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ENRICO FOLLIERI

Le novità del codice del processo amministrativo sulle misure cautelari*

 

 


 

 

 

SOMMARIO: 1. Profili generali. – 2.A) L’eliminazione del riferimento al provvedimento amministrativo. B) I tipi ed i procedimenti delle misure cautelari. – 3. Il riequilibrio del contraddittorio. – 4. L’adozione di misure cautelari con decreto monocratico in causa e anteriore alla causa ed i rimedi. – 5.A) La condanna alle spese. B) Revoca. – 6. La sospensione dell’esecuzione della sentenza dal Consiglio di Stato in secondo grado.



1. Profili generali.
Il codice del processo amministrativo mantiene l’impianto sul contenuto atipico delle misure cautelari introdotto dalla L. 21.7.2000 n. 205, ma dedica ad esse diverse disposizioni, dando loro il rilievo e l’importanza che hanno nel processo amministrativo.
Alle misure cautelari non solo è dedicato il titolo II del libro II, articoli da 55 a 62, ma vi sono ulteriori disposizioni in altre parti del codice. Si tratta di norme volte a stabilire: in trenta giorni il termine finale di efficacia del provvedimento cautelare, quando viene dichiarato il difetto di giurisdizione (art. 11, settimo comma, C.P.A.) o di competenza territoriale (art. 15, ottavo comma, C.P.A.) del giudice che lo ha emanato, ovvero in sessanta giorni il dies ad quem dell’efficacia della misura cautelare disposta nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in caso di opposizione delle altre parti alla trattazione in detta sede (art. 48, comma secondo, C.P.A.); la inderogabilità della competenza territoriale del giudice di primo grado, anche per l’adozione delle misure cautelari (art. 16, comma primo, C.P.A.), fissando le regole cui deve attenersi il giudice, quando non riconosca la propria competenza (art. 15, comma quinto, C.P.A.) e la possibile reiterazione della domanda cautelare al TAR, indicato competente dal TAR preventivamente adito, nelle more della definizione del regolamento di competenza (art. 15, commi quinto e settimo, e art. 16, comma quarto, C.P.A.) e, comunque, la riproposizione dell’istanza cautelare al giudice dichiarato competente (art. 15, comma nono, C.P.A.); la pronunzia di “provvedimenti cautelari interinali”, nelle more dell’integrazione del contraddittorio (art. 27, comma secondo, C.P.A.); la riduzione del termine per la fissazione della udienza di discussione, da sessanta a quarantacinque giorni, “su accordo delle parti”, “a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare” (art. 71, comma quinto, C.P.A.); la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado (art. 98 C.P.A.) e di secondo grado, ad opera del Consiglio di Stato, in caso di ricorso per Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 C.P.A.).
Ulteriori disposizioni sono dettate per i “riti abbreviati relativi a speciali controversie” (libro IV, titolo V, del codice) dagli articoli: 119, terzo e quarto comma; 120, sesto e ottavo comma, e 125, secondo comma.
Il codice, quindi, detta la disciplina centrale con gli articoli da 55 a 62, e interviene puntualmente con specifiche disposizioni, in diverse fasi del processo, preoccupandosi di stabilire le regole da cui sono rette le misure cautelari.
La misura cautelare non solo non è più un “incidente” ed una fase parentetica, a carattere eventuale e di rara applicazione, ma è uno snodo centrale del processo sotto due profili: a) per la celerità, efficacia ed efficienza della misura che può intervenire a tutela del ricorrente sia conservando inalterata la situazione in attesa della decisione di merito, sia anticipando quest’ultima, potendo il giudice adottare qualunque misura idonea ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso; b) per costituire l’unica possibilità d’investire il giudice della conoscenza del ricorso prima che sia fissata l’udienza di discussione.
Per questo ultimo aspetto, il codice non ha dato attuazione alla delega che, nel prevedere “l’estensione delle funzioni istruttorie esercitate in forma monocratica” (art. 44, comma secondo, lett. a), consente la istituzione della figura di un giudice istruttore di prima udienza che dispone l’eventuale integrazione del contraddittorio, l’ammissione delle prove e la fissazione dell’udienza di discussione. È probabile che la fase cautelare verrà incontro alle esigenze sottese all’istituzione del giudice istruttore
In sede cautelare, il giudice, su istanza di parte, ordina l’integrazione del contraddittorio e assicura la completezza istruttoria (art. 55, comma dodicesimo, C.P.A.), potendo, comunque, disporre, nelle more, le misure cautelari urgenti (art. 27, secondo comma, C.P.A.).
Il ricorrente, già prima del codice, chiedeva la misura cautelare in quasi tutte le controversie, anche allo scopo di ottenere una trattazione del merito a breve. Ora è la disposizione del decimo comma dell’art. 55 c.p.a. che incoraggia questa prassi perché stabilisce che, qualora il TAR, in sede cautelare, ritenga che “le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data di discussione del ricorso nel merito”; allo stesso modo può provvedere il Consiglio di Stato, trasmettendo, in caso di riforma dell’ordinanza di primo grado, la pronuncia al TAR per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.
Qualora venga disposta la misura cautelare, viene fissata la data di discussione del ricorso nel merito; su accordo delle parti, in caso di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare, il termine per la fissazione dell’udienza di discussione è ridotto da sessanta a quarantacinque giorni (art. 71, comma quinto, c.p.a.).
Insomma, queste disposizioni fanno diventare la Camera di Consiglio per l’esame della misura cautelare come un importante snodo per la integrazione del contraddittorio, l’acquisizione istruttoria e la fissazione ravvicinata dell’udienza di trattazione, rendendo, sotto quest’ultimo aspetto, residuale la segnalazione dell’urgenza del ricorso con l’apposita istanza di prelievo (art. 71, comma secondo, c.p.a.) che non sempre la Segreteria porta all’attenzione del Presidente.
La domanda di misura cautelare potrà, quindi, supplire alla mancata istituzione della figura del giudice istruttore, diventando una fase del processo quasi necessaria, specie considerando che, per l’art. 60 del codice, il giudice può definire la controversia in Camera di Consiglio con sentenza in forma semplificata, confermando un istituto che ha avuto una positiva applicazione. Ciò potrà comportare che la misura cautelare si trasformi in strumento di efficace soluzione rapida e definitiva della controversia, facendo venir meno la sua funzione ontologica (provvedere in via interinale in attesa della definizione nel merito della controversia), rendendo superfluo il pregiudizio grave ed irreparabile nei casi di sentenza semplificata, assorbendo l’ordinario giudizio di cognizione che si renderà necessario solo per i processi particolarmente complessi.
Altra considerazione generale è la constatazione che il codice, per la disciplina delle misure cautelari, non opera alcun rinvio ad altre norme di legge, né, soprattutto al codice di procedura civile a differenza di quello che avviene in tante parti del codice.
L’istituto, per la cura che vi hanno dedicato la giurisprudenza e la dottrina e per l’elevata incidenza che ha in ogni processo amministrativo, ha una sua peculiarità che lo distingue in maniera decisa dalle misure cautelari previste negli altri processi e, in particolare, da quelle previste dal codice di procedura civile, assegnandogli una sua piena matura autonomia.
Se si passa a considerare le novità più specifiche contenute nel codice, esse riguardano: - l’eliminazione del riferimento al provvedimento amministrativo; - la individuazione di quattro tipi di provvedimenti cautelari sotto il profilo strutturale (non conta, invece, il piano funzionale, poiché la misura è atipica e si modella sul contenuto delle sentenze di merito) e la disciplina dei relativi procedimenti; - il riequilibrio del contraddittorio; - la misura cautelare anteriore alla causa; - la previsione generalizzata della condanna alle spese; - la integrazione dei casi di revoca e la sospensione della sentenza resa in secondo grado dal Consiglio di Stato.
Il codice non ha dettato alcuna disposizione per i casi non infrequenti in cui la misura cautelare “rompe” il legame di strumentalità sostanziale e strutturale con la sentenza di merito (cfr. E. FOLLIERI, in Giustizia Amministrativa a cura di F. G. Scoca, III edizione, Torino 2009 pag. 312 e ss.).

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2.A) L’eliminazione del riferimento al provvedimento amministrativo. B) I tipi ed i procedimenti delle misure cautelari.
A) L’art. 55, primo comma, del codice recita: “Se il ricorrente allegando di subire un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il collegio si pronunzia con ordinanza emessa in camera di consiglio”.
Rispetto alla previsione dell’art. 3 della L. 2 luglio 2000 n. 205, a parte marginali modifiche non rilevanti (l’aggiunta: “di subire” il pregiudizio e di “in via provvisoria” al pagamento di una somma; la sostituzione di “tribunale amministrativo regionale” con “il collegio” e la eliminazione di “sull’istanza” in “il collegio si pronuncia con ordinanza”), vi è la soppressione, dopo il riferimento al pregiudizio grave ed irreparabile, di “derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte della amministrazione”.
La modifica è intervenuta perché la giurisdizione amministrativa concerne in via generale, non più il solo atto o il comportamento inerte, ma “l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni” (art. 7, comma primo C.P.A.), per cui sarebbe stato riduttivo mantenere il contenuto della precedente disposizione, dal momento che la misura cautelare può investire qualunque aspetto della giurisdizione amministrativa.
Da altro punto di vista, la disposizione conferma una linea di fondo del codice diretta a contenere la giurisdizione sull’atto amministrativo, in precedenza aspetto dominante del processo amministrativo, come risulta, tra l’altro, oltre che dal richiamato art. 7 sulla giurisdizione amministrativa, anche dall’art. 29 che disciplina l’azione di annullamento, senza alcun riferimento all’annullamento dell’atto amministrativo.
B) Il codice individua quattro tipi di provvedimenti cautelari e cioè: l’ordinanza collegiale (art. 55 c.p.a.), il decreto monocratico in causa (art. 56 c.p.a.), il decreto monocratico anteriore alla causa (art. 61 c.p.a.) e l’ordinanza collegiale o il decreto interinale in attesa dell’integrazione del contraddittorio (art. 27, secondo comma, c.p.a.).
I primi tre tipi concludono procedimenti appositamente disciplinati dalla legge, mentre il quarto non ha un proprio procedimento. Quest’ultimo, infatti, può intervenire sia nel corso del procedimento relativo all’ordinanza collegiale che dei procedimenti riguardanti le misure monocratiche in causa ed ante causam perché, nelle more dell’integrazione del contraddittorio, evento che può determinarsi sia per le misure collegiali che per quelle monocratiche, “il giudice può pronunciare provvedimenti cautelari interinali” (art. 27, secondo comma, c.p.a.) che assumeranno la forma dell’ordinanza collegiale o del decreto monocratico, a seconda che le adotti il Collegio ovvero il Presidente (o suo delegato).
Il procedimento riguardante le misure cautelari collegiali può definirsi ordinario e necessario, sia perché la fase cautelare normalmente si svolge innanzi al Collegio, sia perché, anche quando si seguano gli altri procedimenti, la fase cautelare di primo grado si conclude, comunque, con l’ordinanza collegiale.
Infatti, i provvedimenti cautelari adottati con decreto monocratico debbono passare al vaglio del Collegio ed hanno, nella loro massima estensione, efficacia sino alla pronunzia di quest’ultimo che chiude la fase cautelare.
Dunque, l’ordinanza collegiale chiude la fase cautelare e produce effetti (salvo l’esito dell’appello avverso l’ordinanza) sino alla sentenza che definisce il ricorso, mentre i decreti monocratici hanno efficacia interinale, al massimo sino alla ordinanza collegiale che definisce la fase cautelare. Efficacia che si protrae sino alla conclusione della fase cautelare hanno anche le misure provvisorie adottate, con decreto monocratico o ordinanza collegiale, nelle more dell’integrazione del contraddittorio.
Presupposti processuali per ogni provvedimento cautelare è la verifica, anche d’ufficio, della competenza territoriale (per evitare che il ricorrente scelga il TAR ritenuto più favorevole ad accogliere la sua domanda cautelare) che, con il codice, è divenuta inderogabile e la presentazione dell’istanza di discussione, salvo che debba essere fissata d’ufficio (come dispone il sesto comma dell’art. 120 c.p.a. per le controversie relative alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture); quest’ultima, però, per la misura cautelare ante causam va, ovviamente, depositata con il successivo ricorso (art. 61, quinto comma, c.p.a.).
È forse eccessiva la previsione di due riti per i decreti monocratici: sarebbe stato sufficiente il solo decreto ante causam, semplificando così i procedimenti. Invece, la doppia previsione renderà difficile, nel concreto, apprezzarne la diversità dei presupposti dell’urgenza, indicati per il decreto monocratico in causa nella “estrema gravità di urgenza”, e, per quello anteriore alla causa, nella “eccezionale gravità ed urgenza”, anche se correlata a non consentire, nel primo caso, “neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio” (art. 56, primo comma, c.p.a.) e, nel secondo, “neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale” (art. 61, primo comma, c.p.a.) e, cioè, in sostanza, nemmeno la redazione del ricorso con l’esposizione dei fatti e l’articolazione dei motivi.

 

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3. Il riequilibrio del contraddittorio.
Nel procedimento ordinario, sulla domanda cautelare, il giudice pronunzia nella prima Camera di Consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso.
Le altre parti possono depositare memorie e documenti “fino a due giorni liberi prima della Camera di Consiglio” (art. 55, sesto comma, c.p.a.). Il termine dei due giorni liberi può essere superato per la produzione dei documenti se il Collegio “per gravi ed eccezionali ragioni” (art. 55, ottavo comma, c.p.a.) le autorizzi.
Nella Camera di Consiglio, però, è ammessa comunque la costituzione formale delle altre parti (non la memoria), pur senza il rispetto del termine dei due giorni liberi ed i difensori sono sentiti ove ne facciano richiesta.
È prassi però che il ricorrente e le altre parti siano ammesse all’illustrazione della questione in camera di consiglio, anche se non vi sia richiesta di essere sentite.
L’esame della domanda cautelare, precedentemente al codice, era fissata alla prima Camera di Consiglio utile, decorsi dieci giorni dall’ultima notifica, e le altre parti potevano costituirsi anche il giorno fissato per l’esame della misura cautelare, depositando memorie e documenti.
Era un’evidente alterazione del contraddittorio “in condizioni di parità” (art. 111 Cost.), sia per il ricorrente che si trovava in Camera di Consiglio di fronte a documenti e deduzioni su cui doveva prendere posizione all’istante e senza la possibilità di consultare la parte, a volte utile, per documenti non noti al difensore, che per le altre parti le quali avevano un termine estremamente ridotto per esporre le loro ragioni rispetto al ricorrente che aveva sessanta giorni, specie, poi, se il giudice decideva con sentenza in forma semplificata nella stessa Camera di Consiglio (Cfr. E. FOLLIERI, Il contraddittorio in condizioni di parità nel processo amministrativo in Dir. Proc. Amm. 2006, 499 e ss.).
La previsione di un margine di tempo più lungo (venti giorni) per la fissazione della Camera di Consiglio e di un termine di due giorni liberi per il deposito delle memorie e dei documenti è tesa a riequilibrare il contraddittorio tra le parti.

 

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4. L’adozione di misure cautelari con decreto monocratico in causa e anteriore alla causa ed i rimedi.
L’urgenza del provvedere può essere tale che l’interessato non può attendere la trattazione della domanda cautelare nella Camera di Consiglio utile.
Possono verificarsi casi nei quali il provvedimento del giudice deve intervenire ad horas per non frustrare la tutela.
La disciplina codicistica ha introdotto un provvedimento cautelare monocratico anteriore alla causa, accanto a quello già previsto dalla L. n. 205/00. I due procedimenti si distinguono per profili rilevanti.
Infatti, l’art. 56 del codice prevede che, in caso di “estrema” gravità ed urgenza, tale da non consentire nemmeno di attendere la dilazione fino alla data della Camera di Consiglio, il ricorrente può chiedere al Presidente del TAR o della Sezione cui il ricorso è assegnato, nello stesso ricorso o con istanza separata, di disporre misure cautelari provvisorie. È un meccanismo che, comunque, impone di redigere il ricorso, anche nel merito, nonché la notifica preventiva alle parti.
La richiesta deve contenere, dunque, anche l’esposizione del fatto e dei motivi in che si sostanzia il ricorso, con la conseguenza che il deposito in segreteria della domanda cautelare comporta anche la pendenza della lite.
Quindi, è un provvedimento adottato con causa già pendente.
Invece, l’art. 61 c.p.a. sulle misure cautelari anteriori alla causa stabilisce che il ricorrente, in caso di “eccezionale” gravità ed urgenza, tale da non consentire di predisporre il ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie ai sensi dell’art. 56 c.p.a., può presentare al Presidente del TAR competente per il giudizio, previa notifica alle altre parti, istanza per l’adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda in corso di causa. In questo caso, non occorre redigere il ricorso, con l’esposizione del fatto e dei motivi, ma un atto che focalizzi l’eccezionale gravità ed urgenza del provvedere ed eventualmente indichi sommariamente i punti salienti di illegittimità dell’azione amministrativa. Il ricorso, con la domanda cautelare, va notificato, in caso di accoglimento della istanza urgente anteriore alla causa, entro quindici giorni e depositato entro i successivi cinque giorni con l’istanza di fissazione dell’udienza; in ogni caso la misura concessa ante causam perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, restando efficaci i provvedimenti confermati o disposti in corso di causa.
Qui si è di fronte ad una misura cautelare che interviene prima di introdurre il ricorso e che richiede al ricorrente la redazione di un’istanza meno impegnativa del ricorso, così velocizzando le operazioni per accedere alla tutela cautelare.
È da sottolineare che il decreto monocratico, in tutti e due i procedimenti, richiede la preventiva notifica del ricorso e della domanda cautelare o dell’istanza alle altre parti che, a differenza di quanto stabilito nel processo civile, vengono avvertite che è stato chiesto un tale provvedimento.
Da questo punto di vista, la altera pars è posta nelle condizioni di conoscere e può farsi audire dal presidente, anche se con un contraddittorio non pieno, data la ristrettezza dei tempi.
Infatti, la necessità della preventiva notifica alle controparti della domanda cautelare volta ad ottenere le misure cautelari con decreto, consente al resistente o al controinteressato di presentare tempestivamente non solo documenti, ma anche memorie volte a contestare la sussistenza, sia della estrema od eccezionale gravità ed urgenza, sia del fumus boni iuris. Ciò spiega la ragione per cui sia l’art. 56 che l’art. 61 del codice prevedono, ove necessario, che il Presidente possa sentire le parti, senza formalità, prima di adottare il decreto.
Nell’uno e nell’altro procedimento, il Presidente, verificati la competenza per territorio e il perfezionamento per il destinatario della notifica (a meno, per quest’ultimo, che l’urgenza non lo consenta, ma è fatto salvo il potere di revoca) provvede, valutando la ricorrenza della estrema (art. 56 c.p.a.) o eccezionale (art. 61 c.p.a.) gravità ed urgenza.
Si discute se l’organo monocratico debba esaminare, anche se molto sommariamente, il fumus boni juris.
Va evidenziato che alla misura cautelare è coessenziale la valutazione del fumus boni iuris sia quando venga adottata da un organo monocratico che inaudita altera parte. E non sussiste violazione della prima regola di ogni processo e cioè il contraddittorio, espressamente richiamato nell’art. 111 Cost., perché esso viene solo differito in un momento successivo, data la “estrema gravità ed urgenza”.
La questione, però, si pone diversamente per i due tipi di decreto perché, se per quello in causa, vi è già il ricorso con l’esposizione del fatto e dei motivi, per il decreto anteriore alla causa è sufficiente un’istanza molto sommaria che potrebbe incentrarsi solo sull’eccezionale gravità ed urgenza; nel primo caso, l’organo monocratico è in grado di apprezzare i profili di illegittimità, nel secondo caso no.
La possibile soluzione potrebbe essere questa: al Presidente non è precluso prendere in esame anche il fumus boni juris, quando sia possibile, specie se si sia in presenza di azione manifestamente viziata in rito, ma indagine preponderante e, di per sé, sufficiente è la valutazione della estrema o eccezionale gravità ed urgenza.
Ed è forse per questo che, per la misura cautelare monocratica in causa, è stabilito che si provveda “con decreto motivato” (art. 56, comma secondo, c.p.a.), invece per quella ante causam, la norma prevede solo il decreto che dovrà, comunque, indicare la ricorrenza dell’eccezionale gravità ed urgenza perché, a prescindere dall’espressa previsione normativa, non è possibile sfuggire a quanto prescrive l’art. 3 del codice che impone la motivazione per “ogni provvedimento decisorio del giudice” e, soprattutto, al precetto costituzionale secondo cui “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” (art. 111, comma sesto, Cost.).
I decreti presidenziali cautelari provvisori, nella normalità dei casi, hanno un’efficacia molto limitata nel tempo perché sono destinati ad essere sostituiti dall’ordinanza del collegio.
Per il decreto in causa la Camera di Consiglio innanzi al Collegio è fissata nel decreto ed è la prima successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione; il termine di dieci giorni dal deposito qui non rileva poiché il decreto monocratico è adottato quando il ricorso è già depositato (art. 56, comma quarto, in relazione all’art. 55, comma quinto, c.p.a.). Il decreto di accoglimento è efficace sino alla Camera di Consiglio fissata, per cui “perde efficacia se il collegio non provvede sulla domanda cautelare” (art. 56, comma quarto c.p.a.) in detta Camera di Consiglio.
Il decreto cautelare ante causam di accoglimento va notificato entro il termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni, e perde comunque effetto ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare, da depositare nei successivi cinque giorni e, quindi, si seguono, per la fissazione della Camera di Consiglio, i termini del procedimento ordinario (Camera di Consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario della ultima notificazione e al decimo giorno dal deposito: art. 55, comma quinto, c.p.a.) e, comunque, perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione.
I procedimenti per i due decreti monocratici sono diversificati ma, dopo l’emanazione del decreto e, per quello ante causam, il deposito del ricorso, si incanalano in quello ordinario per concludersi con l’ordinanza collegiale.
I due decreti monocratici possono, in caso di “effetti irreversibili”, essere subordinati alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione (art. 56, comma terzo, e art. 61, comma quinto, c.p.a.).
I rimedi avverso i decreti monocratici sono previsti dal codice, a differenza della L. n. 205/00, che nulla prescriveva in ordine al decreto monocratico in causa.
I decreti monocratici non sono appellabili (art. 56, comma secondo, e art. 61, commi quarto e quinto, c.p.a.); è possibile riproporre la domanda cautelare con il procedimento ordinario in caso di rigetto del decreto ante causam (art. 61, comma quarto, c.p.a.), mentre, per quello in causa, comunque deve provvedere il Collegio secondo il procedimento ordinario; se vi è accoglimento, è possibile chiedere la revoca o la modifica dei decreti monocratici, con istanza di parte previamente notificata (art. 56, comma quarto, e art. 61, comma quinto, c.p.a.).

 

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5A). La condanna alle spese. B) Revoca.
A) Per la misura cautelare, la giurisprudenza (Cons. Stato, A. P., ord. 1.10.1994 n. 10 in Rass. Cons. Stato 1994, I, 1297) aveva ritenuto di non poter condannare alle spese che andavano liquidate con la sentenza che definisce il merito, ponendole a carico del soccombente (o compensandole), e in mancanza di una norma che lo prevedesse.
Con la novella della L. 21.7.2000 n. 205, si è, invece, stabilito che, in caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità o irricevibilità della domanda cautelare, il giudice “può provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento cautelare” (art. 21 L. n. 1034/71, come modificato dalla L. n. 205/00).
Il provvedere “in via provvisoria” e come una mera possibilità (il giudice “può”) era legato alla natura della cautela che dura sino alla decisione sul ricorso, per cui la sentenza che definisce il merito diventa assorbente e sostitutiva del provvedimento cautelare anche per le spese che il giudice deve espressamente considerare.
Ho criticato questa norma, definendola una “stonatura” (E. FOLLIERI, La fase cautelare in Giustizia amministrativa a cura di F. G. SCOCA, III ed., Torino 2009, 312 e segg., part. 335 e ss.) perché è in sintonia con il sistema la condanna alle spese di lite del soccombente nella fase cautelare, con valorizzazione, pur nella normale strumentalità della misura cautelare, dell’autonomia di questo giudizio incidentale, ma non è in linea stabilire che la condanna alle spese sia consentita, solo quando il giudice rigetti o dichiari irricevibile o inammissibile la domanda cautelare.
La disposizione scimmiotta l’art. 669 septies c.p.c. che, però, si spiega nel processo civile per i provvedimenti cautelari adottati ante causam, siccome il ricorrente potrebbe non instaurare il giudizio di merito e, invece, nel processo amministrativo, in precedenza, anche la misura cautelare monocratica era in causa e non ante causam.
Il codice del processo amministrativo (che ha introdotto anche le misure cautelari anteriori alla causa: art. 61) ha stabilito, in modo condivisibile, che “con l’ordinanza che decide sulla domanda il giudice provvede sulle spese della fase cautelare” (art. 57 c.p.a.); dunque, il giudice “provvede”, non “può provvedere”, costituendo così un suo preciso dovere regolamentare la sorte delle spese di lite della fase cautelare e indipendentemente dall’esito della domanda cautelare, sia, quindi, se la rigetti e la dichiari inammissibile o irricevibile, sia che l’accolga.
La seconda parte dell’unico comma dell’art. 57 del codice stabilisce che: “la pronunzia sulle spese conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza”.
Si ha una valorizzazione della specificità ed autonomia della fase cautelare, per cui la condanna alle spese contenuta nell’ordinanza che chiude il procedimento cautelare può rimanere a carico della parte poi vittoriosa nel merito, salvo “diversa statuizione espressa nella sentenza”.
Per le spese relative all’esecuzione delle misure cautelari si segue la stessa logica: il giudice provvede sulle spese di questa fase eventuale (che si rende necessaria in caso di mancata esecuzione anche parziale del provvedimento cautelare) e la liquidazione “prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza” (art. 59 C.P.A.).
B) La legge n. 205/2000 stabiliva la revoca o modifica solo con riferimento a “fatti sopravvenuti”. L’art. 58 del codice ha ampliato le ipotesi della revoca o modificazione e della riproposizione della domanda cautelare respinta che possono proporsi “se si verificano mutamenti nelle circostanze” o se si “allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare” ma, in tale caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza.
Ancora, la revoca è stata estesa a tutte le ipotesi previste, per la revocazione delle sentenze, dall’art. 395 c.p.c. e cioè: 1) se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato. Va, ovviamente, sostituita “sentenza”, con “ordinanza”.
La revoca va presentata allo stesso giudice che ha adottato l’ordinanza revocanda.

 

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6. Sospensione della sentenza resa in secondo grado dal Consiglio di Stato.
Avverso le sentenze rese in appello dal Consiglio di Stato è esperibile, tra l’altro, il rimedio del ricorso per Cassazione per “i soli motivi inerenti la giurisdizione” (art. 110 c.p.a.) e, quindi, la decisione del Consiglio di Stato potrebbe essere cassata ma, nelle more, potrebbero determinarsi effetti irriversibili o prodursi situazioni gravi e il codice introduce nel processo amministrativo la sospensione della sentenza contestata in Cassazione, in attesa che la Suprema Corte si pronunzi.
La disposizione (art. 111 c.p.a.), nella sua essenzialità, stabilisce: a) il presupposto nella promozione del ricorso per Cassazione; b) la proposizione della domanda cautelare su “istanza di parte”; c) la competenza che è attribuita allo stesso giudice che ha adottato la sentenza impugnata e cioè il Consiglio di Stato, come avviene nel processo civile per le sentenze oggetto di ricorso per Cassazione (art. 373 c.p.c.); d) l’accoglimento “in caso di eccezionale gravità ed urgenza”; e) i poteri cautelari, indicati nella sospensione degli effetti della sentenza impugnata in Cassazione e nelle “altre opportune misure cautelari”.
Il procedimento da seguire, la forma della istanza di parte e del provvedimento del giudice, il rispetto del contraddittorio e dove devono eseguirsi le notifiche nonché gli eventuali rimedi contro il provvedimento del giudice sono rimessi alla interpretazione e”creazione” giurisprudenziale.
Il legislatore delegato si è appagato dall’aver predisposto la sospensione della sentenza del Consiglio di Stato impugnata in Cassazione, attribuita allo stesso Consiglio di Stato, e si è dimenticato di tutto il resto, anche del solo richiamo alle altre disposizioni del codice del processo amministrativo e, in particolare, all’art. 98 che disciplina la sospensione della sentenza di primo grado.
Le regole che sono state omesse vanno ricercate in quelle dettate dal codice del processo amministrativo per le altre misure cautelari, facendo ricorso all’analogia e colmando così le lacune di disciplina e, qualora residuino ancora dei “vuoti”, sarà necessario applicare le “disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali” (art. 39 c.p.a.) e, in particolare, l’art. 373 c.p.c..
E, allora,l’istanza di parte va proposta alla Sezione del Consiglio di Stato che ha adottato la sentenza, da notificare alle altre parti presso il difensore nel domicilio eletto nel processo di secondo grado ovvero, in caso sia avvenuta la costituzione delle altre parti in Cassazione, presso il difensore (che potrebbe essere diverso) nel domicilio indicato nel controricorso; in caso le altre parti non siano costituite, né in secondo grado, né in Corte di Cassazione, la notifica va eseguita personalmente. Il ricorrente deve dimostrare la sussistenza del presupposto processuale della pendenza del ricorso per Cassazione e, quindi, depositare apposita certificazione della Cancelleria della Corte di Cassazione.
Data la natura cautelare della misura, il procedimento si svolge in Camera di Consiglio, che va fissata alla prima utile, decorsi venti giorni dal ricevimento dell’ultima notificazione e dieci giorni dal deposito (artt. 98 e 55 c.p.a.); le altre parti possono depositare documenti e memoria almeno due giorni liberi prima della Camera di Consiglio o solo atto di costituzione nello stesso giorno in cui si esamina la misura cautelare (artt. 98 e 55 c.p.a.).
Il Consiglio di Stato, sentite le parti, decide con ordinanza motivata accertando se si sia in presenza di un “caso di eccezionale gravità ed urgenza”. È espressione diversa da quella utilizzata per la sospensione della sentenza di primo grado ove si richiede che “dall’esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile” (art. 98 c.p.a.) e dal “pregiudizio grave e irreparabile” stabilito nell’art. 55 del codice, ma coincide con quella dettata per le misure cautelari anteriori alla causa: “in caso di eccezionale gravità ed urgenza” (art. 61 c.p.a.).
Si è inteso sottolineare l’eccezionalità della misura ma, a differenza del decreto monocratico ante causam, non si è relativizzato a nessun parametro la gravità ed urgenza che, per l’art. 61 c.p.a., deve essere tale “da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale” monocratico in causa.
La sospensione della sentenza è legata, in via assoluta, alla “eccezionale gravità ed urgenza”, certo funzionalizzata al tempo necessario ad ottenere la decisione della Suprema Corte di Cassazione, ma da valutare, di per sé, in relazione agli effetti della sentenza del Consiglio di Stato.
Il periculum in mora è la valutazione che la norma dispone, ma non è estranea anche la possibile considerazione del fumus boni juris che può influenzare la decisione cautelare, quando, ad esempio, il ricorso in Cassazione sia tardivo o la questione di giurisdizione sia specifica per precedenti conformi della Suprema Corte.
È da ritenere possibile anche la pronunzia con decreto cautelare monocratico ex art. 56 c.p.a., se l’eccezionale gravità ed urgenza non consenta di attendere la data della Camera di Consiglio e tale decreto avrà effetto sino alla decisione collegiale con ordinanza. Non può invocarsi, invece, l’applicazione delle misure cautelari anteriori alla causa, sia per l’espresso divieto per i giudizi di appello (ultimo comma art. 61 c.p.a.) sia perché non deve iniziarsi alcun giudizio di merito innanzi al giudice amministrativo.
L’ordinanza non è impugnabile, essendo adottata dal Consiglio di Stato e per la previsione espressa dell’art. 373 c.p.c., ma è revocabile, da parte della stessa Sezione del Consiglio di Stato, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente all’ordinanza cautelare ovvero se ricorrano i casi di cui all’art. 395 c.p.c. (art. 58 c.p.a.).

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* Relazione tenuta a L’Aquila il 30 novembre 2010 nel convegno su “Il nuovo codice del processo amministrativo”, organizzato dall’Università degli Studi de L’Aquila, dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sede di L’Aquila e dall’Ordine degli Avvocati de L’Aquila

 

 

(pubblicato il 9.12.2010)

 

 

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