che: “ 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter (ossia i privati preposti all’esercizio di attività amministrative), sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 2. Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni”.[13]
Tale innovativa disposizione, da un lato, ha un evidente carattere deterrente in quanto tende ad assicurare la perseguita certezza dei termini del procedimento e l’osservanza di essi prevedendo, a carico del procedente dirigente, un’espressa sanzione in caso di comportamento dolosamente o colposamente inadempiente dell’amministrazione; dall’altro, con la stessa norma, si è inteso assicurare un’incisiva tutela giurisdizionale al cittadino per i danni che dovessero derivare direttamente dall’ingiustificato ritardo o dall’omissione nell’emanazione del richiesto provvedimento nei termini prescritti. Il principio della risarcibilità del danno da ritardo dell’amministrazione ha trovato così il suo primo generale riconoscimento legislativo.
La rilevante novità dell’introdotto art. 2 bis consiste, quindi, nell’espresso riconoscimento della risarcibilità autonoma del cd. “danno da ritardo”. E’ stata, cioè, attribuita una rilevanza procedimentale specifica ed autonoma al ritardo dell’amministrazione indipendentemente dal contenuto – favorevole o sfavorevole – dell’emanato provvedimento o del silenzio.
Prima dell’introduzione di tale norma, si era molto discusso – in dottrina[14] e in giurisprudenza[15] – sul se l’interesse del privato al rispetto della tempistica procedimentale fosse risarcibile a prescindere dalla successiva adozione dell’atto e del suo contenuto.
Il sopravvenuto art. 2 bis interviene su questo dibattito (eliminando ogni incertezza antecedentemente insorta) stabilendo esplicitamente che il mancato rispetto del termine procedimentale costituisce un autonomo e distinto presupposto giuridico-fattuale per la proposizione dell’azione risarcitoria finalizzata al ristoro dell’eventuale danno patito dal privato.
Numerosi sono gli spunti di riflessione che propone l’esame della recente disposizione legislativa.
Una prima doverosa annotazione riguarda i destinatari della norma che non sono identificati in modo esplicito. Sul punto si deve ritenere che l’approntata tutela risarcitoria è disposta sia a favore dei soggetti espressamente contemplati negli atti del procedimento amministrativo avviato ma non concluso, sia di quegli altri che risultino direttamente danneggiati dal rilevato comportamento inadempiente.
Un’ulteriore considerazione merita la previsione dell’art. 2 bis nella parte in cui si è qualificato come risarcibile il danno derivante da dolo o colpa. Al riguardo va sottolineato come la responsabilità risarcitoria è prevista per comportamenti omissivi o ritardatari tenuti senza giustificazione dal dirigente procedente sia intenzionalmente (a titolo di dolo) sia per negligenza ed imperizia (a titolo di colpa), rimanendo esclusa soltanto la responsabilità nel caso di errore scusabile di fatto o di diritto.[16]
Ampiamente discussa è anche l’individuazione del tipo di responsabilità amministrativa al quale è ascrivibile la responsabilità per danno da ritardo o da omessa emanazione di atto amministrativo nei termini prescritti.
Una prima teoria qualifica come responsabilità contrattuale quella derivante dal comportamento inerziale o ritardatario della pubblica amministrazione, in quanto tale comportamento sarebbe inquadrabile nella violazione delle norme di buona fede e di correttezza comportamentale che vanno osservate nella fase precontrattuale. Tale impostazione interpretativa risulta tuttavia criticabile, considerando che tale tipo di responsabilità richiede necessariamente (oltre alla violazione dei suddetti canoni comportamentali) la preesistenza di un rapporto obbligatorio tra le parti che, evidentemente, manca nell’instaurato rapporto tra amministrazione procedente e cittadino in attesa del provvedimento.
Maggiormente aderente alla fattispecie normativa potrebbe rivelarsi la responsabilità extracontrattuale, in quanto, fin dall’emanazione della nota sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tale responsabilità è stata configurata indipendentemente dall’esistenza di un formale e qualificato rapporto tra soggetto privato danneggiato e amministrazione pubblica danneggiante.
L’individuazione della natura della responsabilità prevista dal art. 2 bis è particolarmente rilevante poichè da essa dipende la determinazione dell’onere della prova: si applica infatti l’art. 1218 c.c. per le ipotesi di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, il quale attribuisce l’onere della prova al soggetto danneggiante. Per i casi di responsabilità extracontrattuale, invece, l’art. 2043 c.c. prevede che l’onere della prova medesimo spetti al danneggiato.
Senza alcuna pretesa di proporre una soluzione definitiva sull’interessante questione, si potrebbe propendere per la natura extracontrattuale dell’introdotta responsabilità da ritardata od omessa conclusione del procedimento nei termini prescritti, tenendo conto del chiaro riferimento al “danno ingiusto” (che riprende la stessa dizione dell’art. 2043 c.c.), dell’esplicito richiamo al sanzionato comportamento doloso e colposo (analogamente richiamato nella suddetta prescrizione codicistica) ed infine dall’espressa previsione della prescrizione quinquennale (prevista per la responsabilità aquiliana).[17]
Da ultimo va richiamata l’attenzione sulla specifica tutela giurisdizionale accordata dal comma 2 dell’art. 2 bis ai fini del riconoscimento del danno risarcitorio cagionato da ingiustificato mancato rispetto dei termini procedimentali. Non è di scarso rilievo, infatti, l’esplicita statuizione che affida le controversie risarcitorie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.[18] Secondo parte della dottrina tale scelta avrebbe la sola finalità di “dissipare una volta per tutte i dubbi insorti all’indomani della nota sentenza della Corte Costituzionale del 6 luglio 2004, n. 204, allorchè in talune pronunce si era ipotizzata l’estraneità alla sfera di cognizione del giudice amministrativo delle azioni da risarcimento da silenzio o da ritardo, essendo questi ultimi meri comportamenti, e non atti né provvedimenti”.[19] Un’altra spiegazione di questa esplicita attribuzione alla competenza esclusiva del giudice amministrativo delle controversie risarcitorie in questione è rinvenibile in altra dottrina, secondo la quale al soggetto danneggiato dal ritardo è attribuibile un vero e proprio diritto soggettivo scaturente dalla lesione del “bene giuridico-tempo”, bene la cui lesione va tutelata a prescindere della spettanza, per l’istante, di un provvedimento favorevole.[20]
4. Impatto del nuovo codice sull’azione risarcitoria
Sulle modalità di esperimento di tale azione risarcitoria è intervenuto il recentissimo codice del processo amministrativo[21] che ha integrato la disciplina dettata dalla legge n. 69/2009.
La principale novità apportata è costituita dal ridotto termine decadenziale di centoventi giorni entro il quale è possibile chiedere il risarcimento. L’art. 30 – prevedente la nuova disciplina dell’azione di condanna – al comma 3 statuisce che “La domanda di risarcimento per la lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. …”. Il successivo comma 4, poi, prendendo in specifica considerazione l’ipotesi di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, precisa che, in tale evenienza, il termine di centoventi giorni previsto dal comma 3 non decorre finchè perdura l’inadempimento (ma comunque inizia a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere). Il ritardo della P.A. nel provvedere, quindi, viene considerato alla stregua di un “illecito permanente” che cessa soltanto al momento dell’adozione dell’atto conclusivo del procedimento.[22]
Un’altra novità introdotta dal nuovo codice è costituita dall’inserimento di una norma di coordinamento processuale per l’ipotesi di richiesta congiunta dell’azione ex art. 21 bis della legge n. 1034/1974[23] insieme a quella ex art. 2 bis della legge n. 241/1990.[24] Tale norma di coordinamento – mancante nella legge n. 69/2009 – è stata inserita all’art. 117 del codice del processo, contenente la nuova disciplina dell’azione avverso il silenzio. L’ultimo comma di tale articolo prevede che: “Se l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 30, comma 4, (ossia per inosservanza dolosa o colposa del termine per provvedere) è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria”. Pertanto, in caso di mancato rispetto del termine previsto per un procedimento, il danneggiato potrà proporre congiuntamente l’azione avverso il silenzio e quella per il risarcimento del danno nell’ambito di un unico processo ottenendo un considerevole risparmio sia economico che temporale.[25]
Un altro dubbio che prima dell’entrata in vigore del codice riguardava queste due azioni era costituito dal loro eventuale rapporto di pregiudizialità: ci si chiedeva, cioè, se l’azione risarcitoria ex art. 2 bis potesse essere esperita autonomamente (e preventivamente) rispetto a quella avverso il silenzio. In tal caso, infatti, visto che l’azione diretta all’emanazione del provvedimento decadeva prima di quella risarcitoria, il cittadino avrebbe potuto agire per il risarcimento anche se fosse scaduto il termine per richiedere all’amministrazione di provvedere.[26]
La risposta a tale quesito è rinvenibile all’art. 30, comma 1 del nuovo codice, secondo il quale l’azione diretta ad ottenere il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, può essere proposta anche in via autonoma.[27] Il codice chiarisce, però, che nel caso in cui l’azione contro il silenzio della P.A. non venga instaurata entro un anno dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento, l’azione risarcitoria deve essere proposta entro i successivi centoventi giorni.[28] Deve intendersi, quindi, superato il disposto dell’art. 2 bis, comma 2 della legge n. 241/1990 il quale prevedeva il termine prescrizionale di cinque anni per l’esercizio dell’azione risarcitoria conseguente all’inosservanza del termine. Tale soluzione adottata dal Legislatore ha, inoltre, un’altra importante conseguenza: decorso il termine annuale (a cui vanno sommati i centoventi giorni per l’azione risarcitoria) verrà meno l’obbligo della P.A. di provvedere.
5. Considerazioni conclusive
Da questa breve analisi emerge come l’art. 2 bis sia stato introdotto nella legge n. 241/1990 con la precipua finalità di fornire reale efficacia operativa alla disposta riduzione dei termini dei procedimenti amministrativi ed alla decisa necessità di rispetto puntuale dei termini stessi, fornendo un mezzo di tutela per conseguire un adeguato ristoro risarcitorio in caso di violazione delle disposizioni introdotte dall’art. 7 della legge n. 69/2009.
Se da un lato, quindi, l’interesse perseguito da questa norma è senza dubbio meritevole di tutela, non si può evitare di constatare che la strada scelta per il raggiungimento di tale interesse presentava alcune criticità.
La legge n. 69/2009, pur avendo statuito l’importantissimo principio della risarcibilità autonoma del “danno da ritardo”, aveva lasciato insolute alcune questioni tra le quali le più rilevanti riguardavano le modalità di esperimento della nuova azione risarcitoria nel caso in cui l’amministrazione inadempiente non emanasse il provvedimento dovuto.
Nella legge n. 69/2009 mancava, infatti, un coordinamento processuale tra l’azione avverso il silenzio e l’azione risarcitoria per l’eventuale danno subito a causa del ritardo. E non risultava neppure chiaro se sussistesse un rapporto di pregiudizialità tra dette azioni. Su tali aspetti – come abbiamo visto – è intervenuto il nuovo codice del processo amministrativo ad eliminare le incertezze interpretative antecedentemente sorte.
L’art. 117, comma 6 ha previsto che nell’ipotesi di richiesta congiunta delle due azioni in questione, il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria, convogliandole entrambe in un unico giudizio.
L’art. 30, invece, statuisce la possibilità di avanzare, anche in via autonoma, l’istanza risarcitoria per l’eventuale danno subito a causa dell’inosservanza dolosa o colposa del termine del conclusione del procedimento.[29] L’autonomia di tale azione risarcitoria viene bilanciata dal Legislatore con la previsione di un termine decadenziale breve che si contrappone al termine quinquennale previsto dal art. 2 bis, comma 2 della legge n. 241/1990.
Pertanto con tali nuove norme sono stati delineati con maggior chiarezza i contenuti ed i confini di tale azione risarcitoria, evitando che l’opportuna previsione del riconoscimento esplicito del “danno da ritardo” non finisse per diventare un rimedio sterile, se non addirittura controproducente, a causa del dilatarsi dei tempi necessari per ottenere una effettiva tutela giudiziale.
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* Università degli Studi di Trieste.
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[1] Tra i numerosi contributi sulla tematica del termine di conclusione del procedimento è doveroso citare: M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Giappichelli, 1995; F. FIGORILLI, A. GIUSTI, Conclusione del procedimento, in AA.VV. La pubblica amministrazione e la sua azione: saggi critici sulla Legge n. 241/1990 riformata dalle Leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO (a cura di), Giappichelli, 2005; M. LIPARI, I tempi del procedimento amministrativo: certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela dei cittadini, in Dir. Amm., 2003; S.S. SCOCA, Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo, in www.giustamm.it, 6.9.2005.
[2] Sui principi generali dell’azione amministrativa vedasi: A. POLICE, Principi e azione amministrativa, in Diritto amministrativo, F.G. SCOCA (a cura di), Giappichelli, 2008, p. 191 e ss..
[3] La legge n. 69/2009 costituisce il terzo intervento modificativo della legge n. 241/90 dopo quelli operati con la legge 11 febbraio 2005, n. 15 e con la legge 14 maggio 2005, n. 80, di conversione del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35.
[4] La legge n. 15/2005 non incide sui termini del procedimento, limitandosi ad aggiungere il comma 5 all’art. 2 (relativo, però, al ricorso avverso il silenzio). L’art. 2 della legge n. 241/1990 è stato, invece, profondamente modificato con l’art. 6 bis della legge n. 80/2005, di conversione del decreto legge n. 35/2005.
[5] Sulla riforma del 2005 vedasi: F. FIGORILLI, A. GIUSTI, Conclusione del procedimento, in AA.VV. La pubblica amministrazione e la sua azione: saggi critici sulla Legge n. 241/1990 riformata dalle Leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, op. cit., p. 128 e ss.; M. CORRADINO, Termini, efficacia del provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990 (legge n. 15/2005 e legge n. 80/2005), in www.giustamm.it.
[6] La mancata menzione delle Regioni e degli altri enti locali aveva fatto sorgere delle perplessità in ordine all’applicabilità agli stessi della disposizione de qua; si è ritenuto, tuttavia, che anche questi soggetti, non diversamente dagli enti pubblici nazionali, potessero decidere autonomamente i termini di conclusione dei procedimenti di loro spettanza.
[7] Ora Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.
[8] Art. 2, legge n. 241/1990 (come modificato dalla legge n. 80/2005): “1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. 2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”.
[9] Art. 2, comma 3, legge n. 241/1990 (come modificato dalla legge n. 80/2005):“3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni”.
[10] Sulla nuova formulazione dell’art. 2 vedasi: A. COLAVECCHIO, La nuova disciplina dei termini procedimentali tra innovazioni evolutive ed occasioni mancate, in www.giustamm.it, 6.7.2010; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Neldiritto, 2010, p. 552 e ss.; R. GRECO, La riforma della legge n. 241/1990, con particolare riguardo alla legge 69/2009: in particolare, le novità sui termini di conclusione del procedimento e la nuova disciplina della conferenza dei servizi, in www.giustizia-amministrativa.it, novembre 2009; M. RENNA, F. FIGORILLI, Art. 2 Conclusione del procedimento, in A. BARTOLINI, S. FANTINI, G. FERRARI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, Neldiritto, 2010, p. 105 e ss.; G. ZANINI, I “nuovi” termini del procedimento amministrativo nella previsione della legge n. 69/09, in www.diritto.it, 16.7.2009.
[11] Si ricorda infatti che l’art. 328 c.p. sanziona il “Rifiuto di atti d’ufficio”, prevedendo, al comma 2, che “Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a Euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa”.
[12] Il superamento del termine massimo di centottanta giorni è previsto unicamente per i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e per quelli riguardanti l’immigrazione.
[13] Sull’introduzione dell’art. 2 bis vedasi: L. BERTONAZZI, Legge 18 giugno 2009 e giustizia amministrativa: una primissima lettura, in Dir. Proc. Amm., 2009; S. D’ANCONA, Il termine di conclusione del procedimento amministrativo nell’ordinamento italiano. Riflessioni alla luce delle novità introdotte dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, in www.giustam.it, 11.8.2009; N. DI RONZA, P.A. e danno dopo la legge n. 69/2009: dove sta la novità?, in Persona e Danno, 8.9.2009; R. GISONDI, Il legislatore consacra la risarcibilità del danno da mero ritardo, in AA.VV. Il nuovo procedimento amministrativo, Dike Giuridica Editrice, 2009, p. 133 e ss.; M. PERRELLI, L’evoluzione giurisprudenziale e normativa del danno da ritardo, in Diritto e Formazione, n. 6/2009; P. QUINTO, Il Codice del processo amministrativo ed il danno da ritardo: la certezza del tempo e l’incertezza del legislatore, in www.giustamm.it, 18.9.2009; S.S. SCOCA, I difficili rapporti tra l’art. 2-bis legge 241/90 e l’art. 21-bis legge TAR, in www.giustamm.it, 28.12.2009; A. VACCA, Ontologia della situazione giuridica soggettiva sottesa all’azione di risarcimento del danno conseguente all’inadempimento da parte della pubblica amministrazione dell’obbligo di esercitare il potere amministrativo (alla luce della legge 18 giugno 2009 n. 69), in www.lexitalia.it, n. 7-8/2009; F. VOLPE, Danno da ritardo, natura dell’azione risarcitoria e spunti generali sulla responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo dell’Amministrazione, in www.lexitalia.it, n. 5/2009; P.M. ZERMAN, Il risarcimento del danno da ritardo: l’art. 2 bis della legge 241/1990 introdotto dalla legge 69/2009, in www.giustizia-amministrativa.it, settembre 2009.
[14] Sul punto si registravano essenzialmente due contrapposte posizioni. Secondo la prima non si poteva riconoscere alcuna tutela risarcitoria senza la preventiva verifica della legittima spettanza dell’emanando provvedimento nel procedimento ritardato. Tale teoria era basata sul ragionamento logico che non si potesse richiedere il ristoro di un danno per la mancata emanazione di un provvedimento non dovuto. La seconda teoria, invece, era quella della cd. “responsabilità da contatto qualificato”, secondo la quale la violazione dell’obbligo giuridico del rispetto del termine di conclusione del procedimento determinava una lesione autonoma rispetto all’eventuale spettanza dell’atto richiesto (venendo in considerazione le categorie della responsabilità precontrattuale e dei connessi obblighi di buona fede e di affidamento che anche l’amministrazione pubblica deve rispettare nel rapporto con i cittadini). In tal senso vanno le ordinanze n. 875/2005 e n. 920/2005 della Sezione IV del Consiglio di Stato.
[15] Su tale dibattuto tema, anteriormente all’emanazione dell’art. 2 bis, si era pronunciato anche il Consiglio di Stato. L’Adunanza Plenaria, con sentenza 15.9.2005, n. 7, ha escluso la risarcibilità del danno correlato alla mera violazione dei termini procedimentali (cd. “danno da mero ritardo”) sul rilievo che esso non può rivendicare un’autonoma posizione strutturale rispetto alla fattispecie procedimentale da cui è generato ed al fatto che, in base all’allora vigente legislazione, non era dato rinvenire un meccanismo riparatore dei danni provocati dal ritardo procedimentale in sé e per sé considerato. In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, l’inerzia amministrativa, per essere sanzionabile in sede risarcitoria, richiedeva non solo il previo accertamento in sede giurisdizionale della sua illegittimità, ma anche il concreto esercizio della funzione amministrativa in senso favorevole all’interessato. Tale impostazione è stata confermata anche dalla giurisprudenza successiva del Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 248/2008 e n. 6242/2008; Sez. V, n. 1162/2009), la quale ha ribadito che il risarcimento è ammissibile solo dopo e a condizione che l’amministrazione, riesercitato il potere, abbia riconosciuto all’istante l’oggetto della richiesta. In tal caso il danno ristorabile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato da un ritardo nel conseguimento del provvedimento spettante.
[16] L’errore di fatto e l’errore di diritto sono categorie giuridiche elaborate dalla giurisprudenza a seguito della nota sentenza n. 500/99 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il primo si rinviene nella complessità o nell’indeterminatezza della situazione fattuale presupposto all’atto da emanare. Il secondo consiste nella sussistenza di incertezza del quadro normativo di riferimento o nell’esistenza di contrasti giurisprudenziali riferibili alla fattispecie amministrativa da definire.
[17] In tal senso vedasi: M. PERRELLI, L’evoluzione giurisprudenziale e normativa del danno da ritardo, op.cit., secondo cui “La disposizione introdotta dall’art. 7, comma 1, lettera c) della legge n. 69/2009 ricalca inequivocabilmente il disposto dell’art. 2043 c.c. giacchè essa prevede il risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”; e R. GRECO, I nuovi profili della responsabilità dirigenziale nella legge 18 luglio 2009, nr. 69, op.cit., secondo cui “… l’eventuale responsabilità ipotizzabile in caso di ritardo nell’adozione del provvedimento ha natura extracontrattuale”.
[18] Sul tema del riparto giurisdizionale dell’azione risarcitoria nei confronti della P.A. vedasi ex multis: F.G. SCOCA, Divagazioni su giurisdizione e azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm., n. 4/2008.
[19] R. GRECO, I nuovi profili della responsabilità dirigenziale nella legge 18 luglio 2009, nr. 69, op.cit..
[20] In tal senso vedasi: M. PERRELLI, L’evoluzione giurisprudenziale e normativa del danno da ritardo, op.cit., secondo cui “Una spiegazione dell’attrazione nell’ambito della giurisdizione esclusiva delle controversie in cui viene chiesto il risarcimento del danno da ritardo, … può essere ravvisata nella natura della posizione giuridica del privato e, cioè nella sua qualificazione quale diritto soggettivo e non più quale interesse legittimo. … il legislatore – con l’introduzione dell’art. 2 bis – ha delineato un diritto soggettivo ad avere, nel termine stabilito dalla legge ovvero dai regolamenti, un provvedimento, quale che sia il suo contenuto, positivo o negativo”.
[21] Il nuovo codice del processo amministrativo è stato emanato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (pubblicato in G.U. n. 156 del 7 luglio 2010, Suppl. Ord. n. 148) ed entrerà in vigore a partire dal 16 settembre 2010.
[22] GISONDI R., La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 23.10.2010.
[23] Sull’azione avverso il silenzio vedasi ex multis: M. CLARICH, Il ricorso e la tutela contro il silenzio, in Trattato di diritto amministrativo – Diritto amministrativo speciale, appendice al volume IV, (a cura di S. CASSESE), Giuffrè, 2001; N. PAOLOANTONIO, Il ricorso avverso il silenzio, in Giustizia amministrativa, F.G. SCOCA (a cura di), Giappichelli, 2009, p. 499 e ss.; F.G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. Proc. Amm., n. 2/2002.
[24] Tale assenza di coordinamento è stata evidenziata da S.S. SCOCA, I difficili rapporti tra l’art. 2-bis legge 241/90 e l’art. 21-bis legge TAR, op.cit.. Secondo l’Autore, nei casi di silenzio della P.A., sarebbe stato opportuno convogliare in un unico giudizio sia l’azione tesa all’ottenimento del provvedimento richiesto, che quella relativa al ristoro del danno eventualmente patito a causa del ritardo dell’amministrazione:“… i due giudizi dovrebbero essere proponibili congiuntamente al fine di realizzare il “valore” dell’economia processuale e dell’effettività e della tempestività della tutela del privato leso dal comportamento illegittimo (e forse illecito) della P.A.”.
[25] In precedenza, invece, in caso di inerzia della P.A., il soggetto leso poteva essere costretto a sopportare ben tre diversi processi: uno finalizzato all’ottenimento del provvedimento richiesto, uno avente ad oggetto il risarcimento del danno da ritardo e uno avente ad oggetto la legittimità del provvedimento tardivamente emanato dalla P.A..
[26] L’azione diretta all’emanazione del provvedimento richiesto è soggetta al termine decadenziale di un anno, mentre l’azione risarcitoria, secondo il disposto dell’art. 2 bis, comma 2 della legge n. 241/1990, si prescriveva in cinque anni.
[27] Ai sensi dell’art. 30, comma 1, infatti, l’azione di condanna può essere proposta “anche in via autonoma” nei casi di giurisdizione esclusiva e negli altri due casi previsti dal medesimo art. 30: ossia, nel caso di danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e nel caso di mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria.
[28] Il comma 4 dell’art. 30 (rubricato “Azione di condanna”) del codice prevede che: “Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere”.
[29] Sul tema della cd. “pregiudiziale amministrativa” alla luce del nuovo codice del processo vedasi: R. GISONDI, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo Codice del Processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 23.8.2010;G. SORICELLI, Il punto sulla disciplina della pregiudiziale amministrativa alla luce del Codice del Processo Amministrativo, in www.giustamm.it, 26.8.2010; A. TRENTINI, Pregiudiziale amministrativa. Contrasto giurisprudenziale tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato. Soluzione intermedia adottata dal legislatore delegato, in www.filodiritto.com, 7.9.2010.
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(pubblicato il 4.10.2010)
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