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n. 12 -2010 - © copyright

 

 

PAOLO AMOVILLI

Le “complicazioni” in materia di semplificazione amministrativa - Brevi note in tema di Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)

 

 


 

 

SOMMARIO. Premessa - 1. Il nuovo istituto della Segnalazione certificata inizio attività (SCIA) - 2. L’applicazione della SCIA in edilizia - 3. L’applicazione della SCIA alle attività economiche - 4. Il d.p.r. 7 settembre 2010 n.160 per il riordino del SUAP - Conclusioni.


Premessa.

Con la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi del mercato interno, è stata disposta la “liberalizzazione” di molteplici servizi prestati dietro corrispettivo non salariato, con il fine di assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri (punto 1.2 dei considerando della direttiva) fatte salve diverse esclusioni (es. i servizi pubblici economici, sociali, l’edilizia ecc.)
Rinviando ad altri contributi per lo studio della fondamentale direttiva comunitaria, preme in questa sede evidenziare che secondo il disposto dell’art 9, gli Stati membri possono subordinare l'accesso ad un'attività di servizio e il suo esercizio ad un “regime di autorizzazione” soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti:
a) il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;
b) la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale;
c) l'obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia.
Il legislatore comunitario offre poi una elencazione non esaustiva dei suddetti motivi imperativi di interesse generale (vedi punto 40 dei considerando)
Laddove sia giustificato un regime autorizzatorio, l’art 13 c. quarto generalizza l’istituto dell’accoglimento tacito - probabilmente ben al di là degli angusti limiti imposti in concreto dal “domestico” art 20 l.241/90[1] - facendo salvo un diverso regime, cioè un diverso effetto del silenzio, anche di rigetto (punto 63 considerando) soltanto se giustificato da motivo di interesse generale, incluso un interesse legittimo di terzi.
Tra le attività per le quali è ancora configurabile un regime di autorizzazione, occorre poi delimitare le fattispecie di ordine preventivo “ai soli casi indispensabili”, conformemente ai principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità. (punto 54 considerando).
Il d.lgs. 26 marzo 2010 n.59 di attuazione della direttiva comunitaria, statuisce all’art. 8 c. primo lett f) che la DIA di cui all’art 19 c. secondo l.241/1990 “non costituisce regime autorizzatorio” mentre l’art 17, in aperta contraddizione, ricomprende la DIA tra i “procedimenti di rilascio delle autorizzazioni” e qualificandolo “titolo autorizzatorio”.
Due mesi dopo, come noto, l’art 49 d.l.31 maggio 2010 n.78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”[2] convertito nella l. 30 luglio 2010 n.122[3] nel riformulare l’art 19 della l.241/90, sostituisce completamente l’istituto della DIA con la SCIA, consentendo l’inizio delle attività ivi contemplate sin dalla data della presentazione della segnalazione, confermando peraltro sul punto quanto già previsto dall’art 85 d.lgs. 59/2010 per le c.d. DIA immediate.
Campo elettivo di operatività della SCIA è costituito dall’avvio ed esercizio di attività economiche (quali ad es. la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, le strutture turistico ricettive ecc) mentre è sorto ampio dibattito in merito all’applicabilità o meno nella materia dell’edilizia, oggetto come noto di una disciplina speciale organica sia nel t.u. edilizia approvato con d.p.r. 6 giugno 2001 n.380 che in sede di legislazione regionale.
Per le attività economiche, la stessa direttiva 2006/123/CE individua negli sportelli unici l’interlocutore unico tramite il quale espletare ogni procedura e formalità.
Il Governo italiano, con il d.p.r. 7 settembre 2010 n.160, ha approvato il regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi della legge (di delegificazione) 6 agosto 2008 n.133.
Il suddetto d.p.r., introduce modelli procedimentali per le attività soggette a SCIA di dubbia compatibilità sia con la disciplina di cui alla l.122/2010, che con la stessa direttiva comunitaria.

1. Il nuovo istituto della Segnalazione certificata inizio attività (SCIA)

Il nuovo istituto della Segnalazione certificata inizio attività (SCIA) pare replicare, in prima approssimazione, la struttura e l’ambito di applicazione della DIA, riguardando specularmente le attività sottoposte ad atti di autorizzazione et simila, comprese le domande di iscrizione in albi o ruoli, richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale.
Scompare però tra gli interessi pubblici per i quali è esclusa la semplificazione ratione materiae, “la tutela della salute e della pubblica incolumità” rispetto alla precedente formulazione dell’art 19 in tema di DIA, consentendo apparentemente l’ampliamento dell’utilizzabilità della SCIA anche in questi casi, ipotizzandosi la sostituzione con SCIA oltre che del certificato di agibilità di cui agli art 24 e 25 d.p.r. 380/2001, dell’autorizzazione sismica di cui all’art. 94 del medesimo d.p.r.[4]
Quanto invece alla natura giuridica della SCIA, pare che il nuovo art 19 riproponga sostanzialmente le annose questioni già sorte e mai definitivamente chiarite in tema di DIA[5], trattandosi anche qui di una fattispecie a formazione progressiva costituita dalla dichiarazione/segnalazione del privato di inizio dell’attività unitamente allo spirare dello spatium deliberandi per l’esercizio del potere inibitorio[6], con conseguente dubbio se trattasi di titolo abilitativo tacito assimilabile ad una fattispecie atipica di silenzio assenso, o di vera e propria liberalizzazione di attività[7].
Senza voler entrare nel merito della questione, si sottolinea soltanto che la permanenza, come nel regime DIA, di un potere inibitorio-repressivo e più generalmente di vigilanza sanzionatorio in base al non abrogato art 21 l.241/90 renda sempre discutibile la tesi - pur autorevolmente sostenuta in riferimento alla DIA edilizia[8]- della autorizzazione ex lege nell’ottica di una vera liberalizzazione, che è invece realmente riscontrabile nei soli interventi edilizi c.d. liberi di cui all’art 6 d.p.r. 6 giugno 2001 n.380[9].
Inoltre, la stessa direttiva 2006/123/CE, laddove un regime autorizzatorio possa dirsi giustificato da motivi imperativi di interesse generale, privilegia forme di controllo successivo e a posteriori, non ostando a qualificare la SCIA come vera e propria autorizzazione tacita ex post.

2. L’applicazione della SCIA in edilizia.

Ribadito che l’attività edilizia non è interessata né dalla direttiva 2006/123/CE né dal d.lgs.59/10, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministero Semplificazione normativa - Ufficio legislativo con la “Nota di chiarimenti” MSN0001340P del 16 settembre 2010 ha espresso parere favorevole circa l’applicabilità al settore edilizio - ad eccezione degli interventi soggetti a permesso di costruire e a c.d. super DIA - per i seguenti molteplici e concorrenti motivi:
- il significato letterale di cui all’art 49 l.122/2010 secondo cui la disciplina della SCIA “sostituisce direttamente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della DIA recante da ogni normativa statale e regionale”;
- la scomparsa della clausola di salvezza circa le DIA previste da leggi speciali, contenuta nel previgente comma quarto dell’art 19 l.241/90;
- lo specifico riferimento alle asseverazioni tipico dell’ edilizia;
- dall’esame dei lavori preparatori.
Altra tesi[10] opina nel senso che la sopravvenienza di una disciplina generale innovativa non ha effetti abrogativi salvo diversa disposizione, sulle previgenti discipline speciali[11] non potendosi fare applicazione del criterio cronologico di cui all’art 15 delle disposizioni sulla legge in generale del c.c., evidenziando al contempo l’indefettibilità nel campo edilizio di una disciplina omogenea ed unitaria, concernente profili del tutto tralasciati nella SCIA di cui alla legge 122/2010.
Inoltre, deporrebbe a favore della tesi negativa il rilievo che l’ambito di applicazione del nuovo testo dell’art.19 l.241/90 e s.m. attenga alle attività sottoposte ad atti di autorizzazione et simila richiesti per l’esercizio di “attività imprenditoriale, commerciale o artigianale” non quindi per l’attività edilizia, fatta al più eccezione per gli interventi strumentali a tale esercizio, potendosi però eccepire come la ratio legis sia anche quella di agevolare e semplificare la stessa attività d’impresa del settore edilizio.
Altri ancora, esprimono forti perplessità sul piano logico-sistematico di compatibilità tra SCIA ed interventi edilizi soggetti a DIA.[12]
Nell’evidente quadro di incertezza, l’ampiezza del comma 4-ter del nuovo art 19 l.241 pare però deporre nel senso della immediata operatività della SCIA anche nell’edilizia, richiamandosi peraltro il legislatore statale all’esigenza di garantire la tutela del livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ex art 117 lett m) Cost, confermando la scelta già effettuata con la l.18 giugno 2009 n.69 di attrarre alla competenza statale esclusiva istituti di semplificazione quali silenzio assenso e DIA (art 20 e 19 l.241/90), alla stregua di norme costituzionali interposte in grado di prevalere sulla normativa anche statale di settore, nella parte in cui esse non garantiscano livelli di tutela superiore.
Tale assunto, impregiudicata ogni questione circa la legittimità costituzionale della l.122/2010 (su cui si dirà più avanti) deve però realisticamente confrontarsi con l’evidente considerazione che la disciplina sulla SCIA in edilizia “non può vivere di vita propria” bensì integrarsi con le disposizioni del t.u. edilizia e della legislazione regionale (disciplinanti per es la legittimazione attiva al rilascio del titolo edilizio, l’efficacia temporale, l’onerosità ecc.) aspetti fondamentali e completamente privi di disciplina positiva nel testo del nuovo art 19 l.241.
Con la conseguenza che la questione in merito all’estensione o meno della SCIA all’edilizia può risolversi nel senso che la SCIA regoli il solo modello procedimentale ivi compresi gli interventi successivi di tipo inibitorio-ripristinatorio, restando gioco forza fermi gli aspetti più squisitamente edilizi regolati dalla normativa speciale, dando però vita ad una integrazione non priva di difficoltà.
E’questa per es. la strada recentemente intrapresa dalla Regione Emilia-Romagna, la quale tra l’altro ritiene possibile, allo stato, l’alternatività tra DIA e SCIA.[13]
Muovendo da tali considerazioni, non pare la SCIA applicabile né alle fattispecie di sanatoria ex art 36 t.u. né ai certificati di agibilità ex art. 24 e 25 t.u.
Nel primo caso, perché fuoriesce dalla SCIA, per incompatibilità, la stessa funzione di sanatoria di precedenti seppur formali abusi, nel secondo perché se si considera l’agibilità preordinata alla prevenzione di danni alle persone[14]scatta l’esclusione quale “atto rilasciato da amministrazione preposta alla pubblica sicurezza”, essendo per altro indispensabile in sede di trasferimenti immobiliari, ai fini civilistici, il requisito dell’agibilità[15] più agevolmente verificabile se certificato dall’amministrazione.
Per converso, la dichiarata inapplicabilità della SCIA in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali (c. primo art 19 l.241 nel testo novellato) potrebbe anziché condurre alla necessità per l’interessato di acquisire preventivamente alla presentazione della SCIA l’atto di assenso dell’ente preposto al vincolo[16], a ritenere più semplicemente ancora vigente la DIA per interventi su aree vincolate (art. 23 c. 3 e 4 d.p.r.380/2001) soluzione maggiormente conforme alla ratio di semplificazione/liberalizzazione che ispira la l.122/2010.
Nel complesso comunque, si assiste ad un preoccupante e disorganico aumento dei titoli edilizi, quando si sarebbe semplicemente potuto ampliare la categoria degli interventi c.d. liberi, anch’essa oggetto di recente intervento ad opera della l.22 maggio 2010 n.73, liberalizzando in senso tecnico lo ius aedificandi per gli interventi di basso impatto sul territorio.
Qualche cenno infine alla questione di legittimità costituzionale, in considerazione che alcune Regioni hanno proposto ricorso alla Corte Costituzionale.[17]
In attesa del giudizio della Consulta, la questione quantomeno non pare manifestamente infondata, sia in relazione all’invasione delle attribuzioni concorrenti in materia di governo del territorio (art 117 c. 3 Cost) sia nei confronti dell’autonomia amministrativa dell’autorità comunale (art 114 e 117 comma sesto Cost.) nell’esercizio del doveroso potere di repressione dell’abusivismo edilizio (apparentemente mutilato dalla nuova disciplina dell’art 19) che infine dello stesso principio di buon andamento e ragionevolezza.
In estrema e necessaria sintesi, quanto al primo profilo, non pare che al di fuori dell’esigenza di garantire l’attuazione del diritto comunitario, il legislatore statale possa introdurre in assenza di alcun termine di recepimento, una disciplina puntuale e di dettaglio sul procedimento, avendo già la Consulta non mancato di valorizzare l’ampiezza della potestà regionale sul governo del territorio,[18] anche se la competenza esclusiva statale in tema dei c.d. LED potrebbe indurre ad opinare in senso opposto.
Quanto ai restanti profili, la previsione al c. quarto del novellato art 19 di stringenti limiti all’esercizio del potere sanzionatorio decorso il termine di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, pare collidere sia con le prerogative comunali inerenti la repressione degli abusi, sia con elementari esigenze di buona amministrazione, essendo pacifico il principio secondo cui il suddetto potere di vigilanza non sia sottoposto né a limiti di tempo né a valutazione dell’interesse pubblico, non sussistendo alcun affidamento legittimo in relazione ad attività contra ius che il tempo non può consolidare.[19]
Trattasi però di norma di cui può prevedersi un impatto piuttosto debole, se è vero che l’art 21 l.241/90 e s.m. lascia ferme le attribuzioni di autotutela, in senso ampio, in ipotesi di contrasto dell’intervento con la normativa urbanistico-edilizia, come la giurisprudenza non aveva mancato di sottolineare seppur in riferimento alla DIA edilizia.[20]
Così come non coerente - né invero utile per lo stesso privato - pare consentire, in un regime tutt’altro che liberalizzato quale quello della DIA/SCIA edilizia, l’immediato avvio dell’attività, con rischio concreto di possibili interventi di riduzione in pristino, rispondendo a preminenti ragioni di interesse pubblico consentire l’inizio dei lavori soltanto in una fase successiva ad un controllo quantomeno di regolarità formale e di completezza della documentazione allegata, cioè in definitiva degli stessi presupposti di esistenza o di operatività della stessa fattispecie autorizzatoria semplificata.[21]

3. L’applicazione della SCIA alle attività economiche

La direttiva 2006 impone una riflessione generale circa la compatibilità con il diritto comunitario di forme di autorizzazione preventive legate a specifici strumenti di programmazione settoriale (esclusi dall’ambito SCIA) laddove esse siano non necessarie o proporzionali rispetto agli interessi pubblici perseguiti.
Per es. in riferimento alla pianificazione comunale ancora prescritta dall’art 2 d.lgs. 170/2001 per i punti di vendita esclusivi, a differenza dei punti vendita non esclusivi, già pacificamente ritenuti liberalizzati[22]e per i quali la SCIA dovrebbe oggi sostituire l’autorizzazione preventiva ivi prevista.
Altro rilevante problema, ove la legge preveda forme di programmazione conformativa del diritto di iniziativa economica, in ossequio alla riserva di cui all’art 41 Cost., è stabilire se l’inerzia della PA nella formazione della pianificazione, costituisca o meno presupposto per l’operatività del silenzio assenso (previsto dalle specifiche disposizioni settoriali o in termini generali dalla stessa direttiva comunitaria e dal d.lgs. 59/2010 di recepimento), problema risolto in senso negativo da recente interessante arresto del Consiglio di Stato[23], in riferimento alle autorizzazioni di strutture di media vendita, superando l’orientamento invero maggioritario di segno decisamente contrario.
L’estensione dell’orientamento del giudice d’appello potrebbe avere forte impatto anche su altre attività non liberalizzate, dove non è raro riscontrare cronici ritardi nell’esercizio del potere di pianificazione, non senza a dire il vero intravedere profili critici, essendovi il pericolo concreto di grave pregiudizio per i rilevanti interessi pubblici sottesi (salvaguardia dell’assetto territoriale in ambito urbano e rurale, sostenibilità ambientale ecc.) tutti di rilievo costituzionale.
Sul punto può forse dirsi ancora attuale l’orientamento della Corte Costituzionale[24], pur se maturato in riferimento alla specifica fattispecie della istallazione di impianti pubblicitari, circa l’indispensabilità del piano, disponendo il privato della concorrente tutela del silenzio- rifiuto e del risarcimento del danno da ritardo, con la precisazione che ciò può ritenersi condivisibile a patto di estendere la risarcibilità anche al danno da c.d. mero ritardo, essendo comunque il “bene tempo” interesse meritevole di tutela ai sensi e per gli effetti della clausola generale di cui all’art 2043 c.c., fermo naturalmente restando l’onere per il danneggiante di provare an e quantum del danno e la verifica della sussistenza della colpa nell’inosservanza del termine di cui all’art 2 l.241/90 e s.m[25].
Con specifico riferimento all’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, che l’art 64 del d.lgs. 59/2010 assoggetta, quanto all’avvio, ad autorizzazione preventiva, vi è da chiedersi se nelle more dell’adozione di uno strumento di programmazione quale quello delineato dal comma terzo dell’art 64, di per sé limitato alle zone comunali da sottoporre a tutela, possa o meno escludersi tout court l’ambito di operatività della SCIA come parrebbe suggerire la circolare del Ministero dello Sviluppo economico n. 3637/C del 10 agosto 2010 prot 105485 con riferimento all’intero territorio comunale, essendo comunque attività soggetta a contingentamento o programmazione.
La delimitazione della programmazione alle sole zone comunali da sottoporre a tutela non pare possa giustificare, conformemente ai principi derivanti dalla direttiva, l’esclusione della presentazione di una SCIA anche per l’avvio dell’attività, in riferimento a zone prive di particolare pregio artistico, storico, architettonico o ambientale, essendo del tutto astratta, in assenza del piano, la possibilità che una determinata zona del territorio possa venir conformata dalla programmazione comunale.

4. Il d.p.r. 7 settembre 2010 n.160 per il riordino del SUAP.

Il d.p.r. 160/2010 è regolamento emanato ai sensi dell’art 17 c. secondo l.400/88, sulla base della legge di delegificazione 6 agosto 2008 n.133 “Impresa in un giorno” contenente all’art. 8 i principi ed i criteri direttivi, senza disporre alcuna espressa abrogazione della normativa primaria, ed in particolare dell’art 19 l.241/90 in tema di attività soggette a DIA.
Dovendo l’abrogazione delle leggi vigenti ad opera della legge di delegificazione essere espressa, non potendo operare l’abrogazione tacita[26], il d.p.r.160/2010 deve quindi essere applicato conformemente alla normativa primaria, costituita in primis dall’art.19 l.241/90, nel testo successivamente modificato ad opera del d.l. 78/2010 convertito con l. 122/2010.
Muovendo da tali considerazioni, il procedimento delineato dall’art 5 del citato d.p.r. presenta elementi oltre che intrinsecamente illogici, in contrasto con l’istituto interno della SCIA e con la direttiva comunitaria.
Infatti, mentre nella SCIA, come accennato, non vi è traccia di alcun titolo autorizzatorio espresso, conformemente alla logica di liberalizzazione o più esattamente di semplificazione che permea la l.122/2010, l’art 5 contiene due distinte e concorrenti autorizzazioni, una in forma espressa ed una tacita.
Il comma 4 del citato art 5 stabilisce che “Il SUAP, al momento della presentazione della SCIA, verifica, con modalita' informatica, la completezza formale della segnalazione e dei relativi allegati. In caso di verifica positiva, rilascia automaticamente la ricevuta e trasmette immediatamente in via telematica la segnalazione e i relativi allegati alle amministrazioni e agli uffici competenti, in conformità all'Allegato tecnico di cui all'articolo 12, commi 5 e 6.”
Precisa poi il successivo comma 7 che ai sensi dell'articolo 38, comma 3, lettera f), del decreto-legge (n.d. d.l.112/2008) la ricevuta di cui al comma 4, “costituisce titolo autorizzatorio ai fini del ricorso agli ordinari rimedi di tutela dei terzi e di autotutela dell'amministrazione”.
Trattasi indubbiamente di disposizioni autorizzate puntualmente dai criteri direttivi della l.133/2008, ma che collidono con la disciplina primaria dell’art 19 l.241/90, sia in riferimento al testo novellato dall’art 49 l.122/2010 in tema di SCIA sia, probabilmente, con quello previgente.
Il modello procedimentale sulla SCIA delineato dall’art 19, lungi dal liberalizzare le attività ivi ricomprese, non contempla comunque alcuna forma di autorizzazione espressa, non coincidendo la facoltà di iniziare l’attività dalla data di presentazione della segnalazione con l’autorizzazione amministrativa, così come nella DIA la comunicazione dell’avvio dell’attività non costituisce di per sé titolo abilitativo.
Il c. quarto del d.p.r. poi, non prevede alcun termine per il rilascio della ricevuta/autorizzazione, con l’unica conseguenza possibile di rendere applicabile il generale termine di 30 giorni codificato dall’art 2 c.2 l.241/90, non potendosi configurare fattispecie procedimentali preordinate al rilascio di atti di assenso di attività private prive di termine per provvedere, sia ai fini della tutela in via amministrative mediante silenzio-rifiuto (oggi contenuta nell’ art 117 c.p.a.) che penale.
Il contenuto di tale verifica, che sembrerebbe limitato ad un controllo informatizzato di tipo automatico, avrebbe invece suggerito la previsione di un termine brevissimo, in senso compatibile con il principio garantito dalla l.122/2010 (e prima ancora dal d.lgs 59/2010 per le attività soggette a DIA) circa il diritto di iniziare l’attività dalla data di presentazione della SCIA.
Di fatto si prevede invece un titolo autorizzatorio espresso, contro il cui mancato rilascio non potrà che prevedersi la tutela del silenzio-rifiuto, in aperta contraddizione con le finalità di semplificazione, ed in contrasto con i principi di cui alla direttiva comunitaria, che come visto, oltre a limitare “forme autorizzatorie”all’esercizio di attività, ne sancisce di norma il carattere successivo all’esercizio.
Del tutto illogico è poi il successivo c. otto, come rilevato dal Consiglio di Stato in sede di parere[27], secondo cui “conformemente a quanto previsto dall'articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in caso di silenzio assenso, decorsi i termini di cui all'articolo 2 della medesima legge dalla presentazione dell'istanza, ovvero i diversi termini previsti dalle specifiche discipline regionali o speciali, il silenzio maturato a seguito del rilascio della ricevuta, emessa automaticamente con le medesime modalità del comma 4, equivale a provvedimento di accoglimento della domanda senza necessità di ulteriori istanze o diffide.”
Non è possibile ritenere che la norma sia riferibile al procedimento unico disciplinato dal successivo art 7 del d.p.r., stabilito per le attività non soggette a DIA/SCIA, come sarebbe stato logico, poiché il richiamo alla ricevuta di cui al comma 4 è chiaro indice contrario.
Si introduce qui una fattispecie di silenzio assenso che si forma su di un titolo abilitativo già definitivamente formatosi - pienamente lesivo, essendo definito come impugnabile dai terzi oltre che oggetto dell’eventuale autotutela in funzione di riesame - che si risolve in un abnorme nuovo atto di assenso tacito, di tipo confermativo.
E’pertanto evidente il contrasto con il modello procedimentale della SCIA, tale da inficiare la finalità di semplificazione della stessa l.122/2010, oltre che del diritto comunitario.

Conclusioni

A conclusione di queste brevi note, si può affermare che il nuovo istituto della SCIA come integrato dallo stesso d.p.r.160/2010 per i procedimenti gestiti dal SUAP, rischia di eludere le finalità del legislatore di semplificazione, frapponendo invece nei rapporti amministrativi elementi di incertezza e complicazione.
Né è innanzitutto prova l’incerta e discussa applicazione in ambito edilizio, laddove peraltro lo stesso inizio immediato dei lavori non pare rispondere ad effettivo interesse del soggetto che presenta la SCIA, visto il concreto rischio di esporsi a successive sanzioni anche di tipo ripristinatorio, con la conseguenza di indurlo a preferire lo spirare del termine di sessanta giorni.
Senza contare che la norma, laddove applicabile, come si ritiene, anche all’edilizia in sostituzione (parziale) della DIA disciplinata dagli art. 22 e 23 del d.p.r. 6 giugno 2001 n.380, presenta profili di non manifesta illegittimità costituzionale, sia per contrasto come accennato con le attribuzioni regionali e degli enti locali, tenuto conto dell’estraneità dell’edilizia rispetto alla direttiva 2006/123/CE.
Più di una perplessità sorge anche in riferimento, come visto, alla operatività della SCIA nell’ambito del SUAP, poiché il procedimento delineato dal d.p.r. 160/2010 non è coordinato con la l.122/2010, oltre che probabilmente in contrasto con la stessa direttiva servizi del mercato interno.

 

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[1] Oltre ai limiti ratione materiae previsti dal citato art 20, deve infatti aggiungersi che la giurisprudenza esclude il silenzio assenso per tutti i provvedimenti di tipo concessorio, come le concessioni demaniali (Consiglio di Stato VI 15 aprile 2008 n.1751) riferendosi l’art.20 a provvedimenti di natura autorizzatoria, con cui la pubblica amministrazione conferisce al destinatario la facoltà di esercitare un diritto o un potere che preesiste all'autorizzazione stessa
[2] Pubblicato in G.U. n.125 del 31 maggio 2010
[3] Pubblicata nella G.U. n.176 del 30 luglio 2010
[4] BARTOLINI La c.d. liberalizzazione delle attività edilizie in www.giustamm.it n.10/2010, il quale rammenta che la Corte Costituzionale con sent. 5 maggio 2006 n.182 ha dichiarato l’illegittimità di disposizioni legislative regionali introduttive di “forme di controllo successivo o semplificato” per interventi edilizi in zona sismica, a tutela dell’incolumità pubblica.
[5] F. LISENA Dalla DIA alla SCIA: storia di una metamorfosi in www.giustamm.it n.9/2010
[6] Ex multis T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 09 giugno 2010 , n. 613
[7] Ritiene invece la SCIA istituto differente dalla DIA in dottrina C. LAMBERTI “Nell’edilizia vige ancora la DIA?” in Urbanistica e Appalti 11/ 2010
[8] Consiglio di Stato sez VI, 9 febbraio 2009, n.717
[9] BARTOLINI op citata
[10] Pareri ANCI Toscana “Prime indicazioni sulle conseguenze della modifica dell’art 19 l.7 agosto 1990 n.241 disposta con l.30 luglio 2010 n.122 nell’ordinamento edilizio” 17 settembre 2010” in www.ancitoscana.it e “Ancora sulla inapplicabilità della SCIA in ambito edilizio in difetto del necessario adeguamento del DPR 380/2001 - postilla sulla nota ministeriale del 16 settembre 2010” 27 settembre 2010” in www.ancitoscana.it
[11] Consiglio di Stato sez VI 4 agosto 2008, n.388.
[12] C. LAMBERTI op. citata
[13] Nota congiunta Assessorato Attività produttive e Assessorato Programmazione territoriale Urbanistica Regione Emilia Romagna PG 2010/0280997 del 12 novembre 2010
[14] A.FIALE - E.FIALE Diritto Urbanistico XII edizione
[15] La vendita di immobile non agibile è ipotesi di consegna di aliud pro alio, idonea a giustificare l'ordinaria azione contrattuale di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. Cassazione civ., sez. II, 09 luglio 1982 , n. 4085
[16] Come invece sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministero Semplificazione normativa - Ufficio legislativo con la “Nota di chiarimenti” MSN0001340P del 16 settembre 2010
[17] Emilia Romagna e Toscana.
[18] Corte Costituzionale 28 giugno 2004, n.196 (in materia di condono edilizio) secondo cui nell’ambito della potestà legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio “solo alcuni limitati contenuti di principio possono essere sottratti alla disponibilità del legislatore regionale “(vedi anche sent 49/2006).
[19] Ex multis TAR Veneto13 marzo 2008 n.605
[20]Ex multis TAR Emilia Romagna Bologna II 27 maggio 2009 n.855 secondo cui nell’affermare la natura di titolo tacito della DIA edilizia, ritiene che dopo il decorso del termine di 30 giorni per la verifica dei presupposti di legge, l’amministrazione non perde i propri poteri non solo di autotutela con funzione di riesame (annullamento e revoca) ma anche di vigilanza e sanzionatori in ipotesi di contrasto dell’intervento con la normativa urbanistico-edilizia
[21] Come noto infatti per giurisprudenza consolidata (ex multis T.A.R. Lombardia Milano II 9 dicembre 2008 n.5737) “Presupposti indefettibili perché una D.I.A. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione; il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori, in quanto privi di titolo”. Secondo tale condivisibile orientamento, il potere in questione “non è equiparabile ad un potere di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui intervenire, ma ad un potere di verifica della non formazione della D.I.A., con conseguente ordine di interruzione dei lavori; per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è sottoposto al termine perentorio di trenta giorni, che presuppone invece che la D.I.A. sia completa nei suoi elementi essenziali”.
[22] Ex multis T.A.R. Calabria Reggio Calabria 24 novembre 2007, n.1196.
[23] Consiglio di Stato V 29 marzo 2010 n.1785, secondo cui l’inutile decorso del termine senza adeguamento della pianificazione urbanistica prevista dal d.lg. 114/1998, indica la carenza di interesse ad adeguarla, e non può vanificare l’esercizio del diritto ad ottenere la richiesta autorizzazione ed alla formazione del silenzio-assenso, pena la vanificazione delle finalità della legge 114/98 di liberalizzazione del commercio; pertanto l’istituto del s.a. ivi previsto si applica indipendentemente dalla fissazione degli indirizzi generali da parte delle Regioni e dal conseguente adeguamento delle previsioni dei piani urbanistici ai dettami della stessa legge
[24] Corte Costituzionale sent. 17 luglio 2002 n.355.
[25] In questo senso in giurisprudenza T.A.R. Puglia Bari sez III. 25 febbraio 2010, n.688 pur trattandosi di indirizzo decisamente minoritario, essendo consolidato l’orientamento che nega a priori la risarcibilità del danno da c.d. mero ritardo.
[26] Corte dei Conti sez contr. 10 maggio 1994 n.32
[27] Consiglio di Stato, sez consultiva per gli atti normativi, n.976 del 15 marzo 2010

 

(pubblicato il 9.12.2010)

 

 

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