 |
|
 |
 |
n. 1-2011 - © copyright |
SALVATORE CIMINI
|
|
La colpa è ancora un elemento
essenziale della responsabilità da attività provvedimentale della
p.A.?
Sommario: 1. L’incompatibilità con il diritto
comunitario di una normativa nazionale fondata sulla colpa. – 2.
L’ambito di applicazione della responsabilità oggettiva delineata
dalla Corte di giustizia. – 3. Il carattere eccezionale della
responsabilità oggettiva. – 4. L’incerta natura della responsabilità
comunitaria. – 5. Una interpretazione contro intuitiva della
sentenza in esame. – 6. Colpa professionale e responsabilità da
attività provvedimentale della p.A.
1. L’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa
nazionale fondata sulla colpa.
L’interrogativo che dà il
titolo alla presente nota sorge dopo aver letto la sentenza della
Corte di giustizia del 30 settembre 2010, causa C-314/09[1]. In
questa decisione il Giudice del Lussemburgo afferma a chiare lettere
che il diritto comunitario[2] osta ad una normativa nazionale che
nelle ipotesi di violazione della disciplina sugli appalti pubblici
da parte di una Amministrazione aggiudicatrice subordini il diritto
ad ottenere il risarcimento dei danni al carattere colpevole di tale
violazione, precisando che non sono ammesse né presunzioni di
colpevolezza in capo all’Amministrazione né la possibilità di far
valere un difetto di imputabilità soggettiva della violazione
lamentata.
Questa sentenza si inserisce in un solco già
tracciato dal Giudice del Lussemburgo, il quale da tempo è fermo nel
ritenere che si pone in contrasto con il livello minimo di tutela
comunitaria quella normativa nazionale che richiede come condizione
di risarcibilità la prova di un comportamento colposo o doloso
dell’agente[3]. Detto indirizzo giurisprudenziale è stato ribadito
con fermezza nel 2004, e più di recente nel 2008[4]. Con riferimento
alle controversie in tema di appalti pubblici, infatti, nell’ottobre
2004 la Corte di Giustizia ha affermato l’incompatibilità con il
diritto europeo (segnatamente con la Dir. 89/665/CEE) della
disciplina nazionale che subordina il risarcimento del danno alla
prova da parte del danneggiato del dolo o della colpa «dei titolari
degli organi o degli agenti amministrativi», poiché, in questo modo,
il soggetto leso da un atto illegittimo rischia di essere privato
della possibilità di essere risarcito per il pregiudizio causato dal
provvedimento o di ottenerlo tardivamente a motivo del fatto che non
è in grado di fornire la prova del dolo o della colpa[5].
I
giudici italiani, e una parte della dottrina, hanno interpretato la
sentenza del 2004 nel senso di ritenere compatibile con la
responsabilità comunitaria l’utilizzo di presunzioni semplici, che
ammettono la prova contraria[6]. La giurisprudenza nazionale,
infatti, ha osservato che dal contesto della pronuncia del 2004
emerge «come il diritto comunitario vieti soltanto di condizionare
il risarcimento ad una prova della colpevolezza eccessivamente
difficoltosa per il danneggiato»[7], precisando che tale decisione
del Giudice del Lussemburgo si riferisce all’onere della prova in
relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.A. e
non alla esigenza di accertare la responsabilità prescindendo dalla
colpa dell’Amministrazione[8]. Per i giudici amministrativi, quindi,
la semplificazione dell’onere probatorio, attraverso l’utilizzo di
presunzioni semplici, è in grado di rendere i ricorsi rapidi ed
efficaci e perciò di superare le limitazioni poste a livello europeo
con la Dir. 89/665/CEE, la quale esclude che nel settore degli
appalti pubblici i ricorsi intentati dai danneggiati per ottenere il
risarcimento dei pregiudizi subìti possano essere lenti e
inefficaci.
Con la sentenza Graz Stadt del settembre 2010
che qui si annota, però, il Giudice del Lussemburgo è stato chiaro e
perentorio nel precisare che si pone in contrasto con la normativa
comunitaria anche l’utilizzo di presunzioni di colpevolezza in capo
all’Amministrazione danneggiante.
Non solo, nella sentenza in
commento, la Corte di giustizia puntualizza che l’Amministrazione
non può far valere nemmeno «la mancanza di proprie capacità
individuali e dunque un difetto di imputabilità soggettiva della
violazione lamentata». In proposito, però, si deve osservare che, in
linea generale, il concetto di imputabilità è richiesto per
l’illecito della persona fisica, ma sembra di difficile applicazione
nei confronti di una persona giuridica, come l’Amministrazione
pubblica. Quest’ultima, infatti, non può eccepire la mancanza di
proprie capacità individuali, essendo per definizione la p.A. e i
suoi funzionari esperti nel settore in cui operano. Probabilmente,
qui si fa riferimento ad una incapacità oggettiva della p.A.,
dovuta, ad esempio, ad una grave mancanza di personale. Se così è,
ci si trova di fronte ad una indicazione che sembra escludere
addirittura il ricorso a esimenti di responsabilità come il caso
fortuito e la forza maggiore.
2. L’ambito di
applicazione della responsabilità oggettiva delineata dalla Corte di
giustizia.
Dalla lettura della sentenza della Corte di
giustizia del 30 settembre 2010 emerge chiaramente che per il
giudice comunitario la responsabilità della p.A. è una
responsabilità senza colpa, e quindi una responsabilità oggettiva.
In questa direzione si è subito orientato anche il nostro giudice
amministrativo, il quale ha evidenziato come il requisito della
colpa sia destinato a perdere consistenza proprio alla luce della
sentenza della Corte di giustizia in esame[9].
Se questa è
l’interpretazione che si ricava dalla sentenza in commento, conviene
precisare subito però quale possa essere il suo ambito di
applicazione.
Ebbene, considerato che il giudice comunitario
riconosce in capo alla p.A. una responsabilità particolarmente grave
(il massimo grado di responsabilità possibile, cioè una
responsabilità oggettiva), essa dovrebbe applicarsi esclusivamente
al settore disciplinato dalle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, vale
a dire alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Solo
in questo campo, infatti, sembra che si possa giustificare una
responsabilità aggravata in capo alla p.A., e questo perché, in
detto settore, quello che viene tutelato dall’ordinamento
comunitario è il mercato e l’interesse oggettivo alla
concorrenza[10]. Come chiarito dal terzo considerando della Dir.
89/665/CEE, infatti, «l’apertura degli appalti pubblici alla
concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle
garanzie di trasparenza e di non discriminazione», per questo
occorre che esistano «mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di
violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o
delle norme che recepiscono tale diritto».
È poi lo stesso
legislatore comunitario che, al secondo considerando della recente
Dir. 2007/66/CE, si preoccupa di puntualizzare espressamente che le
direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, e di conseguenza le garanzie e i
principi relativi ai mezzi di ricorso ivi disciplinati, si applicano
«unicamente alle procedure di aggiudicazione degli appalti
disciplinate dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE»[11]. Quindi, i
principi comunitari richiamati dalla Corte di giustizia dovrebbero
applicarsi soltanto alle procedure di aggiudicazione dei contratti,
dove maggiormente rileva la concorrenza, e non all’intero settore
degli appalti pubblici. Anche se si deve notare che la concorrenza
va assicurata sia nella fase di aggiudicazione del contratto, sia
nella fase di esecuzione del contratto stesso[12].
Dunque, pur
se invero l’interesse alla tutela della concorrenza si trova anche
in altri settori, è l’importanza delle norme sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici e il considerevole impatto che
la loro violazione comporta su interessi generali e particolari a
giustificare una responsabilità oggettiva dell’Amministrazione
aggiudicatrice, che non ammette l’utilizzo di presunzioni di
colpevolezza (del resto, nelle ipotesi di responsabilità senza colpa
ammettere presunzioni di colpevolezza non ha senso). In dette
fattispecie, l’obiettivo è chiaramente quello di garantire
l’effettività delle regole comunitarie sulla concorrenza attraverso
ricorsi rapidi ed efficaci. Il rischio che si vuole evitare, cioè, è
che l’offerente pregiudicato da una decisione illegittima di
un’Amministrazione aggiudicatrice, che non vuole o non può più
ottenere l’aggiudicazione dell’appalto, sia privato del diritto di
ottenere il risarcimento per il danno causato da tale decisione in
tempi certi e rapidi.
Peraltro, si deve evidenziare che il
risarcimento rimane un mero rimedio alternativo. La concorrenza,
infatti, viene realizzata in pieno solo con l’aggiudicazione
dell’appalto al soggetto che legittimamente ne aveva diritto. La
stessa Dir. 2007/66/CE sottolinea che l’effettività di tutela è
garantita soprattutto da misure dirette ad assicurare la tutela in
forma specifica, per questo sono stati rafforzati i mezzi di ricorso
volti a garantire l’aggiudicazione del contratto in luogo del
risarcimento ed è stato introdotto il c.d. standstill
period[13]. E proprio perché il rimedio risarcitorio costituisce
una mera alternativa alle altre procedure di ricorso, la Corte di
giustizia, nella sentenza in esame, rimarca come esso possa
considerarsi compatibile con il principio di effettività soltanto se
il risarcimento non sia subordinato – così come non lo sono gli
altri mezzi di ricorso previsti dall’art. 2, n. 1, della Dir.
89/665/CEE – alla constatazione dell’esistenza di un comportamento
colpevole tenuto dall’Amministrazione aggiudicatrice.
3. Il carattere eccezionale della responsabilità
oggettiva.
In definitiva, nel “microcosmo” degli appalti
pubblici, o meglio delle procedure di aggiudicazione degli stessi,
l’ordinamento comunitario è particolarmente attento nell’assicurare
il principio di effettività e le esigenze di rapidità e di certezza
del diritto, perché, per usare i termini della Dir. 89/665/CEE,
l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende
necessario un aumento notevole delle garanzie.
Negli altri
settori in cui opera l’Amministrazione pubblica, però, dove
l’interesse alla concorrenza non si rinviene o non è così rilevante,
e dove non sono così pressanti le esigenze di rapidità e di
efficacia dei mezzi di ricorso, non sembra possibile ricondurre la
responsabilità del soggetto pubblico nello schema della
responsabilità senza colpa.
Infatti, sebbene siano sempre più
numerose ed autorevoli le voci in dottrina che affermano la natura
oggettiva della responsabilità da attività provvedimentale della
p.A.[14], gli studiosi del diritto civile ci rammentano che lo
schema generale di responsabilità che vige nel nostro ordinamento è
quello della responsabilità per colpa[15]. Per cui, una nuova
ipotesi di responsabilità oggettiva, pur non essendo impraticabile,
sembra richiedere una espressa previsione legislativa[16]. Ed
attualmente, nel nostro ordinamento, se si esclude il settore degli
appalti, dove si può ipotizzare di trovare un riferimento normativo
indiretto alla responsabilità oggettiva nel diritto comunitario, non
esiste alcun aggancio normativo idoneo a giustificare in tema di
responsabilità una differenziazione tra la posizione della pubblica
Amministrazione e quella degli altri soggetti dell’ordinamento, di
guisa che, anche con riferimento agli enti pubblici, non è dato
prescindere dal requisito soggettivo della responsabilità[17].
Anzi, il recente legislatore ha previsto espressamente la
necessità dell’elemento soggettivo nelle ipotesi di responsabilità
di danno da ritardo, disciplinate dall’art. 2-bis della legge
n. 241/1990[18].
Un ulteriore ostacolo ad accedere ad una
responsabilità oggettiva, senza che vi sia un esplicito richiamo
legislativo, si potrebbe rinvenire nel principio di eguaglianza,
scolpito nell’art. 3 della nostra Costituzione[19].
Giova
sottolineare, altresì, che sembra problematico pure attribuire una
natura pubblicistica alla responsabilità della p.A., dal momento che
l’art. 28 Cost., vale a dire l’unica disposizione della nostra Carta
fondamentale che si occupa espressamente di responsabilità
(segnatamente di quella dei dipendenti pubblici), contiene un
esplicito richiamo al diritto civile. Com’è noto, infatti, la
richiamata norma costituzionale dispone che i funzionari e i
dipendenti pubblici sono chiamati a rispondere secondo le leggi
«civili»[20] degli atti compiuti in violazione di diritti e
statuisce che la loro «responsabilità civile» si estende allo Stato
e agli enti pubblici. La formulazione dell’art. 28 Cost., pertanto,
sembra legittimare l’applicazione della disciplina codicistica alla
responsabilità dell’Amministrazione pubblica[21].
D’altra parte,
i principi comuni in tema di responsabilità si applicano agli enti
pubblici se non esistono leggi speciali che vi deroghino ovvero se
non vi siano ragioni di incompatibilità[22].
E, con riguardo
all’attività provvedimentale della p.A., non sembrano profilarsi
particolari incompatibilità: il diritto comune deve essere meramente
“adattato” all’Amministrazione, dovendosi necessariamente tener
conto della particolare attività posta in essere dal soggetto
pubblico e del fatto che esso deve perseguire le finalità di
pubblico interesse tramite un’attività procedimentalizzata.
Quanto al limite costituito dalle leggi speciali, è proprio la
scarna formulazione della disciplina legislativa che riconosce
l’azione di condanna in capo al giudice amministrativo, prevista
oggi dall’art. 30 del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo
amministrativo) e prima dalle disposizioni legislative del biennio
1998-2000, a non legittimare l’interprete ad avventurarsi verso una
nuova figura di responsabilità sui generis. Operazione che,
viceversa, trova una sua giustificazione nel caso della
responsabilità amministrativa e contabile, che può a ragione essere
qualificata una responsabilità di diritto speciale[23], giacché essa
trova nell’art. 1 della legge n. 20/1994 una dettagliata e peculiare
disciplina[24].
Pertanto, come notato da tempo da un’attenta
dottrina, non sussiste alcuna valida ragione per escludere che i
principi generali posti dal codice civile in materia di obbligo di
risarcimento per danno ingiusto si applichino anche alle
Amministrazioni pubbliche, neppure quando il danno consegua ad una
attività di diritto pubblico degli enti medesimi[25]. È il carattere
unitario del nostro sistema positivo ad avvalorare siffatta tesi.
Senza dire poi che diversi sono gli inconvenienti di una
responsabilità oggettiva: primo fra tutti un insostenibile esborso
per le finanze pubbliche e un certo effetto di overdeterrence che rischierebbe di bloccare l’attività amministrativa, per non
citarne altri. Oltretutto, se si passa da una responsabilità per
colpa ad una responsabilità oggettiva, arrivando a far pagare alle
Amministrazioni pubbliche tutti i danni connessi all’illegittimo
esercizio del potere, ci si sposta dal concetto di «responsabilità»
a quello di «solidarietà sociale»[26] o di «socializzazione del
rischio»[27]. Sarebbe una scelta politica difficile da seguire e da
attuare in un Paese, come il nostro, che ha un debito pubblico tra i
più alti al mondo.
Le difficoltà di applicare rigorosamente un
sistema oggettivo di responsabilità per le amministrazioni pubbliche
emergono anche dall’esperienza spagnola, il Paese europeo dove tale
tipo di responsabilità è espressamente previsto a livello
legislativo. Ebbene, in Spagna la colpa, cacciata legislativamente
dalla porta, rientra dalla finestra, grazie all’opera di una parte
della giurisprudenza e della dottrina. Non di rado, infatti,
attraverso l’elemento dell’antigiuridicità (e talvolta del nesso
causale), una parte della giurisprudenza e della dottrina di quel
Paese, pur rimanendo formalmente fedele al carattere oggettivo della
responsabilità della p.A., di fatto finisce con l’avvicinarla ad uno
schema di responsabilità per colpa[28].
In definitiva, pare
ragionevole ritenere che nel nostro ordinamento la responsabilità
della p.A. per i danni cagionati dall’illegittimo esercizio della
funzione non possa che rimanere attratta nell’orbita civilistica,
almeno fino a quando non ci sarà una espressa e compiuta disciplina
legislativa che indichi e costruisca per le Amministrazioni
pubbliche un regime diverso.
Di conseguenza, di responsabilità
oggettiva della p.A. si può parlare oggi, dopo la sentenza della
Corte di giustizia in esame, certamente con riferimento ai danni
conseguenti alla violazione della normativa sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici. Ma, al di fuori del
“microcosmo” degli appalti, nel nostro ordinamento sembra difficile
ricondurre la responsabilità della p.A. per i danni conseguenti
all’illegittimo esercizio del potere ad uno schema di responsabilità
senza colpa.
4. L’incerta natura della responsabilità
comunitaria.
Quanto detto nel paragrafo precedente trova
conferma nel fatto che anche in ambito comunitario la responsabilità
è subordinata alla dimostrazione della violazione grave e
manifesta[29].
Pertanto, e più in generale, ci si deve chiedere
se la responsabilità voluta dall’ordinamento comunitario sia
realmente una responsabilità oggettiva. Sicuramente la Corte di
giustizia non subordina expressis verbis la responsabilità
della p.A. alla prova dell’elemento soggettivo. Il che non
significa, però, che per i giudici europei la colpa non rilevi
affatto, posto che per il risarcimento del danno essi richiedono,
come detto, il presupposto della violazione sufficientemente
caratterizzata.
Non a caso, sul punto esiste un acceso dibattito
dottrinale, che ricorda un po’ quello nostro interno sulla rilevanza
o meno dell’elemento soggettivo nella responsabilità contrattuale:
da un lato, c’è chi sostiene la tesi della responsabilità
oggettiva[30]; dall’altro, c’è chi non esclude la rilevanza della
colpa anche nella responsabilità comunitaria[31]. Tra le due
posizioni si pone chi parla di sistema semi-oggettivo di
responsabilità[32]; chi osserva che la sussistenza del dolo o della
colpa non costituisce presupposto imprescindibile della
responsabilità comunitaria[33]; chi ritiene che il giudizio sulla
violazione grave e manifesta debba svolgersi alla luce del parametro
oggettivo dell’obbligo di correttezza[34]; chi esclude che la colpa
possa costituire un elemento ulteriore e aggiuntivo rispetto alla
violazione grave e manifesta, ma non qualifica come obiettiva la
responsabilità di cui si discorre assumendo che elementi soggettivi
attinenti alla diligenza possano concorrere alla valutazione del
carattere grave e manifesto della violazione[35]; e così via.
A
ben vedere, la tesi della responsabilità oggettiva sembra essere
implicitamente smentita dalla stessa Corte di giustizia, quando
afferma che «determinati elementi obiettivi e subiettivi
riconducibili alla nozione di colpa nell’ambito di un ordinamento
giuridico nazionale sono pertinenti per valutare se una violazione
del diritto comunitario sia o no manifesta e grave». Anche se subito
dopo la Corte si affretta a precisare i confini dell’illecito
comunitario, chiarendo che «l’obbligo di risarcire i danni cagionati
ai singoli non può essere subordinato ad una condizione, ricavata
dalla nozione di colpa imputabile per dolo o colpa, che vada oltre
la nozione grave e manifesta»[36].
Dunque, per il Giudice del
Lussemburgo non tutte le violazioni del diritto comunitario portano
alla condanna dell’autorità, ma solo alcune di esse, quelle gravi e
manifeste. E, sempre secondo il giudice comunitario, la violazione
grave e manifesta può essere individuata attraverso indici non solo
oggettivi, ma anche soggettivi, come il carattere intenzionale o
involontario della trasgressione, l’errore scusabile, e così
via[37]. Pertanto, non si può escludere la rilevanza della colpa, o
di qualcosa di simile, anche nella responsabilità comunitaria.
Solo in alcune limitate fattispecie si può effettivamente
parlare di responsabilità oggettiva: ad esempio, allorquando la
violazione del diritto comunitario venga posta in essere nonostante
ci sia una pronuncia di una sentenza o una giurisprudenza
consolidata della Corte di giustizia in materia[38]. Per il Giudice
del Lussemburgo, infatti, la mancata osservanza dei precedenti
giurisprudenziali costituisce in ogni caso una trasgressione
sufficientemente caratterizzata. In questa eventualità si ha una
presunzione assoluta di colpevolezza che non ammette la prova
contraria e si può perciò a ragione parlare di responsabilità
oggettiva.
Un’altra fattispecie di responsabilità oggettiva può
rinvenirsi nella mancata attuazione entro i termini stabiliti di una
direttiva che ingenera diritti a favore dei singoli il cui contenuto
può essere identificato sulla base delle disposizioni della
direttiva: per il giudice comunitario, difatti, la mancanza di
qualsiasi provvedimento di attuazione di una direttiva per
raggiungere il risultato prescritto da quest’ultima entro il termine
a tal fine fissato costituisce di per sé una violazione grave e
manifesta del diritto comunitario[39].
Anche nell’ipotesi di
attività vincolata o dove la discrezionalità è molto ridotta, lo
spazio per la colpa sembra non esserci: in questo caso, l’attività
dell’autorità si avvicina molto ad un obligation de résultat.
Ma, in tale ultima eventualità, l’esame della giurisprudenza ci
porta ad escludere che ci si trovi di fronte ad una responsabilità
oggettiva, dato che non di una presunzione assoluta di colpevolezza
si tratta, ma di una presunzione relativa che ammette la prova
contraria.
Dunque, al di fuori delle richiamate ipotesi in cui è
relegata la responsabilità oggettiva, fattispecie che sono tra
l’altro da ricondurre ad eventualità in cui il potere discrezionale
dell’autorità è insussistente, nell’illecito comunitario sembra
esservi spazio per la colpa: basti pensare che non sempre la
violazione della normativa comunitaria comporta il diritto ad essere
risarciti. Per la Corte di giustizia l’importante è che non si
fuoriesca dal recinto della «violazione manifesta e grave» e che si
aderisca ad una nozione «oggettiva» di colpa che non postuli alcuna
indagine sulle intenzioni dell’autorità che ha violato la legalità
comunitaria[40].
Con la sentenza Graz Stadt del settembre
2010, il giudice comunitario ha individuato una nuova fattispecie
tipizzata di comportamento non corretto che realizza una violazione
grave e manifesta, configurando così un ulteriore caso di
responsabilità oggettiva, che scatta nelle ipotesi di violazione
della disciplina sugli appalti pubblici da parte di
un’Amministrazione aggiudicatrice. L’inosservanza della normativa
sulle procedure di aggiudicazione degli appalti, infatti, viene
sempre considerata dal diritto europeo una violazione
sufficientemente caratterizzata, che non ammette prova contraria:
essa perciò va ricondotta nello schema della responsabilità senza
colpa.
Questa precisazione della giurisprudenza comunitaria è
importante per il nostro giudice nazionale, il quale, com’è noto, è
tenuto ad applicare direttamente il paradigma di illecito
individuato dalla Corte di giustizia nelle ipotesi di violazioni
rilevanti per il diritto comunitario. L’autorità giurisdizionale
domestica può applicare il diritto interno solo se la disciplina
nazionale sulla responsabilità si pone al di sopra della soglia di
tutela minima stabilita a livello comunitario[41]. Ma se lo standard richiesto dalla Corte di giustizia è quello della
responsabilità oggettiva, non è possibile individuare forme di
tutela che si pongano al di sopra di tale soglia. Nelle procedure di
aggiudicazione dei contratti pubblici, pertanto, il modello di
responsabilità dovrà prescindere dal requisito della colpevolezza. E
ciò dovrà avvenire sicuramente nelle ipotesi di appalti sopra soglia
comunitaria, ma è auspicabile e opportuno che lo stesso accada anche
nei casi di appalti sotto soglia, per evitare che si formi nello
stesso settore un sistema duale di responsabilità.
Tra l’altro,
trattandosi di responsabilità oggettiva, non sembra nemmeno
ipotizzabile la riconducibilità dei pregiudizi derivanti dalla
violazione della normativa sugli appalti nello schema della
responsabilità contrattuale, dove pure, secondo alcuni in dottrina,
la colpa ha un qualche ruolo, soprattutto nelle obbligazioni di
mezzi[42].
Nel campo delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici si potrebbe parlare di colpa probabilmente nelle
ipotesi di responsabilità da atto legittimo, per violazione dei
generali doveri di correttezza e buona fede nel corso delle
trattative negoziali. Il giudice amministrativo, infatti, ha
configurato una responsabilità precontrattuale ex art. 1337
c.c. in capo alla p.A. nei casi di revoca legittima
dell’aggiudicazione definitiva, condannando l’Amministrazione per
aver tenuto un comportamento contrario ai doveri di correttezza e
buona fede (ad esempio, perché ha emanato l’atto di revoca in modo
legittimo ma con colpevole ritardo)[43]. A ben vedere, però, in
queste fattispecie non vi è una violazione della disciplina sulle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, visto che il
provvedimento dell’Amministrazione è legittimo. L’illegittimità è
riferibile al comportamento, ossia all’attività della p.A., che con
ingiustificato ritardo assume una legittima determinazione in via di
autotutela. Peraltro, al di là delle ipotesi di ritardo, nei casi di
danni provocati da atto legittimo, quando il danno non è ingiusto
perché non vi è illegittimità, è da ritenere che si debba far
ricorso a forme di indennizzo, come previsto dall’art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, piuttosto che al
risarcimento del danno, almeno se si aderisce alla natura aquiliana
della responsabilità da attività provvedimentale della p.A[44].
Ed ancora, il giudice amministrativo ha affermato la rilevanza
della colpa dell’Amministrazione nella responsabilità per i danni
derivanti dall’esecuzione di un appalto pubblico. Segnatamente, il
Consiglio di Stato, facendo leva sulla c.d. culpa in eligendo (mancato controllo prima e nel corso dell’esecuzione
dei lavori), ha ritenuto il committente (cioè l’Amministrazione
pubblica) corresponsabile in via diretta con l’appaltatore per i
danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto[45]. Anche in
questo caso, però, si tratta, com’è di tutta evidenza, di una
fattispecie diversa rispetto a quella presa in considerazione dalle
direttive ricorsi. L’ipotesi in esame, infatti, non riguarda la fase
dell’aggiudicazione bensì quella dell’esecuzione dell’appalto
pubblico.
5. Una interpretazione contro intuitiva
della sentenza in esame.
L’interpretazione sopra
prospettata della decisione della Corte di giustizia del settembre
2010 – secondo cui l’inosservanza della normativa sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici configura sempre una
violazione grave e manifesta – sembra essere quella più convincente
ed intuitiva.
Si potrebbe però avanzare anche una lettura
diversa, per così dire, contro intuitiva, della sentenza in
commento: e cioè che anche nelle ipotesi in cui l’Amministrazione
pubblica ponga in essere una violazione della normativa sugli
appalti, per configurare la responsabilità della p.A. sia necessario
dimostrare la sussistenza del presupposto della violazione
sufficientemente caratterizzata. Si potrebbe ritenere, in altre
parole, che la violazione grave e manifesta non si realizzi in re
ipsa con la mera inosservanza della disciplina sulla
aggiudicazione dei contratti, ma debba essere dimostrata caso per
caso alla stregua dei criteri fissati dallo stesso giudice
comunitario.
Se si seguisse quest’ultima via interpretativa, nel
nostro ordinamento non si avrebbero grossi cambiamenti rispetto alla
situazione attuale, dal momento che è proprio dal parametro della
violazione sufficientemente caratterizzata che ha preso spunto il
nostro giudice amministrativo nell’individuare gli indici
dell’errore scusabile che escludono la responsabilità della p.A.
A tal proposito, giova ricordare che per il giudice europeo i
criteri che rendono la violazione «manifesta e grave» sono «il grado
di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza del
potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali
o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario della
trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o
l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza
che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano
potuto concorrere all’omissione, all’adozione o al mantenimento in
vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto
comunitario»[46]. Nelle altre ipotesi di attività più complessa il
giudice comunitario, invece, esclude la violazione grave e manifesta
e quindi nega la responsabilità del soggetto pubblico. Così, ad
esempio, la Corte di giustizia ha ritenuto che non integra gli
estremi di una violazione grave e manifesta, l’erronea applicazione
di una norma comunitaria ambigua[47].
Analogamente, i giudici
amministrativi nazionali escludono la responsabilità della p.A.,
considerando «scusabile» il suo errore, nelle ipotesi di
formulazione incerta delle norme applicate, di oscillazioni
interpretative della giurisprudenza, di rilevante complessità del
fatto, di novità delle questioni, di errore causato dal
comportamento del privato[48].
In alcune sentenze, anzi, il
nostro giudice amministrativo si richiama espressamente agli indici
elaborati dalla Corte di giustizia europea, assumendo come
indispensabile «accedere direttamente ad una nozione oggettiva di
colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed,
in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della
gravità della violazione commessa dall’Amministrazione, anche alla
luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse
all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni
concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel
procedimento»[49].
Dunque, accedendo all’interpretazione da
ultimo prospettata, e cioè ritenendo che anche nel settore degli
appalti sia necessaria la verifica del presupposto della violazione
sufficientemente caratterizzata per affermare la responsabilità
dell’Amministrazione, si arriva giocoforza alla conclusione che il
livello di responsabilità garantito attualmente dai giudici italiani
attraverso l’utilizzo dell’istituto dell’errore scusabile sia già
conforme allo standard richiesto dal giudice
comunitario.
Questa linea interpretativa, però, non sembra che si
possa seguire, perché, come visto, l’obiettivo dell’ordinamento
comunitario, nel settore in esame, è chiaramente quello di garantire
con certezza che il soggetto che ha subìto un danno dall’illegittima
violazione delle norme sugli appalti sia risarcito in modo rapido ed
efficace, ed è proprio la lunghezza dei tempi che possono rendersi
necessari per un procedimento civile inteso ad accertare l’elemento
soggettivo che preoccupa il giudice europeo. In altre parole, per la
normativa comunitaria occorre evitare che dopo la conclusione del
contratto successiva all’illegittima aggiudicazione dell’appalto
pubblico ci sia una qualche limitazione alla concessione di un
risarcimento. Per questo non è ammesso il ricorso a presunzioni, ma
sembra che si debba escludere anche la possibilità che il
risarcimento sia subordinato alla prova della sussistenza di una
violazione sufficientemente caratterizzata. Non è consentito, di
conseguenza, nemmeno l’utilizzo dell’istituto dell’errore scusabile,
come si ricava dalla lettura della sentenza in commento, la quale,
al punto 41, esclude il ricorso ad un meccanismo di presunzioni di
colpevolezza che possa essere vinto invocando «il carattere
scusabile dell’errore di diritto»; istituto a cui, com’è noto,
spesso si aggrappa il giudice amministrativo italiano per escludere
la responsabilità dell’amministrazione aggiudicatrice nelle ipotesi
di complessità della normativa, di ambiguità delle clausole del
bando di gara, e così via[50].
In definitiva, per l’ordinamento
comunitario, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di
giustizia, ogni violazione della normativa sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici è da considerare grave e
manifesta. Siffatta violazione, pertanto, porta sempre alla condanna
dell’Amministrazione aggiudicatrice, la quale può andare esente da
responsabilità soltanto allorquando la decisione illegittima non sia
dannosa, cioè non abbia arrecato un pregiudizio al soggetto
ricorrente[51].
Sembra così che il risarcimento del danno stia
diventando sempre più una sorta di sanzione nei confronti del
soggetto pubblico che sbaglia, da utilizzare quando non si vuole o
non è più possibile chiedere l’aggiudicazione del
contratto[52].
Il pregiudizio subìto dall’illegittima
aggiudicazione deve però essere provato in modo rigoroso dal privato
danneggiato, anche perché l’art. 124 del d.lgs. n. 104 del 2010
(codice del processo amministrativo) prevede il risarcimento del
danno “subito e provato”[53].
Quanto alla quantificazione del
danno, si deve ricordare che la normativa italiana sulla
responsabilità per violazione della disciplina sugli appalti
pubblici prende in considerazione il fatto colposo e la diligenza
del soggetto privato danneggiato: l’art. 124 del codice del processo
amministrativo, infatti, richiama espressamente l’art. 1227 c.c.[54]
Più in generale, il principio scolpito nell’art. 1227 c.c., secondo
cui nella determinazione del danno è necessario valutare il
comportamento delle parti e la diligenza del soggetto danneggiato, è
richiamato dall’art. 30, co. 3, del d.lgs. n. 104/2010. Anche il
giudice comunitario precisa che nella quantificazione del danno si
deve tener conto della diligenza del danneggiato[55].
Emerge
così un paradosso: nelle ipotesi di violazione della normativa sugli
appalti pubblici rileva la colpa del privato danneggiato (pur se al
fine della quantificazione del danno), ma non la colpa
dell’Amministrazione danneggiante[56].
6. Colpa
professionale e responsabilità da attività provvedimentale della
p.A.
Dunque, seguendo la lettura qui preferita della
sentenza in esame, si può così rispondere all’interrogativo
iniziale: nelle illegittimità compiute nell’ambito delle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici, la colpa non rappresenta
più un elemento essenziale della responsabilità da attività
provvedimentale della p.A.; ma, negli altri casi di danni
conseguenti alla violazione di interressi legittimi è ragionevole
continuare a ritenere che ai fini del risarcimento del danno non si
possa prescindere dal carattere colpevole della violazione posta in
essere dal soggetto pubblico, attenuata attraverso l’utilizzo di una
presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione
danneggiante, proprio per non rendere eccessivamente difficoltoso e
lento il risarcimento.
Si introduce così un doppio binario di
tutela tra le situazioni che hanno un rilievo comunitario e quelle
interne. O meglio, tra quelle situazioni che riguardano le procedure
di aggiudicazione degli appalti (anche quelle sotto soglia
comunitaria) e gli altri campi di attività dell’Amministrazione
pubblica.
Certo, in linea generale, è sicuramente preferibile
che all’interno di un singolo ordinamento non si formi un sistema
duale di responsabilità, uno comunitario e l’altro di matrice
interna[57]. È auspicabile, cioè, che si eviti il ricorso al c.d.
«principio di discriminazione alla rovescia», riconoscendo alle
situazioni giuridiche soggettive che hanno un mero rilievo nazionale
una tutela minore rispetto a quelle che invece hanno un rilievo
comunitario[58]. Un argomento in tal senso si potrebbe trarre
dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990 (come novellato dalla l.
n. 69/2009), che, richiamando il rispetto dei principi del diritto
comunitario, sembra includere anche i principi in tema di
responsabilità e, di conseguenza, pare implicare l’obbligo di
rendere il risarcimento dei danni per violazione degli interessi
legittimi conforme allo standard comunitario[59]. In questa
direzione sembra andare anche l’art. 1 del d.lgs. n. 104/2010
(codice del processo amministrativo), che impone al giudice
amministrativo di assicurare una tutela piena ed effettiva secondo i
principi della Costituzione e del diritto europeo.
Per evitare
la formazione di un sistema duale, le strade che si possono
percorrere sono fondamentalmente due: o si innalza la soglia di
protezione delle situazioni giuridiche soggettive risarcibili al di
sopra dello standard europeo, oppure si uniforma la
responsabilità di diritto interno a quello comunitario, attraverso
il c.d. effetto spill over, che – com’è noto –
consiste nell’estendere volontariamente il trattamento previsto dal
diritto comunitario anche a quelle situazioni di diritto interno per
le quali esso non è obbligatorio, come, ad esempio, la risarcibilità
per lesioni arrecate da una violazione del diritto interno e non di
quello europeo[60].
Nel caso qui in esame, però, come s’è già
detto, non è ipotizzabile un livello di tutela superiore rispetto
allo standard comunitario, dal momento che quest’ultimo
prevede espressamente una responsabilità di tipo oggettivo. Ma, non
è auspicabile neppure fare ricorso all’effetto spill over, perché, come s’è visto, la responsabilità oggettiva
trova una sua legittimazione nel settore degli appalti, dove è
necessario tutelare l’oggettivo interesse alla concorrenza, ma non
si giustifica negli altri settori in cui opera la p.A., se non
attraverso una esplicita scelta del legislatore. E, d’altra parte,
come s’è cercato di mettere in evidenza, anche nell’ordinamento
comunitario questo sistema così rigoroso di responsabilità oggettiva
è limitato «unicamente» alle procedure di aggiudicazione degli
appalti disciplinate dalle direttive 2004/18/CE e
2004/17/CE.
Dunque, secondo la tesi qui seguita, al di fuori
delle ipotesi di violazione della disciplina sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici, la colpa continua ad essere
uno strumento di imputazione della responsabilità alla pubblica
Amministrazione per i danni conseguenti all’illegittimo esercizio
del potere provvedimentale.
Come si è cercato di dimostrare in un
altro lavoro, però, il modello di responsabilità utilizzato
attualmente dal giudice amministrativo, che esclude la
responsabilità dell’Amministrazione pubblica nelle ipotesi di errore
scusabile, non è convincente, dato che esso è sì in linea con lo standard di tutela fissato a livello comunitario (dal quale
mutua gli indici), ma non sembra conforme alla legislazione
nazionale, perché finisce con l’innalzare la soglia di
responsabilità della p.A. per l’illegittimo esercizio del potere
alla colpa grave senza alcun aggancio normativo[61].
Per questo,
nei casi di attività amministrativa complessa, sembra più corretto
far ricorso alla colpa professionale ex art. 2236 c.c.,
piuttosto che all’istituto dell’errore scusabile. Come chiarito da
un’attenta dottrina civilistica, la regola contenuta nell’art. 2236
c.c. può estendersi anche all’attività provvedimentale della p.A.,
la quale può sicuramente inquadrarsi tra le prestazioni d’opera
intellettuale[62]. Sul punto, giova precisare che nell’art. 2236
c.c. il riferimento alla colpa grave non va inteso come uno scarto
considerevole dal parametro di diligenza media, cioè come una colpa
grave in senso proprio, bensì come una colpa speciale esigibile dal
tipo di professionista convenuto, nel nostro caso l’amministratore o
il funzionario pubblico: si tratta, pertanto, di una colpa che fa
riferimento ad uno standard di comportamento particolarmente
elevato e rigoroso[63].
Diversi sono i vantaggi che si possono
conseguire accedendo ad una colpa speciale
professionale.
Anzitutto si ha un modello di colpa maggiormente
fedele al dato normativo nazionale[64].
In secondo luogo, si
garantisce al privato una maggiore effettività di tutela delle
situazioni giuridiche risarcibili anche rispetto allo standard di risarcibilità fissato a livello comunitario.
Infatti, l’abbandono dell’errore scusabile e l’utilizzo della colpa
professionale non fanno altro che rendere lo schema di
responsabilità interno più rigoroso rispetto a quello comunitario,
che si fonda, invece, come s’è visto, sulla «violazione
sufficientemente caratterizzata», parametro ben più favorevole per
l’Amministrazione e dal quale ha preso spunto il nostro giudice
amministrativo nell’individuare gli indici dell’errore scusabile.
Più in particolare, seguendo il modello di colpa comunitario, nelle
ipotesi di violazione non grave e manifesta, la p.A. andrebbe sempre
immune da responsabilità. Al contrario, facendo ricorso al parametro
di colpa di cui all’art. 2236 c.c., nei casi di violazione non grave
e manifesta (che sono poi quelle fattispecie nelle quali il nostro
giudice amministrativo ritiene scusabile l’errore
dell’Amministrazione), la responsabilità della p.A. non andrebbe
sempre esclusa, ma dovrebbe essere vagliata caso per caso sulla base
del parametro della colpa professionale. Tale soluzione, di
conseguenza, è del tutto compatibile – perché migliorativa – con lo standard di risarcibilità individuato a livello europeo.
Ed infine, il ricorso all’art. 2236 c.c. attenuerebbe, se non
eliminerebbe del tutto, le differenze in punto di elemento
soggettivo che corrono tra le due principali tesi che si contendono
il campo sulla natura da attribuire alla responsabilità da attività
provvedimentale della p.A.: la tesi contrattuale e quella
extracontrattuale[65]. L’art. 2236 c.c., infatti, nasce in ambito
contrattuale ma può essere esportato, almeno secondo una parte della
dottrina e della giurisprudenza civilistica, anche sul terreno
dell’illecito extracontrattuale[66]. Questo significa che il ricorso
alla colpa professionale è possibile sia che si riconduca la
responsabilità da attività provvedimentale della p.A. nello schema
contrattuale, sia che la si riconduca nello schema dell’illecito
aquiliano. Si raggiungerebbe così l’importante risultato di avere in
entrambi i casi lo stesso parametro di colpa. Non solo, si avrebbe
un parametro di colpa che, come s’è già detto, rispetto al modello
attuale di responsabilità fondato sull’istituto dell’errore
scusabile, garantirebbe, da un lato, una maggiore aderenza al dato
normativo e, dall’altro, una maggiore effettività di tutela al
cittadino che subisce un danno dall’illegittimo esercizio del potere
amministrativo.
|
|
----------
|
|
[1] La presente nota è in corso di pubblicazione
sulla rivista Giurisprudenza Italiana, dove è anche possibile
leggere la citata sentenza della Corte di giustizia CE, Sez. III, 30
settembre 2010, causa C-314/09, Graz Stadt c. Strabag AG ed
altri.
[2] In particolare la Dir. 89/665/CEE, come modificata
dalla Dir. 92/50/CEE, su cui vedi, per tutti, in dottrina, G.
Morbidelli, Note introduttive sulla direttiva ricorsi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1991, 829 e ss. Com’è noto, la
recente Dir. 2007/66/CE ha di nuovo modificato le direttive
89/665/CEE e 92/13/CEE, con l’intento di migliorare l’efficacia
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici in modo da garantire l’effettiva applicazione delle
direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE. Sulla Dir. 2007/66/CE si veda il
commento di A. Bartolini, S. Fantini, La nuova direttiva ricorsi, in Urb. e Appalti, 2008,
1093 e ss. Quest’ultima direttiva è stata recepita nel nostro
ordinamento con il d.lgs. n. 53/2010, il cui contenuto è stato in
parte riversato nel codice del processo amministrativo, approvato
con il d.lgs. n. 104/2010. Per un commento al d.lgs. n. 53/2010 si
vedano A. Bartolini, S. Fantini, F. Figorilli, Il decreto
legislativo di recepimento della direttiva ricorsi, in Urb. e
Appalti., 2010, 638 e ss., e, con particolare attenzione alla
tematica del risarcimento dei danni, M. Renna, Il risarcimento
dei danni in materia di appalti pubblici dopo il recepimento della «direttiva ricorsi», in www.giustamm.it.
[3] Com’è
noto, il giudice comunitario richiede per il risarcimento del danno
la sussistenza di una violazione sufficientemente grave e manifesta
di una norma del diritto comunitario preordinata a conferire diritti
ai singoli, nonché un nesso causale tra tale violazione e il danno
subìto dai singoli: in tal senso si vedano, ex multis, Corte
giust. CE, 23 maggio 1996, causa C-5/1994, Hedley Lomas ltd,
in Riv. It. Dir. Pubbl. Com.,
1996, 1003, con nota di R. Caranta, Illegittimo diniego di
autorizzazione all’esportazione e responsabilità della pubblica
Amministrazione alla luce del diritto comunitario; Id., 5 marzo
1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e
Factortame, in Foro Amm., 1997, 1 e ss., con nota
di R. Caranta, Conferme e precisazioni in materia di
responsabilità per violazioni del diritto comunitario (ivi, 59 e
ss.).
[4] Il riferimento è a Corte giust. CE, 14 ottobre 2004,
causa C-275/03, Commissione c. Repubblica Portoghese, in Urb. e Appalti, 2005, 36, con commento di M. Protto, Per
il diritto europeo la responsabilità della p.A. non richiede la
prova dell’elemento soggettivo; Id., 10 gennaio 2008, causa
C-70/06, Commissione c. Repubblica Portoghese, in Foro
Amm. CdS, 2008, 1.
[5] Corte giust. CE, 14 ottobre 2004,
causa C-275/03, Commissione c. Repubblica Portoghese, cit.
Nella stessa direzione va la sentenza che si annota.
[6] In
giurisprudenza seguono questo indirizzo, ad esempio, Cons. Stato,
Sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114, in Giur. It., 2008,
230; Id., Sez. VI, 9 novembre 2006, n. 6607, in Giur. It.,
2007, 1275; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 14 marzo 2005, n. 328, in Foro Amm. TAR, 2005, 888. In dottrina si vedano, tra gli
altri, M.A. Sandulli, Diritto europeo e processo
amministrativo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, 37 e
ss., spec. par. 5; S. Cimini, La colpa nella responsabilità
civile delle Amministrazioni pubbliche, Torino, 2008, 513 e ss.
Secondo M. Protto, Per il diritto europeo la responsabilità della
p.A. non richiede la prova dell’elemento soggettivo, cit., 36 e
ss., invece, la richiamata sentenza della Corte di giustizia può
costituire l’occasione per il definitivo affermarsi della tesi della
responsabilità c.d. da «contatto amministrativo».
[7] Così
T.A.R. Sardegna, Sez. I, 14 marzo 2005, n. 328, cit.
[8] Cons.
Stato, Sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114, cit.; Id., Sez. VI, 9
novembre 2006, n. 6607, cit.
[9] T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez.
II, 4 novembre 2010, n. 4552, in www.giustizia-amministrativa.it;
Id., 19 novembre 2010, n. 4660, ibidem.
[10] In tema di
concorrenza si vedano, indicativamente, R. Cavallo Perin, G.M.
Racca, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici,
in Dir. Amm., 2010, 325 e ss.; F. Cintioli, Concorrenza, istituzioni e diritto pubblico, Milano, 2010; F.
Fracchia, Ordinamento comunitario, mercato e contratti della
pubblica Amministrazione, Napoli, 2010; Id., Il rito speciale
sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria
variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza,
in www.giustamm.it; A. Police, Tutela della concorrenza e
pubblici poteri. Profili di diritto amministrativo nella disciplina
antitrust, Torino, 2007; G. della Cananea, Dalla concorrenza
per il mercato alla concorrenza nel mercato: gli appalti pubblici
nei servizi di comunicazioni elettroniche, in Atti del
Convegno su Il partenariato pubblico-privato e il diritto europeo
degli appalti e delle concessioni, Firenze, gennaio 2005, in
www.iisa.it, 135 e ss.; M. D’Alberti, La tutela della concorrenza
in un sistema a più livelli, in Dir. Amm., 2004, 705 e
ss.
[11] Infatti, la recente Dir. 2007/66/CE, dopo aver
chiarito, al primo considerando, che «le direttive 89/665/CEE e
92/13/CEE mirano a garantire l’effettiva applicazione delle
direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE», puntualizza, al secondo
considerando, che le «direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE pertanto si
applicano unicamente alle procedure di aggiudicazione degli appalti
disciplinate dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, come
interpretate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee a
prescindere dalla procedura di evidenza pubblica utilizzata e dai
mezzi con cui si indice una gara, compresi i concorsi di
progettazione, i sistemi di qualificazione e i sistemi dinamici di
acquisizione».
[12] Secondo R. Cavallo Perin, G.M. Racca, La
concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, cit., 330 e
332, la disciplina sulla concorrenza si è espressa per tradizione
nella fase di scelta del contraente, ma empiricamente si è rilevato
che la gara non sempre riesce ad assicurare un’effettiva concorrenza
tra le imprese se l’offerta risultata vincente non sia stata
correttamente adempiuta, poiché la ragione dell’aggiudicazione è
tradita dall’inesatta o infedele esecuzione contrattuale.
[13]
Sul punto si vedano A. Bartolini, S. Fantini, La nuova direttiva ricorsi, in Urb. e Appalti, 2008,
1093 e ss.; A. Bartolini, Commento sub art. 340 Trattato UE,
in Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità,
a cura di A. Bartolini, S. Fantini, G. Ferrari, Roma, 2010, 45 e s.
[14] In questa direzione, pur se con diverse ricostruzioni, si
vedano: A. Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione
amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse
legittimo, Napoli 2003; L. Garofalo, Verso un modello
autonomo di responsabilità dell’Amministrazione, in Urb. e
Appalti, 2005, 1060 e ss.; Id., La responsabilità
dell’Amministrazione: per l’autonomia degli schemi ricostruttivi in Dir. Amm. 2005, 1 ss.; E. Follieri, Il modello di
responsabilità per lesione di interessi legittimi nella
giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la
responsabilità amministrativa di diritto pubblico, in Dir.
Proc. Amm., 2006, 18 e ss.; S. Valaguzza, Percorsi verso una «responsabilità oggettiva» della pubblica
Amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 2009, 50 e ss.; G.D.
Comporti, Il cittadino viandante tra insidie e trabocchetti:
viaggio alla ricerca di una tutela risarcitoria praticabile, in Dir. Amm., 2009, 663 e ss.; si avvicina ad un’ipotesi di
responsabilità oggettiva della p.A. anche E. Scotti, Appunti per
una lettura della responsabilità dell’Amministrazione tra realtà e
uguaglianza, in Dir. Amm., 2009, 580 e ss.
[15] In
tal senso, indicativamente, L. Bigliazzi Geri-U. Breccia-F.D.
Busnelli-U. Natoli, Diritto civile, vol. III, Obbligazioni
e contratti, Torino, 1992, 684, secondo cui nel vigente sistema
di responsabilità civile la «regola generale è imprescindibilmente
fondata sul principio della colpa, assunta nel suo ruolo di criterio
unico di imputazione della responsabilità per tutti i danni ingiusti
derivanti da fatti che non trovano (né direttamente né
indirettamente) la loro disciplina in una previsione normativa
speciale».
[16] Sottolineano la tipizzazione delle ipotesi di
responsabilità oggettiva, tra gli altri, D. Barbero, Sistema
istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino 1949,
736; P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano,
Napoli 1992, 751; M. Carrà, L’esercizio illecito della funzione
pubblica Fondamento, presupposti e regime, Torino, 2005,
89 e ss., spec. 96.
[17] In tal senso Cass., Sez. III, 9
febbraio 2004, n. 2424, in Giur. it., 2004, 1729. Ha ribadito
la necessarietà della presenza della colpa anche Cass., Sez. III, 3
settembre 2007, n. 18511, in Danno e Resp., 2008, 761 e ss.,
con nota di F. Giazzi, Colpa della pubblica Amministrazione e
responsabilità aquiliana. Da ultimo, riafferma la «necessità
della prova specifica e dell’accertamento in concreto della colpa
dell’agente in tema di risarcibilità del danno da interessi
legittimi» Cass., Sez. III, 28 ottobre 2010, n. 22021, in
www.lexitalia.it. Pure il giudice amministrativo ha avuto modo di
puntualizzare che nell’assetto attuale non è possibile far ricorso a
forme di imputazione oggettiva, ma occorre restare ancorati
all’interno del sistema di responsabilità civile: si veda, ad
esempio, Cons. Stato, Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, in Giur.
It., 2001, 2163. E anche quando una giurisprudenza minoritaria
ha aderito ad un modello di responsabilità di stampo pubblicistico,
svincolandosi così dalle maglie del diritto privato, ha sempre
ritenuto come indefettibile la presenza del requisito della
colpevolezza: il riferimento è a Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo
2005, n. 1047, in Urb. e Appalti, 2005, 1060, con nota di L.
Garofalo, Verso un modello autonomo di responsabilità
dell’Amministrazione. Anche la Consulta, con riguardo
all’illecito extracontrattuale delle p.A. da illegittima attività
provvedimentale, ha affermato la necessità di accertare in concreto
la sussistenza della colpa del soggetto pubblico: si veda Corte
cost., ord., 7 aprile 2006, n. 149, in Giur. Cost., 2006,
1376.
[18] Articolo introdotto dall’articolo 7, comma 1, della
legge n. 69 del 2009.
[19] Ritiene il principio di eguaglianza
fondamento e misura della responsabilità della pubblica
Amministrazione A. Cariola, La responsabilità della p.A. per
lesione di interessi legittimi, in
www.giustizia-amministrativa.it, § 3.
[20] L’art. 28 Cost.,
com’è ben noto, richiama anche le leggi penali e amministrative.
[21] Come notato da M. Carrà, L’esercizio illecito della
funzione pubblica, cit., 127. In questo senso già G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, III ed., Torino 2006, 371,
secondo cui, in virtù del richiamato rinvio, la responsabilità
civile degli agenti pubblici e quella della p.A. sono, almeno
tendenzialmente, disciplinate dalle stesse regole che valgono nei
rapporti tra privati. Anche per L. Torchia, La
responsabilità, in Istituzioni di diritto amministrativo,
a cura di S. Cassese, Milano 2004, 365, con il richiamo alle leggi
civili, l’art. 28 Cost. «conferma che la responsabilità della
pubblica Amministrazione trova la sua base giuridica nel codice
civile e conosce la stessa articolazione della responsabilità dei
privati in responsabilità precontrattuale, contrattuale ed
extracontrattuale». Attenta dottrina, però, configura la
responsabilità da attività provvedimentale della p.A. come una
responsabilità oggettiva di diritto pubblico slegata dai moduli
civilistici: si vedano, pur se con argomentazioni diverse, A.
Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione
amministrativa, cit., passim; Id., Il problema della
colpa nella tutela risarcitoria degli interessi legittimi: spunti
ricostruttivi, cit., 1381 e ss.; E. Follieri, Il modello di
responsabilità per lesione di interessi legittimi nella
giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la
responsabilità amministrativa di diritto pubblico, cit., 18 e
ss.; L. Garofalo, La responsabilità dell’Amministrazione: per
l’autonomia degli schemi ricostruttivi, cit., 1 ss.
[22]
Sottolinea questo aspetto M. Clarich, La responsabilità civile
della pubblica Amministrazione nel diritto italiano, in Riv.
Trim. Dir. Pubbl., 1988, 1086 e ss. Perspicuamente G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, cit., 376, afferma che
anche «se fra le leggi possono esservene alcune che riguardano
specificamente la pubblica Amministrazione o singole Amministrazioni
e che prevedono deroghe al diritto comune, è certo che il diritto
comune è la regola: con la conseguenza che le eventuali deroghe
devono trovare una giustificazione rispetto ai modelli, peraltro
largamente differenziati, offerti dal codice civile».
[23] Come
fa A. Police, La disciplina attuale della responsabilità
amministrativa, in La responsabilità amministrativa e il suo
processo, a cura di F.G. Scoca, Padova 1997, 61 e ss.
[24]
Sul punto sia consentito rinviare a S. Cimini, La responsabilità
amministrativa e contabile. Introduzione al tema ad un decennio
dalla riforma, Milano, 2003.
[25] E. Casetta, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, 106 e s. Anche
E. Cannada Bartoli, Introduzione alla responsabilità della
pubblica Amministrazione in Italia, in La responsabilità
della pubblica Amministrazione, a cura del medesimo Autore,
Torino, 1976, 29, ritiene «che la responsabilità civile della p.A.
dev’essere esaminata, dallo studioso e dal giudice, secondo la
tecnica che si trae dalle norme comuni; salvo diversa disciplina».
Nella medesima direzione, tra gli altri, M. Maggiolo, Responsabilità della pubblica Amministrazione per danni non
patrimoniali?, in Studium Iuris, 2005, 736; A.
Lamorgese, Interessi oppositivi e responsabilità «civile» della p.A., in Corriere Giur., 2005, 1222.
[26] In questo senso, pur se con
riferimento agli incidenti medici, sembra andare J. Bell, La
responsabilità del governo: alcune riflessioni comparate, in
AA.VV., Verso un’Amministrazione responsabile, Milano, 2005,
34.
[27] Secondo il rapporto annuale 2005 del Conseil d’État francese, dal titolo Responsabilité et
socialisation du risque, l’estensione della responsabilità sans faute partecipa al movimento di socializzazione
del rischio e alla evoluzione generale verso una responsabilità
allargata dei soggetti pubblici. Si è occupato del tema B. Delfino, Responsabilità e socializzazione del rischio, in
www.giustamm.it, n. 2/2006, il quale, con riferimento alla
«socializzazione del rischio», chiarisce che si tratta «di una
locuzione che è espressione di una solidarietà allargata e che
risponde all’idea che esistono certi rischi sociali il cui peso
sarebbe ingiusto che fosse lasciato gravare soltanto sulle vittime
senza ripartirlo sulla collettività, attesa l’impossibilità per
queste ultime di premunirsi contro di esse». Sul punto non si può
che rinviare a P. Trimarchi, Rischio e responsabilità
oggettiva, Milano, 1961; nonché a G. Calabresi, Costo degli
incidenti e responsabilità civile, Milano, 1975.
[28] In
argomento si veda A. Avelino Blasco Esteve, La responsabilida de
la Administración por actos administrativos, II ed., Madrid,
1985, 226 e ss. Fa rientrare la colpa in gioco per mezzo del nesso
causale J. Leguina Villa, Prólogo a M. Beladiez Rojo, Responsabilidad e imputación de daños por el funcionamiento de
los servicios públicos, Madrid, 1997, secondo il quale se non vi
è colpa non vi è, in definitiva, nesso causale. Su questi aspetti
nonché per ulteriori indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali
si rinvia allo scritto di R. Briani, Problemi, tendenze e
prospettive della responsabilità extracontrattuale della pubblica
Amministrazione in Spagna, in Dir. pubbl., 2006, 278 e
ss., la quale conclude la sua indagine osservando che l’attenzione e
gli sforzi dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in
Spagna sono in larga parte tesi a ridimensionare od attenuare il
carattere oggettivo della responsabilità pubblica (ivi, 285).
[29] Peraltro, da tempo la dottrina ha notato come la
responsabilità delle istituzioni comunitarie sia intesa in maniera
più attenuata rispetto a quella degli Stati: si veda, ad esempio, G.
Morbidelli, La tutela giurisdizionale dei diritti
nell’ordinamento comunitario, Milano, 2001, 63.
[30] Ad
esempio F. Fines, Quelle obligation de rapar pour la violation du
droit communautarie, in Rev. Trim. Droit Eur., 1997, 90;
P. Senkovic, L’évolution de la responsabilité de l’Etat
législateur sous l’influence du droit communautaire, Bruxelles,
2000, 142.
[31] In tal senso si veda, indicativamente, G.F.
Cartei, La Corte di giustizia e la responsabilità dello Stato per
violazione di norme comunitarie: una nuova pronuncia, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996,
741 e s. In questa direzione sembra andare anche G. Falcon, La
tutela giurisdizionale, in Trattato di diritto amministrativo
europeo, diretto da M.P. Chiti-G. Greco, Parte generale, Tomo II, II ed., Milano, 2007, 743. Rinviene nella
violazione grave e manifesta il carattere colposo della
responsabilità delle istituzioni comunitarie pure G. Venturini, Commento sub art. 288 CE, in Commentario breve ai trattati
della Comunità e dell’Unione europea, a cura di F. Pocar,
Milano, 2001, 975; nonché A. Di Majo, Responsabilità e danni
nelle violazioni ad opera dello Stato, in Europa e dir.
priv., 1998, II, 776; E. Calzolaio, L’illecito dello Stato
tra diritto comunitario e diritto interno. Una prospettiva
comparata, Milano, 2004, 54, secondo il quale «per la Corte di
giustizia in realtà non è in discussione se la responsabilità
si fondi sulla colpevolezza (la Corte sembra quasi presupporlo); si
tratta invece di precisare quale contenuto rivesta
tale nozione». Si veda, altresì, P.G. Ferri, La tutela
risarcitoria del diritto comunitario degli appalti pubblici, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1992, 1265, il quale dà risalto
addirittura al dolo, ritenendo che c’è un allineamento della
disciplina comunitaria «alla regola britannica, che ammette la
responsabilità per danni della pubblica Amministrazione solo quando
l’atto, oltre ad essere illegittimo, è anche arbitrario ed
espressione di un animus nocendi del funzionario nei
confronti dell’amministrato».
[32] A. Lazari, Modelli e
paradigmi della responsabilità dello Stato, Torino, 2005, 279,
il quale ritiene che ci sia «un sistema semi-oggettivo di
responsabilità, che ruota attorno al concetto di violazione
sufficientemente caratterizzata. La categoria della responsabilità
oggettiva è rilegata solo a determinate fattispecie di violazione in re ipsa: per esempio la violazione di una
direttiva».
[33] D. D’Orsogna, La tutela risarcitoria dinanzi
al giudice amministrativo, in Processo amministrativo e
diritto comunitario, a cura di E. Picozza, Padova, 2003, 636,
per il quale la presenza dell’elemento soggettivo può integrare, in
alternativa ad altri elementi (quali la minore ampiezza dei poteri
riconosciuti all’autorità nazionale), il requisito della violazione
grave e manifesta.
[34] A. Bartolini, Commento sub art. 340
Trattato UE, cit., 44.
[35] N. Pecchioli, La
responsabilità pubblica comunitaria come sistema di diritto
uniforme, in Dir. Unione Europea, 2001, 363.
[36] Il
riferimento è a Corte giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93
e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit, punti
78-79.
[37] Ritiene che il richiamo fatto dalla Corte di
giustizia a questi caratteri psichici non costituisca un’adesione
alla concezione soggettiva della responsabilità, ma unicamente «uno
dei criteri di valutazione della gravità della violazione, accanto
ad altri che rimangono oggettivi», M. Protto, L’effettività della
tutela giurisdizionale nelle procedure di aggiudicazione di pubblici
appalti, Milano, 1997, 520 e s.
[38] È questa la conclusione
cui perviene A. Bartolini, Il risarcimento del danno tra giudice
comunitario e giudice amministrativo. La nuova tutela del c.d.
interesse legittimo, Torino, 2005, 213.
[39] Questo
principio si trova affermato in Corte giust. CE, 24 settembre 1998,
causa C-319/96, Brinkmann Tabakfabriken, in Racc., 1998, 5255; Id., seduta plenaria, 8 ottobre 1996, in
cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, Dillenkofer, in Giur. It., 1997, I, 1, 1009. Sul punto
si vedano G. della Cananea, La Corte di giustizia e i rimedi
contro le omissioni del legislatore, in Giornale Dir.
Amm., 1997, 827, che sottolinea come sul legislatore nazionale
incombano «obblighi di risultato assai stringenti, che ne
restringono la discrezionalità, fin quasi ad escluderla del tutto»;
E. Calzolaio, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e
diritto interno, cit., 42.
[40] Come notato da L. Torchia, La responsabilità della pubblica Amministrazione, in Diritto amministrativo comparato, a cura di G. Napolitano,
Milano, 2007, 279, «l’ordinamento comunitario tende a far prevalere
un criterio di oggettivazione della colpa, corretto, però, mediante
la condizione della violazione sufficientemente qualificata, con la
necessità di verificare, volta per volta, le specifiche circostanze
– ivi compreso l’elemento soggettivo – della situazione rilevante».
[41] Sul punto la giurisprudenza comunitaria è chiara: si veda
Corte giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit., punto 66, secondo
cui le condizioni da essa individuate «sono necessarie e sufficienti
per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, senza tuttavia
escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata,
a condizioni meno restrittive, sulla base del diritto nazionale».
[42] Sul ruolo che la colpa svolge nella responsabilità
contrattuale sia consentito rinviare a S. Cimini, La colpa nella
responsabilità civile delle amministrazioni pubbliche, cit., 45
e ss., ivi i necessari riferimenti dottrinali. Si sofferma sul
rapporto tra l’art. 1218 c.c. e la colpa anche F. Fracchia, Elemento soggettivo e illecito civile dell’Amministrazione
pubblica, Napoli, 2009, 20 e ss.
[43] T.A.R. Lazio, Sez.
III, 10 gennaio 2007, n. 76, in Foro Amm. TAR, 2007,
135 e ss., con nota di M.T.P. Caputi Jambrenghi, Assorbimento
dell’indennizzo da revoca dell’aggiudicazione e responsabilità
precontrattuale dell’Amministrazione; T.A.R. Lombardia, Sez. II,
2 ottobre 2003, n. 4503, in Dir. Proc. Amm., 2004, 527, con
nota di F. Cortese, Ancora sulla responsabilità precontrattuale
della p.A.: prove tecniche di giudizio ed ipotesi ricostruttive,
ivi, 544 e ss.; Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457, in Urb. e Appalti, 2003, 943 s., con nota adesiva di G.M. Racca, Comportamento scorretto, atto legittimo e responsabilità della
pubblica Amministrazione, ivi, 944 ss.
[44] Secondo F.
Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni «Trenta» all’«alternanza», Milano, 2001,
275, il provvedimento che legittimamente disattenda un affidamento è
assimilabile ad un atto ablativo e può essere, perciò,
indennizzabile. Osserva L. Torchia, La responsabilità,
in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo
generale, a cura di S. Cassese, tomo II, Milano 2003, 1665, che
di «responsabilità derivante da atti legittimi si parla con riguardo
alla previsione di indennizzo a seguito di espropriazione: ma si
tratta, per l’appunto, di un indennizzo e non di un risarcimento,
secondo alcuni configurabile più come un onere per il legittimo
esercizio del potere, che non come una misura riparatoria del danno
provocato, qual è il risarcimento, in quanto viene a mancare, in
questi casi, il carattere dell’ingiustizia del danno». Anche M.
Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela
dell’affidamento, Torino 1999, 193 e passim, propone che
nell’attività legittimità della p.A. (con particolare riferimento
alla revoca) vi sia un indennizzo come tutela del danno da lesione
del legittimo affidamento subito dal privato, non ritenendo
possibile arrivare ad una soluzione, come quella adottata
dall’ordinamento tedesco, ove si parla di risarcimento. Secondo
questa Autrice il risarcimento «non avrebbe motivo di porsi in
quanto il danno arrecato con la revoca non potrebbe mai qualificarsi
come ingiusto a motivo del fatto che si tratta pur sempre di
un’attività legittimamente posta in essere dalla pubblica
Amministrazione» (ivi, 199). Di diverso avviso è L. Giani, Funzione amministrativa e obblighi di correttezza. Profili di
tutela del privato, Napoli, 2005, 255 e ss., la quale ritiene
che vi possa essere una tutela risarcitoria anche nelle ipotesi di
attività legittima della p.A.
[45] L’affermazione di questo
principio si trova in Cons. Stato, 28 ottobre 2010, n. 7635, in
www.giustizia-amministrativa.it.
[46] Corte giust. CE, 5 marzo
1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e
Factortame, cit., punto 56.
[47] Corte giust. CE, 26 marzo
1996, in causa C-392/93, British Telecommunications,
in Foro It., 1996, IV, 321, con nota di G. Catalano, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto
comunitario: atto secondo.
[48] Per maggiori approfondimenti
sul punto sia consentito rinviare a S. Cimini, La colpa nella
responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit.,
spec. 265 e ss., ivi numerosi riferimenti giurisprudenziali.
[49] Così, tra le prime decisioni, Cons. Stato, Sez. IV, 14
giugno 2001, n. 3169 in Giur. it., 2001, 2386.
[50] A titolo meramente esemplificativo si vedano Cons. Stato,
Sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6000, in Foro Amm. CdS, 2002,
2942; Id., Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393, ivi, 2918.
[51]
Ipotesi peraltro difficile dal verificarsi, dal momento che il danno
al privato spesso c’è ed è di solito anche ingente.
[52] Più in
generale, è stato notato che in ambito comunitario la tutela della
situazione soggettiva non sempre rileva come tale, quanto come
strumento per garantire l’effettiva applicazione del diritto
comunitario negli Stati membri: così G. Morbidelli, Corte
costituzionale e Corti europee: la tutela dei diritti (dal punto di
vista della Corte del Lussemburgo), in www.giustamm.it, 27
(anche in Dir. Proc. Amm., 2006, 285 e ss.), secondo cui «la
responsabilità viene a configurarsi come una sanzione contro lo
Stato che tiene un comportamento anticomunitario» (ivi, 28).
[53] In tal senso T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 19
novembre 2010, n. 4660, cit.
[54] Sull’art. 1227 c.c. e la
responsabilità in materia di appalti pubblici si vedano le
osservazioni di M. Renna, Il risarcimento dei danni in materia di
appalti pubblici dopo il recepimento della «direttiva
ricorsi», cit., spec. par. 3 e passim.
[55] Corte
giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit.
[56] Il che
peraltro accade anche nelle ipotesi di responsabilità contrattuale,
almeno se si aderisce alla tesi dottrinale che sostiene che in
questo tipo di responsabilità non ha rilevanza l’elemento
soggettivo.
[57] Sull’opportunità di evitare la formazione di
«un doppio binario» della giustizia amministrativa quando esamina
controversie che attengono al diritto comunitario o al diritto
interno, si vedano, tra gli altri, E. Picozza, L’effettività
della tutela nel processo amministrativo alla luce dei principi
comunitari, in Jus, 1997, 206; S. Tarullo, Il giusto
processo amministrativo. Studio sull’effettività della tutela
giurisdizionale nella prospettiva europea, Milano, 2004, 375,
Id., La colpa della pubblica Amministrazione nel nascente modello
di responsabilità risarcitoria per lesione dell’interesse legittimo.
Proposte e prospettive, in TAR, 2001, II, 206, il quale
ritiene che il giudice amministrativo, pur non essendo obbligato ad
applicare l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di giustizia,
cionondimeno «dovrebbe preoccuparsi di utilizzare la giurisprudenza
comunitaria almeno come termine di paragone e parametro
interpretativo delle soluzioni adottate».
[58] Situazione che
purtroppo nel nostro Paese si è verificata per molti anni, se si
considera che fino al 1999 gli unici interessi legittimi pretensivi
risarcibili erano quelli relativi al settore degli appalti pubblici
di rilevanza comunitaria. Facendo leva sul principio di eguaglianza,
anche il Consiglio di Stato ha rimarcato la necessità di non
introdurre sistemi duali di tutela: Cons. Stato, Ad. Plen., ord. 30
marzo 2000, n. 1, in Giur. It., 2000, 2177.
[59] In tal
senso A. Bartolini, Commento sub art. 340 Trattato UE, cit.,
45, secondo il quale «il rinvio operato ai principi del diritto
comunitario da parte dell’art. 1, comma 1, attiene a tutti gli
oggetti disciplinati dalla l. n. 241 del 1990, per cui anche al tema
della responsabilità».
[60] Sul c.d. effetto spill over si vedano, indicativamente, R. Caranta, La «comunitarizzazione» del diritto amministrativo: il
caso della tutela dell’affidamento, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Com., 1996, 451; M. Protto, L’effettività della tutela
giurisdizionale nelle procedure di aggiudicazione di pubblici
appalti, cit., 5.
[61] Sul punto sia consentito il rinvio a
S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle
Amministrazioni pubbliche, cit., 436 e ss. Nella stessa
direzione si veda anche F. Fracchia, Elemento soggettivo e
illecito civile dell’Amministrazione pubblica, cit., 61.
[62] Il riferimento è a L.V. Moscarini, Risarcibilità del
danno da lesione di interessi legittimi e nuovo riparto di
giurisdizione, in Dir. Proc. Amm., 1998, 834. Anche una
parte della giurisprudenza amministrativa applica alla
responsabilità da attività provvedimentale della p.A. il criterio di
cui all’art. 2236 c.c.: si vedano, indicativamente, Cons. Stato,
Sez. V, 19 marzo 2007, n. 1300, in Foro Amm. CdS, 2007, 908;
Id., Sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012, in Foro It., 2005, III,
247, con nota di A. Travi.
[63] Secondo F. Fracchia, Elemento
soggettivo e illecito civile dell’Amministrazione pubblica,
cit., 74 e s., l’art. 2236 c.c. rappresenta un meccanismo in grado
di valorizzare le oggettive difficoltà dell’attività amministrativa
e di tener conto della diligenza dell’Amministrazione. Per più ampie
considerazioni sul punto sia consentito rinviare a S. Cimini, La
colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni
pubbliche, cit., spec. 237 e ss. e 248 e ss.
[64] Da ultimo,
un richiamo alla colpa professionale sembra che sia contenuto nel
comma 6-bis dell’art. 24 della l. 28 dicembre 2005, n. 262
(introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 303/2006), il quale ha
espressamente previsto che nell’esercizio delle proprie funzioni di
controllo, talune Autorità indipendenti, i componenti dei loro
organi e i loro dipendenti rispondono solamente dei danni cagionati
da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave. Come
notato da attenta dottrina (A. Police, Tutela della concorrenza e
pubblici poteri, cit., 155), la richiamata disposizione estende
legislativamente ad alcune Autorità, in considerazione della natura
e della complessità dell’attività svolta, il precetto di cui
all’art. 2236 c.c.
[65] Differenze che spesso hanno spinto la
giurisprudenza amministrativa ad aderire al modello contrattuale
piuttosto che a quello extracontrattuale.
[66] Si segnalano, ex multis, Cass., 20 novembre 1998, n. 11743, in Danno e Resp., 1999, 344; Id., 17 marzo 1979, n. 116, in Resp. Civ. e Prev., 1979, 515; Id., Sez.
un., 6 maggio 1971, n. 1282, in Giust. Civ., 1971, I,
1417. In dottrina si veda G. Alpa, La responsabilità civile,
in Trattato di diritto civile, a cura del medesimo Autore,
vol. IV, Milano, 1999, 246.
|
|
(pubblicato il
17.1.2011)
|
|
|
|
 |
|
|
|