SOMMARIO: 1. Profili generali. – 2.A)
L’eliminazione del riferimento al provvedimento amministrativo. B) I
tipi ed i procedimenti delle misure cautelari. – 3. Il riequilibrio
del contraddittorio. – 4. L’adozione di misure cautelari con decreto
monocratico in causa e anteriore alla causa ed i rimedi. – 5.A) La condanna alle spese. B) Revoca. – 6. La sospensione
dell’esecuzione della sentenza dal Consiglio di Stato in secondo
grado.
1. Profili generali.
Il
codice del processo amministrativo mantiene l’impianto sul contenuto
atipico delle misure cautelari introdotto dalla L. 21.7.2000 n. 205,
ma dedica ad esse diverse disposizioni, dando loro il rilievo e
l’importanza che hanno nel processo amministrativo.
Alle misure
cautelari non solo è dedicato il titolo II del libro II, articoli da
55 a 62, ma vi sono ulteriori disposizioni in altre parti del
codice. Si tratta di norme volte a stabilire: in trenta giorni il
termine finale di efficacia del provvedimento cautelare, quando
viene dichiarato il difetto di giurisdizione (art. 11, settimo
comma, C.P.A.) o di competenza territoriale (art. 15, ottavo comma,
C.P.A.) del giudice che lo ha emanato, ovvero in sessanta giorni il dies ad quem dell’efficacia della misura cautelare disposta
nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in caso di
opposizione delle altre parti alla trattazione in detta sede (art.
48, comma secondo, C.P.A.); la inderogabilità della competenza
territoriale del giudice di primo grado, anche per l’adozione delle
misure cautelari (art. 16, comma primo, C.P.A.), fissando le regole
cui deve attenersi il giudice, quando non riconosca la propria
competenza (art. 15, comma quinto, C.P.A.) e la possibile
reiterazione della domanda cautelare al TAR, indicato competente dal
TAR preventivamente adito, nelle more della definizione del
regolamento di competenza (art. 15, commi quinto e settimo, e art.
16, comma quarto, C.P.A.) e, comunque, la riproposizione
dell’istanza cautelare al giudice dichiarato competente (art. 15,
comma nono, C.P.A.); la pronunzia di “provvedimenti cautelari
interinali”, nelle more dell’integrazione del contraddittorio (art.
27, comma secondo, C.P.A.); la riduzione del termine per la
fissazione della udienza di discussione, da sessanta a
quarantacinque giorni, “su accordo delle parti”, “a seguito di
rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare” (art.
71, comma quinto, C.P.A.); la sospensione dell’esecutività della
sentenza di primo grado (art. 98 C.P.A.) e di secondo grado, ad
opera del Consiglio di Stato, in caso di ricorso per Cassazione per
motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 C.P.A.).
Ulteriori
disposizioni sono dettate per i “riti abbreviati relativi a speciali
controversie” (libro IV, titolo V, del codice) dagli articoli: 119,
terzo e quarto comma; 120, sesto e ottavo comma, e 125, secondo
comma.
Il codice, quindi, detta la disciplina centrale con gli
articoli da 55 a 62, e interviene puntualmente con specifiche
disposizioni, in diverse fasi del processo, preoccupandosi di
stabilire le regole da cui sono rette le misure cautelari.
La
misura cautelare non solo non è più un “incidente” ed una fase
parentetica, a carattere eventuale e di rara applicazione, ma è uno
snodo centrale del processo sotto due profili: a) per la celerità,
efficacia ed efficienza della misura che può intervenire a tutela
del ricorrente sia conservando inalterata la situazione in attesa
della decisione di merito, sia anticipando quest’ultima, potendo il
giudice adottare qualunque misura idonea ad assicurare
interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso; b) per
costituire l’unica possibilità d’investire il giudice della
conoscenza del ricorso prima che sia fissata l’udienza di
discussione.
Per questo ultimo aspetto, il codice non ha dato
attuazione alla delega che, nel prevedere “l’estensione delle
funzioni istruttorie esercitate in forma monocratica” (art. 44,
comma secondo, lett. a), consente la istituzione della figura di un
giudice istruttore di prima udienza che dispone l’eventuale
integrazione del contraddittorio, l’ammissione delle prove e la
fissazione dell’udienza di discussione. È probabile che la fase
cautelare verrà incontro alle esigenze sottese all’istituzione del
giudice istruttore
In sede cautelare, il giudice, su istanza di
parte, ordina l’integrazione del contraddittorio e assicura la
completezza istruttoria (art. 55, comma dodicesimo, C.P.A.),
potendo, comunque, disporre, nelle more, le misure cautelari urgenti
(art. 27, secondo comma, C.P.A.).
Il ricorrente, già prima del
codice, chiedeva la misura cautelare in quasi tutte le controversie,
anche allo scopo di ottenere una trattazione del merito a breve. Ora
è la disposizione del decimo comma dell’art. 55 c.p.a. che
incoraggia questa prassi perché stabilisce che, qualora il TAR, in
sede cautelare, ritenga che “le esigenze del ricorrente siano
apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la
sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza
collegiale la data di discussione del ricorso nel merito”; allo
stesso modo può provvedere il Consiglio di Stato, trasmettendo, in
caso di riforma dell’ordinanza di primo grado, la pronuncia al TAR
per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.
Qualora venga
disposta la misura cautelare, viene fissata la data di discussione
del ricorso nel merito; su accordo delle parti, in caso di rinuncia
alla definizione autonoma della domanda cautelare, il termine per la
fissazione dell’udienza di discussione è ridotto da sessanta a
quarantacinque giorni (art. 71, comma quinto, c.p.a.).
Insomma,
queste disposizioni fanno diventare la Camera di Consiglio per
l’esame della misura cautelare come un importante snodo per la
integrazione del contraddittorio, l’acquisizione istruttoria e la
fissazione ravvicinata dell’udienza di trattazione, rendendo, sotto
quest’ultimo aspetto, residuale la segnalazione dell’urgenza del
ricorso con l’apposita istanza di prelievo (art. 71, comma secondo,
c.p.a.) che non sempre la Segreteria porta all’attenzione del
Presidente.
La domanda di misura cautelare potrà, quindi,
supplire alla mancata istituzione della figura del giudice
istruttore, diventando una fase del processo quasi necessaria,
specie considerando che, per l’art. 60 del codice, il giudice può
definire la controversia in Camera di Consiglio con sentenza in
forma semplificata, confermando un istituto che ha avuto una
positiva applicazione. Ciò potrà comportare che la misura cautelare
si trasformi in strumento di efficace soluzione rapida e definitiva
della controversia, facendo venir meno la sua funzione ontologica
(provvedere in via interinale in attesa della definizione nel merito
della controversia), rendendo superfluo il pregiudizio grave ed
irreparabile nei casi di sentenza semplificata, assorbendo
l’ordinario giudizio di cognizione che si renderà necessario solo
per i processi particolarmente complessi.
Altra considerazione
generale è la constatazione che il codice, per la disciplina delle
misure cautelari, non opera alcun rinvio ad altre norme di legge,
né, soprattutto al codice di procedura civile a differenza di quello
che avviene in tante parti del codice.
L’istituto, per la cura
che vi hanno dedicato la giurisprudenza e la dottrina e per
l’elevata incidenza che ha in ogni processo amministrativo, ha una
sua peculiarità che lo distingue in maniera decisa dalle misure
cautelari previste negli altri processi e, in particolare, da quelle
previste dal codice di procedura civile, assegnandogli una sua piena
matura autonomia.
Se si passa a considerare le novità più
specifiche contenute nel codice, esse riguardano: - l’eliminazione
del riferimento al provvedimento amministrativo; - la individuazione
di quattro tipi di provvedimenti cautelari sotto il profilo
strutturale (non conta, invece, il piano funzionale, poiché la
misura è atipica e si modella sul contenuto delle sentenze di
merito) e la disciplina dei relativi procedimenti; - il riequilibrio
del contraddittorio; - la misura cautelare anteriore alla causa; -
la previsione generalizzata della condanna alle spese; - la
integrazione dei casi di revoca e la sospensione della sentenza resa
in secondo grado dal Consiglio di Stato.
Il codice non ha dettato
alcuna disposizione per i casi non infrequenti in cui la misura
cautelare “rompe” il legame di strumentalità sostanziale e
strutturale con la sentenza di merito (cfr. E. FOLLIERI, in Giustizia Amministrativa a cura di F. G. Scoca, III edizione,
Torino 2009 pag. 312 e ss.).
° ° ° ° ° ° ° °
2.A) L’eliminazione del riferimento al
provvedimento amministrativo. B) I tipi ed i procedimenti delle
misure cautelari.
A) L’art. 55, primo
comma, del codice recita: “Se il ricorrente allegando di subire un
pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a
giungere alla decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure
cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via
provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad
assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso,
il collegio si pronunzia con ordinanza emessa in camera di
consiglio”.
Rispetto alla previsione dell’art. 3 della L. 2
luglio 2000 n. 205, a parte marginali modifiche non rilevanti
(l’aggiunta: “di subire” il pregiudizio e di “in via provvisoria” al
pagamento di una somma; la sostituzione di “tribunale amministrativo
regionale” con “il collegio” e la eliminazione di “sull’istanza” in
“il collegio si pronuncia con ordinanza”), vi è la soppressione,
dopo il riferimento al pregiudizio grave ed irreparabile, di
“derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal
comportamento inerte della amministrazione”.
La modifica è
intervenuta perché la giurisdizione amministrativa concerne in via
generale, non più il solo atto o il comportamento inerte, ma
“l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo,
riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti
riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti
in essere da pubbliche amministrazioni” (art. 7, comma primo
C.P.A.), per cui sarebbe stato riduttivo mantenere il contenuto
della precedente disposizione, dal momento che la misura cautelare
può investire qualunque aspetto della giurisdizione
amministrativa.
Da altro punto di vista, la disposizione conferma
una linea di fondo del codice diretta a contenere la giurisdizione
sull’atto amministrativo, in precedenza aspetto dominante del
processo amministrativo, come risulta, tra l’altro, oltre che dal
richiamato art. 7 sulla giurisdizione amministrativa, anche
dall’art. 29 che disciplina l’azione di annullamento, senza alcun
riferimento all’annullamento dell’atto amministrativo.
B) Il codice individua quattro tipi di provvedimenti cautelari e cioè:
l’ordinanza collegiale (art. 55 c.p.a.), il decreto monocratico in
causa (art. 56 c.p.a.), il decreto monocratico anteriore alla causa
(art. 61 c.p.a.) e l’ordinanza collegiale o il decreto interinale in
attesa dell’integrazione del contraddittorio (art. 27, secondo
comma, c.p.a.).
I primi tre tipi concludono procedimenti
appositamente disciplinati dalla legge, mentre il quarto non ha un
proprio procedimento. Quest’ultimo, infatti, può intervenire sia nel
corso del procedimento relativo all’ordinanza collegiale che dei
procedimenti riguardanti le misure monocratiche in causa ed ante
causam perché, nelle more dell’integrazione del contraddittorio,
evento che può determinarsi sia per le misure collegiali che per
quelle monocratiche, “il giudice può pronunciare provvedimenti
cautelari interinali” (art. 27, secondo comma, c.p.a.) che
assumeranno la forma dell’ordinanza collegiale o del decreto
monocratico, a seconda che le adotti il Collegio ovvero il
Presidente (o suo delegato).
Il procedimento riguardante le
misure cautelari collegiali può definirsi ordinario e necessario,
sia perché la fase cautelare normalmente si svolge innanzi al
Collegio, sia perché, anche quando si seguano gli altri
procedimenti, la fase cautelare di primo grado si conclude,
comunque, con l’ordinanza collegiale.
Infatti, i provvedimenti
cautelari adottati con decreto monocratico debbono passare al vaglio
del Collegio ed hanno, nella loro massima estensione, efficacia sino
alla pronunzia di quest’ultimo che chiude la fase
cautelare.
Dunque, l’ordinanza collegiale chiude la fase
cautelare e produce effetti (salvo l’esito dell’appello avverso
l’ordinanza) sino alla sentenza che definisce il ricorso, mentre i
decreti monocratici hanno efficacia interinale, al massimo sino alla
ordinanza collegiale che definisce la fase cautelare. Efficacia che
si protrae sino alla conclusione della fase cautelare hanno anche le
misure provvisorie adottate, con decreto monocratico o ordinanza
collegiale, nelle more dell’integrazione del
contraddittorio.
Presupposti processuali per ogni provvedimento
cautelare è la verifica, anche d’ufficio, della competenza
territoriale (per evitare che il ricorrente scelga il TAR ritenuto
più favorevole ad accogliere la sua domanda cautelare) che, con il
codice, è divenuta inderogabile e la presentazione dell’istanza di
discussione, salvo che debba essere fissata d’ufficio (come dispone
il sesto comma dell’art. 120 c.p.a. per le controversie relative
alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e
forniture); quest’ultima, però, per la misura cautelare ante
causam va, ovviamente, depositata con il successivo ricorso
(art. 61, quinto comma, c.p.a.).
È forse eccessiva la previsione
di due riti per i decreti monocratici: sarebbe stato sufficiente il
solo decreto ante causam, semplificando così i procedimenti.
Invece, la doppia previsione renderà difficile, nel concreto,
apprezzarne la diversità dei presupposti dell’urgenza, indicati per
il decreto monocratico in causa nella “estrema gravità di urgenza”,
e, per quello anteriore alla causa, nella “eccezionale gravità ed
urgenza”, anche se correlata a non consentire, nel primo caso,
“neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio”
(art. 56, primo comma, c.p.a.) e, nel secondo, “neppure la previa
notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari
provvisorie con decreto presidenziale” (art. 61, primo comma,
c.p.a.) e, cioè, in sostanza, nemmeno la redazione del ricorso con
l’esposizione dei fatti e l’articolazione dei motivi.
° ° ° ° ° ° ° °
3. Il riequilibrio del
contraddittorio.
Nel procedimento ordinario, sulla
domanda cautelare, il giudice pronunzia nella prima Camera di
Consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche
per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo
giorno dal deposito del ricorso.
Le altre parti possono
depositare memorie e documenti “fino a due giorni liberi prima della
Camera di Consiglio” (art. 55, sesto comma, c.p.a.). Il termine dei
due giorni liberi può essere superato per la produzione dei
documenti se il Collegio “per gravi ed eccezionali ragioni” (art.
55, ottavo comma, c.p.a.) le autorizzi.
Nella Camera di
Consiglio, però, è ammessa comunque la costituzione formale delle
altre parti (non la memoria), pur senza il rispetto del termine dei
due giorni liberi ed i difensori sono sentiti ove ne facciano
richiesta.
È prassi però che il ricorrente e le altre parti siano
ammesse all’illustrazione della questione in camera di consiglio,
anche se non vi sia richiesta di essere sentite.
L’esame della
domanda cautelare, precedentemente al codice, era fissata alla prima
Camera di Consiglio utile, decorsi dieci giorni dall’ultima
notifica, e le altre parti potevano costituirsi anche il giorno
fissato per l’esame della misura cautelare, depositando memorie e
documenti.
Era un’evidente alterazione del contraddittorio “in
condizioni di parità” (art. 111 Cost.), sia per il ricorrente che si
trovava in Camera di Consiglio di fronte a documenti e deduzioni su
cui doveva prendere posizione all’istante e senza la possibilità di
consultare la parte, a volte utile, per documenti non noti al
difensore, che per le altre parti le quali avevano un termine
estremamente ridotto per esporre le loro ragioni rispetto al
ricorrente che aveva sessanta giorni, specie, poi, se il giudice
decideva con sentenza in forma semplificata nella stessa Camera di
Consiglio (Cfr. E. FOLLIERI, Il contraddittorio in condizioni di
parità nel processo amministrativo in Dir. Proc. Amm. 2006, 499 e ss.).
La previsione di un margine di tempo più lungo
(venti giorni) per la fissazione della Camera di Consiglio e di un
termine di due giorni liberi per il deposito delle memorie e dei
documenti è tesa a riequilibrare il contraddittorio tra le
parti.
° ° ° ° ° ° ° °
4. L’adozione di misure cautelari con
decreto monocratico in causa e anteriore alla causa ed i
rimedi.
L’urgenza del provvedere può essere
tale che l’interessato non può attendere la trattazione della
domanda cautelare nella Camera di Consiglio utile.
Possono
verificarsi casi nei quali il provvedimento del giudice deve
intervenire ad horas per non frustrare la tutela.
La
disciplina codicistica ha introdotto un provvedimento cautelare
monocratico anteriore alla causa, accanto a quello già previsto
dalla L. n. 205/00. I due procedimenti si distinguono per profili
rilevanti.
Infatti, l’art. 56 del codice prevede che, in caso di
“estrema” gravità ed urgenza, tale da non consentire nemmeno di
attendere la dilazione fino alla data della Camera di Consiglio, il
ricorrente può chiedere al Presidente del TAR o della Sezione cui il
ricorso è assegnato, nello stesso ricorso o con istanza separata, di
disporre misure cautelari provvisorie. È un meccanismo che,
comunque, impone di redigere il ricorso, anche nel merito, nonché la
notifica preventiva alle parti.
La richiesta deve contenere,
dunque, anche l’esposizione del fatto e dei motivi in che si
sostanzia il ricorso, con la conseguenza che il deposito in
segreteria della domanda cautelare comporta anche la pendenza della
lite.
Quindi, è un provvedimento adottato con causa già
pendente.
Invece, l’art. 61 c.p.a. sulle misure cautelari
anteriori alla causa stabilisce che il ricorrente, in caso di
“eccezionale” gravità ed urgenza, tale da non consentire di
predisporre il ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie
ai sensi dell’art. 56 c.p.a., può presentare al Presidente del TAR
competente per il giudizio, previa notifica alle altre parti,
istanza per l’adozione delle misure interinali e provvisorie che
appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la
proposizione del ricorso di merito e della domanda in corso di
causa. In questo caso, non occorre redigere il ricorso, con
l’esposizione del fatto e dei motivi, ma un atto che focalizzi
l’eccezionale gravità ed urgenza del provvedere ed eventualmente
indichi sommariamente i punti salienti di illegittimità dell’azione
amministrativa. Il ricorso, con la domanda cautelare, va notificato,
in caso di accoglimento della istanza urgente anteriore alla causa,
entro quindici giorni e depositato entro i successivi cinque giorni
con l’istanza di fissazione dell’udienza; in ogni caso la misura
concessa ante causam perde effetto con il decorso di sessanta
giorni dalla sua emissione, restando efficaci i provvedimenti
confermati o disposti in corso di causa.
Qui si è di fronte ad
una misura cautelare che interviene prima di introdurre il ricorso e
che richiede al ricorrente la redazione di un’istanza meno
impegnativa del ricorso, così velocizzando le operazioni per
accedere alla tutela cautelare.
È da sottolineare che il decreto
monocratico, in tutti e due i procedimenti, richiede la preventiva
notifica del ricorso e della domanda cautelare o dell’istanza alle
altre parti che, a differenza di quanto stabilito nel processo
civile, vengono avvertite che è stato chiesto un tale
provvedimento.
Da questo punto di vista, la altera pars è
posta nelle condizioni di conoscere e può farsi audire dal
presidente, anche se con un contraddittorio non pieno, data la
ristrettezza dei tempi.
Infatti, la necessità della preventiva
notifica alle controparti della domanda cautelare volta ad ottenere
le misure cautelari con decreto, consente al resistente o al
controinteressato di presentare tempestivamente non solo documenti,
ma anche memorie volte a contestare la sussistenza, sia della
estrema od eccezionale gravità ed urgenza, sia del fumus boni
iuris. Ciò spiega la ragione per cui sia l’art. 56 che l’art. 61
del codice prevedono, ove necessario, che il Presidente possa
sentire le parti, senza formalità, prima di adottare il
decreto.
Nell’uno e nell’altro procedimento, il Presidente,
verificati la competenza per territorio e il perfezionamento per il
destinatario della notifica (a meno, per quest’ultimo, che l’urgenza
non lo consenta, ma è fatto salvo il potere di revoca) provvede,
valutando la ricorrenza della estrema (art. 56 c.p.a.) o eccezionale
(art. 61 c.p.a.) gravità ed urgenza.
Si discute se l’organo
monocratico debba esaminare, anche se molto sommariamente, il fumus boni juris.
Va evidenziato che alla misura cautelare
è coessenziale la valutazione del fumus boni iuris sia quando venga adottata da un organo monocratico che inaudita altera parte. E non sussiste violazione della prima
regola di ogni processo e cioè il contraddittorio, espressamente
richiamato nell’art. 111 Cost., perché esso viene solo differito in
un momento successivo, data la “estrema gravità ed urgenza”.
La
questione, però, si pone diversamente per i due tipi di decreto
perché, se per quello in causa, vi è già il ricorso con
l’esposizione del fatto e dei motivi, per il decreto anteriore alla
causa è sufficiente un’istanza molto sommaria che potrebbe
incentrarsi solo sull’eccezionale gravità ed urgenza; nel primo
caso, l’organo monocratico è in grado di apprezzare i profili di
illegittimità, nel secondo caso no.
La possibile soluzione
potrebbe essere questa: al Presidente non è precluso prendere in
esame anche il fumus boni juris, quando sia possibile, specie
se si sia in presenza di azione manifestamente viziata in rito, ma
indagine preponderante e, di per sé, sufficiente è la valutazione
della estrema o eccezionale gravità ed urgenza.
Ed è forse per
questo che, per la misura cautelare monocratica in causa, è
stabilito che si provveda “con decreto motivato” (art. 56, comma
secondo, c.p.a.), invece per quella ante causam, la norma
prevede solo il decreto che dovrà, comunque, indicare la ricorrenza
dell’eccezionale gravità ed urgenza perché, a prescindere
dall’espressa previsione normativa, non è possibile sfuggire a
quanto prescrive l’art. 3 del codice che impone la motivazione per
“ogni provvedimento decisorio del giudice” e, soprattutto, al
precetto costituzionale secondo cui “tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati” (art. 111, comma sesto,
Cost.).
I decreti presidenziali cautelari provvisori, nella
normalità dei casi, hanno un’efficacia molto limitata nel tempo
perché sono destinati ad essere sostituiti dall’ordinanza del
collegio.
Per il decreto in causa la Camera di Consiglio innanzi
al Collegio è fissata nel decreto ed è la prima successiva al
ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario,
dell’ultima notificazione; il termine di dieci giorni dal deposito
qui non rileva poiché il decreto monocratico è adottato quando il
ricorso è già depositato (art. 56, comma quarto, in relazione
all’art. 55, comma quinto, c.p.a.). Il decreto di accoglimento è
efficace sino alla Camera di Consiglio fissata, per cui “perde
efficacia se il collegio non provvede sulla domanda cautelare” (art.
56, comma quarto c.p.a.) in detta Camera di Consiglio.
Il decreto
cautelare ante causam di accoglimento va notificato entro il
termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque
giorni, e perde comunque effetto ove entro quindici giorni dalla sua
emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare,
da depositare nei successivi cinque giorni e, quindi, si seguono,
per la fissazione della Camera di Consiglio, i termini del
procedimento ordinario (Camera di Consiglio successiva al ventesimo
giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario della ultima
notificazione e al decimo giorno dal deposito: art. 55, comma
quinto, c.p.a.) e, comunque, perde effetto con il decorso di
sessanta giorni dalla sua emissione.
I procedimenti per i due
decreti monocratici sono diversificati ma, dopo l’emanazione del
decreto e, per quello ante causam, il deposito del ricorso,
si incanalano in quello ordinario per concludersi con l’ordinanza
collegiale.
I due decreti monocratici possono, in caso di
“effetti irreversibili”, essere subordinati alla prestazione di una
cauzione, anche mediante fideiussione (art. 56, comma terzo, e art.
61, comma quinto, c.p.a.).
I rimedi avverso i decreti monocratici
sono previsti dal codice, a differenza della L. n. 205/00, che nulla
prescriveva in ordine al decreto monocratico in causa.
I decreti
monocratici non sono appellabili (art. 56, comma secondo, e art. 61,
commi quarto e quinto, c.p.a.); è possibile riproporre la domanda
cautelare con il procedimento ordinario in caso di rigetto del
decreto ante causam (art. 61, comma quarto, c.p.a.), mentre,
per quello in causa, comunque deve provvedere il Collegio
secondo il procedimento ordinario; se vi è accoglimento, è possibile
chiedere la revoca o la modifica dei decreti monocratici, con
istanza di parte previamente notificata (art. 56, comma quarto, e
art. 61, comma quinto, c.p.a.).
° ° ° ° ° ° ° °
5A). La condanna alle spese. B)
Revoca.
A) Per la misura cautelare, la
giurisprudenza (Cons. Stato, A. P., ord. 1.10.1994 n. 10 in Rass.
Cons. Stato 1994, I, 1297) aveva ritenuto di non poter
condannare alle spese che andavano liquidate con la sentenza che
definisce il merito, ponendole a carico del soccombente (o
compensandole), e in mancanza di una norma che lo prevedesse.
Con
la novella della L. 21.7.2000 n. 205, si è, invece, stabilito che,
in caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità o
irricevibilità della domanda cautelare, il giudice “può provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento
cautelare” (art. 21 L. n. 1034/71, come modificato dalla L. n.
205/00).
Il provvedere “in via provvisoria” e come una mera
possibilità (il giudice “può”) era legato alla natura della cautela
che dura sino alla decisione sul ricorso, per cui la sentenza che
definisce il merito diventa assorbente e sostitutiva del
provvedimento cautelare anche per le spese che il giudice deve
espressamente considerare.
Ho criticato questa norma, definendola
una “stonatura” (E. FOLLIERI, La fase cautelare in Giustizia amministrativa a cura di F. G. SCOCA, III ed.,
Torino 2009, 312 e segg., part. 335 e ss.) perché è in sintonia con
il sistema la condanna alle spese di lite del soccombente nella fase
cautelare, con valorizzazione, pur nella normale strumentalità della
misura cautelare, dell’autonomia di questo giudizio incidentale, ma
non è in linea stabilire che la condanna alle spese sia consentita,
solo quando il giudice rigetti o dichiari irricevibile o
inammissibile la domanda cautelare.
La disposizione scimmiotta
l’art. 669 septies c.p.c. che, però, si spiega nel processo
civile per i provvedimenti cautelari adottati ante causam,
siccome il ricorrente potrebbe non instaurare il giudizio di merito
e, invece, nel processo amministrativo, in precedenza, anche la
misura cautelare monocratica era in causa e non ante
causam.
Il codice del processo amministrativo (che ha
introdotto anche le misure cautelari anteriori alla causa: art. 61)
ha stabilito, in modo condivisibile, che “con l’ordinanza che decide
sulla domanda il giudice provvede sulle spese della fase cautelare”
(art. 57 c.p.a.); dunque, il giudice “provvede”, non “può
provvedere”, costituendo così un suo preciso dovere regolamentare la
sorte delle spese di lite della fase cautelare e indipendentemente
dall’esito della domanda cautelare, sia, quindi, se la rigetti e la
dichiari inammissibile o irricevibile, sia che l’accolga.
La
seconda parte dell’unico comma dell’art. 57 del codice stabilisce
che: “la pronunzia sulle spese conserva efficacia anche dopo la
sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione
espressa nella sentenza”.
Si ha una valorizzazione della
specificità ed autonomia della fase cautelare, per cui la condanna
alle spese contenuta nell’ordinanza che chiude il procedimento
cautelare può rimanere a carico della parte poi vittoriosa nel
merito, salvo “diversa statuizione espressa nella sentenza”.
Per
le spese relative all’esecuzione delle misure cautelari si segue la
stessa logica: il giudice provvede sulle spese di questa fase
eventuale (che si rende necessaria in caso di mancata esecuzione
anche parziale del provvedimento cautelare) e la liquidazione
“prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo
diversa statuizione espressa nella sentenza” (art. 59
C.P.A.).
B) La legge n. 205/2000 stabiliva la revoca o
modifica solo con riferimento a “fatti sopravvenuti”. L’art. 58 del
codice ha ampliato le ipotesi della revoca o modificazione e della
riproposizione della domanda cautelare respinta che possono proporsi
“se si verificano mutamenti nelle circostanze” o se si “allegano
fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al
provvedimento cautelare” ma, in tale caso, l’istante deve fornire la
prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza.
Ancora, la
revoca è stata estesa a tutte le ipotesi previste, per la
revocazione delle sentenze, dall’art. 395 c.p.c. e cioè: 1) se sono
l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2) se si
è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false
dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere
state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3) se
dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che
la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza
maggiore o per fatto dell’avversario; 4) se la sentenza è l’effetto
di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.
Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione
di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure
quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è
positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se
il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza
ebbe a pronunciare; 5) se la sentenza è contraria ad altra
precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché
non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6) se la sentenza è
effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in
giudicato. Va, ovviamente, sostituita “sentenza”, con
“ordinanza”.
La revoca va presentata allo stesso giudice che ha
adottato l’ordinanza revocanda.
° ° ° ° ° ° ° °
6. Sospensione della sentenza resa in
secondo grado dal Consiglio di Stato.
Avverso le
sentenze rese in appello dal Consiglio di Stato è esperibile, tra
l’altro, il rimedio del ricorso per Cassazione per “i soli motivi
inerenti la giurisdizione” (art. 110 c.p.a.) e, quindi, la decisione
del Consiglio di Stato potrebbe essere cassata ma, nelle more,
potrebbero determinarsi effetti irriversibili o prodursi situazioni
gravi e il codice introduce nel processo amministrativo la
sospensione della sentenza contestata in Cassazione, in attesa che
la Suprema Corte si pronunzi.
La disposizione (art. 111 c.p.a.),
nella sua essenzialità, stabilisce: a) il presupposto nella
promozione del ricorso per Cassazione; b) la proposizione della
domanda cautelare su “istanza di parte”; c) la competenza che è
attribuita allo stesso giudice che ha adottato la sentenza impugnata
e cioè il Consiglio di Stato, come avviene nel processo civile per
le sentenze oggetto di ricorso per Cassazione (art. 373 c.p.c.); d)
l’accoglimento “in caso di eccezionale gravità ed urgenza”; e) i
poteri cautelari, indicati nella sospensione degli effetti della
sentenza impugnata in Cassazione e nelle “altre opportune misure
cautelari”.
Il procedimento da seguire, la forma della istanza di
parte e del provvedimento del giudice, il rispetto del
contraddittorio e dove devono eseguirsi le notifiche nonché gli
eventuali rimedi contro il provvedimento del giudice sono rimessi
alla interpretazione e”creazione” giurisprudenziale.
Il
legislatore delegato si è appagato dall’aver predisposto la
sospensione della sentenza del Consiglio di Stato impugnata in
Cassazione, attribuita allo stesso Consiglio di Stato, e si è
dimenticato di tutto il resto, anche del solo richiamo alle altre
disposizioni del codice del processo amministrativo e, in
particolare, all’art. 98 che disciplina la sospensione della
sentenza di primo grado.
Le regole che sono state omesse vanno
ricercate in quelle dettate dal codice del processo amministrativo
per le altre misure cautelari, facendo ricorso all’analogia e
colmando così le lacune di disciplina e, qualora residuino ancora
dei “vuoti”, sarà necessario applicare le “disposizioni del codice
di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi
generali” (art. 39 c.p.a.) e, in particolare, l’art. 373
c.p.c..
E, allora,l’istanza di parte va proposta alla Sezione del
Consiglio di Stato che ha adottato la sentenza, da notificare alle
altre parti presso il difensore nel domicilio eletto nel processo di
secondo grado ovvero, in caso sia avvenuta la costituzione delle
altre parti in Cassazione, presso il difensore (che potrebbe essere
diverso) nel domicilio indicato nel controricorso; in caso le altre
parti non siano costituite, né in secondo grado, né in Corte di
Cassazione, la notifica va eseguita personalmente. Il ricorrente
deve dimostrare la sussistenza del presupposto processuale della
pendenza del ricorso per Cassazione e, quindi, depositare apposita
certificazione della Cancelleria della Corte di Cassazione.
Data
la natura cautelare della misura, il procedimento si svolge in
Camera di Consiglio, che va fissata alla prima utile, decorsi venti
giorni dal ricevimento dell’ultima notificazione e dieci giorni dal
deposito (artt. 98 e 55 c.p.a.); le altre parti possono depositare
documenti e memoria almeno due giorni liberi prima della Camera di
Consiglio o solo atto di costituzione nello stesso giorno in cui si
esamina la misura cautelare (artt. 98 e 55 c.p.a.).
Il Consiglio
di Stato, sentite le parti, decide con ordinanza motivata accertando
se si sia in presenza di un “caso di eccezionale gravità ed
urgenza”. È espressione diversa da quella utilizzata per la
sospensione della sentenza di primo grado ove si richiede che
“dall’esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile”
(art. 98 c.p.a.) e dal “pregiudizio grave e irreparabile” stabilito
nell’art. 55 del codice, ma coincide con quella dettata per le
misure cautelari anteriori alla causa: “in caso di eccezionale
gravità ed urgenza” (art. 61 c.p.a.).
Si è inteso sottolineare
l’eccezionalità della misura ma, a differenza del decreto
monocratico ante causam, non si è relativizzato a nessun
parametro la gravità ed urgenza che, per l’art. 61 c.p.a., deve
essere tale “da non consentire neppure la previa notificazione del
ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto
presidenziale” monocratico in causa.
La sospensione della
sentenza è legata, in via assoluta, alla “eccezionale gravità ed
urgenza”, certo funzionalizzata al tempo necessario ad ottenere la
decisione della Suprema Corte di Cassazione, ma da valutare, di per
sé, in relazione agli effetti della sentenza del Consiglio di
Stato.
Il periculum in mora è la valutazione che la norma
dispone, ma non è estranea anche la possibile considerazione del fumus boni juris che può influenzare la decisione cautelare,
quando, ad esempio, il ricorso in Cassazione sia tardivo o la
questione di giurisdizione sia specifica per precedenti conformi
della Suprema Corte.
È da ritenere possibile anche la pronunzia
con decreto cautelare monocratico ex art. 56 c.p.a., se
l’eccezionale gravità ed urgenza non consenta di attendere la data
della Camera di Consiglio e tale decreto avrà effetto sino alla
decisione collegiale con ordinanza. Non può invocarsi, invece,
l’applicazione delle misure cautelari anteriori alla causa, sia per
l’espresso divieto per i giudizi di appello (ultimo comma art. 61
c.p.a.) sia perché non deve iniziarsi alcun giudizio di merito
innanzi al giudice amministrativo.
L’ordinanza non è impugnabile,
essendo adottata dal Consiglio di Stato e per la previsione espressa
dell’art. 373 c.p.c., ma è revocabile, da parte della stessa Sezione
del Consiglio di Stato, se si verificano mutamenti nelle circostanze
o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza
successivamente all’ordinanza cautelare ovvero se ricorrano i casi
di cui all’art. 395 c.p.c. (art. 58
c.p.a.).
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* Relazione tenuta a L’Aquila il
30 novembre 2010 nel convegno su “Il nuovo codice del processo
amministrativo”, organizzato dall’Università degli Studi de
L’Aquila, dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sede
di L’Aquila e dall’Ordine degli Avvocati de L’Aquila