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SALVATORE CASU

La tutela del privato in materia edilizia: Dal permesso a costruire alla Segnalazione certificata di inizio attività

 

 


 

 

SOMMARIO: Premessa; 1.1 La denuncia di inizio attività:natura giuridica e legittimità della denuncia di inizio attività; 1.2 Il problema della tutela del terzo controinteressato; 2 Dalla D.I.A alla S.C.I.A; 3. Natura giuridica e tutela giurisdizionale del permesso a costruire; 4. L’autotutela in materia edilizia; 5. L’annullamento regionale del permesso a costruire; 6. L’inerzia della P.a nel rilascio del permesso a costruire: Il rimedio del silenzio rifiuto e l’intervento sostitutivo regionale; 7. La tutela risarcitoria: il danno da ritardo.

Premessa.
La tutela del privato in materia edilizia si atteggia in maniera distinta in considerazione della tipologia di intervento per cui si richiede il rilascio del titolo abilitativo: se si tratti quindi di opere soggette a denuncia di inizio attività ( ora Segnalazione certificata di inizio di attività ) o permesso a costruire . Rileva inoltre se la tutela sia rivolta contro un provvedimento, un comportamento della pubblica amministrazione oppure avverso la sua inerzia in relazione ad una istanza presentata dal privato.
Occorre premettere che la legittimità dei provvedimenti rilasciati dalla P.A in materia edilizia è condizionata dalla natura giuridica che a tali provvedimenti viene riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza. A tale riguardo è necessario rilevare che è ormai pacifico che il permesso a costruire ha natura di provvedimento a carattere ampliativo (autorizzazione) . La natura della denuncia di inizio attività (da ora D.I.A) ora sostituita dalla Segnalazione certificata di inizio attività ( da ora S.C.I.A) è invece contrastata. Il discrimine tra i due moduli provvedimentali è costituito dalla diversa tipologia di interventi assentibili. Infatti sono sottoposti a permesso di costruire gli interventi come definiti negli articoli 10 del D.P.R. n. 380/2001, mentre ne sono esclusi quelli ivi non rientranti. Il testo unico dell’edilizia distingue quindi due tipologie di titoli abilitati, la prima, il permesso a costruire, relativa ad interventi più importanti per cui si richiede il rilascio di un provvedimento espresso della P.a; la seconda, la denuncia di inizio attività , per interventi di minor impatto territoriale, realizzabile senza il rilascio di un provvedimento espresso dopo che sono trascorsi 30 giorni dalla denuncia degli stessi fatta all’amministrazione con una relazione tecnica del progettista incaricato. A complicare il quadro normativo sommariamente indicato è intervenuta la legge 30 luglio 2010, n 122, che ha introdotto la Segnalazione certificata di inizio attività che sostituisce la D.I.A per tutte le ipotesi in cui questa era prevista. Allo stato però sussitono molte incertezze in merito a natura ed ambito applicativo della S.C.I.A oltre che ai rapporti tra questa e la D.I.A edilizia specialmente con riguardo alle diverse normative regionali in materia di D.I.A edilizia .
Si tratta in sostanza di un quadro normativo complesso e di difficile lettura.

1.1
. La denuncia di inizio attività: natura giuridica e legittimità della Denuncia di inizio attività.
Sulla natura giuridica della D.I.A in dottrina e giurisprudenza sono state proposte varie tesi interpretative[1]. Il dibattito si è fatto particolarmente acceso dopo le modifiche apportate al modello generale di D.I.A, contenuto nell’art. 19 della legge n. 241/1990, dalla legge n. 15/2005 che, prevedendo la possibilità di annullamento d’ufficio della denuncia di inizio attività, ne avrebbe secondo alcuni sancito implicitamente la natura provvedimentale: Si rileva infatti che la previsione dell’ annullamento d’ufficio, in quanto istituto relativo alla attività amministrativa di secondo grado con la quale la P.A elimina o conserva un proprio precedente provvedimento, sembra testimoniare la natura provvedimentale della D.I.A.
Prima del citato intervento normativo era prevalente la tesi della D.I.A. intesa quale atto soggettivamente e oggettivamente privato, Secondo tale impostazione la D.I.A rappresenta uno strumento non solo di semplificazione ma di vera e propria liberalizzazione di determinate attività private il cui esercizio è riconosciuto senza che sia richiesto il preventivo vaglio della pubblica amministrazione. La D.I.A è quindi un atto privato che non sostituisce giuridicamente alcun provvedimento[2]. Ciò differenzia la DIA dal silenzio assenso che è invece un meccanismo di semplificazione procedimentale diretto sempre ad ottenere un provvedimento seppure tacito. La DIA invece consente al privato di intraprendere l’esercizio di alcune attività sulla base di un atto che lo stesso privato formula e presenta all’amministrazione senza attendere un pronunciamento costitutivo da parte dell’amministrazione che non ha il potere di esprimere un assenso preventivo all’attività ma solo il potere di inibire l’esercizio. Secondo questa impostazione il terzo leso dall’attività esercitata dal privato ed in assenza di intervento inibitorio da parte della P.A è legittimato a richiedere all’amministrazione di porre in essere i provvedimenti di autotutela previsti e in caso di inerzia, può attivare il rimedio del silenzio inadempimento[3] pur se esistono orientamenti giurisprudenziali che affermano la possibilità di agire in giudizio per ottenere una sentenza di accertamento dell’inadempimento[4] (sul punto vedi amplius oltre ). Altra impostazione sostiene che il terzo che sostenga di aver subito una lesione possa chiedere che la PA assuma provvedimenti sanzionatori-repressivi dell’abuso, come tali non soggetti a valutazione discrezionale.
Per un secondo orientamento invece la D.I.A è una fattispecie a formazione progressiva configurabile come atto amministrativo tacito destinato a formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del termine assegnato alla amministrazione per esercitare il potere inibitorio (trenta giorni). In base a tale impostazione il terzo può tutelarsi rispetto alla lesione subita mediante l’impugnazione del provvedimento tacito.[5]

1.2 Il problema della tutela del terzo controinteressato.
Non sussistono delle particolari questioni relativamente alla tutela dei diritti del denunciante che si esercita con gli ordinari strumenti per richiedere l’annullamento in seguito ad una formale provvedimento inibitorio dell’inizio della preannunciata attività. Più problematiche sono invece le modalità di tutela giurisdizionale del terzo che discendono come visto, dalla natura giuridica che si riconosce alla denuncia di inizio di attività , di atto privatistico o di provvedimento tacito.
Un pronunciamento esemplare, che, ripercorrendo l’evoluzione normativa di tale istituto, sembrava (!) aver posto dei punti fermi in merito alla ricostruzione giuridica dello stesso e alle correlate forme di tutela del terzo , è costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato sez. VI, n. 717 09.02.2009 che si segnala per la originalità della forma di tutela prospettata (azione di accertamento) e per la completezza nella ricostruzione dell’istituto giuridico in argomento.
In tale pronunciamento il giudice amministrativo svaluta il riferimento all’annullamento d’ufficio contenuto nell’art. 19 l n 241/1990 . A giudizio del giudice di secondo grado il legislatore, evocando l’autotutela (e, in particolare, l’annullamento d’ufficio), più che prendere posizione sulla natura giuridica dell’istituto, ha voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine perentorio di trenta giorni per l’esercizio del potere inibitorio, la P.A. conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come “potere sui generis”, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo. La D.I.A. deve quindi essere considerata un atto di un soggetto privato non costituente esplicazione di una potestà pubblicistica.
Il problema della tutela del terzo controinteressato viene in questo quadro analizzato sulla base della evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’ultimo decennio che ha determinato il superamento di una rigida chiusura all’azione di accertamento del processo amministrativo, offrendo, al contempo, numerosi argomenti che depongono a favore di una diversa soluzione. In primo luogo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254, hanno rilevato che : “Sono ormai definitivamente tramontate precedenti ricostruzioni della figura dell’interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa, che il primo configuravano come situazione funzionale a rendere possibile l’intervento degli organi della giustizia amministrativa, e della seconda predicavano la natura di giurisdizione di tipo oggettivo, e dunque di mezzo direttamente volto a rendere possibile, attraverso una nuova determinazione amministrativa, il ripristino della legalità violata e solo indirettamente a realizzare l’interesse del privato”. In relazione alla D.I.A, la nozione di interesse legittimo (diversamente da quanto accadeva in origine, allorché serviva per contrassegnare situazioni sostanziali che non raggiungevano la soglia di tutela propria del diritto soggettivo) attualmente contrassegna il nucleo di facoltà che, all'interno del diritto soggettivo, possono essere esercitate solo a seguito del positivo esercizio da parte della p.a. dal suo potere conformativo: in questi casi, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sulla titolarità del diritto, quello amministrativo giudica del suo contenuto, del suo grado di tutela, a seconda che venga o meno in conflitto con interessi di rilevanza pubblicistica (urbanistica, ambiente, paesaggio ecc.). A giudizio del Consiglio di Stato è quindi doveroso ammettere la possibilità di una azione di accertamento atipica[6] che si pone nel senso di garantire una efficace tutela giurisdizionale che invece non sarebbe garantita dallo strumento del silenzio rifiuto in virtù della quale, secondo un orientamento dottrinale e giurisprudenziale, il terzo, decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, sarebbe legittimato a richiedere all’Amministrazione di porre in essere i provvedimenti di “autotutela” previsti, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all’art. 21-bis l. n. 1034/1971. Una soluzione non condivisibile, perché finisce per compromettere notevolmente la possibilità di tutela del terzo. Il potere di autotutela, infatti, è ampiamente discrezionale in quanto l’Amministrazione, prima di intervenire, deve valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata. Nell’eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto, quindi, il G.A. non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare (Cons. Stat., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271), e tutto ciò renderebbe ancor più lunga e faticosa la tutela del terzo. La effettività della tutela giurisdizionale è invece assicurata dall'azione di accertamento autonomo che lo stesso può esperire innanzi al G.A. per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. L'azione di accertamento deve proporsi nel termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dal momento in cui il terzo è venuto a conoscenza della D.I.A. e della lesività dell'intervento edilizio realizzato sulla base della stessa. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull'Amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.
L’ammissibilità dell’azione atipica di accertamento nel processo amministrativo è stata anche sostenuta da chi ha rilevato che : “Le formule previste dalla legge per le disposizioni che il giudice amministrativo può emettere , non possono essere invocate per limitare i poteri cognitori né quelli decisori, ma sono moduli aggiuntivi che non impediscono particolari tipi di pronunce da parte del giudice amministrativo, tanto che nello stesso ordinamento processuale amministrativo non mancano norme che hanno escluso espressamente l’esame di determinate question”i[7] .
E’ stato poi evidenziato che una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti impone l’ammissibilità dell’azione atipica di accertamento[8]. L’art 113 Cost prescrivendo che la tutela giurisdizionale del privato cittadino non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti, esclude che il diverso mezzo d impugnazione concesso dal legislatore possa intaccare la pienezza ed effettività della tutela del cittadino. Principio di pienezza ed effettività della tutela ricavabile anche dall’art 24 Cost secondo cui : “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”. Pertanto se l’art 103 Cost. affida al giudice amministrativo la tutela degli interessi legittimi è di palese evidenza che una tutela piena ed effettiva degli interessi legittimi richiede che il cittadino debba potersi adeguatamente tutelare anche quando un provvedimento vero e proprio non sia stato emesso. Si pone quindi la necessità di ammettere l’azione di accertamento nel processo amministrativo anche nelle ipotesi non previste specificatamente dal legislatore.
La sentenza Consiglio di Stato sez. VI, n. 717 09.02.2009 non ha posto fine alle incertezze giurisprudenziali sul tema tanto che tale orientamento giurisprudenziale è stato subito sconfessato da successiva giurisprudenza amministrativa che ha ribadito la natura provvedimentale della D.I.A[9] .
La necessità di chiarire un quadro giurisprudenziale ancora ben lontano da una compiuta definizione ha così portato il Consiglio di Stato , SEZ. IV –ordinanza 5 gennaio 2011 n. 14[10], a rimettere all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione riguardante la tutela del terzo avverso la denuncia di inizio di attività,, allo scopo di assicurare univoci orientamenti giurisprudenziali ai sensi dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, --. il quale prevede che la Sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto – nella specie, rimedi e tutela del terzo avverso la DIA -sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può rimettere il ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria.
La Sezione rileva che almeno tre sono le tesi che si pongono in campo riguardo ai rimedi giurisdizionali a favore del terzo dinanzi al G.A. avverso la denuncia (o dichiarazione) di inizio attività: 1) la prima è la tesi provvedimentale, della impugnativa tesa all’annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo implicito, assimilando tale fattispecie all’atto espresso, quale il permesso di costruire, o il silenzio-assenso, con termine decorrente dal completamento della fattispecie o dalla sua conoscenza e che si esplica a mezzo di una pronuncia di tipo demolitorio-annullatorio sul modello dell’art. 29 CPA; 2) la seconda, che privilegia la consistenza di atto del privato, fa riferimento ad una azione di accertamento autonomo (negativo) della inesistenza dei presupposti per ritenere completata la fattispecie, con effetti che trovano nel momento conformativo il potere e il dovere (da parte dell’amministrazione) di rimuovere gli effetti eventualmente verificatisi; 3) la terza tesi, invece, che pure parte dalla natura privata dell’atto, imporrebbe al terzo, che intenda opporsi all’intervento assentito, una volta decorsi i termini senza l’esercizio del potere inibitorio, di presentare istanza formale e eventualmente impugnare il successivo atto negativo dell’amministrazione o di agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio-rifiuto), sul modello del rimedio previsto attualmente dall’art. 31 CPA.
La questione rimessa alla Adunanza plenaria concerne quindi i seguenti profili: “A) la qualificazione giuridica sostanziale dell’istituto e quindi natura privata oppure provvedimentale della fattispecie realizzata a mezzo della denuncia di inizio di attività, tenendo presente che il testo unico dell’edilizia la ricomprende tra i titoli abilitativi, anche se atto del denunciante privato; B) risolta la qualificazione di natura sostanziale, involgente sia i poteri di inibizione che di autotutela successiva (autotutela fatta salva anche nell’istituto recente della s.c.i.a.), conseguente è il problema delle tecniche di tutela, dei risvolti processuali e dei rimedi giurisdizionali ai quali può ricorrere il terzo; quale che sia il rimedio esperibile, in ogni caso, però, per esigenze di certezza dei rapporti, deve sgomberarsi il campo dai dubbi sulla applicabilità alla fattispecie del termine decadenziale (piuttosto che prescrizionale), individuando il momento dal quale tale termine debba essere fatto decorrere (conoscenza del completamento della fattispecie), sia che si abbracci la tesi della impugnativa demolitoria che quella dell’accertamento autonomo; C) sulla base della soluzione adottata nella ricostruzione sostanziale dell’istituto, il rimedio giurisdizionale effettivo, comprende anche la eventuale ammissibilità, in tale fattispecie ma anche più in generale, della azione di accertamento da parte del terzo dinanzi a fattispecie che modificano i confini tra pubblico e privato e che esigono, a fini di liberalizzazione esemplificazione, un intervento solo eventuale e successivo dell’amministrazione pubblica nel rapporto tra autorità e libertà”.
La decisione dell’Adunanza Plenaria dovrebbe porre quindi fine ad un contrasto giurisprudenziale che rischia di aggravarsi con l’introduzione di strumenti di liberalizzazione che , consentendo immediatamente la attività (la c.d .S.C.I.A.) a seguito della presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (art. 19 comma 2 l n 241/1990, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 78 del 31 maggio 2010 come convertito dalla legge di conversione n.122 del 30 luglio 2010); sono volti a garantire una maggiore celerità nell’avvio della attività che si intende svolgere concedendo un minore spazio alla pubblica amministrazione. La S.C.I.A infatti, di cui non è ancora chiara allo stato la ampiezza di applicazione in materia edilizia, se enfatizza (in nome di una ulteriore liberalizzazione e semplificazione) ancora di più la natura privatistica dell’atto per converso non può smentire la permanenza della potestà pubblica, che è naturalmente fatta salva in via di autotutela e di divieto di prosecuzione della attività riproponendo le stesse problematiche esaminate in merito alla natura della D.I.A ora anche aggravate dalla complicata qualificazione dei rapporti tra i due istituti[11].

2 . Dalla D.I. A alla S.C.I.A.
L’art 49, comma 4, del d.l 31 maggio 2010, n 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”,convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n 122, ha riscritto l’art 19 l n 241/1990 sostituendo la dichiarazione di inizio attività con la segnalazione certificata di inizio attività ( da ora S.C.I.A)[12] attraverso la quale non è più necessario attendere 30 giorni per dare avvio alle attività private che possono essere iniziate contestualmente alla proposizione della segnalazione certificata di inizio attività. In tal modo si è generalizzata la possibilità di dare immediata attuazione alle attività prima “denunciate” ed ora “segnalate” . E’ stata quindi generalizzata la possibilità di dare immediata realizzazione alle attività segnalate prima prevista come dal D.lgs 59/2010 per le sole dichiarazioni aventi ad oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e servizi, ovvero di prestazioni di servizi di cui alla direttiva 2006/123/C.E. L’amministrazione competente in caso di accertata carenza dei requisiti, nel termine di 60 giorni ( e non più di 30 giorni come previsto in precedenza),potrà adottare motivati provvedimenti di divieto alla prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti nel frattempo intercorsi. Decorso il termine dei 60 giorni per l’adozione dei provvedimenti , all’amministrazione è consentito intervenire soltanto qualora sussista una pericolo di un danno al patrimonio artistico e culturale , per l’ambiente, per la salute,per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale . Al riguardo in dottrina si è ritenuto che in seguito al decorso del termine di 30 giorni si realizzi la “incontestabilità amministrativa” [13], situazione che però rileva solo entro la sfera interna del potere amministrativo in quanto comporta una preclusione all’esercizio del potere di controllo non dando però origine ad alcun “consolidamento”, o sanatoria della posizione del privato.. Rimarrebbe dunque aperta la possibilità per la P.a di esercitare anche in termini successivi altre tipologie di controlli previsti da normative settoriali, ad esempio dalla normativa edilizia e del commercio, che mantengono l’ordinario carattere della inesauribilità.
Viene comunque mantenuta una tutela rafforzata per gli interessi “sensibili” che sono ritenuti non sacrificabili in nome di esigenze di stabilità e certezza dei rapporti giuridici sia pure condizionando ad ogni modo la possibilità di un intervento successivo alla sussistenza di un concreto e attuale pericolo di danno ai predetti interessi.
Sebbene la l n.122/2010 preveda espressamente che la S.C.I.A sostituisca integralmente la D.I.A recata da ogni norma statale e regionale vi sono molti dubbi in dottrina in merito all’ambito applicativo della norma e alla natura dell’istituto. Ci si chiede se la S.C.I.A possa riferirsi anche alle autorizzazioni espressioni di discrezionalità tecnica[14]. E’ contestata anche l’automatica sostituzione della disciplina regionale in materia di D.I.A edilizia con la S.C.I.A in quanto relativa alla materia del governo del territorio su cui vi è legislazione concorrente tra Stato e Regioni.[15] . Sussistono poi dei dubbi in merito alla natura di tale istituto, di liberalizzazione o di semplificazione, che ripropongono le problematiche già viste in riferimento alla qualificazione della D.I.A anche se la possibilità di dare immediata attuazione alle attività fa ora propendere più decisamente per la considerazione favorevole all’istituto di liberalizzazione dato che l’immediata possibilità di realizzare l’attività pare presupporre che la legittimazione a realizzare l’attività discenda direttamente dalla legge non essendo più contemplato un arco temporale trascorso il quale si possa teorizzare la sussistenza di un provvedimento tacito di assenso
I dubbi sulla natura della S.C.I.A si riflettono come per la D.I.A sulle problematiche afferenti alla tutela giuridica del terzo rispetto alla quale rimangono aperte tutte le questioni di tutela piena ed effettiva dei terzi lesi che già abbiamo visto con riguardo alla D.I.A.
Allo stesso modo che con la D.IA le tecniche di tutela divergono a seconda che la S.C.I.A. venga considerata un modulo di liberalizzazione o di silenzio assenso. Nel secondo caso il terzo leso potrà impugnare il silenzio assenso nel termine di 60 giorni della relativa piena conoscenza ( senza poter prendere l’autotutela in caso di silenzio inoppugnabile); nel primo caso invece potrà attivare la procedura dl silenzio rifiuto qualora la P:A non risponda alla propria istanza di inibizione o proibizione presentabile senza specifici limiti temporali, oppure, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente chiedere direttamente l’accertamento dell’illiceità dell’attività e la successiva attività dell’amministrazione volta ad intervenire per rimuovere le conseguenze pregiudizievoli dell’attività invalidamente avviata [16]. Al riguardo però vi è chi ha sottolineato[17] come il codice del processo amministrativo non ha aperto nuovi spazi allo schema dell’azione di accertamento tanto che la possibilità di azioni di accertamento atipiche sembra incompatibile con la natura ancora prevalentemente impugnatoria del processo amministrativo su interessi legittimi volta all’eliminazione del provvedimento illegittimo.
Ad ogni modo le controversie in materia sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art 133, comma 1, lett a n 3. l n 104/2010. Previsione legislativa la cui legittimità costituzionale si può ricavare anche dalla sentenza della Corte costituzionale n 204 che legittima la giurisdizione esclusiva del G.A in riferimento anche a comportamenti espressione di un potere amministrativo.

3. Natura giuridica e tutela giurisdizionale del permesso a costruire.
Il D.P.R n 380/2001 non indica esplicitamente quale sia la natura giuridica del permesso a costruire ma in dottrina vi è concordia nel riconoscere al permesso a costruire la medesima natura della concessione edilizia. A tale riguardo si deve quindi richiamare la giurisprudenza costituzionale inerente il rapporto tra i vincoli urbanistici e il diritto di proprietà da cui deriva la previsione legislativa della concessione edilizia in sostituzione della licenza edilizia.
Il legislatore del 1942 aveva considerato il piano regolatore come un piano generale contenente delle direttive da realizzarsi però con il piano attuativo particolareggiato; in sostanza quindi il piano regolatore generale non doveva prevedere dei limiti alla proprietà privata in quanto solo con il piano particolareggiato si innescava la procedura espropriativa per l’acquisizione delle aree di interesse pubblico al fine di realizzare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria oltre che le opere pubbliche. In realtà anche il piano regolatore generale prevedeva esso stesso dei vincoli alla proprietà nel momento in cui localizzando delle aree per realizzare spazi pubblici o di interesse pubblico, ne determinava l’inedificabilità a tempo indeterminato anche in mancanza di un piano attuativo . Da qui il problema della legittimità costituzionale della legge urbanistica nella parte in cui consentiva ai piani urbanistici di prevedere dei vincoli di inedificabilità limitativi della facoltà di edificare a tempo indeterminato e senza indennizzo.
La Corte costituzionale fu quindi chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di quelle norme della legge urbanistica che, determinando il contenuto dei piani regolatori, prevedevano sia norme dirette a limitare la facoltà di edificare ( altezze massime, distanze tra le costruzioni, limiti di densità fondiaria), sia vincoli su singole aree di inedificabilità assoluta o preordinati all’espropriazione ( vincolo a verde privato, o destinazione di area a sede di strade, piazze o impianti pubblici) senza obbligo di indennizzo e a tempo indeterminato. Con la nota sentenza 9-29 maggio 1968, n 55 la Corte Costituzionale dichiarò così l’illegittimità delle norme della legge urbanistica che, tramite i piani regolatori e i programmi di fabbricazione , imponevano vincoli di inedificabilità assoluta a tempo indeterminato e senza previsione di indennizzo in quanto in tali ipotesi si realizzava una vera e propria “espropriazione sostanziale”.
In seguito al pronunciamento della Corte Costituzionale le soluzioni adottate dal legislatore furono di due tipi: in via immediata provvide a limitare l’efficacia temporale dei vincoli a cinque anni con la legge 19 novembre 1187, che entrò in vigore il 30 novembre di quell’anno. Inoltre ( ed è questo il punto che preme sottolineare in questa sede) venne modificato in via generale il regime dei suoli con la Legge 28 gennaio 1977 n 10 ( c.d legge Bucalossi o legge suoli) che, modificando le precedenti disposizioni delle legge urbanistica, trasforma l’originaria “licenza” di costruzione in “concessione edilizia” operando un tentativo di trasferimento della titolarità del “diritto di edificare” dal privato alla mano pubblica. In realtà la Legge 28 gennaio 1977 n 10 ( c.d legge Bucalossi o legge suoli) non risolse i problemi di legittimità costituzionale aperti dalla sentenza della Corte del 1968 in quanto la Corte costituzionale ( 5 maggio 1983, n 127) ritenne che l’istituto della concessione edilizia , introdotto dalla legge 10/1997, non aveva dissociato la facoltà di edificare dal diritto di proprietà del suolo, ma aveva solo stabilito limiti all’esercizio di quel diritto, in relazione a preminenti interessi pubblici; la differenza consiste nel fatto che il rilascio della concessione a costruire diviene oneroso in quanto subordinato al pagamento di due contributi: uno commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ed un altro determinato in ragione di un dato costo di costruzione, in una percentuale variabile dal 4 al 10%.
La concessione edilizia, ora permesso a costruire, rientra quindi nell’ambito dei provvedimenti autorizzativi volti a rimuovere l’esercizio di un diritto in capo al proprietario a seguito della positiva verifica relativa alla rispondenza dell’intervento proposto con la normativa urbanistico edilizia.
La natura vincolata del permesso a costruire è stata più volte affermata dalla giurisprudenza che ne ha fatto derivare l’impossibilità di revoca del permesso a costruire e la non configurabilità del vizio dell’ eccesso di potere[18] in quanto evocabili solo in presenza dell’esercizio di discrezionalità amministrativa. Il rilascio del permesso a costruire deve quindi essere condizionato alla sola verifica della conformità dell’intervento alla normativa urbanistico edilizia con la conseguente illegittimità di dinieghi al rilascio della concessione edilizia per motivi estranei alla conformità della disciplina urbanistica ed edilizia.
Nella materia vige la giurisdizione esclusiva dl giudice amministrativo che ricopre tutti gli atti e provvedimenti espressione di poteri autoritativi . Rientrano invece nella giurisdizione ordinaria i meri comportamenti e gli atti privati della pubblica amministrazione e quindi l’adempimento di obbligazioni liberamente convenute nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica.
Ai fini della proponibilità del ricorso giurisdizionale è necessario che il ricorrente fornisca la prova di un interesse qualificato. In particolare il ricorrente deve dimostrare la sussistenza di un stabile collegamento tra lo stesso e la zona interessata dall’intervento ( ad esempio rapporto di vicinato). Viene così ammessa la tutela giurisdizionale delle associazioni ambientaliste ogni qual volta prospettino la tutela di un interesse diffuso alla qualità della vita di una comunità localizzata.
Il termine per ricorrere decorre dalla data di piena conoscenza dell’esistenza delle violazioni urbanistiche che, la giurisprudenza, utilizzando un criterio garantistico, fa coincidere con la data di ultimazione dei lavori [19] escludendo in genere che rilevi la semplice conoscenza o notizia de rilascio, la pubblicità a mezzo stampa o anche la conoscenza del parere della commissione edilizia oppure l’affissione degli estremi della licenza nel cantiere. Tale orientamento è giustificato dalla considerazione che solo in seguito alla ultimazione dei lavori si può realmente essere a conoscenza della portata lesiva del permesso a costruire. Non mancano però pronunciamenti giurisprudenziali di segno opposto qualora tale lesività sia manifesta già prima dalla ultimazione dei lavori.[20]
Il diniego al rilascio del permesso a costruire deve essere congruamente motivato e basato sulla contrarietà alla normativa urbanistico- .edilizia[21]. Si è però ritenuto non annullabile il permesso a costruire per mancanza di motivazione qualora il provvedimento abbia natura vincolata in caso in cui, ad esempio, la destinazione d’uso dell’edifico non sia ad ogni modo incompatibile con le destinazioni d’uso del piano regolatore
L’annullamento giurisdizionale del permesso a costruire comporta la demolizione delle opere con esso realizzato o la sanzione pecuniaria quantificata dalla Agenzia del territorio, solo se, in virtù di una valutazione tecnica, non sia possibile la demolizione. Nel caso il comune non provveda entro un dato termine è possibile richiedere la nomina di un “commissario ad acta “ in sede di giudizio di ottemperanza.
Nell’ipotesi invece in cui sia stata sancita l’illegittimità del diniego la giurisprudenza ha ritenuto che rimangano salvi gli ulteriori provvedimenti comunali nel senso che il dirigente o il responsabile del servizio può respingere la domanda per ragioni diverse da quelle ritenute illegittime dal giudice[22].
Un punto controverso è costituito dal rapporto tra giudicato amministrativo e “ius variandi” dello strumento urbanistico della P:A.. Si pensi all’ipotesi in cui la P.A in seguito ad un pronunciamento giurisdizionale che annulli un permesso a costruire modifichi il proprio strumento urbanistico consentendo l’intervento proposto, prima non realizzabile. Si tratta di contemperare l’interesse alla attuazione del giudicato con il diritto della P.A di potere variare il suo strumento urbanistico. Un punto di equilibrio tra queste due opposte esigenze, è stato rintracciato nella immodificabilità del giudicato dopo la notifica della sentenza, o per meglio dire, nella irrilevanza per il ricorrente di eventuali modifiche dello strumento urbanistico successive alla notifica della sentenza. [23]



4. L’autotutela in materia edilizia.
La possibilità di attivare l’autotutela per la tutela del privato in materia edilizia assume diverse modalità a seconda che si tratti di permesso a costruire o denuncia di inizio attività.
Il permesso di costruire è irrevocabile come previsto dall’art. 11 del D.P.R 380/2001 in quanto si tratta di un provvedimento autorizzatorio privo di discrezionalità amministrativa.
Pur se irrevocabile, il permesso di costruire è annullabile secondo la disciplina generale contenuta negli titolo IV della legge 241/90 e pertanto in presenza dei vizi di violazione di legge ed incompetenza e della sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento. In merito alla annullabilità d’ufficio per eccesso di potere si devono richiamare le considerazioni fatte in tema di tutela giurisdizionale sulla non annullabilità per tale vizio di legittimità in quanto caratteristico dell’esercizio della discrezionalità amministrativa, che non è presente nel rilascio del permesso a costruire, provvedimento vincolato. In conformità alla disciplina generale in materia di annullamento d’ufficio non è sufficiente il contrasto con la normativa urbanistica vigente al momento del rilascio ma è necessario che sussista un interesse concreto ed attuale alla rimozione del provvedimento che deve risultare nella motivazione del provvedimento in particolar modo quando, in ragione di un considerevole lasso di tempo, sia ingenerata una posizione di affidamento del privato [24].
In merito al procedimento di annullamento d’ufficio è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento e il provvedimento deve essere adottato con la stessa forma con cui a suo tempo è stato adottato l’atto annullato.
Gli effetti dell’annullamento variano a seconda che sia dovuto a vizi formali o sostanziali,. Per i primi, in ottemperanza a quanto previsto dall’art 21, nonies, secondo comma l n 241/1990, è possibile sanare il vizio[25] . I secondi, allo stesso modo dell’annullamento giurisdizionale, comportano invece l’obbligo dalla riduzione in pristino delle opere e, se non possibile per ragioni tecniche, l ’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere abusive valutato dall’Agenzia del territorio.
Per quanto invece concerne la D.I.A, la concreta identificazione dei poteri di autotutela esercitabili non può prescindere dall’inquadramento teorico dell’istituto.
Chi fa propria la tesi della D.I.A come provvedimento soggettivamente e oggettivamente privato riconosce in capo alla PA l’esercizio di soli poteri inibitori, prima del decorso del termine di 30 gg, e di soli poteri sanzionatori successivamente a tale decorso. Per questa impostazione non sarebbe possibile esercitare veri e propri poteri di autotutela in assenza di un provvedimento da rimuovere.
La novella che ha introdotto il riferimento ai poteri di autotutela potrebbe essere interpretata:
- come autotutela avente ad oggetto il pregresso esercizio dei poteri inibitori (interdizione, invito alla conformazione, etc.. ) esercitabile anche dopo che è scaduto il termine perentorio per emettere i provvedimenti inibitori;
- come autotutela da non identificarsi necessariamente con la revoca e l’annullamento quanto piuttosto nel generico potere di riesame dell’attività e nel potere di inibirla anche trascorso il termine iniziale di trenta giorni ma con necessaria ponderazione dell’interesse pubblico.
- come estensione delle regole sulla autotutela (in primis la ponderazione dell’interesse pubblico) anche all’esercizio dei poteri sanzionatori che non sarebbero più doverosi e vincolanti (Cfr. Cons. Stat., sent. 3916 del 2005).
Secondo invece la opposta tesi che equipara la D.I.A ad un provvedimento amministrativo tacito, tesi dominante a seguito della novella intervenuta sull’art. 19 della legge 241/90 ad opera della legge 15/2005 , è ammissibile o l’annullabilità e la revocabilità in via di autotutela del provvedimento tacito con la precisazione che, trattandosi di provvedimento dove non vi è espressione di discrezionalità amministrativa, si ritiene, alla stesa stregua del permesso a costruire, che anche per la D.I.A. non sia possibile la revoca almeno non per sopravvenuto interesse pubblico o modifica di valutazione dell’interesse pubblico.
Ad ogni modo – con riferimento particolare alla materia edilizia e alla normativa vigente anteriormente alle modifiche legislative dell'istituto recentemente intervenute (v. art. 3 d.l. 14 marzo 2005 n. 35, conv. dalla l. 14 maggio 2005 n. 80) - è necessario distinguere tra due distinti rapporti: quello tra denunciante e amministrazione e quello che riguarda i contro interessati all'intervento.
Nei rapporti tra denunciante e p.a., la d.i.a. si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell'attività, consente al privato di intraprendere un'attività in correlazione all'inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dell'amministrazione di inibire l'attività (a nulla rilevando, sul piano pratico, che in forza di un'inversione procedimentale la fattispecie dia luogo, con la scadenza del termine, a un titolo abilitativo tacito o al consolidarsi, per volontà legislativa, degli effetti di un atto di iniziativa di parte).
Una volta decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio dell'attività iniziata a seguito di denuncia di inizio attività e, nella persistenza, generalmente ritenuta, del generale potere repressivo degli abusi edilizi, colui che si oppone all'intervento, essendosi consolidata la fattispecie complessa che abilita ex lege o ex actu, il privato a costruire, sarà legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio, che pertanto, non avrà né potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dell'Amministrazione - essendo decorso il relativo termine bensì il generale potere sanzionatorio, salvo poi stabilire se tale potere abbia carattere vincolato o sia comunque esercitabile alla stregua dei principi dell'autotutela.

5. L’annullamento regionale del permesso a costruire.
L’art 39 T.U edilizia prevede che la Regione può annullare il permesso a costruire per violazione della normativa urbanistica. Tale potestà è circoscritta al periodo temporale di 10 anni a decorrere dalla data di emanazione del provvedimento.
L’esercizio di tale potere di annullamento è subordinato, oltre che all’accertata violazione di legge, alla sussistenza dell’interesse pubblico avente una rilevanza tale da non consentire la conservazione dell’opera abusiva.
L’annullamento regionale ha dei presupposti diversi rispetto a quello esercitato dal comune in via di autotutela. Tale annullamento rappresenta infatti una forma di controllo e di garanzia del tutto eccezionale. Vi è quindi una differente valutazione dell’interesse pubblico che giustifica l’annullamento; mentre l’annullamento comunale si basa su una valutazione discrezionale e postula l’impossibilità di conservare per la gravità d incidenza del caso, nell’interesse generale, la situazione esistente, il secondo è giustificato dal solo pregiudizio che l’atto invalido determina a carico dell’ambito di intervento.[26] Ai fini della legittimità del potere di annullamento regionale , secondo l’indirizzo giurisprudenziale sopra riportato, non necessita quindi una motivata ponderazione tra interesse pubblico e privato ma risulta sufficiente verificare il pregiudizio arrecato dall’atto comunale nell’ ambito di intervento interessato. Il potere di annullamento regionale è sorretto da una particolare discrezionalità; in considerazione della sua natura eccezionale deve essere comunque giustificato con una puntuale ed idonea motivazione.
Le fasi del procedimento per l’annullamento regionale sono le seguenti :
1) accertamento di ufficio o su denuncia di determinate violazioni;
2) contestazioni delle violazioni al titolare, al proprietario se diverso, al progettista ed all’Amministrazione comunale, con l’invito a presentare osservazioni entro un termine all’uopo prefissato;
3) eventuale emanazione del provvedimento di annullamento entro 18 mesi dal momento in cui è stata accertata la violazione commessa, che coincide sostanzialmente con la data della relazione tecnica al riguardo rassegnata dal funzionario regionale ( in tal senso Cons di Stato- sez.V.15.2.1986, n 539 e 29.10.1992, n 1082) fatta salva diversa prescrizione regionale
In pendenza della procedura di annullamento il competente organo regionale può provvedere alla sospensione dei lavori che cessa di avere efficacia se, entro sei mesi dalla sua notificazione, non sia stato emesso il decreto di annullamento. Ad ogni modo entro 6 mesi dalla adozione del provvedimento di annullamento và ordinata la demolizione delle opere abusive realizzate in base al titolo annullato

6. L’inerzia della P.a nel rilascio del permesso a costruire: Il rimedio del silenzio rifiuto e l’intervento sostitutivo regionale .
L’art 21 D.p.r n 380’/2001 disciplina l’ipotesi in cui entro i termini previsti dall’art 20, non sia stato adottato il provvedimento conclusivo. In caso di inerzia della P.A l’interessato può, con atto notificato o trasmesso in piego raccomandato con avviso di ricevimento, richiedere allo sportello unico che il dirigente o il responsabile dell’ufficio di cui all’articolo 13, si pronunci entro quindici giorni dalla ricezione dell’istanza. Di tale istanza viene data notizia al sindaco a cura del responsabile del procedimento. Il disposto normativo chiarisce senza alcun dubbio che il decorso del termine comporta la realizzazione del silenzio rifiuto in quanto alla scadenza del termine per l’adozione del provvedimento comunale “Resta comunque ferma la facoltà di impugnare in sede giurisdizionale il silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di permesso di costruire”. Nel caso in cui l’amministrazione rimanga inerte nei termini di cui all’art. 20 si presentano due possibilità: impugnare il silenzio rifiuto in via giurisdizionale e sollecitare l’intervento sostitutivo della Regione. I due rimedi, impugnazione del silenzio-rifiuto comunale e richiesta di intervento sostitutivo regionale non sono alternativi ma possono coesistere ed essere proposti contemporaneamente
Il silenzio rifiuto non ha portata sostanziale ma solo formale avendo l’effetto di imporre al Comune l’obbligo di rispondere alla richiesta del privato e così da ottenere una pronuncia del giudice di declaratoria dell’obbligo di provvedere . Si noti che l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (29 marzo 2001 n. 3) aveva espresso sul punto un parere consultivo favorevole a che, in caso di inerzia della PA si formasse un vero e proprio provvedimento tacito di assenso. Il mancato accoglimento di quanto indicato sul punto nel parere del Consiglio di Stato e la conseguente opzione per il silenzio rifiuto e l’intervento sostitutivo della regione può essere valutato sotto una altra prospettiva: il silenzio assenso avrebbe potuto lasciare troppi margini di rischio per il corretto uso del territorio che deve essere pienamente garantito evitando abusi e disincentivando pratiche elusive di controlli preventivi per interventi che incidono sull’assetto complessivo del territorio. In ogni caso, la dottrina più attenta fa osservare che l’opzione proposta dal Consiglio di Stato in ordine alla formazione di un vero e proprio silenzio assenso è in linea con la natura autorizzatoria del permesso di costruire per l’emanazione del quale l’amministrazione è chiamata unicamente ad effettuare una mera verifica di conformità con, se del caso, l’esercizio di sola discrezionalità tecnica.
Se si sceglie invece la via dell’’intervento sostitutivo regionale la nomina del commissario ad acta deve avvenire entro quindici giorni dalla richiesta (termine considerato non perentorio) e nei successivi sessanta giorni deve essere emanato il provvedimento espresso. Tale nomina è dovuta a seguito della richiesta e non deve essere preceduta da alcuna attività istruttoria volta a verificare il tenore del provvedimento che dovrà essere emesso. Anche nel caso rimanga inerte il commissario ad acta si determina la formazione del silenzio rifiuto. In entrambe le ipotesi di silenzio rifiuto è escluso che per la formazione del silenzio sia necessario effettuare una preventiva diffida nei confronti della PA .
La disciplina dell’intervento sostitutivo regionale si inserisce nell’ambito della più ampia problematica dei rapporti tra enti ad autonomia costituzionalmente garantita ( Comune e Regione) . A tale riguardo il giudice costituzionale si è espresso in merito alle problematiche del controllo sostitutivo alla luce del nuovo quadro costituzionale chiarendo i caratteri che deve avere l’intervento sostitutivo regionale. E’ stato così precisato che i poteri del tipo in esame, che comportano cioè la sostituzione di organi di un ente con quelli di un altro, ordinariamente competente, nel compimento di atti, ovvero la nomina da parte dei primi di organi straordinari dell’ente “sostituito” per il compimento degli stessi atti, limitano l’autonomia del sostituto costituzionalmente garantita e “ quindi necessitano di un fondamento esplicito o implicito nelle norme o nei principi costituzionali che tale autonomia prevedono e disciplinano”.[27]
Dato che si tratta di interventi sostitutivi che limitano l’autonomia degli enti locali è necessario che siano sottoposti ai medesimi limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento all’intervento sostitutivo dello Stato sulle Regioni:
1) in primo luogo, le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi debbono essere previste e disciplinate dalla legge [28], che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali; 2) in secondo luogo, la sostituzione può prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attività “prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)”[29], la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo: e ciò affinché essa non contraddica l’attribuzione della funzione amministrativa all’ente locale sostituito;
3) Il potere sostitutivo deve essere poi esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo [30] data l’attitudine dell’intervento ad incidere sull’autonomia, costituzionalmente rilevante, dell’ente sostituito;
4) La legge deve, infine, apprestare congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale collaborazione (cfr. ancora C.Cost, sentenza n. 177/1988), non a caso espressamente richiamato anche dall’articolo 120, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo “straordinario” del Governo, ma operante più in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita; dovrà dunque prevedersi un procedimento nel quale l’ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento [31].
Le maggiori difficoltà interpretative nella materia in argomento sono costituite dalla controversa natura giuridica del commissario e dei poteri che possono essere esercitati dal commissario regionale in rapporto alle competenze dell’ente sostituito
In genere il commissario nominato dalla Regione viene considerato un organo straordinario del comune con la conseguenza che gli oneri finanziari derivanti dalla sua nomina sono a carico del comune stesso inadempiente .
In alcuni pronunciamenti però il Consiglio di Stato (Cons. Stat. 6 ottobre 1999 n 1332) ha ritenuto che il commissario abbia competenza autonoma ed il rapporto con il comune non sia di natura interorganica ma intersoggettiva . Da ciò deriva che il comune possa impugnare le statuizioni del commissario davanti al G.A ma non direttamente rimuoverle o incidervi . L’amministrazione può anche adottare gli atti che reputi necessari per circostanze sopravvenute, essendo solo preclusa l’invadenza dell’amministrazione nella sfera di azione del commissario.
Anche durante il commissariamento non viene meno il potere dell’amministrazione comunale di provvedere all’istanza per cui è stata inadempiente in quanto si instaura una potestà concorrente del commissario e dell’amministrazione comunale.



7.. La tutela risarcitoria: il danno da ritardo.
Una ulteriore forma di tutela del privato è costituita dalla possibilità di richiedere il risarcimento del danno. La domanda di risarcimento del danno deve essere fondata su una puntuale quantificazione ed una congrua dimostrazione del danno conseguente all’annullamento giurisdizionale dell’atto concessorio . Il risarcimento può avvenire in forma specifica con il rilascio del titolo negato ovvero per equivalente nella misura pari all’incremento dei costi di costruzione.
La tutela risarcitoria in materia edilizia rientra nella più ampia problematica del risarcimento del danno per la lesione dell’interesse legittimo pretensivo.[32] Come noto la sentenza n. 500/1999 della Corte di Cassazione ha ritenuto che la risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo debba essere ancorata alla presenza di due condizioni: una prima rappresentata dalla lesione dell’interesse legittimo, ed una seconda rappresentata dalla meritevolezza di tutela dell’interesse finale collegato all’interesse legittimo. Tale meritevolezza deve ritenersi presunta nel caso di lesione dell’interesse legittimo oppositivo e da accertare attraverso un giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita illegittimamente negato dalla pubblica amministrazione, nel caso di lesione dell’interesse legittimo pretensivo.
In linea con tale orientamento la giurisprudenza, in materia di risarcibilità del danno per lesione dell’interesse pretensivo al rilascio di un titolo edilizio, ha ritenuto che il privato ha titolo al risarcimento del danno non per il mero fatto che gli sia stato opposto un illegittimo diniego, ma solo ove, sussistendo gli altri requisiti dell’illecito, egli riesca a dimostrare che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole. La protezione risarcitoria può quindi essere accordata soltanto in presenza di un giudizio prognostico sulla spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse.[33]
Tale giudizio prognostico sarà poi attendibile nel solo caso di discrezionalità tecnica o provvedimento vincolato ( come nel caso di rilascio di un titolo abilitativo) , mentre non si potrebbe riconoscere il risarcimento in caso di discrezionalità amministrativa.
E’ stata avanzata in dottrina e giurisprudenza la possibilità di ottenere un risarcimento per il cosiddetto “danno da ritardo”[34]
Possono distinguersi tre diverse ipotesi di danno da ritardo[35] , incentrate le prime due, sul provvedimento tardivo rispetto ai tempi procedimentali , la terza sul rifiuto di provvedere.
Il pregiudizio lamentato può consistere: a) Nel ritardo con cui la stessa amministrazione ha emanato ( previo o meno annullamento del diniego originario) il provvedimento favorevole richiesto: in tale ipotesi, il danno risarcito è quello subito per aver avuto in ritardo il bene della vita di cui si aveva titolo[36]; b) nel fatto che l’amministrazione non emani alcun provvedimento[37]. ovvero emani in ritardo un provvedimento negativo pur se legittimo.
Per quanto concerne l’ipotesi sub a) non sussistono delle problematiche in ordine all’accertamento dell’elemento oggettivo della responsabilità in quanto il conseguimento del bene della vita attraverso il provvedimento tardivo qualifica senza dubbio come illegittima l’azione amministrativa senza la necessità di ricorrere al giudizio prognostico in ordine alla sua spettanza.
In ordine invece all’ipotesi sub b) è discussa invece l’ammissibilità del c.d danno da mero ritardo, da identificarsi come il danno derivante al privato dalla lesione dell’interesse procedimentale alla tempestiva definizione del procedimento nel termine previsto ai sensi dell’art 2 della l 241/1990 al cui conseguimento era rivolta l’istanza, non tempestivamente riscontrata.
La configurabilità di un danno da mero ritardo è stata sostenuta dal Consiglio di Stato, sez IV ord. 875/2005 che rimettendo tale questione all’Adunanza plenaria ha ritenuto che :“ L’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa sembra, nell’attuale realtà economica e nella moderna concezione del c.d rapporto amministrativo- interesse meritevole di tutela in sé considerato , non essendo sufficiente relegare tale tutela alla previsione e all’azionabilità di strumenti processuali a carattere propulsivo, che si giustificano solo nell’ottica del conseguimento dell’utilità finale ma appaiono poco appaganti rispetto all’interesse del privato a vedere definita con certezza la propria posizione in relazione ad un’istanza rivolta all’amministrazione” [38].
A parere della sezione la questione della configurabilità di un danno da mero ritardo deve essere inquadrata nell’ambito del complesso problema della natura, contrattuale o extracontrattuale della responsabilità della P:A.
I sostenitori della responsabilità contrattuale “ da contatto qualificato” ritengono che, considerando la normativa di cui alla l 241/1990 , l’amministrazione determini in capo al privato un’ “aspettativa qualificata” al rispetto delle regole in essa indicate, tanto che accanto al novero degli interessi pretensivi sarebbero individuabili gli “interessi strumentali” derivanti dal mancato rispetto delle regole procedimentali, autonomamente risarcibili.
Al contrario invece per i sostenitori della natura extracontrattuale della responsabilità della P.A , il danno da ritardo è risarcibile solo se il privato abbia titolo a conseguire il “bene della vita” a cui aspirava : ci si divide poi in merito al criterio per stabilire la spettanza del bene della vita tra chi ritiene che andrebbe effettuato attraverso un giudizio prognostico e chi invece sostiene la necessità dell’utilizzazione del meccanismo del silenzio in via pregiudiziale nell’ipotesi di ambiti caratterizzati da discrezionalità.
La sezione aderendo alla tesi della responsabilità da “contatto” ritiene configurabile il danno derivante dal ritardo puro in quanto il tempo del procedimento è considerato esso stesso bene della vita la cui lesione può dar luogo al risarcimento del danno.
Ai fini del risarcimento del danno da ritardo il giudice amministrativo non ha ritenuto neanche necessario attivare preliminarmente il giudizio sul silenzio, che è finalizzato al diverso scopo di far conseguire al privato il bene della vita e non serve per stigmatizzare l’inerzia della P.A che è insita nella violazione dei termini stabiliti dall’ordinamento.
Il Consiglio di Stato, IV sezione, si distingue invece con i sostenitori della responsabilità per contatto qualificato, nella parte in cui qualifica la responsabilità che deriva dalla violazione delle norme procedurali, non come contrattuale ma precontrattuale, in tal modo limitando il danno all’interesse negativo derivante dal perdurare della situazione di incertezza.[39]
L’ Adunanza plenaria n. 7/2005 ha però in maniera perentoria escluso la configurabilità del danno da mero ritardo “puro” che sostanzialmente integrerebbe una ipotesi di danno punitivo a carico dell’amministrazione inadempiente, sconosciuto dal nostro ordinamento.
A conferma di ciò si richiama la mancata attuazione della delega conferita dall’art 17, comma 1, lett. f) della l n 59/ del 1997 che ipotizzava proprio forme di indennizzo automatico e forfettario qualora l’amministrazione non avesse adottato tempestivamente il provvedimento anche se negativo.[40] L’impossibilità di configurare il danno da mero ritardo in materia edilizia è stata ribadita dalla giurisprudenza amministrativa successiva[41]. Di recente il legislatore, con l’art 2 bis l n 241/1990, è poi intervenuto prescrivendo l’obbligo di risarcimento del danno a carico delle pubbliche amministrazioni in caso in cui non venga rispettato il termine di conclusione del procedimento di legge con dolo o colpa.[42] Richiedendo il dolo e la colpa della P.A pare che il legislatore abbia voluto prendere posizione a favore dell’ orientamento che intende il risarcimento per danno da ritardo come una forma di responsabilità extracontrattuale sottoposta ad un termine di prescrizione quiquennale


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[1] Per una esauriente analisi in merito alla natura e al regime giuridico della D.I.A e in materia di silenzio ex multis: SCOCA F.G Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano 1971; SCOCA F.G-D’ORSOGNA M. , Silenzio, clamori di novità, in Dir. proc amm. 1995,412; SCOCA F.G Il silenzio della Pubblica Amministrazione alla luce del nuovo trattamento processuale, in Dir. proc.amm., 2/2002,248- 252;, D'Orsogna M, La tutela avverso il silenzio della pubblica amministrazione, in A. Zito, D. De Carolis (a cura di), Giudice amministrativo e tutele in forma specifica. Atti della Tavola rotonda, Teramo, 3 maggio 2002, Milano,, 2003,169; GIULIETTI W., Nuove norma in tema di dichiarazione di inizio attività ovvero la continuità di un istituto in trasformazione, in www.giustamm.it;; GIULIETTI W, Il controverso impatto della l n 122 del 2010 sulla D.I.A edilizia.,in www.giustamm.it; ; FORT U., Il “silenzio” della pubblica amministrazione e i suoi effetti processuali, in Rivi.dir. proc. civ. 1932,121; SANDULLI A.M, Questioni recenti in tema di silenzio della pubblica amministrazione, in F.I.. 1949,III,128; CASSESE, S. Inerzia e silenzio della P.A., in Foro amministrativo 1963,I,30; LEDDA F., Il rifiuto di provvedimento amministrativo, Torino 1964; PARISIO V., I silenzi della pubblica amministrazione, Milano 1996,67ss; MARTINEZ L., La dichiarazione di inizio attività: natura e regime giuridico, Torino, 2008; MORBIDELLI G., Il silenzio assenso, in www.giustamm.it. .
[2] In tale senso diversi pronunciamenti giurisprudenziali tra cui : T.A.R. Calabria , sez. I, 18 giugno 2009 n. 431 secondo cui la denuncia di inizio attività non ha valore di provvedimento amministrativo tacito, ma si configura come atto di parte che consente al privato di intraprendere un'attività, una volta scaduto il termine di decadenza entro il quale l'Amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio; pertanto, il terzo che intende opporsi all'intervento, una volta decorso il termine senza l'esercizio del potere inibitorio, è legittimato unicamente a presentare all' Amministrazione istanza formale per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure il provvedimento emanato dalla stessa all'esito dell'avvenuta verifica. Gli effetti di una dichiarazione di inizio attività non assumono valore provvedimentale, in quanto il principio di legalità e di conseguente tipicità dei provvedimenti amministrativi esclude che possano essere inseriti nella sequenza procedimentale provvedimenti non espressione di poteri tipici previsti dalla legge.; TAR Milano Lombardia, n. 1924 13.03.2009 secondo cui la denuncia di inizio di attività si configura soggettivamente come atto del privato, che autocertifica la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la realizzazione dell'intervento; pertanto, la legittimazione all'esercizio dell'attività non è fondata su un atto di consenso dell'Amministrazione, ma trova la propria fonte direttamente nella legge. Il principio di autoresponsabilità del denunciante esclude che possono ritorcersi in danno del Comune le conseguenze derivanti dall'attività edilizia intrapresa dal medesimo in difformità della denuncia di inizio attività o sulla base di una d.i.a. illegittima, ancorché il Comune non abbia inibito l'opera tempestivamente o sia intervenuto con interventi repressivi tardivamente.
[3]Cfr T.A.R. Puglia sez. III, n. 983 22.04.2009 il quale rileva che in materia edilizia - nonostante il richiamo specifico dell'art 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, agli artt. 21 quinquies e 21 nonies, che disciplinano la revoca e l'annullamento d'ufficio - il potere dell'Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, che la suddetta norma fa salvo, non si esaurisce nell'utilizzazione dei suddetti istituti ma deve intendersi comprensivo di tutte le iniziative che l'Amministrazione è legittimata ad assumere per ristabilire, nel pubblico interesse, la legalità violata, compresa quindi la decadenza
[4] La percorribilità di una azione di accertamento volta a constatare la mancanza dei presupposti per poter attivare la denuncia di inizio attività è sostenuta dal Consiglio Stato , sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 717 secondo cui, premesso che la d.i.a. è un atto di un soggetto privato non costituente esplicazione di una potestà pubblicistica, la tutela del terzo controinteressato è assicurata dall'azione di accertamento autonomo che lo stesso può esperire innanzi al g.a. per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. L’azione di accertamento deve proporsi nel termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dal momento in cui il terzo è venuto a conoscenza della d.i.a. e della lesività dell'intervento edilizio realizzato sulla base della stessa. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull'Amministrazione l’ obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.
[5] In questo senso Consiglio di Stato, sez. V, 22.02.2007, n. 948. Secondo tale pronunciamento la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo. Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a. È, quindi, ammissibile il ricorso proposto direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ed avente ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento .In tal senso anche Consiglio Stato sez. IV, 25 novembre 2008 n. 5811 secondo cui nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine di trenta giorni, assegnato dall'art. 23, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, ben potendo il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o revoca da parte dell'amministrazione stessa; segue da ciò che, anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca, ma con il limite, per l'ipotesi in cui la legittimità dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, che detto potere, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori ex art. 23 comma 6 cit. t.u. n. 380 del 2001, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa; mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita. Ancora nel senso della natura provvedimentale della d.i.a Consiglio Stato sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474 secondo cui nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine assegnato prima dall'art. 2, comma 60, l. 23 dicembre 1996 n. 662 e ora dall'art. 23, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 all'Autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi essere esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi; segue da ciò che il titolo abilitativo, formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione, può diventare oggetto di interventi di annullamento d'ufficio o revoca e che essa, dopo il decorso del termine previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, non perde i propri poteri di autotutela, nel senso di poteri sia di vigilanza e sanzionatori che di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca, seppure nel rispetto del principio di reciproca lealtà e certezza dei rapporti giuridici.
[6] A giudizio del Consiglio di Stato l’azione di accertamento nel nostro ordinamento non è un’azione “tipica” (come lo è, ad esempio, nel diritto processuale civile l’azione costitutiva ex art. 2908 c.c.), in quanto non è necessario un espresso riconoscimento normativo per ammetterne la vigenza. L’ammissibilità di tale azione discende di per sé dall’esistenza della giurisdizione che implica appunto lo “ius dicere”. Ad analoghe conclusioni può giungersi per il processo amministrativo: sulle orme della dottrina prima evocata, si può ritenere che anche nel processo amministrativo il potere di accertamento del giudice non possa essere limitato alle sole ipotesi tipiche specificamente previste. La tipicità dell’azione di annullamento era coerente con la visione originaria del processo amministrativo come un processo impostato sulla tutela degli interessi legittimi oppositivi ai quali corrispondeva una pretesa a un “non facere” in capo all’amministrazione, cioè un dovere di astensione dall’emanare il provvedimento restrittivo della sfera giuridica dell’interessato. L’art. 45 del T.U. e l’art. 26, comma 2, della legge istitutiva dei T.A.R che individuano come unico dispositivo di accoglimento la sentenza di annullamento rispecchiavano perfettamente tale visione. Ne deriva che anche per gli interessi legittimi la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo di questa posizione sostanziale, almeno in tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti necessaria per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente.
[7] ABBAMONTE G., Sentenze di accertamento ed oggetto del giudizio amministrativo di legittimità e di ottemperanza; in Scritti in onore di massimo Severo Giannini,Vol I, Milano, 1988, 9
[8] TAKANEN F.,La dichiarazione di inizio attività e la tutela del terzo, in Riv. Giur.ed, Maggio-Giugno 2010, 186ss
[9] Cfr T.A.R. Abruzzo Pescara, Sezione I, (19 marzo 2009) sent. n. 156, il quale ritiene che , nonostante alcune recenti prese di posizione giurisprudenziali (Consiglio di Stato, 9 febbraio 2009, sez. VI, n. 717 per l’appunto) , un’analisi realistica evidenzia che la D.I.A è una tipica fattispecie a formazione progressiva, ad iniziativa di parte interessata, la cui denuncia d’inizio attività svolge una funzione propulsiva e procedurale, aperta a due possibili sviluppi: l’intervento inibitorio “ex autoritate”, oppure il superamento dello “spatium deliberandi”, che perfeziona, con valore assentivo, la D.I.A, con gli effetti tipizzati “ex lege”. Trattasi, quindi, di una scelta procedimentale semplificata, produttiva, sul piano amministrativo, di risultati sostanziali, che viene utilizzata, al pari del silenzio significativo, per accelerare gli adempimenti burocratici e superare la necessaria emissione di un provvedimento espresso; l’autorizzazione, invero, si realizza non solo in base alla D.I.A iniziale, che fa da presupposto, ma per il completamento positivo della procedura, in cui trovano rilevanza sia il tempo – scadenza, sia il non intervento inibitorio; il tipizzato effetto legale ha, quindi, natura amministrativa. Il terzo che si ritiene leso, in relazione alla tempestività o meno della conoscenza della Dia, può intervenire nel procedimento e sollecitare l’intervento inibitorio, ovvero, promuovere “ex post” la fase repressiva; quello che appare essere essenziale, è assicurare al medesimo la piena tutela oppositiva, consentendogli l’azione diretta avverso la fattispecie abilitante che ha assunto il valore di un provvedimento (Cons.Stat.,, IV, n.3742/29.7.2008). La Denuncia di Inizio Attività, pertanto, o esaurisce la sua efficacia di atto privato propulsivo con l’intervento pubblico inibitorio, oppure, perfezionatosi il procedimento, costituisce il contenuto della fattispecie abilitante, realizzatesi per espressa previsione normativa e, quindi, di natura autoritativa. Il risultato conclusivo è l’effetto autorizzativo, discendente da un’attività complessa ineguale (atto privato ed assenso legale “tractu temporis”); sul piano processuale deve, pertanto, prevale la logica impugnatoria e non quella del giudizio di accertamento; la valutazione, infatti, attiene alla legittimità del titolo ed il “non fare” dell’Amministrazione acquista valore secondario.
[10] Il testo dell’ordinanza è disponibile in questa rivista su www.giustamm.it
[11] In merito all’introduzione della S.C.I.A si veda il paragrafo seguente
[12] LISENA F., Dalla D.i.a alla S.C.I.A.: storia di una metamorfosi, in questa rivista
[13] BOSCOLO E., La segnalazione certificata di inizio attività tra esigenze di semplificazione ed effettività dei controlli, in Riv.Giur. Urb., n 3-4, 2010, 580ss
[14] CARINGELLA F., Manuale di diritto amministrativo, Roma , 2010, 1080.L’autore ritiene che la S.C.I.A sia applicabile anche alle autorizzazioni vincolate in quanto rileva che il legislatore ha escluso un maggior numero di ipotesi dall’applicazione della S.C-I.A rispetto a quelle previste nella precedente D.I.A con la conseguenza che se la S.C.I.A si applicasse alle sole autorizzazione vincolate, escludendo quelle espressione di discrezionalità tecnica non si comprenderebbe lo sforzo profuso dal legislatore nella tipizzazione di un così elevato numero di eccezioni..
Ammettere la S.C.I.A anche alle ipotesi di autorizzazioni espressione di discrezionalità tecnica sarebbe poi compatibile con la previsione di cui all’art 19, comma terzo. L n 241/1990 la quale fa espresso riferimento alle ipotesi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi disponendo che in tal caso il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti è sospeso,per un massimo di trenta giorni, fino all’acquisizione dei pareri medesimi. Il riferimento ai pareri pare infatti presupporre la possibilità che la S.C.I.A posa riguarda attività oggetto di discrezionalità tecnica.. Ulteriore argomento che l’autore utilizza a favore di tale è costituito dal richiamo al potere di revoca di cui all’art 21- quinquies l n 241/1990 che può essere attivato scaduto il termine di trenta giorni dalla comunicazione di avvio dell’attività. E’ infatti noto che il potere di revoca presuppone la sussistenza di margini di discrezionalità.
[15] BOSCOLO E., cit, 598. L’autore dubita che il nuovo art 19-l n 241/1990, anche alla luce dello schema fissato dalla sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale, sia atto ad esprimere un principio generale così dettagliato capace di imporsi come tale entro la trama delle legislazioni regionali che più si sono distaccate dalle logiche tassonomiche del T.U edilizia
[16] CARINGELLA F., .cit, 1090
[17] BOSCOLO E., cit, 592
[18] Per citare solo alcune sentenze ex multis: TAR Firenze Toscana sez. I n. 3100 27.06.2005 secondo cui l'esame delle domande di autorizzazione a costruire è rigorosamente vincolato al rispetto delle prescrizioni urbanistiche vigenti, di talché non è ravvisabile alcun vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento nel comportamento dell'amministrazione comunale che subordini il rilascio del titolo abilitativo alla perfetta osservanza di tali disposizioni; TAR Latina Lazio, n. 218 21.02.1994 e TAR Brescia, n. 1244 28.11.1995 secondo cui nell'ambito di un giudizio di impugnazione di un provvedimento di diniego di concessione edilizia, non è ammissibile sollevare la censura dell'eccesso di potere per disparità di trattamento, essendo la valutazione delle domande di autorizzazione a costruire vincolata rigorosamente alla conformità delle domande alle prescrizioni urbanistiche: è possibile, tuttavia, disattendere tale principio nei casi in cui il comportamento tenuto dall'amministrazione, con l'adozione dell'atto di diniego, risulti poco lineare, qualora quest'ultimo implichi un margine di discrezionalità tecnica.
[19] Cfr Cons .Stat., Sez IV, 12 febbraio 2007, n 599
[20] In questo senso T.A.R Emilia Romagna Sez I, 20 ottobre 2009 secondo cui quando il materiale avvio dell’esecuzione di un intervento edilizio – per la peculiarità del caso concreto- è in sé rilevatore delle fondamentali caratteristiche dell’opera e dell’eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistico- edilizia a tale momento va ricondotta la piena conoscenza del titolo abilitativo, ai fini della tempestività dell’impugnativa dell’atto da parte di chi abbia interesse.
[21] In merito alla legittimità del permesso a costruire e del suo diniego LIVERI G. T., Guida pratica di edilizia ed urbanistica, Milano 2006, 93ss; REZZONICO S., REZZONICO M., D.I.A, SuperDia e Permesso a costruire, Milano, 2005, 131ss
[22] LIVERI G. T., cit, 118
[23] Cfr Cons Stat., Sez V, 13.11.1995, n 1551
[24] In questo senso di recente T.A.R Campania Napoli, Sezione II, 11 settembre 2009, sent n 4934.
[25] Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio): 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole
[26] T.A,.R Toscana 27.3.1986, n 365; T.A.R Piemonte- Sez I-21.5.1986, n 191; Cons.Stato-Sez V- 3.1.1992 e Ad Plenaria-20.5.1980, n 18
[27] C. Cost, 27 gennaio 2004, sent. n. 43. La modifica del quadro costituzionale, realizzatasi in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, ha proposto la problematica del controllo sostitutivo nell’ambito di un assetto costituzionale notevolmente differente. Con il nuovo assetto costituzionale il legislatore ha dato un fondamento costituzionale al principio di sussidiarietà che prevede il conferimento delle funzioni amministrative ai Comuni con i limiti derivati dal principio di differenziazione e di adeguatezza dell’azione amministrativa. Cadute le norme specifiche che attribuivano in via generale allo Stato il compito di definire le funzioni amministrative degli enti locali (articoli 118, primo comma, e 128, vecchio testo), il nuovo articolo 117, secondo comma, lettera p, ricomprende nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione delle sole “funzioni fondamentali” di Comuni, Province e Città metropolitane; mentre il nuovo articolo 118, primo comma, attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le materie, “le funzioni amministrative”, ma riserva la possibilità che esse, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Vi è quindi una “preferenza” generalizzata per gli enti più vicini ai cittadini, ma anche la previsione di un criterio flessibile, guidato dai principi generali di differenziazione e di adeguatezza, per la concreta collocazione delle funzioni ai vari livelli di governo. L’assegnazione di funzioni amministrative a livello sovracomunale deve riguardare quelle funzioni che devono essere gestite a livello unitario; poiché tale concreta collocazione non può che trovar base nella legge, ne deriva che sarà la legge statale o regionale, a seconda che la materia spetti alla competenza legislativa dello Stato o della Regione, ad operare le scelte relative, nel rispetto dei principi generali indicati.
Il nuovo articolo 120, secondo comma, della Costituzione si inserisce in questo contesto, con la previsione esplicita del potere del Governo di “sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni” in determinate ipotesi, sulla base di presupposti che vengono definiti nella stessa norma costituzionale.; l’ultimo periodo del comma prevede che sia la legge a definire le procedure, relative evidentemente all’esercizio dei poteri sostitutivi previsti dal periodo precedente.
Il riconoscimento costituzionale del principio di sussidiarietà, con la seguente concentrazione delle funzioni amministrative agli enti locali, non poteva comportare il venir meno del controllo sostitutivo statale volto ad assicurare alcuni interessi unitari della nazione. Si deve quindi ritenere che :“La nuova norma deriva palesemente dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, taluni interessi essenziali – il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, la salvaguardia dell’incolumità e della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello Stato (cfr. infatti l’articolo 117, quinto comma, ultimo inciso, della Costituzione, per gli obblighi internazionali e comunitari; l’articolo 117, secondo comma, lettere h e m, rispettivamente per l’ordine e la sicurezza pubblica e per i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali). Quanto all’ “unità giuridica” e all’ “unità economica”, quale che ne sia il significato (che qui non occorre indagare), si tratta all’evidenza del richiamo ad interessi “naturalmente” facenti capo allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unità e indivisibilità della Repubblica garantita dall’articolo 5 della Costituzione. ”
[28] C..Cost., 15 giugno 1989, sent. n. 338
[29] C.. Cost., 18 febbraio 1988, sent. n 177
[30] C.. Cost., 27 luglio 1989, sent. n. 460; 25 luglio 1994 sent. n. 342; 1° ottobre 2003, sent. n. 313
[31] C.. Cost., 27 giugno 1986, sent. n. 153; 10 febbraio 2003, ord. n. 53
[32] In merito alla problematiche relative alla tutela dell’interesse legittimo pretensivo vedasi per tutti ZITO A., Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa,. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo, Napoli 2003
[33] Cons. Stat.,sez IV, 26 aprile 2006, sent.n 2288 commento di CHINELLO D., Presupposti e limiti dell’azione risarcitoria da illegittimo diniego di un titolo edilizio; in Urbanistica ed Appalti , n 9, 2006, pp 1068ss
[34] Mi sia consentito richiamare CASU S. Decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio e danno da ritardo :interazioni e riflessi, in Riv Giur. Urb , n 1 , 2007,
[35] CARINGELLA-F. GAROFOLI R., Giurisprudenza Amministrativa 2006. Giuda ragionata per la prova scritta dell’esame di avvocato e di uditore giudiziario, Milano,, 2006, 81ss
[36] C.f.r, TAR Salerno, Campania sez. II, n. 1988 21.06.2008 secondo cui deve essere accolta una domanda di risarcimento del danno derivante dal ritardato rilascio della concessione edilizia (nella specie, si trattava della concessione edilizia per la realizzazione di un deposito agricolo), nel caso in cui la P.A. abbia, dapprima, espresso un diniego di rilascio della concessione stessa, motivato con la necessità di apportare alcune modifiche al progetto originario presentato, e, nonostante la formale e tempestiva disponibilità manifestata dal richiedente il titolo edilizio, ad effettuare le modifiche progettuali proposte, soltanto successivamente, e dopo lungo tempo (circa dieci anni), abbia effettivamente rilasciato il permesso di costruire
[37] In merito all’ipotesi di inerzia della P.A C.f.r Cons. Stat sez. IV sent n. 248 del 29.01.2008 su www.giustiziaamministrativa.it/Sentenze/CdS200800248_SE_4.doc .secondo cui per configuarare la responsabilità della P:A è necessario che manchi qualsiasi contributo causale al silenzio dell’Amministrazione perché la sostanziale acquiescenza dell’interessato ha rilevanza impeditivi sia del fatto obiettivo sia della colpevolezza della PA; posto che il danno da ritardo è danno da lesione di interessi legittimi pretensivi ed è risarcibile solo se il privato ha titolo al rilascio del provvedimento finale si prospetta altresì come indefettibile l’indagine sulla spettanza del bene della vita che va obbligatoriamente richiesta dal privato in base al principio della domanda e a quello dispositivo ed effettuata direttamente dal giudice solo in presenza di attività vincolata; infine, nei casi di attività amministrativa discrezionale pura in cui il giudizio di spettanza è riservato alla PA, è necessaria per il risarcimento l’ulteriore condizione del previo esercizio (o riesercizio) del potere mediante statuizione espressa da parte della stessa Amministrazione.
[38] In merito alla configurabilità di un danno da mero ritardo come sostenuto da Consiglio di Stato, sez IV ord. 875/2005 vedi :CARINGELLA-F., GAROFOLI R.,cit,. 81-85; VALLA L., Il Giudice amministrativo ed il risarcimento “del tempo perduto”, in Urbanistica ed Appalti, n 6, 2006, 651ss
[39] VALLA L. , cit,., 656
[40]CARINGELLA-F., GAROFOLI R., cit., 87-88; VALLA L. cit., 656-657
[41] Si segnalano qui di seguito alcune sentenze in merito; TAR Pescara, Abruzzo n. 889, 06.11.2008 secondo cui l'accertata illegittimità della condotta della Pubblica amministrazione, derivante dal ritardo , dall'inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, non è da sola sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità aquiliana, occorrendo altresì che risulti danneggiato l'interesse al bene della vita, al quale è correlato l'interesse legittimo dell'istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo; Cassazione Civile, n. 12455, 16.05.2008 In tema di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, l'accertata illegittimità della condotta della p.a. o di suoi organi, derivante dal ritardo , dall'inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, che si traducono nella violazione dell'obbligo di portarlo comunque a compimento (in modo favorevole o sfavorevole per l'istante), non è sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità aquiliana, occorrendo altresì che risulti danneggiato l'interesse al bene della vita al quale è correlato l'interesse legittimo dell'istante, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo. In riferimento al rilascio di una concessione edilizia, l'accertamento di tale interesse implica un giudizio prognostico sulla fondatezza dell'istanza, da condursi in riferimento alla normativa di settore ed agli elementi offerti dall'istante, onde stabilire se costui fosse titolare di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la responsabilità di un Comune per il rifiuto della concessione edilizia richiesta per la realizzazione di un parcheggio interrato, ritenendo non configurabile. un'aspettativa giuridicamente tutelata dell'istante, in quanto l'autorizzazione a tal fine concessa dal Consiglio comunale ed il parere favorevole emesso dalla commissione edilizia erano subordinati all'adozione ed all'approvazione del piano regolatore generale); TAR Catania, sez. Sicilia, sez. I, n. 1138, 03.07.2007 ai fini del riconoscimento del danno da illegittimo ritardo nel rilascio di una concessione edilizia, la configurabilità del danno emergente (maggiore costo di costruzione) e del lucro cessante (mancata maturazione del reddito per lo sfruttamento degli immobili) richiede quale necessario termine di paragone la realizzazione della costruzione, mancando la quale, viene meno la base di calcolo su cui liquidare il danno . Qualora con l'azione di risarcimento danni da illegittimo ritardo nel rilascio di un permesso di costruire si chieda il ristoro del pregiudizio derivante dalla riduzione del possibile sfruttamento edificatorio dell'area a causa della realizzazione, nelle more, di manufatti da parte di altri proprietari, è onere del ricorrente fornire la prova della legittimità dell'intervento non più assentibile, in termini, ad esempio, di compatibilità dei maggiori volumi e superfici agli indici di fabbricabilità, ai confini antecedenti ed attuali con gli edifici frontisti ed agli altri requisiti necessari a valutarne la conformità urbanistica, anche mediante la produzione in giudizio di apposito progetto.
La prova piena a carico del deducente circa i danni subiti per illegittimo ritardo nel rilascio di un permesso di costruire non può essere sostituita mediante l'utilizzo della consulenza tecnica d'ufficio, poiché quest' ultimo è un mezzo istruttorio residuale e deputato a svolgere compiti integrativi e non già esclusivi della prova.
Qualora con l'azione di risarcimento danni da illegittimo ritardo nel rilascio di un permesso di costruire si chieda il ristoro del pregiudizio derivante dalla riduzione del possibile sfruttamento edificatorio dell'area a causa della realizzazione, nelle more, di manufatti da parte di altri proprietari, è onere del ricorrente fornire la prova della legittimità dell'intervento non più assentibile, in termini, ad esempio, di compatibilità dei maggiori volumi e superfici agli indici di fabbricabilità, ai confini antecedenti ed attuali con gli edifici frontisti ed agli altri requisiti necessari a valutarne la conformità urbanistica, anche mediante la produzione in giudizio di apposito progetto.
[42] Art. 2-bis. L n 241/1990 (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento): 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 2. Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.

 

(pubblicato il 14.2.2011)

 

 

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