 |
|
 |
 |
n. 2-2011 - © copyright |
LUIGI SBOLCI
|
|
Il commercio nella disciplina
internazionale e dell’Unione europea
1. Il commercio nella disciplina di diritto
internazionale. Considerazioni introduttive. – 2. Le principali
regole in vigore nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del
commercio: il GATT 1994. – 3. Il mercato interno dell’Unione europea
e la libera circolazione delle merci. – 4. Il divieto di dazi
doganali fra Stati membri dell’Unione europea e il divieto di tasse
di effetto equivalente. – 5. Le imposizioni fiscali interne. – 6. La
tariffa doganale comune dell’Unione europea e le franchigie. – 7. Il
divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto
equivalente. – 8. Il principio del mutuo riconoscimento e
l’armonizzazione delle norme tecniche. – 9. Le deroghe al divieto di
restrizioni quantitative e di misure equivalenti. – 10.
Conclusioni.
1. Il commercio nella disciplina di
diritto internazionale. Considerazioni
introduttive
L’attuale globalizzazione dell’economia trae
in gran parte origine dalla disciplina stabilita dal Trattato
istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC o WTO) e
dagli Accordi ad esso allegati, soprattutto dal GATT 1994[1]. Il
contenuto dei Trattati fu negoziato nell’ambito dell’Uruguay Round
[2] e definito nella Conferenza internazionale di Marrakech del
1994. I Trattati, entrati in vigore il 1° gennaio 1995, sono
attualmente vincolanti per 153 membri, fra cui l’Unione europea e i
27 Stati appartenenti all’Unione[3].
L’ OMC ha assunto un ruolo
così centrale nel determinare l’andamento e i flussi del commercio
internazionale da aver ridimensionato il rilievo di altri organismi
internazionali.
Anzitutto ha ridimensionato il ruolo della
Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo
(UNCTAD)[4]. Essa svolge la propria attività per favorire la
partecipazione dei Paesi in via di sviluppo (PVS) al commercio
internazionale e ai relativi proventi. A tale scopo presta
assistenza tecnica agli Stati, favorisce il dialogo
intergovernativo, predispone trattati multilaterali sui prodotti di
base. Ne sono esempi gli accordi sul cacao, sul caucciù, sullo
stagno[5]. Questi accordi perseguono l’obbiettivo di stabilizzare i
prezzi dei prodotti sul mercato internazionale mediante
l’assegnazione agli Stati di quote di produzione, la creazione di
scorte e a mezzo di altre misure di sostegno dei prezzi. L’UNCTAD
svolge poi un’azione di stimolo perché in ambito ONU siano presi in
considerazione i problemi generali dello sviluppo. Ma i negoziati
più rilevanti si svolgono in seno all’OMC, nell’attuale Doha Round,
e recentemente anche nell’ambito delle relazioni internazionali
bilaterali.
La Commissione delle Nazioni Unite per il diritto
commerciale internazionale (UNCITRAL)[6] svolge un ruolo
essenzialmente tecnico per migliorare il quadro giuridico in cui si
esplicano le attività commerciali. Elabora documenti che hanno lo
scopo di armonizzare e di far progredire il diritto in materia di
scambi internazionali. Questi documenti possono assumere natura di
convenzioni internazionali che impongono agli Stati contraenti
l’obbligo di adottare norme interne uniformi, com’è il caso della
Convenzione del 1980 sui contratti di vendita internazionale di
merci[7]. Possono assumere natura di leggi-modello proposte agli
Stati per una loro volontaria adozione nei rispettivi ordinamenti
nazionali come la legge-modello del 2002 sulla conciliazione
commerciale internazionale e quella del 1985 sull’arbitrato
commerciale internazionale[8].
Per promuovere l’armonizzazione
progressiva del diritto in materia di commercio internazionale opera
anche l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto
privato (UNIDROIT)[9] al cui lavoro si deve, per esempio,
l’elaborazione della Convenzione del 1983 sulla rappresentanza in
materia di vendita internazionale di merci e soprattutto la
redazione dei Principi d’UNIDROIT relativi ai contratti del
commercio internazionale[10]. I principi contengono una dettagliata
disciplina sulla formazione del contratto, sulla sua
interpretazione, sulla validità e risoluzione. Essi possono essere
considerati parte della lex mercatoria[11] congiuntamente
agli usi e alle consuetudini spesso raccolte dalle Camere di
commercio e in primo luogo dalla Camera di commercio internazionale.
La lex mercatoria acquista rilievo giuridico effettivo per
volontà degli operatori che nei loro contratti fanno rinvio alle
regole che la compongono. Anche la giurisprudenza arbitrale le ha
spesso valorizzate. L’arbitrato commerciale internazionale si svolge
prevalentemente sulla base del regolamento precostituito
dall’istituzione designata dalle parti; per esempio di quello della
Camera arbitrale internazionale presso la Camera di commercio di
Firenze. Questo regolamento, a proposito delle norme applicabili al
merito delle controversie, stabilisce che il tribunale arbitrale
decide tenendo conto in ogni caso degli usi del commercio[12]. Si
tratta di una disciplina che appare pienamente conforme all’art. 7
della Convenzione europea sull’arbitrato commerciale
internazionale[13].
La maggiore rilevanza dell’OMC rispetto a
questi organismi si è affermata soprattutto con l’ingresso della
Cina. L’accordo di adesione all’OMC della Repubblica popolare
cinese[14], approvato senza che vi fossero inserite condizioni
relative a comportamenti in ambito sociale, ambientale o della
tutela dei diritti dell’uomo, ha avuto effetti dirompenti sugli
scambi di merci imprimendo una forte accelerazione al commercio
globale. I conseguenti squilibri nella bilancia commerciale di molti
Paesi hanno a loro volta prodotto tensioni anche nel settore
valutario, come è emerso durante il G 20 di Seul del novembre 2010.
La Cina ha accumulato un gigantesco surplus commerciale che
non intende compensare modificando le regole di convertibilità dello
Yuan. Gli Stati Uniti hanno reagito immettendo liquidità nel mercato
per indebolire il dollaro, rilanciare le esportazioni e
riequilibrare in tal modo la bilancia commerciale senza infrangere
le regole del GATT con barriere vietate da questo
accordo.
2. Le principali regole in vigore nell’ambito
dell’Organizzazione mondiale del commercio: il GATT
1994
Le regole fondamentali stabilite dal GATT 1994 per
favorire il commercio internazionale sono contenute nei suoi
articoli iniziali. L’art. I pone la clausola della nazione più
favorita. Essa implica che tutti i vantaggi accordati da una parte
contraente ad un prodotto originario di qualsiasi altro Paese
saranno immediatamente estesi a tutti i prodotti similari che siano
originari di una delle altre parti contraenti. Questa disposizione
riguarda le imposizioni di qualsiasi genere sulle importazioni e
sulle esportazioni, in particolare si riferisce ai dazi doganali la
cui entità viene gradualmente ridotta per effetto di negoziati
multilaterali condotti sulla base del GATT[15]. Il principio di non
discriminazione che ispira la clausola della nazione più favorita è
alla base anche dell’art. III che pone l’obbligo del trattamento
nazionale in materia di imposizioni interne. Per effetto di tale
obbligo, i tributi, le altre imposizioni interne, ma anche le leggi,
le prescrizioni relative alla vendita non potranno trattare i
prodotti importati da qualsiasi altra parte contraente, e che
abbiano superato la barriera doganale, in maniera diversa da quella
con cui sono trattati i prodotti nazionali similari. Per esempio non
potrebbe essere imposto alla benzina importata un grado di purezza
maggiore di quello richiesto alla benzina
nazionale[16].
Ulteriori regole del GATT meritano speciale
menzione. L’Accordo riconosce che il dumping commerciale
mediante l’introduzione dei prodotti di un Paese sul mercato di un
altro Paese ad un prezzo inferiore al prezzo praticato nel paese
esportatore sia condannabile e quindi possa essere neutralizzato dal
Paese importatore mediante un dazio antidumping[17] . L’art.
XVI considera in modo negativo le sovvenzioni all’esportazione e
stabilisce di conseguenza che le parti contraenti dovrebbero
sforzarsi di non concederle. Qualora vengano concesse sovvenzioni
che abbiano l’effetto di accrescere le esportazioni dello Stato
interessato, queste sovvenzioni non dovranno essere accordate in
modo tale che questo Stato possa detenere più di una parte equa del
commercio mondiale del prodotto sovvenzionato, tenuto conto delle
parti detenute dagli altri Stati nel commercio di quel prodotto[18].
L’art. XXI prevede eccezioni concernenti la sicurezza: ciascun Stato
membro potrà adottare tutte le misure che giudicherà necessarie in
materia di commercio delle materie fissili e delle armi. Misure
urgenti di salvaguardia concernenti l’importazione di prodotti
particolari possono essere adottate da uno Stato contraente del GATT
qualora si verifichi un incremento molto significativo delle
importazioni di un prodotto. Quando cioè uno Stato subisca
importazioni in quantità talmente accresciute da portare un grave
pregiudizio ai produttori nazionali di merci similari esso potrà
sospendere in tutto o in parte un obbligo dell’Accordo. Queste
contromisure dovranno essere comunicate in anticipo alle altre parti
contraenti e lo Stato importatore che le adotta ha l’obbligo di
avviare consultazioni con gli Stati esportatori del prodotto in
questione per concordare eventuali compensazioni a favore delle
parti contraenti colpite dalla misura di
salvaguardia[19].
L’Accordo GATT prevede regimi speciali per
favorire i Paesi in via di sviluppo[20] e per consentire forme più
avanzate di liberalizzazione commerciale fra Stati appartenenti ad
un medesimo ambito regionale, come quelli appartenenti all’Unione
europea.
Per incoraggiare le esportazioni dei prodotti dei PVS,
la Parte IV del GATT , in deroga alla clausola della nazione più
favorita e quindi in deroga al principio della parità di
trattamento, autorizza un trattamento preferenziale da parte dei
Paesi sviluppati a favore dei PVS. Poiché numerosi Paesi poco
sviluppati dipendono dall’esportazione di una gamma limitata di
prodotti, l’Accordo riconosce che è necessario assicurare a questi
prodotti condizioni più favorevoli di accesso ai mercati mondiali e
misure che permettano a tali Paesi di assicurarsi una parte della
crescita del commercio internazionale.
Questo trattamento
preferenziale, per esempio un abbassamento o un’eliminazione di dazi
doganali, per essere consentito, deve essere anzitutto non
reciproco. Cioè deve essere applicato soltanto nei confronti dei
prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo da parte dei Paesi
sviluppati e non viceversa[21]. Inoltre deve essere ispirato al
principio di non discriminazione fra PVS. Secondo l’interpretazione
dell’Organo dell’OMC per la soluzione delle controversie[22], il
principio di non discriminazione va considerato rispettato quando
venga accordato il medesimo trattamento a tutti i PVS che si trovino
in situazioni similari[23]. Sono quindi consentite condizioni di
maggior favore a vantaggio dei Paesi meno avanzati (PMA)[24]. Questo
trattamento preferenziale non reciproco e non discriminatorio a
favore dei PVS può essere accordato individualmente da una sola
parte contraente del GATT[25] oppure mediante un’azione collettiva
intrapresa da un gruppo di parti contraenti sviluppate[26]. Può
essere concesso per mezzo di un atto unilaterale o mediante un
accordo internazionale[27]. La Conferenza delle Nazioni Unite sul
commercio e lo sviluppo (UNCTAD) ha raccomandato l’adozione da parte
dei Paesi sviluppati di un sistema di preferenze generalizzate, cioè
avente come beneficiari tutti i PVS, e caratterizzato da medesime
modalità. Nella prassi si è avuta una pluralità di sistemi
generalizzati con caratteristiche diversificate quanto alla
definizione di PVS, al trattamento riservato ai PMA, alla
individuazione delle merci prese in considerazione. A questo
proposito merita ricordare il sistema di preferenze generalizzate
dell’Unione europea approvato inizialmente nel 1971 dalla Comunità
ed oggi in vigore sulla base di un regolamento del 2008[28]. Il
sistema europeo istituisce un regime preferenziale che è concesso a
tutti i Paesi classificati dalla Banca mondiale fra i Paesi a
reddito non elevato ed elencati nell’allegato I. Dispone un regime
generale sui dazi da applicare alle merci provenienti dai PVS e
alcuni regimi speciali tra cui quello a favore di PMA.
L’Accordo
GATT favorisce forme più avanzate di liberalizzazione commerciale
nei rapporti fra Stati appartenenti ad ambiti geografici regionali.
Questo incremento della libertà di commercio si può realizzare a
mezzo di accordi internazionali che integrino più strettamente le
economie dei Paesi contraenti. Per perseguire questi obiettivi il
GATT consente la creazione di zone di libero scambio, in cui vengono
soppressi i dazi doganali fra gli Stati che vi partecipano, e la
creazione di unioni doganali nelle quali un’analoga soppressione dei
dazi è accompagnata dall’adozione di un’unica tariffa doganale
comune nei rapporti con gli Stati terzi[29].
Sulla base di
questa previsione normativa, già presente nel previgente GATT 1947,
sono state istituite, mediante trattati internazionali, zone di
libero scambio e unioni doganali. A questo proposito basti
menzionare come esempi significativi il NAFTA[30] e il MERCOSUR[31]
. Speciale rilievo assume poi il mercato interno dell’Unione europea
a cui è dovuta particolare attenzione per l’ incidenza delle sue
regole sui rapporti commerciali dell’Italia.
3. Il
mercato interno dell’Unione europea e la libera circolazione delle
merci
Il mercato interno dell’Unione europea è definito
come uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei
capitali[32]. Il Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009,
disponendo che la denominazione Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (TFUE) si sostituisca a quella di Trattato della
Comunità europea (TCE), ha stabilito che la nozione di mercato
interno prenda il posto di quella di mercato comune, originariamente
introdotta nel Trattato della Comunità economica europea (CEE) del
25 marzo 1957[33].
La disciplina commerciale dell’UE è
principalmente contenuta nelle disposizioni del TFUE che si occupano
della libera circolazione delle merci, in alcuni atti normativi
adottati per l’attuazione di quelle disposizioni e in fondamentali
principi enunciati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee,
ora Corte di giustizia dell’Unione europea. Si deve per esempio alla
giurisprudenza della Corte una definizione ampia di merci. Queste
vanno intese con riferimento ai “prodotti pecuniariamente valutabili
e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali”[34] fra
cui gli oggetti artistici[35] e i rifiuti[36]. Discipline speciali
sono previste per i prodotti agricoli e per le armi[37].
La
libera circolazione delle merci fra gli Stati membri dell’Unione
europea si realizza principalmente a mezzo di due strumenti:
l’instaurazione di un’unione doganale e l’applicazione del divieto
di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione e di
misure equivalenti a restrizioni quantitative.
Le norme
sull’unione doganale implicano anzitutto il divieto di dazi
doganali, all’importazione e all’esportazione, e il divieto di tasse
equivalenti ai dazi. L’unione doganale prevede inoltre l’adozione di
una tariffa doganale comune nei confronti delle merci provenienti da
Stati terzi[38]. I prodotti che provengano da questi Stati e che
siano importati in osservanza della tariffa doganale comune sono
considerati in libera pratica all’interno dell’UE, cioè sono
soggetti alla libera circolazione fra gli Stati
membri.
4. Il divieto di dazi doganali fra Stati
membri dell’Unione europea e il divieto di tasse di effetto
equivalente
Il divieto di dazi doganali all’importazione
e all’esportazione è stabilito dall’art. 30 del TFUE (già art. 25
TCE). Il divieto si riferisce a tutti gli oneri pecuniari
propriamente denominati dazi e applicati da uno Stato alle
importazioni e alle esportazioni a causa del passaggio della merce
attraverso la frontiera. Ai sensi dell’art. 30 sono vietati anche i
dazi a carattere fiscale. Ciò implica che il divieto è generale, a
prescindere dallo scopo protezionistico o tributario del dazio. Il
divieto è poi esteso dallo stesso art. 30 alle tasse di effetto
equivalente ai dazi per evitare che il primo divieto venga aggirato.
Il concetto di tassa equivalente, secondo la Corte di giustizia,
deve essere riferito a qualsiasi onere pecuniario imposto
unilateralmente da uno Stato che colpisca una merce per il passaggio
di una frontiera[39]. Ne è stato esempio la tassa italiana sulle
esportazioni degli oggetti di interesse storico e artistico
dichiarata dalla Corte di giustizia incompatibile con il
Trattato[40]. Sono esclusi dal divieto di cui all’art. 30 gli oneri
pecuniari percepiti da un’ amministrazione statale a titolo di
corrispettivo di un servizio da essa svolto purché esso non sia
obbligatorio e gli oneri siano proporzionati al servizio reso[41].
Esulano dal divieto anche le imposizioni fiscali interne stabilite
da uno Stato membro nel quadro di un regime generale di tributi
applicati sia alle merci importate che a quelle nazionali. Questi
tributi generali sono soggetti alle disposizioni fiscali di cui
all’art. 110 TFUE.
5. Le imposizioni fiscali
interne
La libera circolazione delle merci nel mercato
interno dell’UE è favorita anche da alcuni obblighi che il TFUE pone
agli Stati membri in materia di imposizione fiscale interna
riferibile alla generalità dei prodotti come, per esempio, l’IVA.
L’art. 110 di questo Trattato ( già art. 90 TCE) stabilisce
anzitutto il divieto di imporre tributi interni discriminatori nei
confronti di prodotti provenienti da altri Stati membri dell’UE[42].
Il divieto si riferisce soprattutto ai tributi quantitativamente
superiori, per aliquota o per calcolo della base imponibile,
rispetto a quelli applicati ai prodotti nazionali che siano
“similari” a quelli importati. La giurisprudenza ha considerato fra
loro similari i prodotti che per le caratteristiche possedute
rispondano alle medesime esigenze dei consumatori[43]. L’art. 110
TFUE impone inoltre agli Stati membri dell’Unione il divieto di
stabilire tributi interni intesi a proteggere indirettamente “altre
produzioni”[44]. La Corte di giustizia ha attribuito a questa
disposizione l’effetto di precludere ogni forma di protezionismo
fiscale dei prodotti nazionali[45]. Lo scopo protezionistico di un
tributo può essere desunto, caso per caso, da una valutazione
globale degli effetti prodotti dal tributo[46]. Per esempio allorché
un tributo gravi sia sui prodotti importati che su quelli nazionali,
ma non su tutti i prodotti nazionali[47]. Le “altre produzioni” che
potrebbero essere oggetto di protezionismo sono costituite dalle
merci concorrenti con quelle importate, cioè dai prodotti che
possano essere considerati succedanei di quelli
importati[48].
Questi due obblighi stabiliti dall’art. 110 TFUE
hanno lo scopo di evitare forme di elusione del divieto di dazi
doganali e delle tasse equivalenti. Il divieto di dazi potrebbe
infatti essere aggirato mediante l’applicazione di tributi interni a
carattere generale, cioè che gravano su intere categorie di
prodotti, ma aventi effetti discriminatori o protezionistici.
Pertanto la disciplina contenuta nell’art. 110 TFUE va considerata
un’integrazione delle disposizioni sul divieto di dazi doganali e
delle tasse equivalenti.
6. La tariffa doganale comune
dell’Unione europea e le franchigie
Le unioni doganali
fra Stati si caratterizzano per la creazione di una tariffa doganale
comune verso i Paesi terzi. Così anche l’unione doganale istituita
dal TFUE prevede che il divieto di dazi doganali fra gli Stati
membri sia accompagnato da un unico regime doganale esterno,
applicabile allo scambio di merci con Paesi che non fanno parte
dell’UE. La costruzione dell’unione doganale risulta in tal modo
completa. Essa contribuisce a promuovere gli scambi commerciali con
gli Stati terzi i cui prodotti possono avvalersi della libera
circolazione fra Stati membri, una volta superata la barriera
doganale comune . L’art. 31 del TFUE (già art. 26 TCE) attribuisce
al Consiglio, su proposta della Commissione, il compito di stabilire
i dazi della tariffa doganale comune. Il Consiglio ha provveduto
mediante un regolamento che determina le aliquote dei dazi per
ciascun prodotto elencato in una “nomenclatura combinata” (NC), così
definita perché utilizzabile sia a scopi tariffari che
statistici[49]. Per ciascuna voce della nomenclatura viene stabilito
un dazio autonomo, la cui aliquota è definita autonomamente dall’UE
ed un dazio convenzionale, la cui aliquota è fissata in osservanza
di convenzioni internazionali, per esempio in osservanza delle
aliquote concordate nell’ambito dell’OMC. Il regolamento che
definisce la tariffa doganale comune è soggetto a continue
modificazioni necessarie per tener conto dei mutamenti della
politica commerciale dell’Unione europea. Esigenze di modificazioni
possono sorgere per adeguare la tariffa al sistema di preferenze
generalizzate a favore dei PVS oppure per adeguarla all’ istituzione
di un dazio antidumping. Allo scopo di codificare tutti i
provvedimenti adottati in questa materia, il regolamento sulla
tariffa doganale prevede che ciascun anno la Commissione pubblichi
un documento denominato tariffa integrata delle Comunità europee
(TARIC), ora tariffa integrata dell’Unione europea[50]. La TARIC
svolge una funzione informativa e non ha natura di strumento
giuridico. Gli effetti giuridici scaturiscono dai singoli atti
normativi che essa incorpora[51].
Per disporre le regole
necessarie all’applicazione della tariffa doganale comune è stato
adottato un codice doganale[52]. Esso definisce il territorio
doganale dell’Unione con riferimento a ciascun Stato membro e, per
quel che riguarda l’Italia, stabilisce che il territorio doganale
comprende il territorio nazionale con l’esclusione dei comuni di
Livigno e di Campione d’Italia e delle acque nazionali del lago di
Lugano. Il codice stabilisce le regole per definire l’origine di una
merce, per esempio nello Stato di ultima trasformazione
sostanziale[53], per determinare il loro valore in dogana,
normalmente quello di transazione, cioè il prezzo effettivamente
corrisposto[54].
Un regime di franchigie consente di importare
merci nel territorio doganale dell’UE in esenzione dai dazi
stabiliti dalla tariffa doganale comune[55]. Le esenzioni sono
applicabili a specifiche categorie di prodotti. Vi rientrano i beni
ad uso personale di persone fisiche che trasferiscano la loro
residenza normale da un Paese terzo ad uno Stato membro, le merci
contenute nei bagagli dei viaggiatori purché entro determinati
limiti di quantità e di valore, gli oggetti di carattere scientifico
o culturale.
7. Il divieto di restrizioni quantitative
e di misure di effetto equivalente
La disciplina del
commercio stabilita dall’Unione europea assicura la libertà di
circolazione delle merci fra Stati membri non solo mediante le
disposizioni sull’unione doganale, ma anche a mezzo delle regole che
stabiliscono il divieto di restrizioni quantitative e il divieto di
misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative. La
finalità dei due obblighi è quella di vietare ogni misura che limiti
il commercio fra Stati membri o crei disparità di trattamento fra il
commercio interno di uno Stato membro e il commercio interno
dell’UE.
Le norme del TFUE stabiliscono anzitutto il divieto di
restrizioni quantitative, sia alle importazioni che alle
esportazioni[56]. La Corte di giustizia ha incluso nell’ambito di
questo divieto la preclusione di importare un determinato
prodotto[57] e il rifiuto di rilasciare una licenza di
esportazione[58]. Le medesime norme stabiliscono inoltre il divieto
di misure aventi effetti equivalenti a restrizioni quantitative,
anche in tal caso con riferimento sia alle importazioni che alle
esportazioni[59].
Le questioni interpretative di maggior rilievo
sono sorte a proposito del divieto di misure di effetto equivalente
a restrizioni quantitative che incidano sulle importazioni. Da
queste misure possono derivare gli ostacoli più insidiosi alla
commercializzazione in uno Stato membro di prodotti di un altro
Stato membro o comunque di prodotti considerati in libera pratica
nel territorio di un altro Stato membro perché in esso regolarmente
importati da uno Stato terzo. La giurisprudenza della Corte di
giustizia ha contribuito in modo determinante a chiarire i dubbi
sull’ambito di applicazione di questo divieto di misure equivalenti
a restrizioni quantitative. Fondamentale in proposito è stata la
sentenza pronunciata sul caso Dassonville[60] secondo cui
costituisce misura di effetto equivalente qualsiasi misura che
ostacoli direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli
scambi fra Stati membri. In questo ambito dovrebbe essere compresa
ogni condotta imputabile allo Stato e quindi adottata, per esempio,
sia dagli organi del governo centrale che da quelli del governo
locale[61].
Il contributo della Corte di giustizia è andato oltre
questa definizione generale. Sulla base della sua giurisprudenza
sono individuabili specifiche tipologie di atti incompatibili con il
divieto di misure di effetto equivalente. Anzitutto sono
incompatibili le misure distintamente applicabili alle merci
importate perché assumono carattere discriminatorio. Ne sono esempi
i provvedimenti che impongono una licenza per le importazioni[62] o
che impongono controlli sanitari a carattere sistematico sui
prodotti importati[63]. Le misure indistintamente applicabili sia
alle merci importate che alle merci nazionali non dovrebbero
produrre, in generale, effetti equivalenti a quelli creati da
restrizioni quantitative; quindi dovrebbero essere consentite.
Tuttavia la Corte di giustizia ha individuato specifiche situazioni
in cui l’applicazione alle merci importate di misure indistintamente
applicabili determina comunque una restrizione illecita al commercio
fra Stati membri. Anzitutto le disposizioni che impongono un regime
di prezzi per tutta una determinata categoria di merci. La Corte ha
giudicato vietate misure che stabiliscano prezzi minimi ad un
livello così elevato da neutralizzare il vantaggio concorrenziale
della merce importata in virtù dei suoi prezzi inferiori[64]. I
prezzi massimi, applicati indistintamente sia alle merci nazionali
che a quelle importate, sono incompatibili con le norme sul mercato
interno qualora siano fissati ad un livello così basso da implicare
una vendita in perdita dei prodotti importati[65].
I
provvedimenti con cui uno Stato membro stabilisca le modalità di
vendita di taluni prodotti, per esempio gli orari di apertura degli
esercizi commerciali o il divieto di apertura domenicale, sono da
considerare conformi al diritto dell’Unione europea solo quando
rispettino due parametri ricostruiti dalla Corte di giustizia. Le
modalità di vendita non costituiscono misure equivalenti a
restrizioni quantitative purché valgano per tutti gli operatori e
incidano in eguale misura sul commercio dei prodotti nazionali e
degli altri Stati membri[66]. A giudizio della Corte, sarebbe
incompatibile con il Trattato un divieto di vendita di taluni
medicinali attraverso Internet perché non colpirebbe in eguale
misura la vendita dei medicinali nazionali e quella dei medicinali
provenienti da altri Stati membri[67]. Sulle vendite per via
telematica incide la disciplina UE sul commercio elettronico: in
particolare la direttiva di coordinamento delle legislazioni
nazionali sulla prestazione dei servizi della società
dell’informazione[68]. Possono assumere rilievo anche le direttive
sulla tutela dei consumatori [69], mentre la c.d. direttiva Bolkestein, che impone la soppressione degli ostacoli
all’accesso alle attività di servizi e al loro esercizio, esclude
dal suo ambito di applicazione i servizi di comunicazione
elettronica[70]. Include però importanti attività economiche non
salariate, tra cui quelle del commercio, dell’industria e
dell’artigianato, imponendo, fra gli altri, obblighi di
semplificazione amministrativa.
8. Il principio del
mutuo riconoscimento e l’armonizzazione delle norme
tecniche
Nell’ambito di applicazione del divieto di
misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative sono
comprese le norme tecniche nazionali sulle caratteristiche dei
prodotti. Le regole che stabiliscono in ciascun Stato membro la
composizione o la fabbricazione di un prodotto, la sua confezione o
altre caratteristiche come l’etichettatura, pur applicate
indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli di importazione,
possono produrre effetti restrittivi del commercio di questi ultimi.
Per sopprimere queste barriere tecniche agli scambi commerciali,
l’ordinamento dell’UE provvede mediante due strumenti: il principio
del mutuo riconoscimento delle regole tecniche nazionali e
l’armonizzazione di queste regole nelle situazioni in cui il mutuo
riconoscimento si riveli inadeguato alla realizzazione del mercato
interno. Il principio del mutuo riconoscimento è stato elaborato
dalla Corte di giustizia fin dalla sentenza pronunciata sul caso del
liquore francese Cassis de Dijon[71]. Il principio impone a
ciascun Stato membro di ammettere che nel proprio territorio venga
commercializzato ogni prodotto lecitamente posto in commercio in un
altro Stato membro, cioè posto in commercio in tale Stato nel
rispetto delle regole in esso vigenti. Il principio ammette
eccezioni. Secondo la stessa giurisprudenza della Corte uno Stato
membro può pretendere che la merce importata sia conforme alle
proprie regole qualora esso possa far valere esigenze imperative.
Queste esigenze sono state enunciate in modo non tassativo dalla
Corte con riferimento alla salute pubblica[72], alla difesa dei
consumatori[73], alla sicurezza stradale[74]. Perché l’applicazione
delle norme tecniche nazionali motivata da esigenze imperative sia
consentita, deve risultare effettuata in modo indistinto sia alle
merci nazionali che a quelle provenienti da un altro Stato
membro[75], deve essere proporzionata allo scopo perseguito[76] e
infine deve intervenire in una materia che non sia già stata oggetto
di una disciplina UE di armonizzazione[77]. In tal caso spetta a
questa disciplina tutelare le esigenze imperative.
L’armonizzazione delle legislazioni tecniche nazionali da parte
della normativa dell’Unione costituisce l’altro strumento per
sopprimere le barriere tecniche al commercio fra Stati membri. In
molte situazioni il principio del mutuo riconoscimento sarebbe
inadeguato allo scopo: per esempio quando sussistano profonde
divergenze fra le discipline nazionali oppure qualora in un
determinato settore gli Stati abbiano troppo frequentemente invocato
esigenze imperative per applicare le proprie regole tecniche. Gli
atti legislativi adottati in proposito dall’Unione europea si
fondano in prevalenza sull’art. 114 TFUE (già art. 95 TCE) e
assumono generalmente la forma di direttiva. Mediante direttive di
armonizzazione l’Unione europea impone agli Stati obblighi
finalizzati ad introdurre nei propri ordinamenti nazionali regole
tecniche attinenti ai requisiti essenziali dei prodotti considerati.
La redazione delle regole particolareggiate è invece affidata dalla
Commissione ad Organismi europei di normalizzazione[78] che
stabiliscono le specifiche tecniche del prodotto. L’osservanza di
queste specifiche tecniche non è obbligatoria. Tuttavia i produttori
che si conformino ad esse possono avvalersi di una presunzione di
conformità del loro prodotto ai requisiti essenziali stabiliti dalla
pertinente direttiva di armonizzazione e recepita dagli Stati
membri. Coloro che realizzano produzioni non aderenti alle
specifiche tecniche elaborate dagli organismi di normalizzazione
sono tenuti a provare che il loro prodotto è conforme ai requisiti
stabiliti dalla direttiva di riferimento[79]. Spetta poi ad uno
degli enti nazionali che ciascun Stato notifica alla Commissione e
agli altri Stati membri il compito di attestare la conformità del
prodotto prototipo ai requisiti obbligatori[80]. Ciò sia nel caso in
cui il produttore di avvalga della presunzione di conformità sia
nell’ipotesi in cui fornisca egli stesso la dimostrazione che il
prodotto è stato realizzato nell’ osservanza dei requisiti
prescritti. La conformità dei singoli prodotti rispetto al prototipo
approvato è dichiarata dal fabbricante mediante l’apposizione della
marcatura CE[81].
L’armonizzazione delle norme tecniche
nazionali nel settore alimentare può dar luogo a prodotti privi
delle caratteristiche tipiche del Paese di origine. A questo
proposito si può menzionare il caso del cioccolato. La pertinente
direttiva, che consente l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal
burro di cacao preclude, a giudizio della Corte, la denominazione
“cioccolato puro” a cui faceva riferimento una parte della
produzione italiana[82]. Allo scopo di salvaguardare talune
produzioni tipiche è stato introdotto nell’ordinamento dell’UE il
regime sulle denominazioni di origine protette (DOP), sulle
indicazioni geografiche protette (IGP) e sulle specialità
tradizionali garantite (STG). Il regime si avvale di un meccanismo
di registrazione gestito dalla Commissione [83].
9. Le deroghe al divieto di restrizioni quantitative e di misure
equivalenti
Il divieto di restrizioni quantitative e
delle misure di effetto equivalente è derogabile per i motivi
indicati dall’art. 36 TFUE (già art. 30 TCE). Questi motivi sono in
parte sovrapponibili a quelli inerenti alle esigenze imperative che
la Corte ha individuato a proposito del principio del mutuo
riconoscimento. Difatti l’art. 36 TFUE fa riferimento a motivi di
moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della
salute, tutela del patrimonio artistico e della proprietà
industriale e commerciale. Occorre anzitutto porre in evidenza il
diverso ambito applicativo delle due categorie di motivi in modo da
ridurre le ipotesi di sovrapposizione. Le esigenze imperative
possono essere invocate solo per giustificare misure indistintamente
applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati. Viceversa i
motivi elencati dall’art. 36 possono essere utilizzati anche con
esclusivo riferimento ai prodotti importati. Inoltre le esigenze
imperative, che non costituiscono una categoria tassativamente
contemplata da una norma del Trattato, possono essere riferite a
interessi generali non compresi nei motivi di cui all’art. 36. La
sovrapposizione si può pertanto verificare solo qualora si faccia
questione di una misura indistintamente applicabile, giustificata da
un motivo, quale la tutela della salute, considerato sia dall’art.
36 che dalle esigenze imperative. In tal caso la deroga dovrebbe
essere valutata sulla base dell’art. 36 che menziona espressamente
il motivo di deroga[84]. Poiché l’art. 36 stabilisce eccezioni alla
regola generale del divieto di restrizioni quantitative, la Corte ha
affermato l’esigenza di una sua interpretazione restrittiva[85]. Ciò
implica che le deroghe debbono rispettare il principio di
proporzionalità e possono operare solo qualora l’UE non abbia
adottato atti normativi di armonizzazione a cui spetterebbe farsi
carico della tutela degli interessi menzionati dall’art. 36
TFUE.
Fra questi interessi compaiono la tutela della proprietà
industriale e commerciale e la protezione del patrimonio artistico,
storico o archeologico nazionale.
Per conciliare la regola della
libera circolazione delle merci con le deroghe ammissibili per la
tutela della proprietà industriale, la Corte ha ricostruito alcuni
principi. Una deroga alla libertà di circolazione può essere
giustificata per assicurare questa tutela purché vi siano due
presupposti: la deroga deve avere lo scopo di proteggere l’oggetto
specifico del diritto di proprietà in considerazione e deve essere
indispensabile a tale scopo[86]. L’oggetto specifico del diritto di
marchio, per esempio, consiste anzitutto nel garantire al titolare
il diritto esclusivo di utilizzarlo per la prima immissione in
commercio del prodotto. Costituirebbe una deroga indispensabile una
misura nazionale che accordasse al titolare del marchio la facoltà
di opporsi alle importazioni di prodotti simili contrassegnati da
una dicitura confondibile con il proprio marchio[87].
Sulla base
dell’art. 36 e nel rispetto dei limiti generali ad esso inerenti,
possono essere introdotte restrizioni quantitative al commercio di
beni del patrimonio storico, artistico, archeologico nazionale. Un
divieto di esportazione potrebbe essere disposto per evitare che la
libera circolazione di un bene artistico fra gli Stati membri
dell’UE possa determinare l’esportazione verso uno Stato terzo. Nei
confronti di uno Stato terzo potrebbe sussiste un obbligo di diritto
internazionale in merito alla restituzione di beni illecitamente
esportati. Questi e altri problemi possono trovare una soluzione
nella disciplina speciale stabilita dal regolamento del Consiglio
che istituisce controlli uniformi sulle esportazioni di beni
culturali verso Stati terzi[88]e dalla direttiva sulla restituzione
dei beni culturali usciti illecitamente da uno Stato
membro[89].
10. Conclusioni
Le regole
stabilite dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione
europea per liberalizzare il commercio contribuiscono alla
promozione dello sviluppo economico degli Stati; di quelli da tempo
industrializzati, di quelli emergenti, dei Paesi in via di sviluppo.
Con questo obbiettivo anche la Russia aderirà all’OMC nel 2011, dopo
un lungo negoziato condotto con gli attuali membri. Molti PVS nelle
Conferenze ministeriali dell’OMC chiedono l’adozione di ulteriori
misure affinché i mercati dei Paesi industrializzati siano più
aperti alle importazioni dei loro prodotti e in tal modo possano
accrescere le risorse per finanziare lo sviluppo.
I negoziati
internazionali che a vario livello vengono condotti per ottenere una
crescente liberalizzazione del commercio dovrebbero introdurre negli
accordi clausole di condizionalità, soprattutto in materia di tutela
dei diritti umani, civili e sociali. A questo proposito l’Unione
europea offre un’importante indicazione. Essa ha chiesto e ottenuto
l’inserimento di clausole in tal senso nell’Accordo di Cotonou che
ha istituito un partenariato con il gruppo dei Paesi dell’Africa,
dei Caraibi e del Pacifico (ACP)[90]. L’Accordo, in vigore dal 1
aprile 2003 e modificato nel 2005 e nel 2010, include una clausola
di non esecuzione che permette la sospensione dell’accordo nel caso
in cui vengano violati in modo grave i diritti umani[91]. Questa
clausola esprime anzitutto l’esigenza di estendere e di globalizzare
la protezione dei diritti della persona umana. Essa sottolinea anche
l’obiettivo di far sì che nel commercio internazionale la
competizione non si avvalga di un basso livello di tutela dei
diritti fondamentali.
|
|
----------
|
|
[1] Il testo del Trattato istitutivo
dell’OMC e degli Accordi allegati, tra cui il General Agreement
on Tariffs and Trade (GATT), il General Agreement on Trade in
Services (GATS), il Trade-Related Aspects of Intellectual
Property Rights (TRIPs) è riprodotto in VENTURINI G., L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, Giuffrè,
2004.
[2] Ottavo ciclo di negoziati iniziato a Punta del Este
nel 1986.
[3] http://www.wto.org.
[4] United Nations
Conference on Trade and Development sorta come organo
sussidiario dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la
risoluzione 1995 (XIX) del 30 dicembre 1964.
[5]
http://www.unctad.org.
[6] United Nations Commission on
International Trade Law istituita come organo sussidiario
dell’Assemblea generale con la risoluzione 2205 (XXI) del 17
dicembre 1966.
[7] La Convenzione di Vienna del 1980 regola, fra
l’altro, la formazione dei contratti, le obbligazioni del venditore
e del compratore. Questa Convenzione fu elaborata per sostituire le
convenzioni dell’Aja del 1964 sulla vendita internazionale: quella
relativa alla legge uniforme sulla vendita internazionale di oggetti
mobili corporali e quella relativa alla legge uniforme sulla
formazione dei contratti di vendita internazionale di oggetti mobili
corporali; http://www.uncitral org.
[8] Ibidem. La
riforma dell’arbitrato introdotta in Italia con legge 5 gennaio 1994
n. 25 si ispirò alla legge-modello UNICITRAL; vedi in proposito la
relazione alla legge in PILLITTERI R., L’arbitrato
commerciale, Milano, EBC,1993, p. 164 ss. Successivamente è
intervenuta la nuova riforma di cui al D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40.
[9] Institut international pour l’unification du droit
privé organizzazione intergovernativa istituita nel 1926 come
organo ausiliario della Società delle Nazioni e ricostituita nel
1940 sulla base di un trattato internazionale multilaterale.
[10] http://www.unidroit.org.
[11] Cfr. in proposito, fra
gli altri: SBORDONE F., Contratti internazionali e lex
mercatoria, Napoli, ESI, 2008; MARRELLA F., La nuova lex
mercatoria,. Principi Unidroit e usi del commercio internazionale, in GALGANO F.,(diretto da), Trattato di diritto commerciale
dell’economia, XXX, Padova, Cedam, 2003; GALGANO F., Lex
mercatoria, Bologna, Il Mulino, 1993.
[12] Art. 3 - Norme
applicabili al merito della controversia, in http://www.fi.camcom.it
[13] Convenzione firmata a Ginevra il 21 aprile 1961 resa
esecutiva in Italia con legge 10 maggio 1970 n. 418. La Convenzione
di Ginevra integra la disciplina stabilita dalla Convenzione di New
York del 1958 (resa esecutiva in Italia con legge 19 gennaio 1968 n.
62) che ha per oggetto il riconoscimento e l’esecuzione delle
sentenze arbitrali straniere.
[14] L’adesione fu approvata dalla
Conferenza ministeriale OMC ai sensi dell’art. XII del Trattato
istitutivo il 10 novembre 2001 con effetti dall’ 11 dicembre 2001;
http://www.wto.org.
[15] I negoziati tariffari sono previsti
dall’art. XXVIII bis del GATT.
[16] Panel Report DS2/DS4 del 29 gennaio 1996 e Appellate Body Report DS2/DS4/AB del 22 aprile 1996 sul caso United
States-Standards for reformulated and Unconventional Gasoline, in http://www.wto.org. Sul meccanismo per la risoluzione delle
controversie in ambito OMC vedi infra nota 22.
[17] Art.
VI del GATT e Accordo relativo all’applicazione dell’art. VI del
GATT 1994, noto come Codice antidumping, anch’esso allegato
al Trattato istitutivo dell’OMC.
[18] Gli aiuti concessi
dall’Unione europea e da alcuni Stati membri ad Airbus sono stati
giudicati sovvenzioni illegittime all’esportazione nella fase del panel del sistema di soluzione delle controversie
dell’OMC: Panel Report DS316 del 30 giugno 2010, Measures
Affecting Trade in Large Civil Aircraft. La controversia è
attualmente nella fase di appello; vedi http://www.wto.org.
[19]
Così dispone l’art. XIX del GATT.
[20] Sulla categoria dei Paesi
in via di sviluppo vedi CANTONI S., Cooperazione multilaterale e
finanziamento allo sviluppo, Napoli, Jovene, 2004, p. 36.
[21] Art. XXXVI, par. 8, del GATT.
[22] Dispute
Settlement Body la cui struttura e le cui funzioni sono regolate
dall’Allegato 2 al Trattato istitutivo dell’ OMC. Vedi MARTINO G., La riforma del sistema di soluzione delle controversie
dell’OMC, Napoli, Editoriale Scientifica, 2005.
[23] Appellate Body Report DS246/AB del 20 aprile 2004, Conditions for the Granting of Tariff Preferences to Developing
Countries su cui cfr. LIGUSTRO A., L’Organizzazione mondiale
del commercio condanna lo schema di preferenze generalizzate della
Comunità europea per il carattere discriminatorio del “regime
droga”, in Diritto pubblico comparato e europeo, 2005, p.
432 ss. Sul contenzioso in merito al trattamento preferenziale
accordato dalla Comunità europea alle banane importate da alcuni PVS
vedi CANTONI S., L’Organizzazione mondiale del commercio: profili
istituzionali, in COMBA A. (a cura di), Neoliberismo
internazionale e global economic governance, Torino,
Giapichelli, 2008, p. 102; COTULA L., La decisione dell’OMC in
merito alla controversia sul regime d’importazione delle banane
nella Comunità Europea, in Dir. comm. internaz., 2000, p.
229 ss. A seguito di più recenti controversie promosse nell’ambito
dell’OMC nei confronti della CE a proposito del suo regime di
importazione delle banane (vedi per esempio DS361, Colombia c.
Comunità europea, in http://www.wto.org) sono stati firmati a
Ginevra il 15 dicembre 2009 due accordi: un primo accordo fra UE da
un lato e Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Guatemala,
Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Perù e Venezuela dall’altro e
un secondo accordo fra UE e Stati Uniti; vedi la decisione del
Consiglio del 10 maggio 2010 relativa alla firma e all’applicazione
provvisoria dei due accordi, allegati alla decisione, in Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea L 141 del 9 giugno 2010.
[24]
L’art. XI, par. 2, del Trattato istitutivo dell’OMC, a proposito dei
membri originari dell’organizzazione, definisce i Least-developed
Countries (LCDs) mediante rinvio alla definizione adottata dalle
Nazioni Unite la cui Assemblea generale ha approvato alcuni
parametri (vedi risoluzione 2626 (XXV) del 24 ottobre 1970).
[25] Art. XXXVII, par. 2, lett. b, ii) del GATT.
[26]
Art. XXXVIII del GATT.
[27] Ibidem.
[28] Regolamento
n. 732/2008 del Consiglio del 22 luglio 2008.
[29] Art. XXIV del
GATT che detta regole sull’ applicazione territoriale, sul traffico
di frontiera, sulle unioni doganali e sulle zone di libero scambio.
In proposito va ricordata anche l’Intesa sull’interpretazione
dell’art. XXIV del GATT 1994 allegata al Trattato istitutivo dell’
OMC.
[30] North American Free Trade Agreement, entrato in
vigore il 1° gennaio 1994 fra Stati Uniti, Canada e Messico e
istitutivo di una zona di libero scambio;
http://www.nafta-sec-alena.org.
[31] Mercado Comun del
Sur, entrato in vigore il 1° gennaio 1995 fra Argentina,
Brasile, Paraguay, e Uruguay. Il Venezuela ha aderito nel 2006.
Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù sono membri associati di
questa zona di libero scambio dell’America latina;
http://www.mercosur.int
[32] In tal senso l’art. 26, par. 2, del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (già art. 14, par. 2,
del Trattato della Comunità europea).
[33] Queste sostituzioni
sono disposte dall’art. 2 del Trattato di Lisbona.
[34] Sentenza
10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, causa 7/68, punto 1.
[35] Ibidem.
[36] Sentenza 9 luglio 1992, Commissione
c. Belgio, causa C-2/90, punto 23.
[37] La libera circolazione
dei prodotti agricoli è regolata dalle norme sulla politica agricola
dell’UE e soltanto per quei prodotti non regolati da tale politica
si applicano le norme generali sulla libera circolazione delle
merci. Per il commercio delle armi l’art. 346 del TFUE consente agli
Stati di stabilire una disciplina speciale che tuttavia deve tener
conto di alcuni atti normativi comunitari, per esempio della
direttiva 2008/51 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21
maggio 2008 relativa al controllo dell’acquisizione e della
detenzione di armi, nonché della direttiva 2009/43 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009 che semplifica le modalità
e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di
prodotti per la difesa. Sull’esportazione di armi verso Stati terzi
vedi il Codice di condotta dell’Unione europea per le esportazioni
di armi in http://www.europa.eu.
[38] Articoli 30-32 TFUE.
[39] Sentenza 21 giugno 2007, Commissione c. Italia, causa
C-173/05, punto 28.
[40] Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione
c. Italia, causa 7/68.
[41] Sentenza 22 aprile 1999, CRT France
International, causa C-109/98, punto 17.
[42] Questo divieto è
disposto dal primo comma dell’art. 110 TFUE.
[43] Sentenza 19
settembre 2002,Tulliasiames e Siilin, causa C-101/01, punto 56.
Costituisce un esempio di prodotti fra loro similari l’energia
elettrica nazionale e quella importata (sentenza 2 aprile 1998,
Outokumpu Oy, causa C-213/96, punti 34-35).
[44] Questo divieto
è stabilito dal secondo comma dell’art. 110 TFUE.
[45] Sentenza
27 febbraio 1980, Commissione c. Regno Unito, causa 170/78, punto
27.
[46] Sentenza 9 luglio 1987, Commissione c. Belgio, causa
356/85, punto 14.
[47] Sentenza 7 maggio 1987 Co-frutta, causa
193/85, punto 22.
[48] Sentenza 7 maggio 1987, Co-frutta, cit.,
punto 21. Costituisce un esempio di prodotti fra loro succedanei il
vino e la birra (sentenza 27 febbraio 1980, Commissione c. Regno
Unito, causa 170/78, punti 13-14.
[49] Regolamento n. 2658/87
del Consiglio del 23 luglio 1987 relativo alla nomenclatura
tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune.
[50]
L’ultima versione cartacea della TARIC è apparsa sulla Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea C 103 del 30 aprile 2003.
Successivamente la pubblicazione ha assunto formato elettronico.
[51] Vedi la comunicazione n. 2003/C103/01della Commissione,
ivi, p.6.
[52] Regolamento n. 450/2008 del Parlamento e del
Consiglio del 23 aprile 2008 che sostituirà il precedente codice del
1992 (regolamento n. 2913/92) al più tardi il 24 giugno 2013.
[53] Così dispone l’art. l’at. 36, par. 2, del regolamento n.
450/2008 per il caso in cui una merce sia stata realizzata con
l’intervento di produttori situati in Stati diversi.
[54] Art.
41 del regolamento n. 450/2008.
[55] Il regime delle franchigie
è stato istituito con regolamento n. 918/83 del Consiglio del 28
marzo 1983 più volte modificato. La versione codificata è stata
stabilita con il regolamento n. 1186/2009 del Consiglio del 16
novembre 2009.
[56] In tal senso la prima parte degli articoli
34 e 35 TFUE con riferimento, rispettivamente, alle importazioni e
alle esportazioni.
[57] Sentenza 13 luglio 1994, Commissione c.
Germania, causa C-131/93, punto 9.
[58] Sentenza 23 maggio 1996,
Hedley Lomas, causa C-94-5, punto 17.
[59] Vedi la seconda parte
degli articoli 34 e 35 TFUE, con riferimento, rispettivamente, alle
importazioni e alle esportazioni.
[60] Sentenza 14 luglio1974,
Dassonville, causa 8-74, punto 5. Questo orientamento della
giurisprudenza è stato successivamente confermato: vedi sentenza 10
febbraio 2009, Commissione c. Italia, causa C-110-05, punto 33.
[61] Sentenza 25 luglio1991, Aragonesa, cause C-1/90 e C-176/90,
punto 8.
[62] Sentenza 17 novembre 1992, Commissione c. Irlanda,
causa C-C-235/91, punti 2 e 12.
[63] Sentenza 22 giugno 1994,
Deutsches Milch-Kontor, causa C-426/92, punti 19-22.
[64]
Sentenza 29 gennaio 1985, Cullet, causa 231/83, punto 23.
[65]
Sentenza 19 marzo 1991, Commissione c. Belgio, causa C-249/88, punto
7.
[66] Sentenza 24 novembre 1993, Keck e Mithouard, cause
C-267/91 e C-268/1, punti 16-18.
[67] Sentenza 11 dicembre 2003,
Deutscher Apothekeverband, causa C-322-01, punti 68-75.
[68]
Direttiva 2000/31 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8
giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della
società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico,
nel mercato interno, a cui l’Italia ha dato attuazione con D.lgs. 9
aprile 2003 n. 70.
[69] Fra le molte vedi, per esempio, la
direttiva 97/7 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio
1997 che riguarda la protezione dei consumatori in materia di
contratti a distanza.
[70] Direttiva 2006/123 dl Parlamento
europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel
mercato interno il cui campo di applicazione è definito dall’art. 2.
L’Italia ha dato attuazione alla direttiva mediante D.lgs. 26 marzo
2010 n. 59.
[71] Sentenza 20 febbraio 1979, Rewe-Zentral, causa
120/78, punti 14-15 che trae il principio dall’art. 30 CEE (ora art.
34 TFUE). Per una conferma e una precisazione del principio vedi la
sentenza 16 gennaio 2003, Commissione c. Italia, causa C-14/00,
punto 69.
[72] Sentenza 20 febbraio 1979, cit.
[73] Sentenza
16 dicembre 2008, Santurel, causa C-205/07, punto 47.
[74]
Sentenza 10 febbraio 2009, Commissione c. Italia, causa C-110/05,
punti 56-58.
[75] Sentenza 20 marzo 1990, Du Pont de Namours,
causa C-21/88, punto 14.
[76] Lo scopo perseguito non deve poter
essere raggiunto con misure meno restrittive del commercio: sentenza
14 settembre 2006, Vassilopoulos, cause C-158/04 e C-159/04, punto
20.
[77] Sentenza 13 dicembre 1991, Régie des télégraphes et des
téléphones, causa C-18/88, punto 31.
[78] Gli organismi di
normalizzazione sono previsti dalla direttiva 98/34 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998; per esempio il Comitato
europeo di normalizzazione (CEN).
[79] Risoluzione del Consiglio
del 7 maggio 1985 relativa alla nuova strategia in materia di
armonizzazione tecnica e normalizzazione in Gazzetta ufficiale
delle Comunità europee C 136 del 4 giugno 1985.
[80] Per una
lista degli organismi nazionali di certificazione vedi Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea C 302 del 12 dicembre 2003.
[81] Vedi per esempio la direttiva 1999/5 del Palamento europeo
e del Consiglio del 9 marzo 1999 relativa alle apparecchiature
terminali di telecomunicazioni; tra esse i telefoni mobili al cui
interno sono leggibili la marcatura CE e il simbolo che
identifica l’ente nazionale di certificazione.
[82] Direttiva
2000/36 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 giugno 2000.
La Corte di giustizia si è pronunciata in proposito con sentenza 25
novembre 2010, Commissione c. Italia, causa C-47/09.
[83] Sulle
DOP e sulle IGP vedi il regolamento n. 510/2006 del Consiglio del 20
marzo 2006 . Sulle STG vedi il regolamento n. 509/2006 del Consiglio
del 20 marzo 2006.
[84] Sentenza 25 luglio 1991, Aragonesa,
cause C-1/90 e C-176/90, punto 13.
[85] Sentenza 10 gennaio
1985, Leclerc, causa 229/83, punto 30.
[86] Sentenza 26
settembre 2000, Commissione c. Francia, causa C-23799, punto 38.
[87] Sentenza 17 ottobre 1990, HAG II, causa C-10/89, punto 16.
[88] Regolamento n. 116/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008.
I controlli si fondano sull’imposizione agli Stati membri dell’
obbligo di subordinare l’esportazione dei beni elencati in un
allegato alla presentazione di una licenza di esportazione che è
valida per tutta l’Unione europea.
[89] Direttiva 93/7 del
Consiglio del 15 marzo 1993 e successive modificazioni.
[90]
http://www.acpsec.org/fr/cotonou/accord
[91] Vedi gli articoli
9, 96 e 97 dell’Accordo di Cotonou sui quali cfr. CANTONI S, Cooperazione multilaterale e finanziamento allo sviluppo, cit., pag. 198 ss.
|
|
(pubblicato il
15.2.2011)
|
|
|
|
 |
|
|
|