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SALVATORE CIMINI

La colpa è ancora un elemento essenziale della responsabilità da attività provvedimentale della p.A.?

 

 


 

 

Sommario: 1. L’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale fondata sulla colpa. – 2. L’ambito di applicazione della responsabilità oggettiva delineata dalla Corte di giustizia. – 3. Il carattere eccezionale della responsabilità oggettiva. – 4. L’incerta natura della responsabilità comunitaria. – 5. Una interpretazione contro intuitiva della sentenza in esame. – 6. Colpa professionale e responsabilità da attività provvedimentale della p.A.


1. L’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale fondata sulla colpa.

L’interrogativo che dà il titolo alla presente nota sorge dopo aver letto la sentenza della Corte di giustizia del 30 settembre 2010, causa C-314/09[1]. In questa decisione il Giudice del Lussemburgo afferma a chiare lettere che il diritto comunitario[2] osta ad una normativa nazionale che nelle ipotesi di violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di una Amministrazione aggiudicatrice subordini il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni al carattere colpevole di tale violazione, precisando che non sono ammesse né presunzioni di colpevolezza in capo all’Amministrazione né la possibilità di far valere un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.
Questa sentenza si inserisce in un solco già tracciato dal Giudice del Lussemburgo, il quale da tempo è fermo nel ritenere che si pone in contrasto con il livello minimo di tutela comunitaria quella normativa nazionale che richiede come condizione di risarcibilità la prova di un comportamento colposo o doloso dell’agente[3]. Detto indirizzo giurisprudenziale è stato ribadito con fermezza nel 2004, e più di recente nel 2008[4]. Con riferimento alle controversie in tema di appalti pubblici, infatti, nell’ottobre 2004 la Corte di Giustizia ha affermato l’incompatibilità con il diritto europeo (segnatamente con la Dir. 89/665/CEE) della disciplina nazionale che subordina il risarcimento del danno alla prova da parte del danneggiato del dolo o della colpa «dei titolari degli organi o degli agenti amministrativi», poiché, in questo modo, il soggetto leso da un atto illegittimo rischia di essere privato della possibilità di essere risarcito per il pregiudizio causato dal provvedimento o di ottenerlo tardivamente a motivo del fatto che non è in grado di fornire la prova del dolo o della colpa[5].
I giudici italiani, e una parte della dottrina, hanno interpretato la sentenza del 2004 nel senso di ritenere compatibile con la responsabilità comunitaria l’utilizzo di presunzioni semplici, che ammettono la prova contraria[6]. La giurisprudenza nazionale, infatti, ha osservato che dal contesto della pronuncia del 2004 emerge «come il diritto comunitario vieti soltanto di condizionare il risarcimento ad una prova della colpevolezza eccessivamente difficoltosa per il danneggiato»[7], precisando che tale decisione del Giudice del Lussemburgo si riferisce all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.A. e non alla esigenza di accertare la responsabilità prescindendo dalla colpa dell’Amministrazione[8]. Per i giudici amministrativi, quindi, la semplificazione dell’onere probatorio, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, è in grado di rendere i ricorsi rapidi ed efficaci e perciò di superare le limitazioni poste a livello europeo con la Dir. 89/665/CEE, la quale esclude che nel settore degli appalti pubblici i ricorsi intentati dai danneggiati per ottenere il risarcimento dei pregiudizi subìti possano essere lenti e inefficaci.
Con la sentenza Graz Stadt del settembre 2010 che qui si annota, però, il Giudice del Lussemburgo è stato chiaro e perentorio nel precisare che si pone in contrasto con la normativa comunitaria anche l’utilizzo di presunzioni di colpevolezza in capo all’Amministrazione danneggiante.
Non solo, nella sentenza in commento, la Corte di giustizia puntualizza che l’Amministrazione non può far valere nemmeno «la mancanza di proprie capacità individuali e dunque un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata». In proposito, però, si deve osservare che, in linea generale, il concetto di imputabilità è richiesto per l’illecito della persona fisica, ma sembra di difficile applicazione nei confronti di una persona giuridica, come l’Amministrazione pubblica. Quest’ultima, infatti, non può eccepire la mancanza di proprie capacità individuali, essendo per definizione la p.A. e i suoi funzionari esperti nel settore in cui operano. Probabilmente, qui si fa riferimento ad una incapacità oggettiva della p.A., dovuta, ad esempio, ad una grave mancanza di personale. Se così è, ci si trova di fronte ad una indicazione che sembra escludere addirittura il ricorso a esimenti di responsabilità come il caso fortuito e la forza maggiore.


2. L’ambito di applicazione della responsabilità oggettiva delineata dalla Corte di giustizia.

Dalla lettura della sentenza della Corte di giustizia del 30 settembre 2010 emerge chiaramente che per il giudice comunitario la responsabilità della p.A. è una responsabilità senza colpa, e quindi una responsabilità oggettiva. In questa direzione si è subito orientato anche il nostro giudice amministrativo, il quale ha evidenziato come il requisito della colpa sia destinato a perdere consistenza proprio alla luce della sentenza della Corte di giustizia in esame[9].
Se questa è l’interpretazione che si ricava dalla sentenza in commento, conviene precisare subito però quale possa essere il suo ambito di applicazione.
Ebbene, considerato che il giudice comunitario riconosce in capo alla p.A. una responsabilità particolarmente grave (il massimo grado di responsabilità possibile, cioè una responsabilità oggettiva), essa dovrebbe applicarsi esclusivamente al settore disciplinato dalle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, vale a dire alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Solo in questo campo, infatti, sembra che si possa giustificare una responsabilità aggravata in capo alla p.A., e questo perché, in detto settore, quello che viene tutelato dall’ordinamento comunitario è il mercato e l’interesse oggettivo alla concorrenza[10]. Come chiarito dal terzo considerando della Dir. 89/665/CEE, infatti, «l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione», per questo occorre che esistano «mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme che recepiscono tale diritto».
È poi lo stesso legislatore comunitario che, al secondo considerando della recente Dir. 2007/66/CE, si preoccupa di puntualizzare espressamente che le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, e di conseguenza le garanzie e i principi relativi ai mezzi di ricorso ivi disciplinati, si applicano «unicamente alle procedure di aggiudicazione degli appalti disciplinate dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE»[11]. Quindi, i principi comunitari richiamati dalla Corte di giustizia dovrebbero applicarsi soltanto alle procedure di aggiudicazione dei contratti, dove maggiormente rileva la concorrenza, e non all’intero settore degli appalti pubblici. Anche se si deve notare che la concorrenza va assicurata sia nella fase di aggiudicazione del contratto, sia nella fase di esecuzione del contratto stesso[12].
Dunque, pur se invero l’interesse alla tutela della concorrenza si trova anche in altri settori, è l’importanza delle norme sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e il considerevole impatto che la loro violazione comporta su interessi generali e particolari a giustificare una responsabilità oggettiva dell’Amministrazione aggiudicatrice, che non ammette l’utilizzo di presunzioni di colpevolezza (del resto, nelle ipotesi di responsabilità senza colpa ammettere presunzioni di colpevolezza non ha senso). In dette fattispecie, l’obiettivo è chiaramente quello di garantire l’effettività delle regole comunitarie sulla concorrenza attraverso ricorsi rapidi ed efficaci. Il rischio che si vuole evitare, cioè, è che l’offerente pregiudicato da una decisione illegittima di un’Amministrazione aggiudicatrice, che non vuole o non può più ottenere l’aggiudicazione dell’appalto, sia privato del diritto di ottenere il risarcimento per il danno causato da tale decisione in tempi certi e rapidi.
Peraltro, si deve evidenziare che il risarcimento rimane un mero rimedio alternativo. La concorrenza, infatti, viene realizzata in pieno solo con l’aggiudicazione dell’appalto al soggetto che legittimamente ne aveva diritto. La stessa Dir. 2007/66/CE sottolinea che l’effettività di tutela è garantita soprattutto da misure dirette ad assicurare la tutela in forma specifica, per questo sono stati rafforzati i mezzi di ricorso volti a garantire l’aggiudicazione del contratto in luogo del risarcimento ed è stato introdotto il c.d. standstill period[13]. E proprio perché il rimedio risarcitorio costituisce una mera alternativa alle altre procedure di ricorso, la Corte di giustizia, nella sentenza in esame, rimarca come esso possa considerarsi compatibile con il principio di effettività soltanto se il risarcimento non sia subordinato – così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dall’art. 2, n. 1, della Dir. 89/665/CEE – alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’Amministrazione aggiudicatrice.


3. Il carattere eccezionale della responsabilità oggettiva.

In definitiva, nel “microcosmo” degli appalti pubblici, o meglio delle procedure di aggiudicazione degli stessi, l’ordinamento comunitario è particolarmente attento nell’assicurare il principio di effettività e le esigenze di rapidità e di certezza del diritto, perché, per usare i termini della Dir. 89/665/CEE, l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie.
Negli altri settori in cui opera l’Amministrazione pubblica, però, dove l’interesse alla concorrenza non si rinviene o non è così rilevante, e dove non sono così pressanti le esigenze di rapidità e di efficacia dei mezzi di ricorso, non sembra possibile ricondurre la responsabilità del soggetto pubblico nello schema della responsabilità senza colpa.
Infatti, sebbene siano sempre più numerose ed autorevoli le voci in dottrina che affermano la natura oggettiva della responsabilità da attività provvedimentale della p.A.[14], gli studiosi del diritto civile ci rammentano che lo schema generale di responsabilità che vige nel nostro ordinamento è quello della responsabilità per colpa[15]. Per cui, una nuova ipotesi di responsabilità oggettiva, pur non essendo impraticabile, sembra richiedere una espressa previsione legislativa[16]. Ed attualmente, nel nostro ordinamento, se si esclude il settore degli appalti, dove si può ipotizzare di trovare un riferimento normativo indiretto alla responsabilità oggettiva nel diritto comunitario, non esiste alcun aggancio normativo idoneo a giustificare in tema di responsabilità una differenziazione tra la posizione della pubblica Amministrazione e quella degli altri soggetti dell’ordinamento, di guisa che, anche con riferimento agli enti pubblici, non è dato prescindere dal requisito soggettivo della responsabilità[17].
Anzi, il recente legislatore ha previsto espressamente la necessità dell’elemento soggettivo nelle ipotesi di responsabilità di danno da ritardo, disciplinate dall’art. 2-bis della legge n. 241/1990[18].
Un ulteriore ostacolo ad accedere ad una responsabilità oggettiva, senza che vi sia un esplicito richiamo legislativo, si potrebbe rinvenire nel principio di eguaglianza, scolpito nell’art. 3 della nostra Costituzione[19].
Giova sottolineare, altresì, che sembra problematico pure attribuire una natura pubblicistica alla responsabilità della p.A., dal momento che l’art. 28 Cost., vale a dire l’unica disposizione della nostra Carta fondamentale che si occupa espressamente di responsabilità (segnatamente di quella dei dipendenti pubblici), contiene un esplicito richiamo al diritto civile. Com’è noto, infatti, la richiamata norma costituzionale dispone che i funzionari e i dipendenti pubblici sono chiamati a rispondere secondo le leggi «civili»[20] degli atti compiuti in violazione di diritti e statuisce che la loro «responsabilità civile» si estende allo Stato e agli enti pubblici. La formulazione dell’art. 28 Cost., pertanto, sembra legittimare l’applicazione della disciplina codicistica alla responsabilità dell’Amministrazione pubblica[21].
D’altra parte, i principi comuni in tema di responsabilità si applicano agli enti pubblici se non esistono leggi speciali che vi deroghino ovvero se non vi siano ragioni di incompatibilità[22].
E, con riguardo all’attività provvedimentale della p.A., non sembrano profilarsi particolari incompatibilità: il diritto comune deve essere meramente “adattato” all’Amministrazione, dovendosi necessariamente tener conto della particolare attività posta in essere dal soggetto pubblico e del fatto che esso deve perseguire le finalità di pubblico interesse tramite un’attività procedimentalizzata.
Quanto al limite costituito dalle leggi speciali, è proprio la scarna formulazione della disciplina legislativa che riconosce l’azione di condanna in capo al giudice amministrativo, prevista oggi dall’art. 30 del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo) e prima dalle disposizioni legislative del biennio 1998-2000, a non legittimare l’interprete ad avventurarsi verso una nuova figura di responsabilità sui generis. Operazione che, viceversa, trova una sua giustificazione nel caso della responsabilità amministrativa e contabile, che può a ragione essere qualificata una responsabilità di diritto speciale[23], giacché essa trova nell’art. 1 della legge n. 20/1994 una dettagliata e peculiare disciplina[24].
Pertanto, come notato da tempo da un’attenta dottrina, non sussiste alcuna valida ragione per escludere che i principi generali posti dal codice civile in materia di obbligo di risarcimento per danno ingiusto si applichino anche alle Amministrazioni pubbliche, neppure quando il danno consegua ad una attività di diritto pubblico degli enti medesimi[25]. È il carattere unitario del nostro sistema positivo ad avvalorare siffatta tesi.
Senza dire poi che diversi sono gli inconvenienti di una responsabilità oggettiva: primo fra tutti un insostenibile esborso per le finanze pubbliche e un certo effetto di overdeterrence che rischierebbe di bloccare l’attività amministrativa, per non citarne altri. Oltretutto, se si passa da una responsabilità per colpa ad una responsabilità oggettiva, arrivando a far pagare alle Amministrazioni pubbliche tutti i danni connessi all’illegittimo esercizio del potere, ci si sposta dal concetto di «responsabilità» a quello di «solidarietà sociale»[26] o di «socializzazione del rischio»[27]. Sarebbe una scelta politica difficile da seguire e da attuare in un Paese, come il nostro, che ha un debito pubblico tra i più alti al mondo.
Le difficoltà di applicare rigorosamente un sistema oggettivo di responsabilità per le amministrazioni pubbliche emergono anche dall’esperienza spagnola, il Paese europeo dove tale tipo di responsabilità è espressamente previsto a livello legislativo. Ebbene, in Spagna la colpa, cacciata legislativamente dalla porta, rientra dalla finestra, grazie all’opera di una parte della giurisprudenza e della dottrina. Non di rado, infatti, attraverso l’elemento dell’antigiuridicità (e talvolta del nesso causale), una parte della giurisprudenza e della dottrina di quel Paese, pur rimanendo formalmente fedele al carattere oggettivo della responsabilità della p.A., di fatto finisce con l’avvicinarla ad uno schema di responsabilità per colpa[28].
In definitiva, pare ragionevole ritenere che nel nostro ordinamento la responsabilità della p.A. per i danni cagionati dall’illegittimo esercizio della funzione non possa che rimanere attratta nell’orbita civilistica, almeno fino a quando non ci sarà una espressa e compiuta disciplina legislativa che indichi e costruisca per le Amministrazioni pubbliche un regime diverso.
Di conseguenza, di responsabilità oggettiva della p.A. si può parlare oggi, dopo la sentenza della Corte di giustizia in esame, certamente con riferimento ai danni conseguenti alla violazione della normativa sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Ma, al di fuori del “microcosmo” degli appalti, nel nostro ordinamento sembra difficile ricondurre la responsabilità della p.A. per i danni conseguenti all’illegittimo esercizio del potere ad uno schema di responsabilità senza colpa.


4. L’incerta natura della responsabilità comunitaria.

Quanto detto nel paragrafo precedente trova conferma nel fatto che anche in ambito comunitario la responsabilità è subordinata alla dimostrazione della violazione grave e manifesta[29].
Pertanto, e più in generale, ci si deve chiedere se la responsabilità voluta dall’ordinamento comunitario sia realmente una responsabilità oggettiva. Sicuramente la Corte di giustizia non subordina expressis verbis la responsabilità della p.A. alla prova dell’elemento soggettivo. Il che non significa, però, che per i giudici europei la colpa non rilevi affatto, posto che per il risarcimento del danno essi richiedono, come detto, il presupposto della violazione sufficientemente caratterizzata.
Non a caso, sul punto esiste un acceso dibattito dottrinale, che ricorda un po’ quello nostro interno sulla rilevanza o meno dell’elemento soggettivo nella responsabilità contrattuale: da un lato, c’è chi sostiene la tesi della responsabilità oggettiva[30]; dall’altro, c’è chi non esclude la rilevanza della colpa anche nella responsabilità comunitaria[31]. Tra le due posizioni si pone chi parla di sistema semi-oggettivo di responsabilità[32]; chi osserva che la sussistenza del dolo o della colpa non costituisce presupposto imprescindibile della responsabilità comunitaria[33]; chi ritiene che il giudizio sulla violazione grave e manifesta debba svolgersi alla luce del parametro oggettivo dell’obbligo di correttezza[34]; chi esclude che la colpa possa costituire un elemento ulteriore e aggiuntivo rispetto alla violazione grave e manifesta, ma non qualifica come obiettiva la responsabilità di cui si discorre assumendo che elementi soggettivi attinenti alla diligenza possano concorrere alla valutazione del carattere grave e manifesto della violazione[35]; e così via.
A ben vedere, la tesi della responsabilità oggettiva sembra essere implicitamente smentita dalla stessa Corte di giustizia, quando afferma che «determinati elementi obiettivi e subiettivi riconducibili alla nozione di colpa nell’ambito di un ordinamento giuridico nazionale sono pertinenti per valutare se una violazione del diritto comunitario sia o no manifesta e grave». Anche se subito dopo la Corte si affretta a precisare i confini dell’illecito comunitario, chiarendo che «l’obbligo di risarcire i danni cagionati ai singoli non può essere subordinato ad una condizione, ricavata dalla nozione di colpa imputabile per dolo o colpa, che vada oltre la nozione grave e manifesta»[36].
Dunque, per il Giudice del Lussemburgo non tutte le violazioni del diritto comunitario portano alla condanna dell’autorità, ma solo alcune di esse, quelle gravi e manifeste. E, sempre secondo il giudice comunitario, la violazione grave e manifesta può essere individuata attraverso indici non solo oggettivi, ma anche soggettivi, come il carattere intenzionale o involontario della trasgressione, l’errore scusabile, e così via[37]. Pertanto, non si può escludere la rilevanza della colpa, o di qualcosa di simile, anche nella responsabilità comunitaria.
Solo in alcune limitate fattispecie si può effettivamente parlare di responsabilità oggettiva: ad esempio, allorquando la violazione del diritto comunitario venga posta in essere nonostante ci sia una pronuncia di una sentenza o una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia in materia[38]. Per il Giudice del Lussemburgo, infatti, la mancata osservanza dei precedenti giurisprudenziali costituisce in ogni caso una trasgressione sufficientemente caratterizzata. In questa eventualità si ha una presunzione assoluta di colpevolezza che non ammette la prova contraria e si può perciò a ragione parlare di responsabilità oggettiva.
Un’altra fattispecie di responsabilità oggettiva può rinvenirsi nella mancata attuazione entro i termini stabiliti di una direttiva che ingenera diritti a favore dei singoli il cui contenuto può essere identificato sulla base delle disposizioni della direttiva: per il giudice comunitario, difatti, la mancanza di qualsiasi provvedimento di attuazione di una direttiva per raggiungere il risultato prescritto da quest’ultima entro il termine a tal fine fissato costituisce di per sé una violazione grave e manifesta del diritto comunitario[39].
Anche nell’ipotesi di attività vincolata o dove la discrezionalità è molto ridotta, lo spazio per la colpa sembra non esserci: in questo caso, l’attività dell’autorità si avvicina molto ad un obligation de résultat. Ma, in tale ultima eventualità, l’esame della giurisprudenza ci porta ad escludere che ci si trovi di fronte ad una responsabilità oggettiva, dato che non di una presunzione assoluta di colpevolezza si tratta, ma di una presunzione relativa che ammette la prova contraria.
Dunque, al di fuori delle richiamate ipotesi in cui è relegata la responsabilità oggettiva, fattispecie che sono tra l’altro da ricondurre ad eventualità in cui il potere discrezionale dell’autorità è insussistente, nell’illecito comunitario sembra esservi spazio per la colpa: basti pensare che non sempre la violazione della normativa comunitaria comporta il diritto ad essere risarciti. Per la Corte di giustizia l’importante è che non si fuoriesca dal recinto della «violazione manifesta e grave» e che si aderisca ad una nozione «oggettiva» di colpa che non postuli alcuna indagine sulle intenzioni dell’autorità che ha violato la legalità comunitaria[40].
Con la sentenza Graz Stadt del settembre 2010, il giudice comunitario ha individuato una nuova fattispecie tipizzata di comportamento non corretto che realizza una violazione grave e manifesta, configurando così un ulteriore caso di responsabilità oggettiva, che scatta nelle ipotesi di violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice. L’inosservanza della normativa sulle procedure di aggiudicazione degli appalti, infatti, viene sempre considerata dal diritto europeo una violazione sufficientemente caratterizzata, che non ammette prova contraria: essa perciò va ricondotta nello schema della responsabilità senza colpa.
Questa precisazione della giurisprudenza comunitaria è importante per il nostro giudice nazionale, il quale, com’è noto, è tenuto ad applicare direttamente il paradigma di illecito individuato dalla Corte di giustizia nelle ipotesi di violazioni rilevanti per il diritto comunitario. L’autorità giurisdizionale domestica può applicare il diritto interno solo se la disciplina nazionale sulla responsabilità si pone al di sopra della soglia di tutela minima stabilita a livello comunitario[41]. Ma se lo standard richiesto dalla Corte di giustizia è quello della responsabilità oggettiva, non è possibile individuare forme di tutela che si pongano al di sopra di tale soglia. Nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, pertanto, il modello di responsabilità dovrà prescindere dal requisito della colpevolezza. E ciò dovrà avvenire sicuramente nelle ipotesi di appalti sopra soglia comunitaria, ma è auspicabile e opportuno che lo stesso accada anche nei casi di appalti sotto soglia, per evitare che si formi nello stesso settore un sistema duale di responsabilità.
Tra l’altro, trattandosi di responsabilità oggettiva, non sembra nemmeno ipotizzabile la riconducibilità dei pregiudizi derivanti dalla violazione della normativa sugli appalti nello schema della responsabilità contrattuale, dove pure, secondo alcuni in dottrina, la colpa ha un qualche ruolo, soprattutto nelle obbligazioni di mezzi[42].
Nel campo delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si potrebbe parlare di colpa probabilmente nelle ipotesi di responsabilità da atto legittimo, per violazione dei generali doveri di correttezza e buona fede nel corso delle trattative negoziali. Il giudice amministrativo, infatti, ha configurato una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. in capo alla p.A. nei casi di revoca legittima dell’aggiudicazione definitiva, condannando l’Amministrazione per aver tenuto un comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede (ad esempio, perché ha emanato l’atto di revoca in modo legittimo ma con colpevole ritardo)[43]. A ben vedere, però, in queste fattispecie non vi è una violazione della disciplina sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, visto che il provvedimento dell’Amministrazione è legittimo. L’illegittimità è riferibile al comportamento, ossia all’attività della p.A., che con ingiustificato ritardo assume una legittima determinazione in via di autotutela. Peraltro, al di là delle ipotesi di ritardo, nei casi di danni provocati da atto legittimo, quando il danno non è ingiusto perché non vi è illegittimità, è da ritenere che si debba far ricorso a forme di indennizzo, come previsto dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, piuttosto che al risarcimento del danno, almeno se si aderisce alla natura aquiliana della responsabilità da attività provvedimentale della p.A[44].
Ed ancora, il giudice amministrativo ha affermato la rilevanza della colpa dell’Amministrazione nella responsabilità per i danni derivanti dall’esecuzione di un appalto pubblico. Segnatamente, il Consiglio di Stato, facendo leva sulla c.d. culpa in eligendo (mancato controllo prima e nel corso dell’esecuzione dei lavori), ha ritenuto il committente (cioè l’Amministrazione pubblica) corresponsabile in via diretta con l’appaltatore per i danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto[45]. Anche in questo caso, però, si tratta, com’è di tutta evidenza, di una fattispecie diversa rispetto a quella presa in considerazione dalle direttive ricorsi. L’ipotesi in esame, infatti, non riguarda la fase dell’aggiudicazione bensì quella dell’esecuzione dell’appalto pubblico.


5. Una interpretazione contro intuitiva della sentenza in esame.

L’interpretazione sopra prospettata della decisione della Corte di giustizia del settembre 2010 – secondo cui l’inosservanza della normativa sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici configura sempre una violazione grave e manifesta – sembra essere quella più convincente ed intuitiva.
Si potrebbe però avanzare anche una lettura diversa, per così dire, contro intuitiva, della sentenza in commento: e cioè che anche nelle ipotesi in cui l’Amministrazione pubblica ponga in essere una violazione della normativa sugli appalti, per configurare la responsabilità della p.A. sia necessario dimostrare la sussistenza del presupposto della violazione sufficientemente caratterizzata. Si potrebbe ritenere, in altre parole, che la violazione grave e manifesta non si realizzi in re ipsa con la mera inosservanza della disciplina sulla aggiudicazione dei contratti, ma debba essere dimostrata caso per caso alla stregua dei criteri fissati dallo stesso giudice comunitario.
Se si seguisse quest’ultima via interpretativa, nel nostro ordinamento non si avrebbero grossi cambiamenti rispetto alla situazione attuale, dal momento che è proprio dal parametro della violazione sufficientemente caratterizzata che ha preso spunto il nostro giudice amministrativo nell’individuare gli indici dell’errore scusabile che escludono la responsabilità della p.A.
A tal proposito, giova ricordare che per il giudice europeo i criteri che rendono la violazione «manifesta e grave» sono «il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario»[46]. Nelle altre ipotesi di attività più complessa il giudice comunitario, invece, esclude la violazione grave e manifesta e quindi nega la responsabilità del soggetto pubblico. Così, ad esempio, la Corte di giustizia ha ritenuto che non integra gli estremi di una violazione grave e manifesta, l’erronea applicazione di una norma comunitaria ambigua[47].
Analogamente, i giudici amministrativi nazionali escludono la responsabilità della p.A., considerando «scusabile» il suo errore, nelle ipotesi di formulazione incerta delle norme applicate, di oscillazioni interpretative della giurisprudenza, di rilevante complessità del fatto, di novità delle questioni, di errore causato dal comportamento del privato[48].
In alcune sentenze, anzi, il nostro giudice amministrativo si richiama espressamente agli indici elaborati dalla Corte di giustizia europea, assumendo come indispensabile «accedere direttamente ad una nozione oggettiva di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’Amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento»[49].
Dunque, accedendo all’interpretazione da ultimo prospettata, e cioè ritenendo che anche nel settore degli appalti sia necessaria la verifica del presupposto della violazione sufficientemente caratterizzata per affermare la responsabilità dell’Amministrazione, si arriva giocoforza alla conclusione che il livello di responsabilità garantito attualmente dai giudici italiani attraverso l’utilizzo dell’istituto dell’errore scusabile sia già conforme allo standard richiesto dal giudice comunitario.
Questa linea interpretativa, però, non sembra che si possa seguire, perché, come visto, l’obiettivo dell’ordinamento comunitario, nel settore in esame, è chiaramente quello di garantire con certezza che il soggetto che ha subìto un danno dall’illegittima violazione delle norme sugli appalti sia risarcito in modo rapido ed efficace, ed è proprio la lunghezza dei tempi che possono rendersi necessari per un procedimento civile inteso ad accertare l’elemento soggettivo che preoccupa il giudice europeo. In altre parole, per la normativa comunitaria occorre evitare che dopo la conclusione del contratto successiva all’illegittima aggiudicazione dell’appalto pubblico ci sia una qualche limitazione alla concessione di un risarcimento. Per questo non è ammesso il ricorso a presunzioni, ma sembra che si debba escludere anche la possibilità che il risarcimento sia subordinato alla prova della sussistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata. Non è consentito, di conseguenza, nemmeno l’utilizzo dell’istituto dell’errore scusabile, come si ricava dalla lettura della sentenza in commento, la quale, al punto 41, esclude il ricorso ad un meccanismo di presunzioni di colpevolezza che possa essere vinto invocando «il carattere scusabile dell’errore di diritto»; istituto a cui, com’è noto, spesso si aggrappa il giudice amministrativo italiano per escludere la responsabilità dell’amministrazione aggiudicatrice nelle ipotesi di complessità della normativa, di ambiguità delle clausole del bando di gara, e così via[50].
In definitiva, per l’ordinamento comunitario, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, ogni violazione della normativa sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici è da considerare grave e manifesta. Siffatta violazione, pertanto, porta sempre alla condanna dell’Amministrazione aggiudicatrice, la quale può andare esente da responsabilità soltanto allorquando la decisione illegittima non sia dannosa, cioè non abbia arrecato un pregiudizio al soggetto ricorrente[51].
Sembra così che il risarcimento del danno stia diventando sempre più una sorta di sanzione nei confronti del soggetto pubblico che sbaglia, da utilizzare quando non si vuole o non è più possibile chiedere l’aggiudicazione del contratto[52].
Il pregiudizio subìto dall’illegittima aggiudicazione deve però essere provato in modo rigoroso dal privato danneggiato, anche perché l’art. 124 del d.lgs. n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo) prevede il risarcimento del danno “subito e provato”[53].
Quanto alla quantificazione del danno, si deve ricordare che la normativa italiana sulla responsabilità per violazione della disciplina sugli appalti pubblici prende in considerazione il fatto colposo e la diligenza del soggetto privato danneggiato: l’art. 124 del codice del processo amministrativo, infatti, richiama espressamente l’art. 1227 c.c.[54] Più in generale, il principio scolpito nell’art. 1227 c.c., secondo cui nella determinazione del danno è necessario valutare il comportamento delle parti e la diligenza del soggetto danneggiato, è richiamato dall’art. 30, co. 3, del d.lgs. n. 104/2010. Anche il giudice comunitario precisa che nella quantificazione del danno si deve tener conto della diligenza del danneggiato[55].
Emerge così un paradosso: nelle ipotesi di violazione della normativa sugli appalti pubblici rileva la colpa del privato danneggiato (pur se al fine della quantificazione del danno), ma non la colpa dell’Amministrazione danneggiante[56].


6. Colpa professionale e responsabilità da attività provvedimentale della p.A.

Dunque, seguendo la lettura qui preferita della sentenza in esame, si può così rispondere all’interrogativo iniziale: nelle illegittimità compiute nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, la colpa non rappresenta più un elemento essenziale della responsabilità da attività provvedimentale della p.A.; ma, negli altri casi di danni conseguenti alla violazione di interressi legittimi è ragionevole continuare a ritenere che ai fini del risarcimento del danno non si possa prescindere dal carattere colpevole della violazione posta in essere dal soggetto pubblico, attenuata attraverso l’utilizzo di una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione danneggiante, proprio per non rendere eccessivamente difficoltoso e lento il risarcimento.
Si introduce così un doppio binario di tutela tra le situazioni che hanno un rilievo comunitario e quelle interne. O meglio, tra quelle situazioni che riguardano le procedure di aggiudicazione degli appalti (anche quelle sotto soglia comunitaria) e gli altri campi di attività dell’Amministrazione pubblica.
Certo, in linea generale, è sicuramente preferibile che all’interno di un singolo ordinamento non si formi un sistema duale di responsabilità, uno comunitario e l’altro di matrice interna[57]. È auspicabile, cioè, che si eviti il ricorso al c.d. «principio di discriminazione alla rovescia», riconoscendo alle situazioni giuridiche soggettive che hanno un mero rilievo nazionale una tutela minore rispetto a quelle che invece hanno un rilievo comunitario[58]. Un argomento in tal senso si potrebbe trarre dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990 (come novellato dalla l. n. 69/2009), che, richiamando il rispetto dei principi del diritto comunitario, sembra includere anche i principi in tema di responsabilità e, di conseguenza, pare implicare l’obbligo di rendere il risarcimento dei danni per violazione degli interessi legittimi conforme allo standard comunitario[59]. In questa direzione sembra andare anche l’art. 1 del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), che impone al giudice amministrativo di assicurare una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo.
Per evitare la formazione di un sistema duale, le strade che si possono percorrere sono fondamentalmente due: o si innalza la soglia di protezione delle situazioni giuridiche soggettive risarcibili al di sopra dello standard europeo, oppure si uniforma la responsabilità di diritto interno a quello comunitario, attraverso il c.d. effetto spill over, che – com’è noto – consiste nell’estendere volontariamente il trattamento previsto dal diritto comunitario anche a quelle situazioni di diritto interno per le quali esso non è obbligatorio, come, ad esempio, la risarcibilità per lesioni arrecate da una violazione del diritto interno e non di quello europeo[60].
Nel caso qui in esame, però, come s’è già detto, non è ipotizzabile un livello di tutela superiore rispetto allo standard comunitario, dal momento che quest’ultimo prevede espressamente una responsabilità di tipo oggettivo. Ma, non è auspicabile neppure fare ricorso all’effetto spill over, perché, come s’è visto, la responsabilità oggettiva trova una sua legittimazione nel settore degli appalti, dove è necessario tutelare l’oggettivo interesse alla concorrenza, ma non si giustifica negli altri settori in cui opera la p.A., se non attraverso una esplicita scelta del legislatore. E, d’altra parte, come s’è cercato di mettere in evidenza, anche nell’ordinamento comunitario questo sistema così rigoroso di responsabilità oggettiva è limitato «unicamente» alle procedure di aggiudicazione degli appalti disciplinate dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE.
Dunque, secondo la tesi qui seguita, al di fuori delle ipotesi di violazione della disciplina sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, la colpa continua ad essere uno strumento di imputazione della responsabilità alla pubblica Amministrazione per i danni conseguenti all’illegittimo esercizio del potere provvedimentale.
Come si è cercato di dimostrare in un altro lavoro, però, il modello di responsabilità utilizzato attualmente dal giudice amministrativo, che esclude la responsabilità dell’Amministrazione pubblica nelle ipotesi di errore scusabile, non è convincente, dato che esso è sì in linea con lo standard di tutela fissato a livello comunitario (dal quale mutua gli indici), ma non sembra conforme alla legislazione nazionale, perché finisce con l’innalzare la soglia di responsabilità della p.A. per l’illegittimo esercizio del potere alla colpa grave senza alcun aggancio normativo[61].
Per questo, nei casi di attività amministrativa complessa, sembra più corretto far ricorso alla colpa professionale ex art. 2236 c.c., piuttosto che all’istituto dell’errore scusabile. Come chiarito da un’attenta dottrina civilistica, la regola contenuta nell’art. 2236 c.c. può estendersi anche all’attività provvedimentale della p.A., la quale può sicuramente inquadrarsi tra le prestazioni d’opera intellettuale[62]. Sul punto, giova precisare che nell’art. 2236 c.c. il riferimento alla colpa grave non va inteso come uno scarto considerevole dal parametro di diligenza media, cioè come una colpa grave in senso proprio, bensì come una colpa speciale esigibile dal tipo di professionista convenuto, nel nostro caso l’amministratore o il funzionario pubblico: si tratta, pertanto, di una colpa che fa riferimento ad uno standard di comportamento particolarmente elevato e rigoroso[63].
Diversi sono i vantaggi che si possono conseguire accedendo ad una colpa speciale professionale.
Anzitutto si ha un modello di colpa maggiormente fedele al dato normativo nazionale[64].
In secondo luogo, si garantisce al privato una maggiore effettività di tutela delle situazioni giuridiche risarcibili anche rispetto allo standard di risarcibilità fissato a livello comunitario. Infatti, l’abbandono dell’errore scusabile e l’utilizzo della colpa professionale non fanno altro che rendere lo schema di responsabilità interno più rigoroso rispetto a quello comunitario, che si fonda, invece, come s’è visto, sulla «violazione sufficientemente caratterizzata», parametro ben più favorevole per l’Amministrazione e dal quale ha preso spunto il nostro giudice amministrativo nell’individuare gli indici dell’errore scusabile. Più in particolare, seguendo il modello di colpa comunitario, nelle ipotesi di violazione non grave e manifesta, la p.A. andrebbe sempre immune da responsabilità. Al contrario, facendo ricorso al parametro di colpa di cui all’art. 2236 c.c., nei casi di violazione non grave e manifesta (che sono poi quelle fattispecie nelle quali il nostro giudice amministrativo ritiene scusabile l’errore dell’Amministrazione), la responsabilità della p.A. non andrebbe sempre esclusa, ma dovrebbe essere vagliata caso per caso sulla base del parametro della colpa professionale. Tale soluzione, di conseguenza, è del tutto compatibile – perché migliorativa – con lo standard di risarcibilità individuato a livello europeo.
Ed infine, il ricorso all’art. 2236 c.c. attenuerebbe, se non eliminerebbe del tutto, le differenze in punto di elemento soggettivo che corrono tra le due principali tesi che si contendono il campo sulla natura da attribuire alla responsabilità da attività provvedimentale della p.A.: la tesi contrattuale e quella extracontrattuale[65]. L’art. 2236 c.c., infatti, nasce in ambito contrattuale ma può essere esportato, almeno secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza civilistica, anche sul terreno dell’illecito extracontrattuale[66]. Questo significa che il ricorso alla colpa professionale è possibile sia che si riconduca la responsabilità da attività provvedimentale della p.A. nello schema contrattuale, sia che la si riconduca nello schema dell’illecito aquiliano. Si raggiungerebbe così l’importante risultato di avere in entrambi i casi lo stesso parametro di colpa. Non solo, si avrebbe un parametro di colpa che, come s’è già detto, rispetto al modello attuale di responsabilità fondato sull’istituto dell’errore scusabile, garantirebbe, da un lato, una maggiore aderenza al dato normativo e, dall’altro, una maggiore effettività di tutela al cittadino che subisce un danno dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo.

 

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[1] La presente nota è in corso di pubblicazione sulla rivista Giurisprudenza Italiana, dove è anche possibile leggere la citata sentenza della Corte di giustizia CE, Sez. III, 30 settembre 2010, causa C-314/09, Graz Stadt c. Strabag AG ed altri.
[2] In particolare la Dir. 89/665/CEE, come modificata dalla Dir. 92/50/CEE, su cui vedi, per tutti, in dottrina, G. Morbidelli, Note introduttive sulla direttiva ricorsi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1991, 829 e ss. Com’è noto, la recente Dir. 2007/66/CE ha di nuovo modificato le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, con l’intento di migliorare l’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici in modo da garantire l’effettiva applicazione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE. Sulla Dir. 2007/66/CE si veda il commento di A. Bartolini, S. Fantini, La nuova direttiva ricorsi, in Urb. e Appalti, 2008, 1093 e ss. Quest’ultima direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 53/2010, il cui contenuto è stato in parte riversato nel codice del processo amministrativo, approvato con il d.lgs. n. 104/2010. Per un commento al d.lgs. n. 53/2010 si vedano A. Bartolini, S. Fantini, F. Figorilli, Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi, in Urb. e Appalti., 2010, 638 e ss., e, con particolare attenzione alla tematica del risarcimento dei danni, M. Renna, Il risarcimento dei danni in materia di appalti pubblici dopo il recepimento della «direttiva ricorsi», in www.giustamm.it.
[3] Com’è noto, il giudice comunitario richiede per il risarcimento del danno la sussistenza di una violazione sufficientemente grave e manifesta di una norma del diritto comunitario preordinata a conferire diritti ai singoli, nonché un nesso causale tra tale violazione e il danno subìto dai singoli: in tal senso si vedano, ex multis, Corte giust. CE, 23 maggio 1996, causa C-5/1994, Hedley Lomas ltd, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, 1003, con nota di R. Caranta, Illegittimo diniego di autorizzazione all’esportazione e responsabilità della pubblica Amministrazione alla luce del diritto comunitario; Id., 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, in Foro Amm., 1997, 1 e ss., con nota di R. Caranta, Conferme e precisazioni in materia di responsabilità per violazioni del diritto comunitario (ivi, 59 e ss.).
[4] Il riferimento è a Corte giust. CE, 14 ottobre 2004, causa C-275/03, Commissione c. Repubblica Portoghese, in Urb. e Appalti, 2005, 36, con commento di M. Protto, Per il diritto europeo la responsabilità della p.A. non richiede la prova dell’elemento soggettivo; Id., 10 gennaio 2008, causa C-70/06, Commissione c. Repubblica Portoghese, in Foro Amm. CdS, 2008, 1.
[5] Corte giust. CE, 14 ottobre 2004, causa C-275/03, Commissione c. Repubblica Portoghese, cit. Nella stessa direzione va la sentenza che si annota.
[6] In giurisprudenza seguono questo indirizzo, ad esempio, Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114, in Giur. It., 2008, 230; Id., Sez. VI, 9 novembre 2006, n. 6607, in Giur. It., 2007, 1275; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 14 marzo 2005, n. 328, in Foro Amm. TAR, 2005, 888. In dottrina si vedano, tra gli altri, M.A. Sandulli, Diritto europeo e processo amministrativo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, 37 e ss., spec. par. 5; S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, Torino, 2008, 513 e ss. Secondo M. Protto, Per il diritto europeo la responsabilità della p.A. non richiede la prova dell’elemento soggettivo, cit., 36 e ss., invece, la richiamata sentenza della Corte di giustizia può costituire l’occasione per il definitivo affermarsi della tesi della responsabilità c.d. da «contatto amministrativo».
[7] Così T.A.R. Sardegna, Sez. I, 14 marzo 2005, n. 328, cit.
[8] Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114, cit.; Id., Sez. VI, 9 novembre 2006, n. 6607, cit.
[9] T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., 19 novembre 2010, n. 4660, ibidem.
[10] In tema di concorrenza si vedano, indicativamente, R. Cavallo Perin, G.M. Racca, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, in Dir. Amm., 2010, 325 e ss.; F. Cintioli, Concorrenza, istituzioni e diritto pubblico, Milano, 2010; F. Fracchia, Ordinamento comunitario, mercato e contratti della pubblica Amministrazione, Napoli, 2010; Id., Il rito speciale sugli appalti e la sorte del contratto: un giudizio a geometria variabile e a oggetto necessario nel contesto della concorrenza, in www.giustamm.it; A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri. Profili di diritto amministrativo nella disciplina antitrust, Torino, 2007; G. della Cananea, Dalla concorrenza per il mercato alla concorrenza nel mercato: gli appalti pubblici nei servizi di comunicazioni elettroniche, in Atti del Convegno su Il partenariato pubblico-privato e il diritto europeo degli appalti e delle concessioni, Firenze, gennaio 2005, in www.iisa.it, 135 e ss.; M. D’Alberti, La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in Dir. Amm., 2004, 705 e ss.
[11] Infatti, la recente Dir. 2007/66/CE, dopo aver chiarito, al primo considerando, che «le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE mirano a garantire l’effettiva applicazione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE», puntualizza, al secondo considerando, che le «direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE pertanto si applicano unicamente alle procedure di aggiudicazione degli appalti disciplinate dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, come interpretate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee a prescindere dalla procedura di evidenza pubblica utilizzata e dai mezzi con cui si indice una gara, compresi i concorsi di progettazione, i sistemi di qualificazione e i sistemi dinamici di acquisizione».
[12] Secondo R. Cavallo Perin, G.M. Racca, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, cit., 330 e 332, la disciplina sulla concorrenza si è espressa per tradizione nella fase di scelta del contraente, ma empiricamente si è rilevato che la gara non sempre riesce ad assicurare un’effettiva concorrenza tra le imprese se l’offerta risultata vincente non sia stata correttamente adempiuta, poiché la ragione dell’aggiudicazione è tradita dall’inesatta o infedele esecuzione contrattuale.
[13] Sul punto si vedano A. Bartolini, S. Fantini, La nuova direttiva ricorsi, in Urb. e Appalti, 2008, 1093 e ss.; A. Bartolini, Commento sub art. 340 Trattato UE, in Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, a cura di A. Bartolini, S. Fantini, G. Ferrari, Roma, 2010, 45 e s.
[14] In questa direzione, pur se con diverse ricostruzioni, si vedano: A. Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo, Napoli 2003; L. Garofalo, Verso un modello autonomo di responsabilità dell’Amministrazione, in Urb. e Appalti, 2005, 1060 e ss.; Id., La responsabilità dell’Amministrazione: per l’autonomia degli schemi ricostruttivi in Dir. Amm. 2005, 1 ss.; E. Follieri, Il modello di responsabilità per lesione di interessi legittimi nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la responsabilità amministrativa di diritto pubblico, in Dir. Proc. Amm., 2006, 18 e ss.; S. Valaguzza, Percorsi verso una «responsabilità oggettiva» della pubblica Amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 2009, 50 e ss.; G.D. Comporti, Il cittadino viandante tra insidie e trabocchetti: viaggio alla ricerca di una tutela risarcitoria praticabile, in Dir. Amm., 2009, 663 e ss.; si avvicina ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva della p.A. anche E. Scotti, Appunti per una lettura della responsabilità dell’Amministrazione tra realtà e uguaglianza, in Dir. Amm., 2009, 580 e ss.
[15] In tal senso, indicativamente, L. Bigliazzi Geri-U. Breccia-F.D. Busnelli-U. Natoli, Diritto civile, vol. III, Obbligazioni e contratti, Torino, 1992, 684, secondo cui nel vigente sistema di responsabilità civile la «regola generale è imprescindibilmente fondata sul principio della colpa, assunta nel suo ruolo di criterio unico di imputazione della responsabilità per tutti i danni ingiusti derivanti da fatti che non trovano (né direttamente né indirettamente) la loro disciplina in una previsione normativa speciale».
[16] Sottolineano la tipizzazione delle ipotesi di responsabilità oggettiva, tra gli altri, D. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino 1949, 736; P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli 1992, 751; M. Carrà, L’esercizio illecito della funzione pubblica Fondamento, presupposti e regime, Torino, 2005, 89 e ss., spec. 96.
[17] In tal senso Cass., Sez. III, 9 febbraio 2004, n. 2424, in Giur. it., 2004, 1729. Ha ribadito la necessarietà della presenza della colpa anche Cass., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18511, in Danno e Resp., 2008, 761 e ss., con nota di F. Giazzi, Colpa della pubblica Amministrazione e responsabilità aquiliana. Da ultimo, riafferma la «necessità della prova specifica e dell’accertamento in concreto della colpa dell’agente in tema di risarcibilità del danno da interessi legittimi» Cass., Sez. III, 28 ottobre 2010, n. 22021, in www.lexitalia.it. Pure il giudice amministrativo ha avuto modo di puntualizzare che nell’assetto attuale non è possibile far ricorso a forme di imputazione oggettiva, ma occorre restare ancorati all’interno del sistema di responsabilità civile: si veda, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, in Giur. It., 2001, 2163. E anche quando una giurisprudenza minoritaria ha aderito ad un modello di responsabilità di stampo pubblicistico, svincolandosi così dalle maglie del diritto privato, ha sempre ritenuto come indefettibile la presenza del requisito della colpevolezza: il riferimento è a Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 2005, n. 1047, in Urb. e Appalti, 2005, 1060, con nota di L. Garofalo, Verso un modello autonomo di responsabilità dell’Amministrazione. Anche la Consulta, con riguardo all’illecito extracontrattuale delle p.A. da illegittima attività provvedimentale, ha affermato la necessità di accertare in concreto la sussistenza della colpa del soggetto pubblico: si veda Corte cost., ord., 7 aprile 2006, n. 149, in Giur. Cost., 2006, 1376.
[18] Articolo introdotto dall’articolo 7, comma 1, della legge n. 69 del 2009.
[19] Ritiene il principio di eguaglianza fondamento e misura della responsabilità della pubblica Amministrazione A. Cariola, La responsabilità della p.A. per lesione di interessi legittimi, in www.giustizia-amministrativa.it, § 3.
[20] L’art. 28 Cost., com’è ben noto, richiama anche le leggi penali e amministrative.
[21] Come notato da M. Carrà, L’esercizio illecito della funzione pubblica, cit., 127. In questo senso già G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, III ed., Torino 2006, 371, secondo cui, in virtù del richiamato rinvio, la responsabilità civile degli agenti pubblici e quella della p.A. sono, almeno tendenzialmente, disciplinate dalle stesse regole che valgono nei rapporti tra privati. Anche per L. Torchia, La responsabilità, in Istituzioni di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano 2004, 365, con il richiamo alle leggi civili, l’art. 28 Cost. «conferma che la responsabilità della pubblica Amministrazione trova la sua base giuridica nel codice civile e conosce la stessa articolazione della responsabilità dei privati in responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale». Attenta dottrina, però, configura la responsabilità da attività provvedimentale della p.A. come una responsabilità oggettiva di diritto pubblico slegata dai moduli civilistici: si vedano, pur se con argomentazioni diverse, A. Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa, cit., passim; Id., Il problema della colpa nella tutela risarcitoria degli interessi legittimi: spunti ricostruttivi, cit., 1381 e ss.; E. Follieri, Il modello di responsabilità per lesione di interessi legittimi nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la responsabilità amministrativa di diritto pubblico, cit., 18 e ss.; L. Garofalo, La responsabilità dell’Amministrazione: per l’autonomia degli schemi ricostruttivi, cit., 1 ss.
[22] Sottolinea questo aspetto M. Clarich, La responsabilità civile della pubblica Amministrazione nel diritto italiano, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1988, 1086 e ss. Perspicuamente G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, cit., 376, afferma che anche «se fra le leggi possono esservene alcune che riguardano specificamente la pubblica Amministrazione o singole Amministrazioni e che prevedono deroghe al diritto comune, è certo che il diritto comune è la regola: con la conseguenza che le eventuali deroghe devono trovare una giustificazione rispetto ai modelli, peraltro largamente differenziati, offerti dal codice civile».
[23] Come fa A. Police, La disciplina attuale della responsabilità amministrativa, in La responsabilità amministrativa e il suo processo, a cura di F.G. Scoca, Padova 1997, 61 e ss.
[24] Sul punto sia consentito rinviare a S. Cimini, La responsabilità amministrativa e contabile. Introduzione al tema ad un decennio dalla riforma, Milano, 2003.
[25] E. Casetta, L’illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, 106 e s. Anche E. Cannada Bartoli, Introduzione alla responsabilità della pubblica Amministrazione in Italia, in La responsabilità della pubblica Amministrazione, a cura del medesimo Autore, Torino, 1976, 29, ritiene «che la responsabilità civile della p.A. dev’essere esaminata, dallo studioso e dal giudice, secondo la tecnica che si trae dalle norme comuni; salvo diversa disciplina». Nella medesima direzione, tra gli altri, M. Maggiolo, Responsabilità della pubblica Amministrazione per danni non patrimoniali?, in Studium Iuris, 2005, 736; A. Lamorgese, Interessi oppositivi e responsabilità «civile» della p.A., in Corriere Giur., 2005, 1222.
[26] In questo senso, pur se con riferimento agli incidenti medici, sembra andare J. Bell, La responsabilità del governo: alcune riflessioni comparate, in AA.VV., Verso un’Amministrazione responsabile, Milano, 2005, 34.
[27] Secondo il rapporto annuale 2005 del Conseil d’État francese, dal titolo Responsabilité et socialisation du risque, l’estensione della responsabilità sans faute partecipa al movimento di socializzazione del rischio e alla evoluzione generale verso una responsabilità allargata dei soggetti pubblici. Si è occupato del tema B. Delfino, Responsabilità e socializzazione del rischio, in www.giustamm.it, n. 2/2006, il quale, con riferimento alla «socializzazione del rischio», chiarisce che si tratta «di una locuzione che è espressione di una solidarietà allargata e che risponde all’idea che esistono certi rischi sociali il cui peso sarebbe ingiusto che fosse lasciato gravare soltanto sulle vittime senza ripartirlo sulla collettività, attesa l’impossibilità per queste ultime di premunirsi contro di esse». Sul punto non si può che rinviare a P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961; nonché a G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Milano, 1975.
[28] In argomento si veda A. Avelino Blasco Esteve, La responsabilida de la Administración por actos administrativos, II ed., Madrid, 1985, 226 e ss. Fa rientrare la colpa in gioco per mezzo del nesso causale J. Leguina Villa, Prólogo a M. Beladiez Rojo, Responsabilidad e imputación de daños por el funcionamiento de los servicios públicos, Madrid, 1997, secondo il quale se non vi è colpa non vi è, in definitiva, nesso causale. Su questi aspetti nonché per ulteriori indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali si rinvia allo scritto di R. Briani, Problemi, tendenze e prospettive della responsabilità extracontrattuale della pubblica Amministrazione in Spagna, in Dir. pubbl., 2006, 278 e ss., la quale conclude la sua indagine osservando che l’attenzione e gli sforzi dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in Spagna sono in larga parte tesi a ridimensionare od attenuare il carattere oggettivo della responsabilità pubblica (ivi, 285).
[29] Peraltro, da tempo la dottrina ha notato come la responsabilità delle istituzioni comunitarie sia intesa in maniera più attenuata rispetto a quella degli Stati: si veda, ad esempio, G. Morbidelli, La tutela giurisdizionale dei diritti nell’ordinamento comunitario, Milano, 2001, 63.
[30] Ad esempio F. Fines, Quelle obligation de rapar pour la violation du droit communautarie, in Rev. Trim. Droit Eur., 1997, 90; P. Senkovic, L’évolution de la responsabilité de l’Etat législateur sous l’influence du droit communautaire, Bruxelles, 2000, 142.
[31] In tal senso si veda, indicativamente, G.F. Cartei, La Corte di giustizia e la responsabilità dello Stato per violazione di norme comunitarie: una nuova pronuncia, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, 741 e s. In questa direzione sembra andare anche G. Falcon, La tutela giurisdizionale, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti-G. Greco, Parte generale, Tomo II, II ed., Milano, 2007, 743. Rinviene nella violazione grave e manifesta il carattere colposo della responsabilità delle istituzioni comunitarie pure G. Venturini, Commento sub art. 288 CE, in Commentario breve ai trattati della Comunità e dell’Unione europea, a cura di F. Pocar, Milano, 2001, 975; nonché A. Di Majo, Responsabilità e danni nelle violazioni ad opera dello Stato, in Europa e dir. priv., 1998, II, 776; E. Calzolaio, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno. Una prospettiva comparata, Milano, 2004, 54, secondo il quale «per la Corte di giustizia in realtà non è in discussione se la responsabilità si fondi sulla colpevolezza (la Corte sembra quasi presupporlo); si tratta invece di precisare quale contenuto rivesta tale nozione». Si veda, altresì, P.G. Ferri, La tutela risarcitoria del diritto comunitario degli appalti pubblici, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1992, 1265, il quale dà risalto addirittura al dolo, ritenendo che c’è un allineamento della disciplina comunitaria «alla regola britannica, che ammette la responsabilità per danni della pubblica Amministrazione solo quando l’atto, oltre ad essere illegittimo, è anche arbitrario ed espressione di un animus nocendi del funzionario nei confronti dell’amministrato».
[32] A. Lazari, Modelli e paradigmi della responsabilità dello Stato, Torino, 2005, 279, il quale ritiene che ci sia «un sistema semi-oggettivo di responsabilità, che ruota attorno al concetto di violazione sufficientemente caratterizzata. La categoria della responsabilità oggettiva è rilegata solo a determinate fattispecie di violazione in re ipsa: per esempio la violazione di una direttiva».
[33] D. D’Orsogna, La tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, in Processo amministrativo e diritto comunitario, a cura di E. Picozza, Padova, 2003, 636, per il quale la presenza dell’elemento soggettivo può integrare, in alternativa ad altri elementi (quali la minore ampiezza dei poteri riconosciuti all’autorità nazionale), il requisito della violazione grave e manifesta.
[34] A. Bartolini, Commento sub art. 340 Trattato UE, cit., 44.
[35] N. Pecchioli, La responsabilità pubblica comunitaria come sistema di diritto uniforme, in Dir. Unione Europea, 2001, 363.
[36] Il riferimento è a Corte giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit, punti 78-79.
[37] Ritiene che il richiamo fatto dalla Corte di giustizia a questi caratteri psichici non costituisca un’adesione alla concezione soggettiva della responsabilità, ma unicamente «uno dei criteri di valutazione della gravità della violazione, accanto ad altri che rimangono oggettivi», M. Protto, L’effettività della tutela giurisdizionale nelle procedure di aggiudicazione di pubblici appalti, Milano, 1997, 520 e s.
[38] È questa la conclusione cui perviene A. Bartolini, Il risarcimento del danno tra giudice comunitario e giudice amministrativo. La nuova tutela del c.d. interesse legittimo, Torino, 2005, 213.
[39] Questo principio si trova affermato in Corte giust. CE, 24 settembre 1998, causa C-319/96, Brinkmann Tabakfabriken, in Racc., 1998, 5255; Id., seduta plenaria, 8 ottobre 1996, in cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, Dillenkofer, in Giur. It., 1997, I, 1, 1009. Sul punto si vedano G. della Cananea, La Corte di giustizia e i rimedi contro le omissioni del legislatore, in Giornale Dir. Amm., 1997, 827, che sottolinea come sul legislatore nazionale incombano «obblighi di risultato assai stringenti, che ne restringono la discrezionalità, fin quasi ad escluderla del tutto»; E. Calzolaio, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno, cit., 42.
[40] Come notato da L. Torchia, La responsabilità della pubblica Amministrazione, in Diritto amministrativo comparato, a cura di G. Napolitano, Milano, 2007, 279, «l’ordinamento comunitario tende a far prevalere un criterio di oggettivazione della colpa, corretto, però, mediante la condizione della violazione sufficientemente qualificata, con la necessità di verificare, volta per volta, le specifiche circostanze – ivi compreso l’elemento soggettivo – della situazione rilevante».
[41] Sul punto la giurisprudenza comunitaria è chiara: si veda Corte giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit., punto 66, secondo cui le condizioni da essa individuate «sono necessarie e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, senza tuttavia escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata, a condizioni meno restrittive, sulla base del diritto nazionale».
[42] Sul ruolo che la colpa svolge nella responsabilità contrattuale sia consentito rinviare a S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle amministrazioni pubbliche, cit., 45 e ss., ivi i necessari riferimenti dottrinali. Si sofferma sul rapporto tra l’art. 1218 c.c. e la colpa anche F. Fracchia, Elemento soggettivo e illecito civile dell’Amministrazione pubblica, Napoli, 2009, 20 e ss.
[43] T.A.R. Lazio, Sez. III, 10 gennaio 2007, n. 76, in Foro Amm. TAR, 2007, 135 e ss., con nota di M.T.P. Caputi Jambrenghi, Assorbimento dell’indennizzo da revoca dell’aggiudicazione e responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 2 ottobre 2003, n. 4503, in Dir. Proc. Amm., 2004, 527, con nota di F. Cortese, Ancora sulla responsabilità precontrattuale della p.A.: prove tecniche di giudizio ed ipotesi ricostruttive, ivi, 544 e ss.; Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457, in Urb. e Appalti, 2003, 943 s., con nota adesiva di G.M. Racca, Comportamento scorretto, atto legittimo e responsabilità della pubblica Amministrazione, ivi, 944 ss.
[44] Secondo F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni «Trenta» all’«alternanza», Milano, 2001, 275, il provvedimento che legittimamente disattenda un affidamento è assimilabile ad un atto ablativo e può essere, perciò, indennizzabile. Osserva L. Torchia, La responsabilità, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, a cura di S. Cassese, tomo II, Milano 2003, 1665, che di «responsabilità derivante da atti legittimi si parla con riguardo alla previsione di indennizzo a seguito di espropriazione: ma si tratta, per l’appunto, di un indennizzo e non di un risarcimento, secondo alcuni configurabile più come un onere per il legittimo esercizio del potere, che non come una misura riparatoria del danno provocato, qual è il risarcimento, in quanto viene a mancare, in questi casi, il carattere dell’ingiustizia del danno». Anche M. Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino 1999, 193 e passim, propone che nell’attività legittimità della p.A. (con particolare riferimento alla revoca) vi sia un indennizzo come tutela del danno da lesione del legittimo affidamento subito dal privato, non ritenendo possibile arrivare ad una soluzione, come quella adottata dall’ordinamento tedesco, ove si parla di risarcimento. Secondo questa Autrice il risarcimento «non avrebbe motivo di porsi in quanto il danno arrecato con la revoca non potrebbe mai qualificarsi come ingiusto a motivo del fatto che si tratta pur sempre di un’attività legittimamente posta in essere dalla pubblica Amministrazione» (ivi, 199). Di diverso avviso è L. Giani, Funzione amministrativa e obblighi di correttezza. Profili di tutela del privato, Napoli, 2005, 255 e ss., la quale ritiene che vi possa essere una tutela risarcitoria anche nelle ipotesi di attività legittima della p.A.
[45] L’affermazione di questo principio si trova in Cons. Stato, 28 ottobre 2010, n. 7635, in www.giustizia-amministrativa.it.
[46] Corte giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit., punto 56.
[47] Corte giust. CE, 26 marzo 1996, in causa C-392/93, British Telecommunications, in Foro It., 1996, IV, 321, con nota di G. Catalano, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario: atto secondo.
[48] Per maggiori approfondimenti sul punto sia consentito rinviare a S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit., spec. 265 e ss., ivi numerosi riferimenti giurisprudenziali.
[49] Così, tra le prime decisioni, Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169 in Giur. it., 2001, 2386.
[50] A titolo meramente esemplificativo si vedano Cons. Stato, Sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6000, in Foro Amm. CdS, 2002, 2942; Id., Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393, ivi, 2918.
[51] Ipotesi peraltro difficile dal verificarsi, dal momento che il danno al privato spesso c’è ed è di solito anche ingente.
[52] Più in generale, è stato notato che in ambito comunitario la tutela della situazione soggettiva non sempre rileva come tale, quanto come strumento per garantire l’effettiva applicazione del diritto comunitario negli Stati membri: così G. Morbidelli, Corte costituzionale e Corti europee: la tutela dei diritti (dal punto di vista della Corte del Lussemburgo), in www.giustamm.it, 27 (anche in Dir. Proc. Amm., 2006, 285 e ss.), secondo cui «la responsabilità viene a configurarsi come una sanzione contro lo Stato che tiene un comportamento anticomunitario» (ivi, 28).
[53] In tal senso T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 19 novembre 2010, n. 4660, cit.
[54] Sull’art. 1227 c.c. e la responsabilità in materia di appalti pubblici si vedano le osservazioni di M. Renna, Il risarcimento dei danni in materia di appalti pubblici dopo il recepimento della «direttiva ricorsi», cit., spec. par. 3 e passim.
[55] Corte giust. CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, cit.
[56] Il che peraltro accade anche nelle ipotesi di responsabilità contrattuale, almeno se si aderisce alla tesi dottrinale che sostiene che in questo tipo di responsabilità non ha rilevanza l’elemento soggettivo.
[57] Sull’opportunità di evitare la formazione di «un doppio binario» della giustizia amministrativa quando esamina controversie che attengono al diritto comunitario o al diritto interno, si vedano, tra gli altri, E. Picozza, L’effettività della tutela nel processo amministrativo alla luce dei principi comunitari, in Jus, 1997, 206; S. Tarullo, Il giusto processo amministrativo. Studio sull’effettività della tutela giurisdizionale nella prospettiva europea, Milano, 2004, 375, Id., La colpa della pubblica Amministrazione nel nascente modello di responsabilità risarcitoria per lesione dell’interesse legittimo. Proposte e prospettive, in TAR, 2001, II, 206, il quale ritiene che il giudice amministrativo, pur non essendo obbligato ad applicare l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di giustizia, cionondimeno «dovrebbe preoccuparsi di utilizzare la giurisprudenza comunitaria almeno come termine di paragone e parametro interpretativo delle soluzioni adottate».
[58] Situazione che purtroppo nel nostro Paese si è verificata per molti anni, se si considera che fino al 1999 gli unici interessi legittimi pretensivi risarcibili erano quelli relativi al settore degli appalti pubblici di rilevanza comunitaria. Facendo leva sul principio di eguaglianza, anche il Consiglio di Stato ha rimarcato la necessità di non introdurre sistemi duali di tutela: Cons. Stato, Ad. Plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1, in Giur. It., 2000, 2177.
[59] In tal senso A. Bartolini, Commento sub art. 340 Trattato UE, cit., 45, secondo il quale «il rinvio operato ai principi del diritto comunitario da parte dell’art. 1, comma 1, attiene a tutti gli oggetti disciplinati dalla l. n. 241 del 1990, per cui anche al tema della responsabilità».
[60] Sul c.d. effetto spill over si vedano, indicativamente, R. Caranta, La «comunitarizzazione» del diritto amministrativo: il caso della tutela dell’affidamento, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, 451; M. Protto, L’effettività della tutela giurisdizionale nelle procedure di aggiudicazione di pubblici appalti, cit., 5.
[61] Sul punto sia consentito il rinvio a S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit., 436 e ss. Nella stessa direzione si veda anche F. Fracchia, Elemento soggettivo e illecito civile dell’Amministrazione pubblica, cit., 61.
[62] Il riferimento è a L.V. Moscarini, Risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi e nuovo riparto di giurisdizione, in Dir. Proc. Amm., 1998, 834. Anche una parte della giurisprudenza amministrativa applica alla responsabilità da attività provvedimentale della p.A. il criterio di cui all’art. 2236 c.c.: si vedano, indicativamente, Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 2007, n. 1300, in Foro Amm. CdS, 2007, 908; Id., Sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012, in Foro It., 2005, III, 247, con nota di A. Travi.
[63] Secondo F. Fracchia, Elemento soggettivo e illecito civile dell’Amministrazione pubblica, cit., 74 e s., l’art. 2236 c.c. rappresenta un meccanismo in grado di valorizzare le oggettive difficoltà dell’attività amministrativa e di tener conto della diligenza dell’Amministrazione. Per più ampie considerazioni sul punto sia consentito rinviare a S. Cimini, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit., spec. 237 e ss. e 248 e ss.
[64] Da ultimo, un richiamo alla colpa professionale sembra che sia contenuto nel comma 6-bis dell’art. 24 della l. 28 dicembre 2005, n. 262 (introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 303/2006), il quale ha espressamente previsto che nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo, talune Autorità indipendenti, i componenti dei loro organi e i loro dipendenti rispondono solamente dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave. Come notato da attenta dottrina (A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, cit., 155), la richiamata disposizione estende legislativamente ad alcune Autorità, in considerazione della natura e della complessità dell’attività svolta, il precetto di cui all’art. 2236 c.c.
[65] Differenze che spesso hanno spinto la giurisprudenza amministrativa ad aderire al modello contrattuale piuttosto che a quello extracontrattuale.
[66] Si segnalano, ex multis, Cass., 20 novembre 1998, n. 11743, in Danno e Resp., 1999, 344; Id., 17 marzo 1979, n. 116, in Resp. Civ. e Prev., 1979, 515; Id., Sez. un., 6 maggio 1971, n. 1282, in Giust. Civ., 1971, I, 1417. In dottrina si veda G. Alpa, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, a cura del medesimo Autore, vol. IV, Milano, 1999, 246.

 

(pubblicato il 17.1.2011)

 

 

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