CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE VI - Sentenza 15 giugno 2010 n. 3760
Pres. Barbagallo Est. De Nictolis
A.M. (Avv. Napoli) C/ Ministero dell’ Interno (Avv. Stato) |
1. Stranieri- Permesso di soggiorno- Diniego o revoca- Presupposti-Vincoli familiari- Considerazione- Obbligo
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2. Stranieri- Diritto comunitario- CEDU –Rilevanza nel diritto interno- Interpretazione conforme-Ove impossibile- Rinvio Corte Costituzionale
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3. Stranieri- Permesso di soggiorno- Sanatoria- Procedimento in autotutela -Cause ostative - Discrezionalità-Vincoli familiari- Sopravvenienza di nuove circostanze - Considerazioni
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1. Anche al di fuori dei presupposti per l’esercizio del ricongiungimento familiare, occorre tener conto, in sede di diniego o revoca del permesso di soggiorno, dei vincoli familiari dello straniero in Italia.
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2. La Convenzione europea sui diritti dell'uomo ha una diretta rilevanza nell'ordinamento interno poiché, ai sensi dell’art. 117, co.1, Cost., le leggi devono rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Ne consegue che, al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle fonti normative. Qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli dovrà investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, co. 1.
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3. In sede di rilascio del permesso di soggiorno nell’ambito del procedimento di sanatoria, occorre rigidamente applicare le cause ostative di cui all’art.33,co.7. Infatti se dopo il rilascio del permesso di soggiorno emergono vizi di legittimità del provvedimento stesso e segnatamente cause ostative, in precedenza non rilevate, si può intervenire in autotutela. Mentre il procedimento di rilascio del permesso ha carattere vincolato, il procedimento di autotutela ha carattere discrezionale, pertanto le cause ostative di cui all’art. 33,co.7, non sono assolutamente vincolanti dovendosi tener conto del disposto dell’art.5,co.5, d.lgs. n. 286/1998 e cioè il vincolo familiare e la sopravvenienza di nuove circostanze che consentono il rilascio del permesso.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
ex artt. 21 e 26, l. n. 1034/1971, sul ricorso numero di registro generale 3106 del 2010, proposto da
Agnese Mustafa, rappresentata e difesa dagli avvocati Salvatore A. Napoli e Luigi D'Aniello, con domicilio eletto presso Salvatore A. Napoli in Roma, via C. Morin, n. 1;
contro
Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I-ter n. 13841/2009, resa tra le parti, concernente DINIEGO DI RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2010 il consigliere Rosanna De Nictolis e udito l’avvocato Napoli;
Avvisata la parte presente ai sensi dell'art. 21, co. 10, l. n. 1034/1971;
Ritenuto quanto segue.
1. L’appello può essere deciso con sentenza in forma semplificata, atteso che il contraddittorio è integro, sono stati rispettati i termini a difesa della fase cautelare e l’istruttoria è completa.
2. L’appello è da accogliere.
2.1. La ricorrente, cittadina albanese, ha ottenuto il 2 maggio 2003 permesso di soggiorno in sede di emersione di lavoro irregolare, ai sensi dell’art. 33, l. n. 189/2002, che riguarda la regolarizzazione di cittadini extracomunitari assunti per lavoro domestico o assistenza alla persona in ambito familiare.
In occasione della regolarizzazione non veniva sottoposta a rilievi fotodattiloscopici, in applicazione dell’art. 3, co. 3, l. n. 222/2002 che consente di sottoporre a tali rilievi entro un anno dalla data di rilascio del permesso di soggiorno e comunque in sede di rinnovo dello stesso.
2.2. In data 30 giugno 2004 ha presentato istanza di rinnovo e tale istanza è stata negata con decreto della Questura di Roma 12 gennaio 2005.
Il diniego si basa sulla circostanza che in occasione del rinnovo del permesso la ricorrente è stata sottoposta a rilievi fotodattiloscopici e che a seguito di un confronto fotodattiloscopico è risultato che la richiedente, in passato, con diverse generalità era stata destinataria di decreto di espulsione in data 1° settembre 2000, e in data 8 settembre 2000 veniva espulsa con accompagnamento coattivo alla frontiera; di qui il diniego di rinnovo, atteso che ai sensi dell’art. 33, co. 7, lett. a), l. n. 189/2002, non è consentita la regolarizzazione degli extracomunitari “nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, salvo che sussistano le condizioni per la revoca del provvedimento in presenza di circostanze obiettive riguardanti l'inserimento sociale. La revoca (…) non può essere in ogni caso disposta nell'ipotesi in cui il lavoratore extracomunitario (…) risulti destinatario di un provvedimento di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”.
2.3. L’Amministrazione sostiene, dunque, che in presenza di un pregresso provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, non può procedersi alla revoca del provvedimento di espulsione in considerazione del sopravvenuto inserimento sociale dello straniero, e pertanto il diniego di permesso di soggiorno costituisce un atto vincolato.
2.4. Parte ricorrente lamenta che:
a) l’espulsione con accompagnamento alla frontiera non è avvenuta per motivi di ordine o sicurezza pubblica, per cui non era ostativa del rilascio del permesso;
b) ella è perfettamente inserita in Italia avendo sposato un cittadino italiano e svolgendo lavoro domestico in virtù di regolare contratto;
c) delle sopravvenienze era doveroso tener conto.
3. Nel sistema normativo vigente prima della l. n. 189/2002 la modalità abitualmente seguita per l'esecuzione dell'espulsione dal territorio dello Stato non era l'accompagnamento alla frontiera, bensì l'intimazione ad uscirne nel termine stabilito (art. 13, co. 6, d.lgs. n. 286/1998). L'accompagnamento alla frontiera era previsto per chi fosse stato espulso dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o appartenesse a categorie soggette a misure di prevenzione, ed anche per chi non avesse ottemperato all'ordine di lasciare il territorio italiano nel termine stabilito, o vi fosse entrato sottraendosi ai controlli di frontiera, qualora fosse privo di documento d'identità e il prefetto ravvisasse il pericolo di sottrazione alla misura.
La questione di costituzionalità dell’art. 1, co. 8, lett. a), d.l. n. 195/2002 conv. in l. n. 222/2002, che, analogamente all’art. 33, co. 7, lett. a), l. n. 189/2002, non consente la regolarizzazione degli stranieri già destinatari di un provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera, è stata già sollevata e respinta proprio in relazione al profilo lamentato dall’odierna ricorrente, dell’indiscriminato accomunamento di tutti i casi di accompagnamento coattivo alla frontiera.
Ha osservato la Corte costituzionale (26 maggio 2006 n. 206), che nel sistema normativo anteriore al 2002 l'accompagnamento alla frontiera non era correlato a lievi irregolarità amministrative ma alla situazione di coloro che avessero già dimostrato la pervicace volontà di rimanere in Italia in una posizione di irregolarità tale da sottrarli ad ogni normale controllo o di coloro che tale volontà lasciassero presumere all'esito di una valutazione dei singoli casi condotta sulla base di specifici elementi (sottrazione ai controlli di frontiera e mancanza di un documento d'identità).
Secondo la Corte la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione. E tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un'ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli.
Alla stregua di tali principi, secondo la Corte la scelta del legislatore di escludere la legalizzazione dei rapporti di lavoro dei cittadini extracomunitari colpiti da provvedimenti di espulsione con accompagnamento alla frontiera non è manifestamente irragionevole e la disposizione censurata, tenuto conto del complesso degli interessi da tutelare, non incorre nel vizio del trattamento normativo eguale per situazioni sostanzialmente difformi.
4. Da quanto esposto consegue che in sede di regolarizzazione ai sensi del citato art. 33, l. n. 189/2002, non è possibile rilasciare il permesso di soggiorno a stranieri destinatari di un decreto di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera, adottato ai sensi della legislazione anteriore al 2002, come nel caso di specie.
5. Il caso di specie non è tuttavia esattamente inquadrabile nell’archetipo normativo, in quanto il permesso di soggiorno a seguito di domanda di regolarizzazione è stato rilasciato, nel 2003, non essendo emersa, in quella sede, la circostanza che la straniera era destinataria di provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera.
Tale circostanza è emersa solo in sede di rinnovo del permesso di soggiorno, che è stato per l’effetto negato.
6. Si pone allora la questione, sottoposta con i motivi del ricorso di primo grado e di appello, se, dopo un primo rilascio del permesso di soggiorno con procedura di “sanatoria”, in sede di rinnovo, il diniego di rinnovo fosse un atto dovuto, in applicazione del citato art. 33, co. 7, lett. a), l. n. 189/2002, o invece si dovesse tener conto delle circostanze sopravvenute.
Ad avviso del Collegio il provvedimento impugnato, pur avendo la forma di un diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ha in realtà un duplice contenuto: costituisce in primis una revoca implicita in autotutela dell’originario permesso di soggiorno, rispetto al quale è consequenziale il divieto di rinnovo del permesso.
Infatti la circostanza di fatto che nel 2000 la straniera è stata destinataria di un decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera, era in astratto già valutabile nel 2003, e costituiva una causa ostativa della regolarizzazione; quindi la sua mancata considerazione si traduce in un vizio di legittimità del permesso di soggiorno rilasciato nel 2003, che giustificava un provvedimento in autotutela (revoca).
7. Occorre allora chiedersi quali sono i presupposti normativi per l’esercizio dell’autotutela nei confronti dei permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini extracomunitari.
L’art. 5, co. 5, d.lgs. n. 286/1998, contempla la “revoca” doverosa del permesso di soggiorno, se sono ab origine mancanti i presupposti per la sua adozione.
La norma è dettata per il permesso di soggiorno ordinario, ma è senz’altro estensibile a quello rilasciato in sede di “sanatoria”.
Secondo tale previsione il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.
I provvedimenti di autotutela hanno pertanto presupposti in parte differenti rispetto ai provvedimenti che sono oggetto dell’autotutela, in quanto per procedersi in autotutela occorre tener conto della sopravvenienza di nuovi elementi, ovvero dei vincoli familiari.
In sintesi:
a) in sede di rilascio del permesso di soggiorno nell’ambito del procedimento di sanatoria, occorre rigidamente applicare le cause ostative di cui al citato art. 33, co. 7;
b) se dopo il rilascio del permesso di soggiorno emergono vizi di legittimità del provvedimento stesso, e segnatamente cause ostative in precedenza non rilevate, si può intervenire in autotutela;
c) mentre il procedimento di rilascio del permesso ha carattere vincolato, il procedimento di autotutela ha carattere discrezionale, e le cause ostative di cui al citato art. 33, co. 7, non sono assolutamente vincolanti, dovendosi tener conto del disposto dell’art. 5, co. 5, d.lgs. n. 286/1998.
8. Nel caso di specie, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, avendo la sostanza di un provvedimento di autotutela nei confronti dell’originario permesso di soggiorno, avrebbe dovuto valutare gli elementi di cui all’art. 5, co. 5, d.lgs. n. 286/1998 e cioè il vincolo familiare e la sopravvenienza di nuove circostanza che consentissero il rilascio del permesso.
Nella specie, non erano sopravvenute nuove circostanze atte a consentire il rilascio del permesso, atteso che la causa ostativa (espulsione con decreto di accompagnamento coattivo alla frontiera) era perdurante.
Occorreva però valutare la situazione familiare dell’interessata.
Vero è che, sul piano letterale, l’art. 5, co. 5, d.lgs. n. 286/1998 consente di tener conto, in sede di revoca del permesso di soggiorno, della situazione familiare solo “dello straniero che ha esercitato diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29”; e solo in relazione a tali soggetti dispone che “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
9. Tuttavia la giurisprudenza del Consiglio diStato ha dato una applicazione estensiva e costituzionalmente orientata della previsione, in ossequio all’art. 8 della C.E.D.U., ratificata in Italia con la l. n. 848/1955, a tenore del quale “Diritto al rispetto della vita privata e familiare. 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
9.1. Per l’effetto si è ritenuto che anche al di fuori dei presupposti per l’esercizio del ricongiungimento familiare, occorre tener conto, in sede di diniego o revoca del permesso di soggiorno, dei vincoli familiari dello straniero (Cons. St., sez. VI, ordd. 30 marzo 2010 n. 1480, 31 marzo 2010 n. 1469, 31 marzo 2010 n. 1468; 10 febbraio 2010 n. 691; 3 febbraio 2010 n. 537).
9.2.Invero, la Convenzione europea sui diritti dell'uomo ha una diretta rilevanza nell'ordinamento interno poiché per l'art. 117, co. 1, Cost., le leggi devono rispettare i "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario", mentre per l'art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), “l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in quanto principi generali del diritto comunitario.
La pronuncia n. 349/2007 della Corte costituzionale ha statuito, - premesso di aver ritenuto che in passato le disposizioni della CEDU, in mancanza di una specifica previsione costituzionale, acquistassero nell'ordinamento interno il rango della legge ordinaria che aveva reso esecutiva la Convenzione - , che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione e della riformulazione dell’art. 117, co. 1, l'ingresso delle norme CEDU nel diritto interno avviene sulla scorta dell'art. 117 Cost., con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU, e dunque con gli "obblighi internazionali" di cui all'art. 117, co. 1, Cost., viola per ciò stesso il nuovo parametro costituzionale.
Secondo la Corte costituzionale, con l'art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, che dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati. Ne consegue l'obbligo del giudice di procedere ad una interpretazione "convenzionalmente" orientata o, comunque, ad una interpretazione "bilanciata" tra conformità a Costituzione e conformità a Convenzione. Pertanto, al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle fonti normative. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli dovrà investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, co. 1.
Dovendosi riconoscere anche agli stranieri il diritto al rispetto della vita familiare, a prescindere dai presupposti normativi del ricongiungimento familiare, in sede di revoca del permesso di soggiorno occorre tener conto della situazione familiare dell’interessato in Italia.
Nel caso di specie pertanto si sarebbe dovuto tener conto della situazione personale della richiedente, coniugata con cittadino italiano.
Sotto tale profilo è fondato il motivo di ricorso con cui si lamenta la mancata considerazione della situazione personale della ricorrente, e per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato.
10. Sono salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, che dovranno valutare il vizio di legittimità del permesso di soggiorno rilasciato nel 2003 e la necessità di annullare tale permesso, comparando l’interesse pubblico con la situazione familiare dell’interessata.
11. Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio devono essere compensate,ricorrendo per ciò giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato (sezione VI), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari di lite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2010 con l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Domenico Cafini, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/06/2010
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