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n. 4-2011 - © copyright |
STEFANO EMANUELE PIZZORNO
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Sulle azioni esperibili verso la p.a. nel nuovo codice del processo amministrativo
• Relazione al convegno Le Università in giudizio: questioni sostanziali e processuali- Pisa, 8.3.2011
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SOMMARIO : 1. Premessa; 2. L’azione di condanna; 3. L’azione avverso il silenzio e il danno da ritardo; 4. L’azione di adempimento; 5. L’azione di accertamento; 6. L’azione di nullità; 7.Giudizio di cognizione e ottemperanza
1. Premessa
Il tema delle azioni proponibili nei confronti della PA è quello nei quale trova maggiore esplicazione il principio di effettività enunciato nel codice del processo amministrativo. Principio che è enunciato con particolare rilievo, visto che è indicato all'art. 1 e quindi può essere considerato il principale criterio ispiratore e interpretativo del corpo normativo codicistico. Del resto tutta l'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale degli ultimi quindici anni è stata nel senso che la tutela del ricorrente, in un rapporto con l'Amministrazione nel quale questa non si pone più in posizione di supremazia ma su un piano di parità con gli amministrati, non può trovare soddisfazione solo attraverso il tradizionale rimedio impugnatorio-demolitorio perché questo rimedio non è in grado di far fronte a tutte le domande di giustizia. In questa ottica l'art. 44 della legge 69/2009, nello stabilire la delega al Governo per il riassetto del processo amministrativo, tra i criteri direttivi da osservarsi dal legislatore delegato, indicava la finalità di assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela e di disciplinare le azioni e le funzioni del giudice con la previsione di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa. Dando attuazione alla delega, il codice prevede per l'appunto una serie di azioni, rovesciando l'impostazione della legislazione precedente. Mentre infatti nel previgente sistema normativo vi era spazio solo per l'elencazione dei poteri del Giudice e da questi si ricostruivano le azioni esercitabili, adesso la prospettiva è completamente mutata; vengono indicate prima le azioni necessarie per assicurare la tutela delle posizioni giuridiche soggettive e dopo, le pronunce che il Giudice, in correlazione con le azioni previste, può emettere.
Occorre dire che proprio dal punto di vista dell'effettività della tutela il codice è stato molto criticato anche per le aspettative che si erano create per la previsione sia dell'azione di accertamento, diretta ad accertare i rapporti giuridici in contestazione, sia dell'azione di adempimento, diretta ad ottenere la condanna all'emanazione di un provvedimento amministrativo dal determinato contenuto, che erano contenute nella bozza di progetto elaborata nella speciale commissione istituita presso il Consiglio di Stato e che poi sono state cancellate. Ad ogni modo, secondo molti, le due azioni di accertamento e di adempimento sarebbero comunque esercitabili ricorrendo a ricostruzioni interpretative di una qualche complessità.
Quelle che seguono sono considerazioni sulle azioni esperibili sulla base del codice, tralasciando l’azione di annullamento che non presenta particolari problemi.
2. L'azione di condanna
L'art. 30 del codice prevede anzitutto la condanna al risarcimento del danno per la lesione dell'interesse legittimo e, nei casi di giurisdizione esclusiva, dei diritti soggettivi.
Al riguardo, nel prevedere per la prima volta la risarcibilità del danno da interesse legittimo, la sentenza della Cassazione 500/99 aveva ancorato la tutela risarcitoria all'ingiustizia del danno, costituente fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di in interesse giuridicamente rilevante. L'art. 2043 c.c. in questa prospettiva veniva considerato quale norma primaria fondante essa stessa il diritto soggettivo al risarcimento indipendentemente dalla posizione soggettiva lesa, diritto soggettivo o interesse legittimo che fosse. La legge 205 del 2000 invece attribuiva la giurisdizione al Giudice amministrativo nell'ambito della sua giurisdizione generale di legittimità ( e non esclusiva) sulla base evidentemente di un'impostazione dogmatica completamente mutata. Infatti la pretesa risarcitoria non poteva a questo punto che essere considerata come un ulteriore aspetto della tutela accordata all'interesse legittimo. Convalidando questa impostazione, la Corte Costituzionale affermava che il risarcimento del danno ingiusto non costituiva una nuova materia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo ma uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio da utilizzare al fine di rendere giustizia al cittadino nei riguardi dell'amministrazione. Si trattava del resto di dare attuazione all'art. 24 Cost. che, riconoscendo che all'interesse legittimo debba essere assicurata una tutela piena ed effettiva, implica che il giudice debba essere munito di poteri adeguati allo scopo ( Corte Cost. sentenze 204/2004 e 191/2006).
Rimaneva però un fortissimo punto di contrasto tra Consiglio di Stato e Cassazione sulla cd pregiudiziale amministrativa. Infatti il supremo consesso della giustizia amministrativa (1) riteneva, con argomentazioni che mi sono sempre sembrate convincenti, che non fosse esperibile l'azione di risarcimento relativa a danni causati da provvedimenti non tempestivamente impugnati entro il termine di decadenza. A fondamento di questa posizione principalmente si ricordava: a) la certezza che deve connotare l'azione amministrativa ed è strettamente correlata con il termine di decadenza entro il quale è possibile esperire il ricorso giurisdizionale; b) l'esecutività del provvedimento per cui vi poteva essere un irredimibile contrasto tra il dovere dell'Amministrazione di portare ad esecuzione l'atto e l'accertamento della sua illegittimità in sede di giudizio risarcitorio.
La Suprema Corte invece sosteneva l'assoluta autonomia dell'azione di risarcimento, esperibile nel termine di prescrizione di cinque anni e giungeva sino a ritenere ammissibile la sindacabilità da parte delle Sezioni Uniti ex art.362 c.p.c. per motivi attinenti alla giurisdizione della decisione del Consiglio di Stato che aveva respinto la domanda risarcitoria a causa della pregiudiziale (2).
La soluzione adottata dal codice è stata definita da molti come una soluzione di compromesso (3). A chi vi parla, a dire il vero, non sembra che si possa parlare di compromesso ma piuttosto di una vittoria per il Consiglio di Stato. Infatti la pregiudiziale, pur formalmente cancellata, incombe con tutta la sua presenza in tutta la disciplina che regola l'azione risarcitoria. Infatti è vero che l'azione è formalmente esperibile in via autonoma ma entro un brevissimo termine di decadenza di 120 giorni in luogo del termine prescrizionale di cinque anni. Inoltre si cerca di favorire in tutti i modi l'esercizio dell'azione di annullamento. Infatti non solo l'azione risarcitoria è esperibile unitamente all'azione di annullamento ma ugualmente ad azione già promossa e anche una volta ottenuto l'annullamento dell'atto, entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza; con una disposizione, quest'ultima, che vuole evidentemente consentire all'interessato di agire per l'annullamento, poi attendere e, a seconda dell'esito, agire successivamente per il risarcimento.
Inoltre è anche stabilito che il giudice esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. Per comprendere tale disposizione occorre tener presente che in dottrina era stata proposta, al fine del superamento del contrasto tra Consiglio di Stato e Cassazione, una sorta di nuovo concordato come quello che nel 1929 aveva portato all'adozione del criterio della causa petendi in luogo di quello del petitum formale al fine del riparto di giurisdizione e che poi era stato confermato l'anno successivo dalle decisioni dell'Adunanza Plenaria e delle Sezioni Unite. In sostanza si proponeva un accordo fondato sulla rinuncia da parte del Consiglio di Stato alla pregiudiziale mentre, d'altro canto, la mancata proposizione del ricorso di annullamento avrebbe potuto acquisire rilievo ex art. 1227 2° comma c.c. che stabilisce che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (4). Occorre osservare però che un tale compromesso sarebbe stato in contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la mancata proposizione di un'azione giurisdizionale, per la gravosità che essa comporta, non è valutabile ex art. 1227 2° comma c.c. (5).
La soluzione adottata dal codice è proprio quella suggerita in dottrina che qualcuno peraltro ha fortemente criticato (6).
L'art. 30 3° comma fa riferimento all'esperimento dei previsti strumenti di tutela. Si discute se in tale espressione possa ricomprendersi l’invito rivolto dall’interessato all’Amministrazione all’esercizio del proprio potere di autotutela; in caso di risposta affermativa l’interessato avrebbe comunque titolo ad ottenere il risarcimento dei danni che avrebbe evitato con la proposizione del ricorso di annullamento qualora abbia sollecitato l'auto annullamento dell’atto. Occorre osservare che in una precedente versione della norma si faceva espressa menzione dell’invito all’esercizio dell’autotutela ma alla fine il riferimento è stato eliminato.
La dottrina che si è espressa sul punto è per la soluzione positiva (7) sulla base dei principi di buona fede e dell’ordinaria diligenza che imporrebbero di valutare il complessivo comportamento successivo all’adozione del provvedimento lesivo dell’interesse legittimo. Sul punto è però lecito nutrire delle perplessità. Il potere di autotutela è infatti previsto nel nostro ordinamento non a tutela dell’interesse del privato ma unicamente a presidio del pubblico interesse e l’amministrazione, anche qualora riscontri l’illegittimità del proprio atto, può procedere all’annullamento del medesimo solo qualora vi siano motivi di interesse pubblico in tal senso (art. 21-nonies l. 241/90). Questo principio, secondo cui l’annullamento in via di autotutela è discrezionale e mai doveroso, salvo alcune ipotesi particolarissime, è così radicato che anche in caso di pronuncia di incostituzionalità della norma sulla cui base è stato emesso il provvedimento amministrativo, l’annullamento d’ufficio conserva la propria natura discrezionale. Lo stesso avviene anche nell’ipotesi di illegittimità comunitaria dell’atto. Anche in questo caso, dopo qualche pronuncia di segno contrario (8), si è giunti alla conclusione che il potere di autotutela non si trasforma da potere discrezionale a vincolato; i presupposti del potere di autotutela non possono risolversi nel mero accertamento della illegittimità comunitaria (9). Sul punto si è espressa conformemente la stessa Corte di Giustizia (10).
In realtà il mancato esercizio del potere di autotutela, malgrado l’invito del privato a provvedere in tal senso, potrebbe al più venire in considerazione non nella parte in cui l’art. 30, 3° comma fa riferimento agli strumenti di tutela ma nella parte precedente della medesima disposizione normativa laddove è previsto che nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti. Peraltro un comportamento dell’amministrazione censurabile sotto il profilo della negligenza dovrebbe venire in considerazione, più che dal punto di vista del potere di auto annullamento non esercitato, ancora prima, dal lato del mancato accoglimento dei motivi e delle ragioni prospettate dal privato a seguito del preavviso di rigetto ex art. 10 bis l.241/90. Questa disposizione, tra l’altro, rappresenta un unicum nel nostro ordinamento perché, per come è formulata, non sembra far riferimento, in ipotesi, all’art.1227 comma 1 c.c. e quindi a un fatto colposo concorrente a cagionare il danno, ma a un più generale potere del giudice, sulla base del comportamento delle parti, a determinare la stessa entità del risarcimento liquidabile. Sembra che si sia introdotta una fattispecie di danno punitivo che è quel danno che negli ordinamenti giuridici anglosassoni viene attribuito a ristoro della parte danneggiata, oltre il danno effettivamente subito, quale sanzione per un comportamento gravemente colposo del danneggiante. Nel nostro ordinamento peraltro è sempre valso il principio per cui il danno può essere liquidato solo nella misura della effettiva diminuzione patrimoniale. Al riguardo la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che nell’ordinamento italiano vigente l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, così come è indifferente la condotta del danneggiante e si è spinta fino a sostenere che la funzione assegnata alla responsabilità civile, che ha essenzialmente il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, costituisce principio di ordine pubblico interno; ha pertanto ritenuto che non potesse delibarsi la sentenza di una Corte statunitense che aveva liquidato un danno in misura non correlata all’effettiva lesione (11). La norma di cui all’art. 30 3° comma prima parte si pone in contrasto con questo principio come del resto la disposizione contenuta nell’art. 26 2° comma del codice con la previsione, introdotta sul modello dell’art. 96 3° comma c.p.c., che il giudice possa condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento in favore dell’altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati (12).
Da notare come la condanna possa avvenire anche d’ufficio, come d’ufficio sembra esercitabile il potere del giudice di escludere il risarcimento dei danni evitabili con l’ordinaria diligenza di cui all’art. 30 3° comma (13); anche in quest’ultimo caso vi è uno scostamento dalla tradizione civilistica nella quale l’art.1227 comma 2 c.c. è sempre stato considerato dalla giurisprudenza come fondante un’eccezione in senso stretto, rilevabile esclusivamente su istanza di parte (14).
3. L'azione avverso il silenzio e il danno da ritardo
L’azione può essere proposta fino a che l’inadempimento perdura ma comunque non oltre un anno dalla conclusione del procedimento, come era già previsto dall’art. 2 l.241/90 dopo le modifiche del 2005. La ragione è evidentemente quella di risolvere la situazione di incertezza entro un tempo determinato, consentendo in ogni caso, come è del resto logico, la facoltà per l’interessato di riproporre l’istanza di avvio del procedimento. La formulazione appare quindi un compromesso tra la concezione secondo cui il ritardo dell’amministrazione nel provvedere da luogo ad un illecito permanente, destinato dunque a cessare sul piano teorico solo con l’adozione del provvedimento e l’esigenza di definire la questione entro un certo spazio temporale, per evitare di lasciare l’amministrazione esposta indefinitamente all’azione avverso il silenzio. La soluzione adottata, si è detto (15), implicherebbe che il ritardo dell’amministrazione sia da considerarsi come un illecito permanente che però potrebbe durare al massimo un anno, decorso il quale esso verrebbe meno insieme all’obbligo per l’amministrazione stessa di provvedere.
Si ribadisce che per la proposizione dell’azione non è necessaria la diffida. Resta però aperto il problema, nell’ipotesi in cui una diffida venga inoltrata, se questa valga o meno a interrompere il termine per la proposizione dell’azione; si tratta di vedere in definitiva se il termine per l’azione avverso il silenzio abbia natura prescrizionale, per cui l’eventuale diffida possa avere valore interruttivo ovvero se viceversa debba considerarsi decadenziale, rispetto al quale nessun rilievo essa potrebbe assumere (16). In dottrina, chi si è occupato dell’argomento ha ritenuto che nel silenzio del codice la proposizione della diffida a provvedere valga ad interrompere il termine, conformemente alla giurisprudenza che si era formata anteriormente all’entrata in vigore del codice (17).
Al riguardo personalmente nutro qualche dubbio. Considerare il termine annuale per la proposizione dell’azione avverso il silenzio come prescrizionale mi sembra che vada contro la concezione del codice che è quella di porre una serie di termini di decadenza per non lasciare situazioni incerte. Inoltre al termine annuale per l’azione contro il silenzio è strettamente collegato il termine per proporre l’azione risarcitoria per il danno da ritardo che è di 120 giorni dalla scadenza dell’anno. Se questo termine è di decadenza e lo è certamente (18), sembra difficile considerare il termine di cui all’art. 31 1° comma come di prescrizione. Questa tesi però finirebbe con l’aggravare la posizione del privato, costretto a iniziare nuovamente il procedimento, per cui i tribunali potrebbero scegliere l’opzione più favorevole al ricorrente.
Per quanto riguarda il danno da ritardo occorre notare l’abbassamento della tutela rispetto possono a quanto previsto dall’art. 2bis della l. 241/90 introdotto dalla l. 69/2009. Mentre questa disposizione prevedeva che l’azione risarcitoria potesse essere esperita entro il termine prescrizionale di cinque anni, la nuova norma introduce invece il termine di decadenza di cui si è appena detto.
Il danno da ritardo era stato ancorato dalla giurisprudenza anteriore al codice alla spettanza del bene della vita. In altri termini non era risarcibile il ritardo in sé considerato ma solo ove il procedimento fosse da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario (19). Infatti il solo ritardo nell’emanazione di un atto non era considerato elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto. Al riguardo il codice ribadisce il riferimento al danno ingiusto. L’art. 30 2° comma contempla infatti l’ingiustizia del danno sia in relazione all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa sia al mancato esercizio di quella obbligatoria, il che dovrebbe far ritenere che non possa riconoscersi la risarcibilità del danno da mero ritardo (20). Si è però osservato che il mancato rispetto del termine è un illecito e gli illeciti danno luogo a responsabilità civile. In altri termini il danno ingiusto è di per sé causato dalla stessa inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento; la spettanza del bene della vita sarebbe quindi estranea alla questione se spetti il risarcimento del danno per il ritardo in quanto il bene tutelato dalla norma è la certezza del rispetto del termine finale del procedimento (21).
4. L'azione di adempimento
L’azione di adempimento, malgrado la mancata previsione da parte del codice, è stata ritenuta dalla dottrina ugualmente esperibile (22). Al riguardo si valorizza la disposizione contenuta nell’art.34 comma 1 lett. c) che stabilisce che il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, condanna all’adozione delle misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio. Al riguardo si dice che attraverso tale disposizione si può arrivare ad una tutela adeguata degli interessi pretensivi non solo nel caso dell’azione avverso il silenzio ma anche nell’ipotesi in cui l’amministrazione, anziché rimanere inerte, abbia provveduto con un atto di diniego. In entrambe le ipotesi la posizione del privato è la medesima e, sulla base dell’art. 30 comma 1 che prevede l’esperibilità dell’azione di condanna unitamente ad altra azione, si dovrà ammettere la possibilità di esercitare l’azione di adempimento unitamente all’azione di annullamento del diniego o all’azione avverso il silenzio. Il potere del giudice di condannare l’amministrazione all’emanazione del provvedimento sarà in entrambi i casi subordinato alle condizioni alle quali l’art. 31 comma 3 consente al giudice del silenzio di valutare la fondatezza della pretesa; ovverosia qualora si tratti di attività vincolata o non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità.
Tale costruzione risponde ad un’evidente esigenza di ragionevolezza anche se essa appare in contraddizione con la scelta del legislatore di inserire la disciplina delle azioni quale presupposto dei conseguenti poteri del giudice. Il ricavare al contrario l'azione dal possibile contenuto della sentenza di condanna sembra in contrasto con la concezione di fondo del codice.
Si è anche aggiunto che l’azione di adempimento viene costruita enfatizzando una disposizione inserita in un contesto, quello dell’art. 34 comma 1 lett. c, che ha ad oggetto la condanna essenzialmente a misure risarcitorie e che, con il riferimento all’adozione delle misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio, sembra riferirsi piuttosto ad ipotesi in cui la sola condanna al risarcimento non sarebbe sufficiente ad assicurare una piena tutela (23).
Si è comunque osservato che il problema alla fine consiste nel permettere al giudice di avere elementi sufficienti per valutare la pretesa sostanziale; a tal fine si dovrebbe ammettere che l’amministrazione in sede di provvedimento finale e , ancor prima, con il preavviso di rigetto ex art.10 bis l.241/90 dovrebbe esaurire tutto il proprio potere, essendole precluso di poter emettere un nuovo atto di diniego per motivi diversi da quelli indicati (24). Anzi, a ben vedere, la questione è proprio questa: se si ritiene che l'amministrazione con il diniego non esaurisca il proprio potere, l'azione di adempimento potrà essere utile solo in casi limitati; se invece si ammette che, una volta emesso l'atto, essa non abbia più il potere di disporre ancora negativamente, la posizione del privato sarà comunque garantita attraverso l'effetto conformativo della sentenza, anche se certamente l'azione di adempimento gli darebbe un vantaggio ancora maggiore. Tanto che si è sostenuta l'introduzione di una norma che affermi espressamente l'obbligo per l'amministrazione, di indicare, in sede di preavviso di rigetto e con il finale diniego, tutti i motivi ostativi (25).
5. L'azione di accertamento
La bozza redatta dalla Commissione istituita presso il Consiglio di Stato prevedeva, tra le azioni esperibili, anche un'azione diretta a chiedere l'accertamento (anche in relazione ad interessi legittimi) dell'esistenza o dell'inesistenza di un rapporto giuridico contestato con l'adozione delle consequenziali pronunce dichiarative. Anche per questa ipotesi si sostiene che, pur nel silenzio della versione definitiva del codice, l'azione di accertamento sia esercitabile . Infatti, si dice, l'azione è sempre stata ammessa nel sistema processuale civilistico anche in mancanza di una norma espressa e del resto il codice del processo amministrativo contiene un rinvio esterno alle disposizioni del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali (art.39). Inoltre il codice disciplina una serie di azioni di accertamento, in tema di silenzio, di nullità, di cessazione della materia del contendere, di violazione e elusione del giudicato, di inefficacia del contratto, che dimostrerebbero la compatibilità con il sistema dell'azione di accertamento pura (26).
Tutto ciò è condivisibile; però non bisogna dimenticare che la stessa versione provvisoria del codice, nel prevedere l'azione di accertamento, stabiliva che essa non avrebbe comunque potuto essere proposta in due ipotesi: con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, per evitare che l'azione amministrativa potesse essere orientata pro futuro (questa clausola è adesso prevista in generale dall'art. 34 comma 2); allorché il ricorrente avrebbe potuto salvaguardare la propria posizione giuridica con l'azione di annullamento. In tal modo si introduceva un limite comunque presente nel sistema (27); infatti tutte le volte che c'è un atto lesivo, l'azione di accertamento sarebbe inutile perché resterebbe ferma la regola contenuta nel provvedimento. In sostanza l'estensione dell'azione di accertamento all'interesse legittimo, una volta ammessa, potrebbe essere destinata al più a chiarire la portata della regola concretamente posta dal provvedimento amministrativo dopo l'esercizio del potere pubblico (come si legge nella relazione illustrativa della bozza del codice), cioè non a porre in discussione la legittimità di quella regola ma a chiarire, in caso di contestazione, gli effetti che da essa derivino; ovvero potrebbe essere esperibile nei casi in cui è già stata configurata dalla giurisprudenza, cioè nell'ipotesi di un'attività privata che potrebbe essere interdetta da un intervento provvedimentale solo ipotetico. Si è infatti ammesso che il terzo possa far accertare dal giudice la carenza dei presupposti per l'esercizio di un'attività edilizia intrapresa sulla base di una denuncia di inizio di attività (oggi segnalazione certificata d’inizio attività, SCIA) (28).
In giurisprudenza il Tar Toscana ha dichiarato inammissibile una domanda di accertamento del diritto ad ottenere il permesso di soggiorno in quanto il ricorrente vanterebbe nella specie solo una posizione di interesse legittimo, non suscettibile di accertamento in sede impugnatoria (TAR Toscana 15.3.2011).
6. L'azione di nullità
L'art. 34 comma 4 prevede l'azione di nullità, cioè un'azione volta all'accertamento delle nullità previste dalla legge (art.21 septies l.241/90 e altri casi tassativamente previsti). La scelta del legislatore è stata quella di prevedere anche per tale ipotesi un termine di decadenza, fissato in 180 giorni con l'eccezione della nullità per gli atti in violazione o elusione del giudicato per la quale vale il termine di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 114). Il termine di decadenza vale però solo ove la nullità venga fatta valere in via principale; può invece essere sempre opposta dalla parte resistente o essere rilevata d'ufficio dal giudice. Il riferimento alla rilevabilità d'ufficio va intesa ovviamente non nel senso che il giudice possa rilevare la nullità di un atto a seguito di un'azione proposta oltre il termine di 180 giorni o quando esso venga in rilevo in altro giudizio quale atto presupposto senza che sia stato fatto oggetto dell'azione nel termine ma che ciò possa avvenire in favore della parte resistente, ovvero dell'amministrazione, allorché quest'ultima non abbia proposto la relativa eccezione.
7. Giudizio di cognizione e ottemperanza
Un aspetto particolarmente significativo della nuova disciplina riguarda la potestà che viene attribuita al giudice della cognizione di esercitare poteri una volta attribuiti al giudice dell’ottemperanza; un’innovazione che si riconnette alla necessità di assicurare l’effettività e la pienezza della tutela ( art. 1 e 7 comma 7). Al riguardo la generale previsione dell’art. 34 comma 1 lettera e) del codice consente al giudice della cognizione di disporre le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta.
E’ dubbio se il giudice della cognizione possa disporre le astreintes previste dall’art. 114, comma 4 lett. e). E’ vero che la dizione dell’art. 34 sembra tale da ricomprendere anche queste misure, però sembra più corretta un’interpretazione che riservi al giudice dell’ottemperanza il potere di sanzionare quelle violazioni o inosservanze successive o ritardi nell’esecuzione del giudicato che il codice, con la predetta disposizione, ha voluto punire, introducendo un fortissimo strumento di pressione nei confronti dell’Amministrazione. Al riguardo occorre considerare la specialità della misura che avrebbe giustificato un espresso richiamo dall’art. 34 comma 1 lett. e) così com’è avvenuto per il commissario ad acta.
In ogni caso questo potere non potrà essere esercitato dal giudice della cognizione per assicurare l’esecuzione delle ordinanze cautelari e delle sentenze non passate in giudicato visto che l’art. 114 riserva la misura, esercitabile dallo stesso giudice dell’ottemperanza, per la sola mancata attuazione del giudicato (29).
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1) In questo senso v. Cons. Stato Adunanza Plenaria 12/2007; tra le ultime decisioni v. Cons. Stato, IV, 31.3.2009 n. 1917; Cons. Stato , 3.02.2009 n.587. Secondo l'impostazione seguita in tali decisioni la mancata impugnazione dell'atto amministrativo non costituiva una preclusione processuale ma impediva che che il danno potesse essere considerato ingiusto o illecita la condotta dell'amministrazione; ne conseguiva il rigetto della domanda nel merito. La costruzione qui seguita costituiva una reazione dinanzi alla presa di posizione della Cassazione che aveva ritenuto esperibile il ricorso per motivi di giurisdizione dinanzi alle stesse Sezioni Unite qualora il Consiglio di Stato non avesse deciso nel merito per ragione della mancata impugnazione dell'atto nel termine di decadenza.
2) Cass. Sez. Un. 13.11.2007 n. 23741; Cass. Sez. Un. 23.12.2008 n. 30254. Cass. Sez. Un. 13.6.2006 n. 13660.
3) V. ad esempio ZERMAN, L’effettività della tutela nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministraiva.it; CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo alla ricerca dell’effettività della tutela, in www.giustizia-amministrativa.it
4) CARINGELLA, Una soluzione antica per un problema attuale in Il diritto amministrativo a parole, Roma 2007.
5) Cass., Sez. I , 5.5.2010 n. 10895; Cass. , Sez. III,27.6.2007 n. 14853; Cass., Sez. III, 29.9.2005 n. 19139.
6) GRECO, Che fine ha fatto la pregiudizialità amministrativa?, in www.giustamm.it , 12/2010 osserva che considerare il mancato esercizio dell'azione di annullamento contrario all'ordinaria diligenza e quindi causa unica dell'evento dannoso o causa di interruzione del nesso causale costituisce un'operazione ardita sul piano logico e della proporzionalità.
7) GISONDI, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; CAPONIGRO, Il principio di effettività della tutela nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it
8) Cons. Stato, Sez.VI, 5 .6. 1998 n.918.
9) Cons. Stato, Sez..VI, 4.4.2008 n. 1414; Cons.Stato Sez.VI 3.3.2006 n. 1023.
10) Corte di Giustizia 13.1.2004, C-453/00, Khune; Corte di Giustizi, 12.2.2008, C-2/06,. Kempter. Sulle problematiche relative all’illegittimità comunitaria e all’illegittimità costituzionale derivata dell’atto amministrativo v. PIGNATELLI, Legalità costituzionale ed autotutela amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it.
11) Cass., sez. III, 19.1.2007 n. 1183.
12) Su una lettura dell’art. 26 2° comma in termini di danno punitivo v. VIOLA, I danni punitivi nella responsabilità civile della p.a. dopo il nuovo Codice del processo amministrativo, in La Responsabilità Civile 12/2010. Nel senso che l’art. 96 3° comma c.p.c. (introdotto dalla l.69/2009) abbia previsto una figura di danno punitivo si sono espressi molti giudici di merito (tra i molti Trib. Roma 11.1.2010; Trib. Piacenza 7.12.2010; Trib. Roma sez. di Ostia 9.12.2010 e da ultimo Trib. Varese 22.1.2011). In dottrina v. Dalla Massara, Terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ.: quando, quanto e perché? in La nuova giurisprudenza civile commentata, 1/11; VACCARI, L'art. 96 comma 3° cod-proc.civ.: profili applicativi e prospettive giurisprudenziali, in la nuova giurisprudenza civile commentata, 1/11; RICCIO, I danni punitivi non sono, dunque, in contrasto con l'ordine pubblico interno, in Contr. e impr., 2009.
13) In questo senso GRECO, Che fine ha fatto la pregiudizialità amministrativa, cit. . Si confronti l’art. 30 comma 3 con l’art. 144 comma 4 lett. e) che, nel prevedere il potere del giudice dell’ottemperanza di fissare una somma per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nelle’esecuzione del giudicato da parte dell’amministrazione, vincola l’esercizio di tale potere alla richiesta di parte. La norma riproduce letteralmente la prima parte dell’art.614 bis c.p.c. introdotto dalla l.69/2009.
14) Cass., sez. III, 25.5.2010 n. 12714. Giurisprudenza consolidata.
15) CAPONIGRO, Il principio di effettività della tutela nel codice del processo amministrativo, cit.
16) In dottrina nel senso di considerare la diffida come atto avente efficacia interruttiva, tra gli altri, DE NICTOLIS, Codice del processo amministrativo commentato, Milano 2008; LACAVA, La nuova disciplina del silenzio inadempimento dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005 in www.amministrazioneincammino.luiss.it . Contrario è CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007.
17) VIOLA, Le azioni avverso il sillenzio della P.A. nel nuovo codice del processo amministrativo: aspetti problematici, in www.federalismi.it
18) Ritiene invece che si debba parlare di prescrizione, perché la previsione del termine mirerebbe a salvaguardare non la certezza dei rapporti giuridici ma l'esigenza di evitare che il patrimonio del soggetto passivo del rapporto possa restare troppo a lungo soggetto a pretese patrimoniali altrui, SCOGNAMIGLIO, Appunti per una prima lettura dell'art. 34, comma 1, lett. c), d), ed e): le sentenze di condanna e condanna al risarcimento dei danni, in www.giustizia-amministrativa.it.
19) Cons. Stato, sez. IV 23.3.2010 n.1699; Cons. Stato Ad. Plen. 15.12.2005 n.7. Da ultimo Tar Lombardia 12.1.2011 n.35.
20) DURANTE, I rimedi contro l’inerzia dell’amministrazione:istruzioni per l’uso, con un occhio alla giurisprudenza e l’altro al codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104 in www.giustizia-amministrativa.it; CAPONIGRO, Il principio di effettività della tutela nel codice del processo amministrativo, cit.
21) PATRONI GRIFFI, Valori e principi tra procedimento amministrativo e responsabilizzazione dei poteri pubblici in www.giustizia-amministrativa.it ; v. anche QUINTO, Il risarcimento del danno da ritardo: un passo avanti ed uno indietro, in www.GiustAmm.it 2/2011.
22) GISONDI, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo alla ricerca dell’effettività della tutela, n www.giustizia-amministrativa.it; CLARICH, Le azioni nel processo amministrativo tra reticenze del Codice e apertura a nuove tutele in www.giustizia-amministrativa.it; PATRONI GRIFFI, Riflessioni sul sistema delle tutele nel processo amministrativo riformato, in www.giustizia-amministrativa.it; ZERMAN, L’effettività della tutela nel Codice del processo amministrativo, cit. TORCHIA, Le nuove pronunce nel Codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it
23) VELTRI, Le azioni di accertamento, adempimento, nullità ed annullamento nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it
24) PATRONI GRIFFI, Riflessioni sul sistema delle tutele nel processo amministrativo riformato, cit; GISONDI, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, cit;
25) VELTRI, Le azioni di accertamento, adempimento, nullità ed annullamento nel codice del processo amministrativo, cit.
26) PATRONI GRIFFI, Riflessioni sul sistema delle tutele nel processo amministrativo riformato, cit..
27) In questo senso VELTRI, Le azioni di accertamento, adempimento, nullità ed annullamento nel codice del processo amministrativo, cit..
28) Cons. Stato, sez. VI, 9.2.2009, n. 717; la questione è stata rimessa all'adunanza plenaria dalla quarta sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 5.1.2011 n.14 .
29) Ritengono invece che il giudice della cognizione possa disporre le astreintes, LIPARI, L’effettività della decisione tra cognizione e ottemperanza in www.federalismi.it e VIOLA, Le astreintes nel nuovo processo amministrativo, in Urbanistica e Appalti, 2,2011.
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(pubblicato l' 8.4.2011)
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