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n. 2-2011 - © copyright

 

LUIGI SBOLCI

Il commercio nella disciplina internazionale e dell’Unione europea

 

 


 

 

1. Il commercio nella disciplina di diritto internazionale. Considerazioni introduttive. – 2. Le principali regole in vigore nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio: il GATT 1994. – 3. Il mercato interno dell’Unione europea e la libera circolazione delle merci. – 4. Il divieto di dazi doganali fra Stati membri dell’Unione europea e il divieto di tasse di effetto equivalente. – 5. Le imposizioni fiscali interne. – 6. La tariffa doganale comune dell’Unione europea e le franchigie. – 7. Il divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente. – 8. Il principio del mutuo riconoscimento e l’armonizzazione delle norme tecniche. – 9. Le deroghe al divieto di restrizioni quantitative e di misure equivalenti. – 10. Conclusioni.


1. Il commercio nella disciplina di diritto internazionale. Considerazioni introduttive

L’attuale globalizzazione dell’economia trae in gran parte origine dalla disciplina stabilita dal Trattato istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC o WTO) e dagli Accordi ad esso allegati, soprattutto dal GATT 1994[1]. Il contenuto dei Trattati fu negoziato nell’ambito dell’Uruguay Round [2] e definito nella Conferenza internazionale di Marrakech del 1994. I Trattati, entrati in vigore il 1° gennaio 1995, sono attualmente vincolanti per 153 membri, fra cui l’Unione europea e i 27 Stati appartenenti all’Unione[3].
L’ OMC ha assunto un ruolo così centrale nel determinare l’andamento e i flussi del commercio internazionale da aver ridimensionato il rilievo di altri organismi internazionali.
Anzitutto ha ridimensionato il ruolo della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD)[4]. Essa svolge la propria attività per favorire la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo (PVS) al commercio internazionale e ai relativi proventi. A tale scopo presta assistenza tecnica agli Stati, favorisce il dialogo intergovernativo, predispone trattati multilaterali sui prodotti di base. Ne sono esempi gli accordi sul cacao, sul caucciù, sullo stagno[5]. Questi accordi perseguono l’obbiettivo di stabilizzare i prezzi dei prodotti sul mercato internazionale mediante l’assegnazione agli Stati di quote di produzione, la creazione di scorte e a mezzo di altre misure di sostegno dei prezzi. L’UNCTAD svolge poi un’azione di stimolo perché in ambito ONU siano presi in considerazione i problemi generali dello sviluppo. Ma i negoziati più rilevanti si svolgono in seno all’OMC, nell’attuale Doha Round, e recentemente anche nell’ambito delle relazioni internazionali bilaterali.
La Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL)[6] svolge un ruolo essenzialmente tecnico per migliorare il quadro giuridico in cui si esplicano le attività commerciali. Elabora documenti che hanno lo scopo di armonizzare e di far progredire il diritto in materia di scambi internazionali. Questi documenti possono assumere natura di convenzioni internazionali che impongono agli Stati contraenti l’obbligo di adottare norme interne uniformi, com’è il caso della Convenzione del 1980 sui contratti di vendita internazionale di merci[7]. Possono assumere natura di leggi-modello proposte agli Stati per una loro volontaria adozione nei rispettivi ordinamenti nazionali come la legge-modello del 2002 sulla conciliazione commerciale internazionale e quella del 1985 sull’arbitrato commerciale internazionale[8].
Per promuovere l’armonizzazione progressiva del diritto in materia di commercio internazionale opera anche l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (UNIDROIT)[9] al cui lavoro si deve, per esempio, l’elaborazione della Convenzione del 1983 sulla rappresentanza in materia di vendita internazionale di merci e soprattutto la redazione dei Principi d’UNIDROIT relativi ai contratti del commercio internazionale[10]. I principi contengono una dettagliata disciplina sulla formazione del contratto, sulla sua interpretazione, sulla validità e risoluzione. Essi possono essere considerati parte della lex mercatoria[11] congiuntamente agli usi e alle consuetudini spesso raccolte dalle Camere di commercio e in primo luogo dalla Camera di commercio internazionale. La lex mercatoria acquista rilievo giuridico effettivo per volontà degli operatori che nei loro contratti fanno rinvio alle regole che la compongono. Anche la giurisprudenza arbitrale le ha spesso valorizzate. L’arbitrato commerciale internazionale si svolge prevalentemente sulla base del regolamento precostituito dall’istituzione designata dalle parti; per esempio di quello della Camera arbitrale internazionale presso la Camera di commercio di Firenze. Questo regolamento, a proposito delle norme applicabili al merito delle controversie, stabilisce che il tribunale arbitrale decide tenendo conto in ogni caso degli usi del commercio[12]. Si tratta di una disciplina che appare pienamente conforme all’art. 7 della Convenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale[13].
La maggiore rilevanza dell’OMC rispetto a questi organismi si è affermata soprattutto con l’ingresso della Cina. L’accordo di adesione all’OMC della Repubblica popolare cinese[14], approvato senza che vi fossero inserite condizioni relative a comportamenti in ambito sociale, ambientale o della tutela dei diritti dell’uomo, ha avuto effetti dirompenti sugli scambi di merci imprimendo una forte accelerazione al commercio globale. I conseguenti squilibri nella bilancia commerciale di molti Paesi hanno a loro volta prodotto tensioni anche nel settore valutario, come è emerso durante il G 20 di Seul del novembre 2010. La Cina ha accumulato un gigantesco surplus commerciale che non intende compensare modificando le regole di convertibilità dello Yuan. Gli Stati Uniti hanno reagito immettendo liquidità nel mercato per indebolire il dollaro, rilanciare le esportazioni e riequilibrare in tal modo la bilancia commerciale senza infrangere le regole del GATT con barriere vietate da questo accordo.


2. Le principali regole in vigore nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio: il GATT 1994

Le regole fondamentali stabilite dal GATT 1994 per favorire il commercio internazionale sono contenute nei suoi articoli iniziali. L’art. I pone la clausola della nazione più favorita. Essa implica che tutti i vantaggi accordati da una parte contraente ad un prodotto originario di qualsiasi altro Paese saranno immediatamente estesi a tutti i prodotti similari che siano originari di una delle altre parti contraenti. Questa disposizione riguarda le imposizioni di qualsiasi genere sulle importazioni e sulle esportazioni, in particolare si riferisce ai dazi doganali la cui entità viene gradualmente ridotta per effetto di negoziati multilaterali condotti sulla base del GATT[15]. Il principio di non discriminazione che ispira la clausola della nazione più favorita è alla base anche dell’art. III che pone l’obbligo del trattamento nazionale in materia di imposizioni interne. Per effetto di tale obbligo, i tributi, le altre imposizioni interne, ma anche le leggi, le prescrizioni relative alla vendita non potranno trattare i prodotti importati da qualsiasi altra parte contraente, e che abbiano superato la barriera doganale, in maniera diversa da quella con cui sono trattati i prodotti nazionali similari. Per esempio non potrebbe essere imposto alla benzina importata un grado di purezza maggiore di quello richiesto alla benzina nazionale[16].
Ulteriori regole del GATT meritano speciale menzione. L’Accordo riconosce che il dumping commerciale mediante l’introduzione dei prodotti di un Paese sul mercato di un altro Paese ad un prezzo inferiore al prezzo praticato nel paese esportatore sia condannabile e quindi possa essere neutralizzato dal Paese importatore mediante un dazio antidumping[17] . L’art. XVI considera in modo negativo le sovvenzioni all’esportazione e stabilisce di conseguenza che le parti contraenti dovrebbero sforzarsi di non concederle. Qualora vengano concesse sovvenzioni che abbiano l’effetto di accrescere le esportazioni dello Stato interessato, queste sovvenzioni non dovranno essere accordate in modo tale che questo Stato possa detenere più di una parte equa del commercio mondiale del prodotto sovvenzionato, tenuto conto delle parti detenute dagli altri Stati nel commercio di quel prodotto[18]. L’art. XXI prevede eccezioni concernenti la sicurezza: ciascun Stato membro potrà adottare tutte le misure che giudicherà necessarie in materia di commercio delle materie fissili e delle armi. Misure urgenti di salvaguardia concernenti l’importazione di prodotti particolari possono essere adottate da uno Stato contraente del GATT qualora si verifichi un incremento molto significativo delle importazioni di un prodotto. Quando cioè uno Stato subisca importazioni in quantità talmente accresciute da portare un grave pregiudizio ai produttori nazionali di merci similari esso potrà sospendere in tutto o in parte un obbligo dell’Accordo. Queste contromisure dovranno essere comunicate in anticipo alle altre parti contraenti e lo Stato importatore che le adotta ha l’obbligo di avviare consultazioni con gli Stati esportatori del prodotto in questione per concordare eventuali compensazioni a favore delle parti contraenti colpite dalla misura di salvaguardia[19].
L’Accordo GATT prevede regimi speciali per favorire i Paesi in via di sviluppo[20] e per consentire forme più avanzate di liberalizzazione commerciale fra Stati appartenenti ad un medesimo ambito regionale, come quelli appartenenti all’Unione europea.
Per incoraggiare le esportazioni dei prodotti dei PVS, la Parte IV del GATT , in deroga alla clausola della nazione più favorita e quindi in deroga al principio della parità di trattamento, autorizza un trattamento preferenziale da parte dei Paesi sviluppati a favore dei PVS. Poiché numerosi Paesi poco sviluppati dipendono dall’esportazione di una gamma limitata di prodotti, l’Accordo riconosce che è necessario assicurare a questi prodotti condizioni più favorevoli di accesso ai mercati mondiali e misure che permettano a tali Paesi di assicurarsi una parte della crescita del commercio internazionale.
Questo trattamento preferenziale, per esempio un abbassamento o un’eliminazione di dazi doganali, per essere consentito, deve essere anzitutto non reciproco. Cioè deve essere applicato soltanto nei confronti dei prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo da parte dei Paesi sviluppati e non viceversa[21]. Inoltre deve essere ispirato al principio di non discriminazione fra PVS. Secondo l’interpretazione dell’Organo dell’OMC per la soluzione delle controversie[22], il principio di non discriminazione va considerato rispettato quando venga accordato il medesimo trattamento a tutti i PVS che si trovino in situazioni similari[23]. Sono quindi consentite condizioni di maggior favore a vantaggio dei Paesi meno avanzati (PMA)[24]. Questo trattamento preferenziale non reciproco e non discriminatorio a favore dei PVS può essere accordato individualmente da una sola parte contraente del GATT[25] oppure mediante un’azione collettiva intrapresa da un gruppo di parti contraenti sviluppate[26]. Può essere concesso per mezzo di un atto unilaterale o mediante un accordo internazionale[27]. La Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) ha raccomandato l’adozione da parte dei Paesi sviluppati di un sistema di preferenze generalizzate, cioè avente come beneficiari tutti i PVS, e caratterizzato da medesime modalità. Nella prassi si è avuta una pluralità di sistemi generalizzati con caratteristiche diversificate quanto alla definizione di PVS, al trattamento riservato ai PMA, alla individuazione delle merci prese in considerazione. A questo proposito merita ricordare il sistema di preferenze generalizzate dell’Unione europea approvato inizialmente nel 1971 dalla Comunità ed oggi in vigore sulla base di un regolamento del 2008[28]. Il sistema europeo istituisce un regime preferenziale che è concesso a tutti i Paesi classificati dalla Banca mondiale fra i Paesi a reddito non elevato ed elencati nell’allegato I. Dispone un regime generale sui dazi da applicare alle merci provenienti dai PVS e alcuni regimi speciali tra cui quello a favore di PMA.
L’Accordo GATT favorisce forme più avanzate di liberalizzazione commerciale nei rapporti fra Stati appartenenti ad ambiti geografici regionali. Questo incremento della libertà di commercio si può realizzare a mezzo di accordi internazionali che integrino più strettamente le economie dei Paesi contraenti. Per perseguire questi obiettivi il GATT consente la creazione di zone di libero scambio, in cui vengono soppressi i dazi doganali fra gli Stati che vi partecipano, e la creazione di unioni doganali nelle quali un’analoga soppressione dei dazi è accompagnata dall’adozione di un’unica tariffa doganale comune nei rapporti con gli Stati terzi[29].
Sulla base di questa previsione normativa, già presente nel previgente GATT 1947, sono state istituite, mediante trattati internazionali, zone di libero scambio e unioni doganali. A questo proposito basti menzionare come esempi significativi il NAFTA[30] e il MERCOSUR[31] . Speciale rilievo assume poi il mercato interno dell’Unione europea a cui è dovuta particolare attenzione per l’ incidenza delle sue regole sui rapporti commerciali dell’Italia.


3. Il mercato interno dell’Unione europea e la libera circolazione delle merci

Il mercato interno dell’Unione europea è definito come uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali[32]. Il Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009, disponendo che la denominazione Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) si sostituisca a quella di Trattato della Comunità europea (TCE), ha stabilito che la nozione di mercato interno prenda il posto di quella di mercato comune, originariamente introdotta nel Trattato della Comunità economica europea (CEE) del 25 marzo 1957[33].
La disciplina commerciale dell’UE è principalmente contenuta nelle disposizioni del TFUE che si occupano della libera circolazione delle merci, in alcuni atti normativi adottati per l’attuazione di quelle disposizioni e in fondamentali principi enunciati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ora Corte di giustizia dell’Unione europea. Si deve per esempio alla giurisprudenza della Corte una definizione ampia di merci. Queste vanno intese con riferimento ai “prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali”[34] fra cui gli oggetti artistici[35] e i rifiuti[36]. Discipline speciali sono previste per i prodotti agricoli e per le armi[37].
La libera circolazione delle merci fra gli Stati membri dell’Unione europea si realizza principalmente a mezzo di due strumenti: l’instaurazione di un’unione doganale e l’applicazione del divieto di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione e di misure equivalenti a restrizioni quantitative.
Le norme sull’unione doganale implicano anzitutto il divieto di dazi doganali, all’importazione e all’esportazione, e il divieto di tasse equivalenti ai dazi. L’unione doganale prevede inoltre l’adozione di una tariffa doganale comune nei confronti delle merci provenienti da Stati terzi[38]. I prodotti che provengano da questi Stati e che siano importati in osservanza della tariffa doganale comune sono considerati in libera pratica all’interno dell’UE, cioè sono soggetti alla libera circolazione fra gli Stati membri.


4. Il divieto di dazi doganali fra Stati membri dell’Unione europea e il divieto di tasse di effetto equivalente

Il divieto di dazi doganali all’importazione e all’esportazione è stabilito dall’art. 30 del TFUE (già art. 25 TCE). Il divieto si riferisce a tutti gli oneri pecuniari propriamente denominati dazi e applicati da uno Stato alle importazioni e alle esportazioni a causa del passaggio della merce attraverso la frontiera. Ai sensi dell’art. 30 sono vietati anche i dazi a carattere fiscale. Ciò implica che il divieto è generale, a prescindere dallo scopo protezionistico o tributario del dazio. Il divieto è poi esteso dallo stesso art. 30 alle tasse di effetto equivalente ai dazi per evitare che il primo divieto venga aggirato. Il concetto di tassa equivalente, secondo la Corte di giustizia, deve essere riferito a qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente da uno Stato che colpisca una merce per il passaggio di una frontiera[39]. Ne è stato esempio la tassa italiana sulle esportazioni degli oggetti di interesse storico e artistico dichiarata dalla Corte di giustizia incompatibile con il Trattato[40]. Sono esclusi dal divieto di cui all’art. 30 gli oneri pecuniari percepiti da un’ amministrazione statale a titolo di corrispettivo di un servizio da essa svolto purché esso non sia obbligatorio e gli oneri siano proporzionati al servizio reso[41]. Esulano dal divieto anche le imposizioni fiscali interne stabilite da uno Stato membro nel quadro di un regime generale di tributi applicati sia alle merci importate che a quelle nazionali. Questi tributi generali sono soggetti alle disposizioni fiscali di cui all’art. 110 TFUE.


5. Le imposizioni fiscali interne

La libera circolazione delle merci nel mercato interno dell’UE è favorita anche da alcuni obblighi che il TFUE pone agli Stati membri in materia di imposizione fiscale interna riferibile alla generalità dei prodotti come, per esempio, l’IVA. L’art. 110 di questo Trattato ( già art. 90 TCE) stabilisce anzitutto il divieto di imporre tributi interni discriminatori nei confronti di prodotti provenienti da altri Stati membri dell’UE[42]. Il divieto si riferisce soprattutto ai tributi quantitativamente superiori, per aliquota o per calcolo della base imponibile, rispetto a quelli applicati ai prodotti nazionali che siano “similari” a quelli importati. La giurisprudenza ha considerato fra loro similari i prodotti che per le caratteristiche possedute rispondano alle medesime esigenze dei consumatori[43]. L’art. 110 TFUE impone inoltre agli Stati membri dell’Unione il divieto di stabilire tributi interni intesi a proteggere indirettamente “altre produzioni”[44]. La Corte di giustizia ha attribuito a questa disposizione l’effetto di precludere ogni forma di protezionismo fiscale dei prodotti nazionali[45]. Lo scopo protezionistico di un tributo può essere desunto, caso per caso, da una valutazione globale degli effetti prodotti dal tributo[46]. Per esempio allorché un tributo gravi sia sui prodotti importati che su quelli nazionali, ma non su tutti i prodotti nazionali[47]. Le “altre produzioni” che potrebbero essere oggetto di protezionismo sono costituite dalle merci concorrenti con quelle importate, cioè dai prodotti che possano essere considerati succedanei di quelli importati[48].
Questi due obblighi stabiliti dall’art. 110 TFUE hanno lo scopo di evitare forme di elusione del divieto di dazi doganali e delle tasse equivalenti. Il divieto di dazi potrebbe infatti essere aggirato mediante l’applicazione di tributi interni a carattere generale, cioè che gravano su intere categorie di prodotti, ma aventi effetti discriminatori o protezionistici. Pertanto la disciplina contenuta nell’art. 110 TFUE va considerata un’integrazione delle disposizioni sul divieto di dazi doganali e delle tasse equivalenti.


6. La tariffa doganale comune dell’Unione europea e le franchigie

Le unioni doganali fra Stati si caratterizzano per la creazione di una tariffa doganale comune verso i Paesi terzi. Così anche l’unione doganale istituita dal TFUE prevede che il divieto di dazi doganali fra gli Stati membri sia accompagnato da un unico regime doganale esterno, applicabile allo scambio di merci con Paesi che non fanno parte dell’UE. La costruzione dell’unione doganale risulta in tal modo completa. Essa contribuisce a promuovere gli scambi commerciali con gli Stati terzi i cui prodotti possono avvalersi della libera circolazione fra Stati membri, una volta superata la barriera doganale comune . L’art. 31 del TFUE (già art. 26 TCE) attribuisce al Consiglio, su proposta della Commissione, il compito di stabilire i dazi della tariffa doganale comune. Il Consiglio ha provveduto mediante un regolamento che determina le aliquote dei dazi per ciascun prodotto elencato in una “nomenclatura combinata” (NC), così definita perché utilizzabile sia a scopi tariffari che statistici[49]. Per ciascuna voce della nomenclatura viene stabilito un dazio autonomo, la cui aliquota è definita autonomamente dall’UE ed un dazio convenzionale, la cui aliquota è fissata in osservanza di convenzioni internazionali, per esempio in osservanza delle aliquote concordate nell’ambito dell’OMC. Il regolamento che definisce la tariffa doganale comune è soggetto a continue modificazioni necessarie per tener conto dei mutamenti della politica commerciale dell’Unione europea. Esigenze di modificazioni possono sorgere per adeguare la tariffa al sistema di preferenze generalizzate a favore dei PVS oppure per adeguarla all’ istituzione di un dazio antidumping. Allo scopo di codificare tutti i provvedimenti adottati in questa materia, il regolamento sulla tariffa doganale prevede che ciascun anno la Commissione pubblichi un documento denominato tariffa integrata delle Comunità europee (TARIC), ora tariffa integrata dell’Unione europea[50]. La TARIC svolge una funzione informativa e non ha natura di strumento giuridico. Gli effetti giuridici scaturiscono dai singoli atti normativi che essa incorpora[51].
Per disporre le regole necessarie all’applicazione della tariffa doganale comune è stato adottato un codice doganale[52]. Esso definisce il territorio doganale dell’Unione con riferimento a ciascun Stato membro e, per quel che riguarda l’Italia, stabilisce che il territorio doganale comprende il territorio nazionale con l’esclusione dei comuni di Livigno e di Campione d’Italia e delle acque nazionali del lago di Lugano. Il codice stabilisce le regole per definire l’origine di una merce, per esempio nello Stato di ultima trasformazione sostanziale[53], per determinare il loro valore in dogana, normalmente quello di transazione, cioè il prezzo effettivamente corrisposto[54].
Un regime di franchigie consente di importare merci nel territorio doganale dell’UE in esenzione dai dazi stabiliti dalla tariffa doganale comune[55]. Le esenzioni sono applicabili a specifiche categorie di prodotti. Vi rientrano i beni ad uso personale di persone fisiche che trasferiscano la loro residenza normale da un Paese terzo ad uno Stato membro, le merci contenute nei bagagli dei viaggiatori purché entro determinati limiti di quantità e di valore, gli oggetti di carattere scientifico o culturale.


7. Il divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente

La disciplina del commercio stabilita dall’Unione europea assicura la libertà di circolazione delle merci fra Stati membri non solo mediante le disposizioni sull’unione doganale, ma anche a mezzo delle regole che stabiliscono il divieto di restrizioni quantitative e il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative. La finalità dei due obblighi è quella di vietare ogni misura che limiti il commercio fra Stati membri o crei disparità di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro e il commercio interno dell’UE.
Le norme del TFUE stabiliscono anzitutto il divieto di restrizioni quantitative, sia alle importazioni che alle esportazioni[56]. La Corte di giustizia ha incluso nell’ambito di questo divieto la preclusione di importare un determinato prodotto[57] e il rifiuto di rilasciare una licenza di esportazione[58]. Le medesime norme stabiliscono inoltre il divieto di misure aventi effetti equivalenti a restrizioni quantitative, anche in tal caso con riferimento sia alle importazioni che alle esportazioni[59].
Le questioni interpretative di maggior rilievo sono sorte a proposito del divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative che incidano sulle importazioni. Da queste misure possono derivare gli ostacoli più insidiosi alla commercializzazione in uno Stato membro di prodotti di un altro Stato membro o comunque di prodotti considerati in libera pratica nel territorio di un altro Stato membro perché in esso regolarmente importati da uno Stato terzo. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha contribuito in modo determinante a chiarire i dubbi sull’ambito di applicazione di questo divieto di misure equivalenti a restrizioni quantitative. Fondamentale in proposito è stata la sentenza pronunciata sul caso Dassonville[60] secondo cui costituisce misura di effetto equivalente qualsiasi misura che ostacoli direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi fra Stati membri. In questo ambito dovrebbe essere compresa ogni condotta imputabile allo Stato e quindi adottata, per esempio, sia dagli organi del governo centrale che da quelli del governo locale[61].
Il contributo della Corte di giustizia è andato oltre questa definizione generale. Sulla base della sua giurisprudenza sono individuabili specifiche tipologie di atti incompatibili con il divieto di misure di effetto equivalente. Anzitutto sono incompatibili le misure distintamente applicabili alle merci importate perché assumono carattere discriminatorio. Ne sono esempi i provvedimenti che impongono una licenza per le importazioni[62] o che impongono controlli sanitari a carattere sistematico sui prodotti importati[63]. Le misure indistintamente applicabili sia alle merci importate che alle merci nazionali non dovrebbero produrre, in generale, effetti equivalenti a quelli creati da restrizioni quantitative; quindi dovrebbero essere consentite. Tuttavia la Corte di giustizia ha individuato specifiche situazioni in cui l’applicazione alle merci importate di misure indistintamente applicabili determina comunque una restrizione illecita al commercio fra Stati membri. Anzitutto le disposizioni che impongono un regime di prezzi per tutta una determinata categoria di merci. La Corte ha giudicato vietate misure che stabiliscano prezzi minimi ad un livello così elevato da neutralizzare il vantaggio concorrenziale della merce importata in virtù dei suoi prezzi inferiori[64]. I prezzi massimi, applicati indistintamente sia alle merci nazionali che a quelle importate, sono incompatibili con le norme sul mercato interno qualora siano fissati ad un livello così basso da implicare una vendita in perdita dei prodotti importati[65].
I provvedimenti con cui uno Stato membro stabilisca le modalità di vendita di taluni prodotti, per esempio gli orari di apertura degli esercizi commerciali o il divieto di apertura domenicale, sono da considerare conformi al diritto dell’Unione europea solo quando rispettino due parametri ricostruiti dalla Corte di giustizia. Le modalità di vendita non costituiscono misure equivalenti a restrizioni quantitative purché valgano per tutti gli operatori e incidano in eguale misura sul commercio dei prodotti nazionali e degli altri Stati membri[66]. A giudizio della Corte, sarebbe incompatibile con il Trattato un divieto di vendita di taluni medicinali attraverso Internet perché non colpirebbe in eguale misura la vendita dei medicinali nazionali e quella dei medicinali provenienti da altri Stati membri[67]. Sulle vendite per via telematica incide la disciplina UE sul commercio elettronico: in particolare la direttiva di coordinamento delle legislazioni nazionali sulla prestazione dei servizi della società dell’informazione[68]. Possono assumere rilievo anche le direttive sulla tutela dei consumatori [69], mentre la c.d. direttiva Bolkestein, che impone la soppressione degli ostacoli all’accesso alle attività di servizi e al loro esercizio, esclude dal suo ambito di applicazione i servizi di comunicazione elettronica[70]. Include però importanti attività economiche non salariate, tra cui quelle del commercio, dell’industria e dell’artigianato, imponendo, fra gli altri, obblighi di semplificazione amministrativa.


8. Il principio del mutuo riconoscimento e l’armonizzazione delle norme tecniche

Nell’ambito di applicazione del divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative sono comprese le norme tecniche nazionali sulle caratteristiche dei prodotti. Le regole che stabiliscono in ciascun Stato membro la composizione o la fabbricazione di un prodotto, la sua confezione o altre caratteristiche come l’etichettatura, pur applicate indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli di importazione, possono produrre effetti restrittivi del commercio di questi ultimi. Per sopprimere queste barriere tecniche agli scambi commerciali, l’ordinamento dell’UE provvede mediante due strumenti: il principio del mutuo riconoscimento delle regole tecniche nazionali e l’armonizzazione di queste regole nelle situazioni in cui il mutuo riconoscimento si riveli inadeguato alla realizzazione del mercato interno. Il principio del mutuo riconoscimento è stato elaborato dalla Corte di giustizia fin dalla sentenza pronunciata sul caso del liquore francese Cassis de Dijon[71]. Il principio impone a ciascun Stato membro di ammettere che nel proprio territorio venga commercializzato ogni prodotto lecitamente posto in commercio in un altro Stato membro, cioè posto in commercio in tale Stato nel rispetto delle regole in esso vigenti. Il principio ammette eccezioni. Secondo la stessa giurisprudenza della Corte uno Stato membro può pretendere che la merce importata sia conforme alle proprie regole qualora esso possa far valere esigenze imperative. Queste esigenze sono state enunciate in modo non tassativo dalla Corte con riferimento alla salute pubblica[72], alla difesa dei consumatori[73], alla sicurezza stradale[74]. Perché l’applicazione delle norme tecniche nazionali motivata da esigenze imperative sia consentita, deve risultare effettuata in modo indistinto sia alle merci nazionali che a quelle provenienti da un altro Stato membro[75], deve essere proporzionata allo scopo perseguito[76] e infine deve intervenire in una materia che non sia già stata oggetto di una disciplina UE di armonizzazione[77]. In tal caso spetta a questa disciplina tutelare le esigenze imperative.
L’armonizzazione delle legislazioni tecniche nazionali da parte della normativa dell’Unione costituisce l’altro strumento per sopprimere le barriere tecniche al commercio fra Stati membri. In molte situazioni il principio del mutuo riconoscimento sarebbe inadeguato allo scopo: per esempio quando sussistano profonde divergenze fra le discipline nazionali oppure qualora in un determinato settore gli Stati abbiano troppo frequentemente invocato esigenze imperative per applicare le proprie regole tecniche. Gli atti legislativi adottati in proposito dall’Unione europea si fondano in prevalenza sull’art. 114 TFUE (già art. 95 TCE) e assumono generalmente la forma di direttiva. Mediante direttive di armonizzazione l’Unione europea impone agli Stati obblighi finalizzati ad introdurre nei propri ordinamenti nazionali regole tecniche attinenti ai requisiti essenziali dei prodotti considerati. La redazione delle regole particolareggiate è invece affidata dalla Commissione ad Organismi europei di normalizzazione[78] che stabiliscono le specifiche tecniche del prodotto. L’osservanza di queste specifiche tecniche non è obbligatoria. Tuttavia i produttori che si conformino ad esse possono avvalersi di una presunzione di conformità del loro prodotto ai requisiti essenziali stabiliti dalla pertinente direttiva di armonizzazione e recepita dagli Stati membri. Coloro che realizzano produzioni non aderenti alle specifiche tecniche elaborate dagli organismi di normalizzazione sono tenuti a provare che il loro prodotto è conforme ai requisiti stabiliti dalla direttiva di riferimento[79]. Spetta poi ad uno degli enti nazionali che ciascun Stato notifica alla Commissione e agli altri Stati membri il compito di attestare la conformità del prodotto prototipo ai requisiti obbligatori[80]. Ciò sia nel caso in cui il produttore di avvalga della presunzione di conformità sia nell’ipotesi in cui fornisca egli stesso la dimostrazione che il prodotto è stato realizzato nell’ osservanza dei requisiti prescritti. La conformità dei singoli prodotti rispetto al prototipo approvato è dichiarata dal fabbricante mediante l’apposizione della marcatura CE[81].
L’armonizzazione delle norme tecniche nazionali nel settore alimentare può dar luogo a prodotti privi delle caratteristiche tipiche del Paese di origine. A questo proposito si può menzionare il caso del cioccolato. La pertinente direttiva, che consente l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao preclude, a giudizio della Corte, la denominazione “cioccolato puro” a cui faceva riferimento una parte della produzione italiana[82]. Allo scopo di salvaguardare talune produzioni tipiche è stato introdotto nell’ordinamento dell’UE il regime sulle denominazioni di origine protette (DOP), sulle indicazioni geografiche protette (IGP) e sulle specialità tradizionali garantite (STG). Il regime si avvale di un meccanismo di registrazione gestito dalla Commissione [83].


9. Le deroghe al divieto di restrizioni quantitative e di misure equivalenti

Il divieto di restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente è derogabile per i motivi indicati dall’art. 36 TFUE (già art. 30 TCE). Questi motivi sono in parte sovrapponibili a quelli inerenti alle esigenze imperative che la Corte ha individuato a proposito del principio del mutuo riconoscimento. Difatti l’art. 36 TFUE fa riferimento a motivi di moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute, tutela del patrimonio artistico e della proprietà industriale e commerciale. Occorre anzitutto porre in evidenza il diverso ambito applicativo delle due categorie di motivi in modo da ridurre le ipotesi di sovrapposizione. Le esigenze imperative possono essere invocate solo per giustificare misure indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati. Viceversa i motivi elencati dall’art. 36 possono essere utilizzati anche con esclusivo riferimento ai prodotti importati. Inoltre le esigenze imperative, che non costituiscono una categoria tassativamente contemplata da una norma del Trattato, possono essere riferite a interessi generali non compresi nei motivi di cui all’art. 36. La sovrapposizione si può pertanto verificare solo qualora si faccia questione di una misura indistintamente applicabile, giustificata da un motivo, quale la tutela della salute, considerato sia dall’art. 36 che dalle esigenze imperative. In tal caso la deroga dovrebbe essere valutata sulla base dell’art. 36 che menziona espressamente il motivo di deroga[84]. Poiché l’art. 36 stabilisce eccezioni alla regola generale del divieto di restrizioni quantitative, la Corte ha affermato l’esigenza di una sua interpretazione restrittiva[85]. Ciò implica che le deroghe debbono rispettare il principio di proporzionalità e possono operare solo qualora l’UE non abbia adottato atti normativi di armonizzazione a cui spetterebbe farsi carico della tutela degli interessi menzionati dall’art. 36 TFUE.
Fra questi interessi compaiono la tutela della proprietà industriale e commerciale e la protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.
Per conciliare la regola della libera circolazione delle merci con le deroghe ammissibili per la tutela della proprietà industriale, la Corte ha ricostruito alcuni principi. Una deroga alla libertà di circolazione può essere giustificata per assicurare questa tutela purché vi siano due presupposti: la deroga deve avere lo scopo di proteggere l’oggetto specifico del diritto di proprietà in considerazione e deve essere indispensabile a tale scopo[86]. L’oggetto specifico del diritto di marchio, per esempio, consiste anzitutto nel garantire al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo per la prima immissione in commercio del prodotto. Costituirebbe una deroga indispensabile una misura nazionale che accordasse al titolare del marchio la facoltà di opporsi alle importazioni di prodotti simili contrassegnati da una dicitura confondibile con il proprio marchio[87].
Sulla base dell’art. 36 e nel rispetto dei limiti generali ad esso inerenti, possono essere introdotte restrizioni quantitative al commercio di beni del patrimonio storico, artistico, archeologico nazionale. Un divieto di esportazione potrebbe essere disposto per evitare che la libera circolazione di un bene artistico fra gli Stati membri dell’UE possa determinare l’esportazione verso uno Stato terzo. Nei confronti di uno Stato terzo potrebbe sussiste un obbligo di diritto internazionale in merito alla restituzione di beni illecitamente esportati. Questi e altri problemi possono trovare una soluzione nella disciplina speciale stabilita dal regolamento del Consiglio che istituisce controlli uniformi sulle esportazioni di beni culturali verso Stati terzi[88]e dalla direttiva sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente da uno Stato membro[89].


10. Conclusioni

Le regole stabilite dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione europea per liberalizzare il commercio contribuiscono alla promozione dello sviluppo economico degli Stati; di quelli da tempo industrializzati, di quelli emergenti, dei Paesi in via di sviluppo. Con questo obbiettivo anche la Russia aderirà all’OMC nel 2011, dopo un lungo negoziato condotto con gli attuali membri. Molti PVS nelle Conferenze ministeriali dell’OMC chiedono l’adozione di ulteriori misure affinché i mercati dei Paesi industrializzati siano più aperti alle importazioni dei loro prodotti e in tal modo possano accrescere le risorse per finanziare lo sviluppo.
I negoziati internazionali che a vario livello vengono condotti per ottenere una crescente liberalizzazione del commercio dovrebbero introdurre negli accordi clausole di condizionalità, soprattutto in materia di tutela dei diritti umani, civili e sociali. A questo proposito l’Unione europea offre un’importante indicazione. Essa ha chiesto e ottenuto l’inserimento di clausole in tal senso nell’Accordo di Cotonou che ha istituito un partenariato con il gruppo dei Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)[90]. L’Accordo, in vigore dal 1 aprile 2003 e modificato nel 2005 e nel 2010, include una clausola di non esecuzione che permette la sospensione dell’accordo nel caso in cui vengano violati in modo grave i diritti umani[91]. Questa clausola esprime anzitutto l’esigenza di estendere e di globalizzare la protezione dei diritti della persona umana. Essa sottolinea anche l’obiettivo di far sì che nel commercio internazionale la competizione non si avvalga di un basso livello di tutela dei diritti fondamentali.

 

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[1] Il testo del Trattato istitutivo dell’OMC e degli Accordi allegati, tra cui il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), il General Agreement on Trade in Services (GATS), il Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPs) è riprodotto in VENTURINI G., L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, Giuffrè, 2004.
[2] Ottavo ciclo di negoziati iniziato a Punta del Este nel 1986.
[3] http://www.wto.org.
[4] United Nations Conference on Trade and Development sorta come organo sussidiario dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 1995 (XIX) del 30 dicembre 1964.
[5] http://www.unctad.org.
[6] United Nations Commission on International Trade Law istituita come organo sussidiario dell’Assemblea generale con la risoluzione 2205 (XXI) del 17 dicembre 1966.
[7] La Convenzione di Vienna del 1980 regola, fra l’altro, la formazione dei contratti, le obbligazioni del venditore e del compratore. Questa Convenzione fu elaborata per sostituire le convenzioni dell’Aja del 1964 sulla vendita internazionale: quella relativa alla legge uniforme sulla vendita internazionale di oggetti mobili corporali e quella relativa alla legge uniforme sulla formazione dei contratti di vendita internazionale di oggetti mobili corporali; http://www.uncitral org.
[8] Ibidem. La riforma dell’arbitrato introdotta in Italia con legge 5 gennaio 1994 n. 25 si ispirò alla legge-modello UNICITRAL; vedi in proposito la relazione alla legge in PILLITTERI R., L’arbitrato commerciale, Milano, EBC,1993, p. 164 ss. Successivamente è intervenuta la nuova riforma di cui al D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40.
[9] Institut international pour l’unification du droit privé organizzazione intergovernativa istituita nel 1926 come organo ausiliario della Società delle Nazioni e ricostituita nel 1940 sulla base di un trattato internazionale multilaterale.
[10] http://www.unidroit.org.
[11] Cfr. in proposito, fra gli altri: SBORDONE F., Contratti internazionali e lex mercatoria, Napoli, ESI, 2008; MARRELLA F., La nuova lex mercatoria,. Principi Unidroit e usi del commercio internazionale, in GALGANO F.,(diretto da), Trattato di diritto commerciale dell’economia, XXX, Padova, Cedam, 2003; GALGANO F., Lex mercatoria, Bologna, Il Mulino, 1993.
[12] Art. 3 - Norme applicabili al merito della controversia, in http://www.fi.camcom.it
[13] Convenzione firmata a Ginevra il 21 aprile 1961 resa esecutiva in Italia con legge 10 maggio 1970 n. 418. La Convenzione di Ginevra integra la disciplina stabilita dalla Convenzione di New York del 1958 (resa esecutiva in Italia con legge 19 gennaio 1968 n. 62) che ha per oggetto il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere.
[14] L’adesione fu approvata dalla Conferenza ministeriale OMC ai sensi dell’art. XII del Trattato istitutivo il 10 novembre 2001 con effetti dall’ 11 dicembre 2001; http://www.wto.org.
[15] I negoziati tariffari sono previsti dall’art. XXVIII bis del GATT.
[16] Panel Report DS2/DS4 del 29 gennaio 1996 e Appellate Body Report DS2/DS4/AB del 22 aprile 1996 sul caso United States-Standards for reformulated and Unconventional Gasoline, in http://www.wto.org. Sul meccanismo per la risoluzione delle controversie in ambito OMC vedi infra nota 22.
[17] Art. VI del GATT e Accordo relativo all’applicazione dell’art. VI del GATT 1994, noto come Codice antidumping, anch’esso allegato al Trattato istitutivo dell’OMC.
[18] Gli aiuti concessi dall’Unione europea e da alcuni Stati membri ad Airbus sono stati giudicati sovvenzioni illegittime all’esportazione nella fase del panel del sistema di soluzione delle controversie dell’OMC: Panel Report DS316 del 30 giugno 2010, Measures Affecting Trade in Large Civil Aircraft. La controversia è attualmente nella fase di appello; vedi http://www.wto.org.
[19] Così dispone l’art. XIX del GATT.
[20] Sulla categoria dei Paesi in via di sviluppo vedi CANTONI S., Cooperazione multilaterale e finanziamento allo sviluppo, Napoli, Jovene, 2004, p. 36.
[21] Art. XXXVI, par. 8, del GATT.
[22] Dispute Settlement Body la cui struttura e le cui funzioni sono regolate dall’Allegato 2 al Trattato istitutivo dell’ OMC. Vedi MARTINO G., La riforma del sistema di soluzione delle controversie dell’OMC, Napoli, Editoriale Scientifica, 2005.
[23] Appellate Body Report DS246/AB del 20 aprile 2004, Conditions for the Granting of Tariff Preferences to Developing Countries su cui cfr. LIGUSTRO A., L’Organizzazione mondiale del commercio condanna lo schema di preferenze generalizzate della Comunità europea per il carattere discriminatorio del “regime droga”, in Diritto pubblico comparato e europeo, 2005, p. 432 ss. Sul contenzioso in merito al trattamento preferenziale accordato dalla Comunità europea alle banane importate da alcuni PVS vedi CANTONI S., L’Organizzazione mondiale del commercio: profili istituzionali, in COMBA A. (a cura di), Neoliberismo internazionale e global economic governance, Torino, Giapichelli, 2008, p. 102; COTULA L., La decisione dell’OMC in merito alla controversia sul regime d’importazione delle banane nella Comunità Europea, in Dir. comm. internaz., 2000, p. 229 ss. A seguito di più recenti controversie promosse nell’ambito dell’OMC nei confronti della CE a proposito del suo regime di importazione delle banane (vedi per esempio DS361, Colombia c. Comunità europea, in http://www.wto.org) sono stati firmati a Ginevra il 15 dicembre 2009 due accordi: un primo accordo fra UE da un lato e Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Perù e Venezuela dall’altro e un secondo accordo fra UE e Stati Uniti; vedi la decisione del Consiglio del 10 maggio 2010 relativa alla firma e all’applicazione provvisoria dei due accordi, allegati alla decisione, in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 141 del 9 giugno 2010.
[24] L’art. XI, par. 2, del Trattato istitutivo dell’OMC, a proposito dei membri originari dell’organizzazione, definisce i Least-developed Countries (LCDs) mediante rinvio alla definizione adottata dalle Nazioni Unite la cui Assemblea generale ha approvato alcuni parametri (vedi risoluzione 2626 (XXV) del 24 ottobre 1970).
[25] Art. XXXVII, par. 2, lett. b, ii) del GATT.
[26] Art. XXXVIII del GATT.
[27] Ibidem.
[28] Regolamento n. 732/2008 del Consiglio del 22 luglio 2008.
[29] Art. XXIV del GATT che detta regole sull’ applicazione territoriale, sul traffico di frontiera, sulle unioni doganali e sulle zone di libero scambio. In proposito va ricordata anche l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XXIV del GATT 1994 allegata al Trattato istitutivo dell’ OMC.
[30] North American Free Trade Agreement, entrato in vigore il 1° gennaio 1994 fra Stati Uniti, Canada e Messico e istitutivo di una zona di libero scambio; http://www.nafta-sec-alena.org.
[31] Mercado Comun del Sur, entrato in vigore il 1° gennaio 1995 fra Argentina, Brasile, Paraguay, e Uruguay. Il Venezuela ha aderito nel 2006. Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù sono membri associati di questa zona di libero scambio dell’America latina; http://www.mercosur.int
[32] In tal senso l’art. 26, par. 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (già art. 14, par. 2, del Trattato della Comunità europea).
[33] Queste sostituzioni sono disposte dall’art. 2 del Trattato di Lisbona.
[34] Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, causa 7/68, punto 1.
[35] Ibidem.
[36] Sentenza 9 luglio 1992, Commissione c. Belgio, causa C-2/90, punto 23.
[37] La libera circolazione dei prodotti agricoli è regolata dalle norme sulla politica agricola dell’UE e soltanto per quei prodotti non regolati da tale politica si applicano le norme generali sulla libera circolazione delle merci. Per il commercio delle armi l’art. 346 del TFUE consente agli Stati di stabilire una disciplina speciale che tuttavia deve tener conto di alcuni atti normativi comunitari, per esempio della direttiva 2008/51 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi, nonché della direttiva 2009/43 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009 che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa. Sull’esportazione di armi verso Stati terzi vedi il Codice di condotta dell’Unione europea per le esportazioni di armi in http://www.europa.eu.
[38] Articoli 30-32 TFUE.
[39] Sentenza 21 giugno 2007, Commissione c. Italia, causa C-173/05, punto 28.
[40] Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, causa 7/68.
[41] Sentenza 22 aprile 1999, CRT France International, causa C-109/98, punto 17.
[42] Questo divieto è disposto dal primo comma dell’art. 110 TFUE.
[43] Sentenza 19 settembre 2002,Tulliasiames e Siilin, causa C-101/01, punto 56. Costituisce un esempio di prodotti fra loro similari l’energia elettrica nazionale e quella importata (sentenza 2 aprile 1998, Outokumpu Oy, causa C-213/96, punti 34-35).
[44] Questo divieto è stabilito dal secondo comma dell’art. 110 TFUE.
[45] Sentenza 27 febbraio 1980, Commissione c. Regno Unito, causa 170/78, punto 27.
[46] Sentenza 9 luglio 1987, Commissione c. Belgio, causa 356/85, punto 14.
[47] Sentenza 7 maggio 1987 Co-frutta, causa 193/85, punto 22.
[48] Sentenza 7 maggio 1987, Co-frutta, cit., punto 21. Costituisce un esempio di prodotti fra loro succedanei il vino e la birra (sentenza 27 febbraio 1980, Commissione c. Regno Unito, causa 170/78, punti 13-14.
[49] Regolamento n. 2658/87 del Consiglio del 23 luglio 1987 relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune.
[50] L’ultima versione cartacea della TARIC è apparsa sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 103 del 30 aprile 2003. Successivamente la pubblicazione ha assunto formato elettronico.
[51] Vedi la comunicazione n. 2003/C103/01della Commissione, ivi, p.6.
[52] Regolamento n. 450/2008 del Parlamento e del Consiglio del 23 aprile 2008 che sostituirà il precedente codice del 1992 (regolamento n. 2913/92) al più tardi il 24 giugno 2013.
[53] Così dispone l’art. l’at. 36, par. 2, del regolamento n. 450/2008 per il caso in cui una merce sia stata realizzata con l’intervento di produttori situati in Stati diversi.
[54] Art. 41 del regolamento n. 450/2008.
[55] Il regime delle franchigie è stato istituito con regolamento n. 918/83 del Consiglio del 28 marzo 1983 più volte modificato. La versione codificata è stata stabilita con il regolamento n. 1186/2009 del Consiglio del 16 novembre 2009.
[56] In tal senso la prima parte degli articoli 34 e 35 TFUE con riferimento, rispettivamente, alle importazioni e alle esportazioni.
[57] Sentenza 13 luglio 1994, Commissione c. Germania, causa C-131/93, punto 9.
[58] Sentenza 23 maggio 1996, Hedley Lomas, causa C-94-5, punto 17.
[59] Vedi la seconda parte degli articoli 34 e 35 TFUE, con riferimento, rispettivamente, alle importazioni e alle esportazioni.
[60] Sentenza 14 luglio1974, Dassonville, causa 8-74, punto 5. Questo orientamento della giurisprudenza è stato successivamente confermato: vedi sentenza 10 febbraio 2009, Commissione c. Italia, causa C-110-05, punto 33.
[61] Sentenza 25 luglio1991, Aragonesa, cause C-1/90 e C-176/90, punto 8.
[62] Sentenza 17 novembre 1992, Commissione c. Irlanda, causa C-C-235/91, punti 2 e 12.
[63] Sentenza 22 giugno 1994, Deutsches Milch-Kontor, causa C-426/92, punti 19-22.
[64] Sentenza 29 gennaio 1985, Cullet, causa 231/83, punto 23.
[65] Sentenza 19 marzo 1991, Commissione c. Belgio, causa C-249/88, punto 7.
[66] Sentenza 24 novembre 1993, Keck e Mithouard, cause C-267/91 e C-268/1, punti 16-18.
[67] Sentenza 11 dicembre 2003, Deutscher Apothekeverband, causa C-322-01, punti 68-75.
[68] Direttiva 2000/31 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, a cui l’Italia ha dato attuazione con D.lgs. 9 aprile 2003 n. 70.
[69] Fra le molte vedi, per esempio, la direttiva 97/7 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997 che riguarda la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.
[70] Direttiva 2006/123 dl Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno il cui campo di applicazione è definito dall’art. 2. L’Italia ha dato attuazione alla direttiva mediante D.lgs. 26 marzo 2010 n. 59.
[71] Sentenza 20 febbraio 1979, Rewe-Zentral, causa 120/78, punti 14-15 che trae il principio dall’art. 30 CEE (ora art. 34 TFUE). Per una conferma e una precisazione del principio vedi la sentenza 16 gennaio 2003, Commissione c. Italia, causa C-14/00, punto 69.
[72] Sentenza 20 febbraio 1979, cit.
[73] Sentenza 16 dicembre 2008, Santurel, causa C-205/07, punto 47.
[74] Sentenza 10 febbraio 2009, Commissione c. Italia, causa C-110/05, punti 56-58.
[75] Sentenza 20 marzo 1990, Du Pont de Namours, causa C-21/88, punto 14.
[76] Lo scopo perseguito non deve poter essere raggiunto con misure meno restrittive del commercio: sentenza 14 settembre 2006, Vassilopoulos, cause C-158/04 e C-159/04, punto 20.
[77] Sentenza 13 dicembre 1991, Régie des télégraphes et des téléphones, causa C-18/88, punto 31.
[78] Gli organismi di normalizzazione sono previsti dalla direttiva 98/34 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998; per esempio il Comitato europeo di normalizzazione (CEN).
[79] Risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1985 relativa alla nuova strategia in materia di armonizzazione tecnica e normalizzazione in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 136 del 4 giugno 1985.
[80] Per una lista degli organismi nazionali di certificazione vedi Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 302 del 12 dicembre 2003.
[81] Vedi per esempio la direttiva 1999/5 del Palamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 1999 relativa alle apparecchiature terminali di telecomunicazioni; tra esse i telefoni mobili al cui interno sono leggibili la marcatura CE e il simbolo che identifica l’ente nazionale di certificazione.
[82] Direttiva 2000/36 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 giugno 2000. La Corte di giustizia si è pronunciata in proposito con sentenza 25 novembre 2010, Commissione c. Italia, causa C-47/09.
[83] Sulle DOP e sulle IGP vedi il regolamento n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006 . Sulle STG vedi il regolamento n. 509/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006.
[84] Sentenza 25 luglio 1991, Aragonesa, cause C-1/90 e C-176/90, punto 13.
[85] Sentenza 10 gennaio 1985, Leclerc, causa 229/83, punto 30.
[86] Sentenza 26 settembre 2000, Commissione c. Francia, causa C-23799, punto 38.
[87] Sentenza 17 ottobre 1990, HAG II, causa C-10/89, punto 16.
[88] Regolamento n. 116/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008. I controlli si fondano sull’imposizione agli Stati membri dell’ obbligo di subordinare l’esportazione dei beni elencati in un allegato alla presentazione di una licenza di esportazione che è valida per tutta l’Unione europea.
[89] Direttiva 93/7 del Consiglio del 15 marzo 1993 e successive modificazioni.
[90] http://www.acpsec.org/fr/cotonou/accord
[91] Vedi gli articoli 9, 96 e 97 dell’Accordo di Cotonou sui quali cfr. CANTONI S, Cooperazione multilaterale e finanziamento allo sviluppo, cit., pag. 198 ss.

 

(pubblicato il 15.2.2011)

 

 

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