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n. 7-2011 - © copyright |
MARCO CERRITELLI
STEFANIA PISCITELLI
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Recenti orientamenti della Corte dei conti in tema di pegno di azioni e società a partecipazione pubblica
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il pegno e le azioni di una società a partecipazione pubblica. – 3. Il regime riservato ai diritti amministrativi. – 4. Escussione del gravame e limiti alla circolazione del titolo. – 5. La possibilità di rilascio di garanzie atipiche da parte degli enti locali. – 6. Costituzione del pegno e società affidatarie in house. – 7. Conclusioni: i presupposti individuati dalla Corte dei Conti.
Premessa
La Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per la Lombardia nell’adunanza del 14 settembre 2010 (Lombardia/874/2010/PAR) si è pronunciata su una tematica di particolare interesse e poco trattata dalla giurisprudenza e dalla dottrina che è quella del pegno di azioni rappresentative del capitale di società a partecipazione pubblica.
L’occasione è data dalla richiesta di parere che la Provincia di Milano ha posto alla Sezione riguardante la possibilità per la stessa Provincia di autorizzare la società ASAM S.p.A., da essa controllata e, a sua volta, controllante la società Milano Serravalle – Milano Tangenziali S.p.A., a procedere alla costituzione di pegno su tutte le proprie azioni di Autostrada Pedemontana Lombarda S.p.A. per la realizzazione dell’infrastruttura stradale al fine di garantire il finanziamento da parte degli istituti finanziatori.
Si noti che la società Autostrada Pedemontana Lombarda S.p.A. [partecipata da Milano Serravalle – Milano Tangenziali S.p.A. che, a sua volta, è partecipata da ASAM S.p.A. controllata dalla provincia di Milano] ha sottoscritto con la società Concessioni Autostradali Lombarde S.p.A. la convenzione unica per l’affidamento della progettazione, costruzione e gestione del sistema viabilistico pedemontano.
Al di là dei presupposti fattuali, la richiesta di parere merita particolare attenzione perché si sofferma su una questione di particolare rilevanza pratica e che con una certa frequenza le società a partecipazione pubblica e le banche finanziatrici si trovano ad affrontare. Il quesito in argomento è volto ad individuare le forme di garanzia che le stesse società, partecipate da enti pubblici, possono rilasciare al fine di avere accesso alla provvista necessaria per la realizzazione ed il completamento delle infrastrutture affidate o per l’erogazione di servizi pubblici.
Nella prassi degli affari non è infatti inusuale che le banche finanziatrici, nell’accordare alle società partecipate da soggetti pubblici gli affidamenti occorrenti per la realizzazione dell’opera o per lo svolgimento del servizio, chiedano ai soci pubblici della società richiedente, a garanzia del finanziamento, la costituzione in pegno delle azioni da questi detenute nella società.
A fronte delle richieste in tal senso formulate dalle banche finanziatrici, sorge la necessità di affrontare il rapporto che intercorre tra (a) il regime di libera circolazione delle quote di partecipazione al capitale delle società [che può conseguire dal pegno] e (b) i principi comunitari di pubblicità, trasparenza, etc. che governano la cessione delle partecipazione di una società pubblica.
Il tema merita di essere affrontato. Come esattamente evidenziato dalla Corte dei Conti, si tratta di una questione che incide direttamente sull’allocazione delle risorse finanziarie della collettività, sulla materia dei bilanci pubblici e sulla composizione del patrimonio pubblico, anche in relazione alle sue modalità di utilizzo e gestione.
Al riguardo, i quesiti che si pongono all’attenzione degli interpreti e degli operatori sono essenzialmente riconducibili:
(a) alla validità o meno della costituzione del gravame;
(b) alla possibilità o meno di riservare al creditore pignoratizio l’esercizio del diritto di voto;
(c) alla sussistenza di eventuali limiti nella esecuzione del gravame
alla cui trattazione è dedicato il presente contributo.
Il pegno e le azioni di una società a partecipazione pubblica
In generale, nel pegno di azioni il naturale interesse del creditore pignoratizio alla tutela del proprio credito non può subire limitazioni per il solo fatto che tale interesse risulti in contrasto con quello del costituente e del debitore. Secondo le regole del diritto comune, tuttavia, l’esercizio di tale diritto non è assoluto, incontrando il limite rappresentato dal non poter agire esclusivamente in odium debitoris. Il creditore pignoratizio non può, pertanto, servirsi del diritto di voto – a questi riservato “salvo convenzione contraria” dal primo comma dell’art. 2352 c.c. - per scopi del tutto egoistici e che non coincidono né con l’interesse sociale, né con quello del debitore (App. Roma 3 aprile 1958, Banca Borsa e Titoli di Credito, 1959, II, 83).
Sotto il profilo sistematico, la combinata lettura dell’art. 2352 e delle disposizioni in materia di pegno recate dagli articoli 2791 e 2792 del codice civile consente di dedurre che il creditore pignoratizio sia portatore di un diritto che ha assunto una propria autonomia e di un interesse autonomo e che può pertanto atteggiarsi in modo profondamente diverso da quello del debitore. Il “naturale interesse” del creditore pignoratizio si rinviene nella tutela del proprio credito di talché tale interesse non dovrebbe subire limitazioni per il solo fatto di contrastare con l’interesse del costituente che ha consentito la costituzione del gravame sul titolo.
Tali conclusioni, ampiamente condivise dalla dottrina civilistica e supportate da copiosa giurisprudenza espressasi in senso conforme, cedono tuttavia parte della propria consolidata valenza nel caso in cui il costituente sia rappresentato da un ente pubblico ed il titolo rappresenti la partecipazione al capitale di quella categoria di società di capitali che, in forza di specifiche disposizioni di legge, risultano soggette a particolari vincoli per quanto attiene le modalità di apertura del capitale a soggetti privati (c.d. scelta del socio privato). A simili, ove non più stringenti, limiti risultano, inoltre, soggette le società di capitali affidatarie in house di servizi pubblici.
In relazione a tali categorie di soggetti, pertanto, la regola generale volta a preservare il naturale interesse del creditore pignoratizio e l’ampiezza dei poteri a questo validamente attribuibili si trova a fronteggiare un ulteriore temperamento. In buona sostanza, l’interesse sociale e quello del costituente il pegno, che rappresentano il plesso rispetto al quale deve essere ponderata in concreto la posizione soggettiva del creditore e la legittimità delle azioni da questi assunte a tutela del proprio credito, risultano amplificati dai rilievi pubblicistici con cui il libero esercizio del pegno si troverebbe a fronteggiare.
Anticipando le considerazioni conclusive, ad avviso della Corte, in assenza di norme che precludano agli enti pubblici e alle società da essi partecipate l’utilizzo di questa particolare forma di garanzia non vi sono norme che ne impediscano l’utilizzo, tanto più che la concentrazione della garanzia sulle azioni della società che realizza l’intervento limita l’ampiezza della potenziale esposizione debitoria e della perdita al solo valore delle azioni della società partecipata, evitando ulteriori potenziali perdite di risorse pubbliche.
In conclusione può ritenersi che il pegno sulle azioni di una società a partecipazione pubblica destinato a garantire un finanziamento ottenuto dalla stessa società e finalizzato alla realizzazione di un’opera pubblica, idonea a generare i ricavi necessari per il rimborso del debito … sia uno strumento utilizzabile sia dagli enti locali che dalle società a partecipazione pubblica.
Il regime riservato ai diritti amministrativi
E’ stato giustamente osservato, bisogna tener presente che quando il “pacchetto” di azioni dato in pegno è di entità rilevante, il creditore risulta in grado di assicurarsi la possibilità di vigilare, se non addirittura di interferire, nella gestione della società debitrice [1].
Ma procediamo con ordine.
Come è noto, le azioni sono titoli di credito che incorporano la qualità di socio, ossia la posizione di parte nel contratto di società … L’azione corrisponde alla frazione minima di capitale sociale che occorre sottoscrivere per acquistare la qualità di socio [2]. La legittimazione del titolo attribuisce all’azionista determinati diritti, di natura patrimoniale e amministrativi.
Conseguentemente, nel caso in cui sulle azioni siano costituiti pegni si pone il problema di individuare il soggetto (debitore o creditore) cui compete l’esercizio di tali diritti.
Si tratta, in altri termini, di verificare se detti diritti continuano a rimanere in capo al debitore o se, invece, sono trasmessi al creditore pignoratizio. Strettamente connesso a tale tema, si pone il problema del conseguente esercizio dei diritti amministrativi nella gestione di una società pubblica da parte di un soggetto che non è stato scelto con procedura ad evidenza pubblica e che non è in possesso dei necessari requisiti tecnici e know-how.
La risposta al quesito, come accennato, è fornita dall’art. 2352 c.c. ai sensi del quale nel caso di pegno … sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio.
Sebbene la giurisprudenza sottoponga a precisi limiti l’esercizio di voto da parte del creditore pignoratizio [3], tale previsione nell’ambito delle società pubbliche non è affatto irrilevante.
In primo luogo, perché il creditore pignoratizio esercita il suo diritto per la tutela e la conservazione del valore della garanzia e non certo per il conseguimento dell’interesse pubblico cui aspira la società partecipata.
In secondo luogo, si evidenzia che il creditore, esercitando il diritto di voto, partecipa alla gestione della società pubblica senza essere stato scelto con gara e in assenza, quindi, anche del know-how che probabilmente in sede di gara è stato richiesto invece al socio privato.
Proprio in considerazione di quanto sopra evidenziato, nel parere in commento, la Corte dei conti pur demandando ad una specifica regolamentazione pattizia la disciplina del pegno, richiede l’accortezza che la stessa tenga conto di alcune disposizioni.
Ad avviso della Corte, ad esempio in relazione al diritto di voto nelle assemblee sociali è opportuno inserire nel contratto una clausola che specifichi che lo stesso deve permanere in capo alla società controllante sia perché si tratta di un organismo pubblico la cui sorte influenza il patrimonio dell’ente locale sia perché la gestione della società per l’effettuazione dell’intervento è elemento essenziale.
Pertanto, in deroga all’art. 2352 c.c., all’atto della costituzione del pegno, le parti (debitore e creditore) dovranno prevedere che il diritto di voto verrà, comunque, esercitato dal debitore.
Probabilmente, tale regolamentazione sarà vista con sfavore dagli istituti finanziatori, ma certamente garantisce e tutela la finalità pubblica che è sottesa alla costituzione di una società ai sensi dell’art. 23 bis del D.L. 112/2008.
In punto di prassi, tuttavia, non può non registrarsi come nelle operazioni di finanziamento con caratteristiche strutturate una deroga pattizia alla riserva in favore del creditore pignoratizio contemplata dal primo comma dell’art. 2352 sia già ampiamente praticata. Nei casi esaminati, gli atti costitutivi di pegno contemplano, infatti, specifiche disposizioni volte a prevedere che l’esercizio del diritto di voto resti in capo al costituente sino al verificarsi di eventi patologici o altrimenti rilevanti ai sensi della documentazione finanziaria, in presenza dei quali si prevede che il diritto del creditore pignoratizio originariamente compresso si riespanda, consentendo al creditore medesimo di riappropriarsi delle prerogative riconosciute in via ordinaria dal codice civile.
L’escussione del gravame ed i limiti alla circolazione della partecipazione
Se con riferimento al diritto di voto, la questione pegno a seguito della deroga all’art. 2352 c.c. non desta particolare criticità, più problematica potrebbe apparire la fase patologica, ossia quella derivante dall’escussione del pegno delle azioni del socio in caso di suo inadempimento.
In tal caso, infatti, a seguito dell’escussione del pegno, le azioni verranno cedute ad un soggetto terzo che, quindi, entrerà nella compagine azionaria della società pubblica.
In verità, deve osservarsi come la Corte dei conti non affronti direttamente il delicato tema che deriva dal fatto che l’eventuale escussione del pegno si realizzerebbe l’ingresso di un nuovo soggetto (i.e. la banca finanziatrice) nella compagine pubblica della società partecipata senza che vi sia stato previamente il rispetto delle regole che governano l’evidenza pubblica.
Al fine di conciliare le esigenze di rispetto del trattato e i principi di trasparenza, par condicio con quelle del creditore pignoratizio a vedere soddisfatto il proprio diritto di credito si poterebbe ipotizzare di inserire nell’atto costitutivo del pegno:
una clausola di prelazione a favore dei soci della società pubblica; oppure
prevedere che la cessione delle azioni debba avvenire con procedura selettiva indetta dalla stessa società pubblica e il creditore pignoratizio potrà vedere soddisfatto il suo diritto esclusivamente sul ricavato.
Come è noto, infatti, la dismissione o la vendita delle azioni da parte del socio pubblico dovrebbe comunque accedere ad un giudizio improntato al canone sostanziale del necessario rispetto dei criteri di trasparenza e correttezza della procedura pubblicistica di vendita, nonché della compatibilità con le regole comunitarie [4].
Vero è che, in senso parzialmente contrario alla necessità che il subentro in una società pubblica debba necessariamente avvenire con gara, si è pronunciato il Consiglio di Stato [5] ad avviso del quale deve distinguersi tra subentro del socio operativo e subentro del socio meramente finanziario: solo nel primo caso sussiste l’obbligo del rispetto dei principi ad evidenza pubblica.
Il Collegio ha ritenuto che detta distinzione non si pone in contrasto con l’art. 113, comma 12°, T.U. n. 267/2000, come modificato dall’art. 14 D.L n. 269/2003, convertito dalla L. n. 326/2003, nella parte in cui stabilisce che “l’ente locale può cedere in tutto o in parte la propria partecipazione nelle società erogatrici di servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento”, in quanto la disposizione deve essere intesa in senso restrittivo atteso che il prescritto obbligo della procedura ad evidenza pubblica presuppone comunque il subentro, in tutto o in parte, all’Ente locale di un socio operativo nell’espletamento del servizio, il che non si verifica allorché l’operazione ha solo contenuto finanziario. Aderendo, quindi, all’orientamento del Consiglio di stato, affinché possa essere legittimo il subentro di un soggetto terzo (che, si ripete, non è selezionato mediante il previo esperimento di una procedura ad evidenza pubblica) questo dovrebbe limitarsi a ricoprire il ruolo di socio meramente finanziario.
La possibilità di rilascio di garanzie atipiche da parte degli enti locali
Sulla scorta di quanto esposto, è di tutta evidenza che le caratteristiche del pegno in commento, in forza della specificità del suo oggetto, ne qualificano natura e funzioni tratteggiando un tipo negoziale che, rispetto all’alveo della disciplina codicistica, esprimono caratteristiche socialmente tipizzate.
Si pone, rispetto ai profili di atipicità che l’applicazione dello strumento nel settore in esame comporta, l’esigenza di riscontrare in capo ai costituenti – prevalentemente enti locali – la sussistenza di adeguato presupposto di legittimazione.
A giudizio di chi scrive, si ritiene che la costituzione del vincolo da parte degli enti locali interessati possa a buon titolo rientrare nella generale capacità di diritto privato di cui gli enti pubblici godono, di talché non possa dubitarsi che i medesimi possano stipulare il tipo contratto assimilabile a quello espressamente previsto dall’art. 2352 c.c. in tema di azioni.
Come noto, la pubblica amministrazione, nell’esercizio della propria autonomia negoziale può concludere, con il limite di cui al comma secondo dell’art. 1322 c.c., contratti di diritto privato anche laddove i medesimi non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [6].
La stipulazione del relativo negozio sembrerebbe inoltre compatibile, coerente e strumentale con i compiti e le funzioni istituzionali proprie dell’ente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16.3.2004) che – nel caso di specie su cui stiamo riflettendo – dovrebbero rinvenirsi nella opportunità di assicurare (garantendolo) il finanziamento di opere necessarie per lo svolgimento dei servizi pubblici; servizio che, senza dubbio, rientra tra i fini istituzionali dei Comuni ex art. 112 TUEL, laddove si prevede che gli stessi “provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali“.
La possibilità per un ente pubblico di costituire in pegno le proprie partecipazioni sembrerebbe ulteriormente confermato da quanto espressamente previsto dall’art. 1 del D.lgs. 170/2004 in materia di contratti di garanzia finanziaria, in forza del quale parte contraente può ben essere una “autorità pubblica” (conformemente a quanto indicato al comma secondo della direttiva 2002/47/CE).
In quanto strettamente connesso al tema centrale del presente paragrafo, si riporta una recente pronuncia della Corte dei Conti - sez. regionale controllo per l'Emilia Romagna 7/4/2011 n. 17/2011 – la quale ha ammesso, nell’ambito delle garanzie atipiche - la possibilità per un ente locale di rilasciare una lettera di patronage a favore di una sua partecipata. Tralasciando il tema pure affrontato dalla Corte del patto di stabilità giova qui segnalare che la Corte ammette la possibilità per un ente locale di rilasciare una lettera di patronage c.d. forte che pone in essere un vero e proprio rapporto di garanzia atipica, tra il patronnant ed il creditore garantito, assimilabile all’obbligazione del fideiussore, espone l'ente garante al rischio di escussione in caso di insolvenza della società debitrice. Da ciò discende che alle lettere di patronage “forte” deve ritenersi applicabile l’articolo 207 TUEL, sia con riferimento alla competenza soggettiva ad emanarle (Consiglio), sia con riferimento al calcolo degli interessi, che dovrebbero entrare a far parte della capacità di indebitamento, alla stregua di quelli delle garanzie fideiussorie (articolo 207, ultimo comma, TUEL) .[7]
Costituzione del pegno e società affidatarie in house
Considerazione separata merita infine il possibile ricorso alla forma di garanzia in commento ove l’oggetto della medesima sia rappresentato dalle partecipazioni detenute da parte di enti locali nel capitale di società affidatarie in house di servizi pubblici locali.
A tale riguardo, la materia appare tuttora controversa e comunque inevitabilmente connotata dai limiti rappresentati dalla necessaria permanenza in capo alla società affidataria dei prescritti indicatori di controllo analogo, non sempre agevolmente conciliabili con la funzione e la natura del gravame.
Si ipotizza pertanto che la società richiedente il finanziamento rivesta natura di società affidataria in house di un servizio pubblico. In relazione a tale particolare categoria di soggetti non è inusuale fronteggiare norme statutarie o disposizioni contenute nelle convenzioni stipulate tra gli enti locali partecipanti al capitale della società ed aventi ad oggetto la disciplina del controllo analogo esercitato sulla società partecipata che recano espresso divieto alla costituzione del gravame o di altra forma di garanzia sulla quota di partecipazione detenuta nella società.
Anche laddove la costituzione del gravame non dovesse incontrare espresse limitazioni statutarie o convenzionali, la costituzione in pegno della partecipazione andrà in ogni caso valutata in concreto in relazione alla sua compatibilità con la natura in house dell’affidamento del servizio con particolare riferimento alla potenziale idoneità ad incidere sul mantenimento degli indicatori di controllo analogo.
Al riguardo, si ritiene che un eventuale escussione del gravame che determini l’ingresso nel capitale sociale della società di un soggetto (privato) diverso dagli enti locali partecipanti determinerebbe il venir meno dei presupposti che giustificano l’affidamento in house del servizio, con conseguente rischio di decadenza delle convenzioni di affidamento.
Sotto altro profilo, sempre al fine di valutare la compatibilità del gravame con la non alternazione degli indicatori di controllo analogo, simili conclusioni potrebbero essere declinate avuto riguardo alla fase non patologica del rapporto con riferimento alla ripartizione dei diritti di voto tra costituente il pegno e creditore pignoratizio. In proposito, l’attribuzione al creditore pignoratizio dell’esercizio del diritto di voto, e più in generale la previsione di prerogative che consentano a questi una facoltà di ingerenza nella gestione della società appaiono entrambe opzioni suscettibili di attrarre più di un dubbio in merito alla persistenza in capo agli enti locali partecipanti del necessario esercizio del controllo analogo.
Pur in presenza di tali necessarie premesse, non si ritiene di poter aderire alla tesi di quanti ritengano la costituzione del gravame (nei limiti in precedenza specificati) quale inutiliter data.
A nostro giudizio, infatti, ancorché qualificata e circoscritta rispetto alla normale ampiezza dello strumento laddove applicato alle società di diritto comune, la forma di garanzia in commento sembra comunque idonea a consentire un generico rafforzamento della posizione del creditore pignoratizio. A questa aggiungendosi i non trascurabili doveri di informativa che graverebbero (legittimamente) sul costituente il pegno e l’accesso al beneficio degli eventuali dividendi.
Resta peraltro aperto un tema. Acquisita la validità della costituzione del gravame, ben potrebbe ipotizzarsi che il creditore pignoratizio – al fine di non alterare la solidità degli indicatori di controllo analogo - possa spogliarsi dei diritti amministrativi previsti in via ordinaria dal codice restituendoli al costituente. Al riguardo, si tratterebbe di valutare in via residuale la legittimità della disposizione con la quale il creditore pignoratizio si riservi di consentire il relativo esercizio nei limiti in cui il medesimo non arrechi pregiudizio agli interessi del soggetto finanziatore. Si tratterebbe, in buona sostanza, di trovare una forma di coordinamento tra il permanere degli indicatori di compatibilità dell’affidamento in house con gli interessi (sia pur residuali, ma non trascurabili nell’economia di un finanziamento a rivalsa limitata) volti ad assicurare la stabilità dell’indirizzo imprenditoriale (e pertanto dei presupposti) sulla scorta del quale è stata adottata la decisione di finanziamento dell’iniziativa che – a ben guardare – dovrebbe risultare coerente con il piano economico finanziario approvato dall’amministrazione e posto a base dell’affidamento e, pertanto, espressione di un allineamento di interessi non suscettibile di censura.
Conclusioni: i presupposti individuati dalla Corte dei Conti
Nell’ammettere l’operazione di costituzione di pegno su azioni pubbliche, la Corte dei conti individua una serie di prescrizione che deve essere rispettata per la sua conformità ai principi di diritto.
Innanzitutto, la Corte invita a considerare preliminarmente la particolare natura dell’operazione che coinvolge una società a partecipazione pubblica e che, pertanto, in ultima analisi presenta ricadute patrimoniali sulla Provincia, ossia sull’ente locale che ha in gestione risorse della collettività; per tali ragioni, osserva che sarebbe opportuno che in relazione alle singole possibilità di regolamentazione specifica pattizia contenute nella disciplina sul pegno venissero adottate quelle che si prestano meglio a soddisfare gli interessi della collettività.
In particolare risulta opportuno che siano considerate le possibilità di regolamentazione pattizia previste da alcune norme.
La possibilità di rilasciare il pegno in esame deve essere assunta con delibera dell’organo [i.e. Consiglio provinciale] competente anche a deliberare auspicando una previa regolamentazione che contempli detta possibilità nella disciplina relativa ai rapporti fra gli enti locali e le loro partecipate, anche indirette. Ad avviso della Corte, la possibilità e le modalità di rilascio dell’autorizzazione in questione dovrebbe essere contemplata e regolamentata, inoltre, dal Regolamento di contabilità.
In sede di approvazione del rendiconto dell’ente dovrebbe essere predisposta un’apposita nota al valore della partecipazione nella società pubblica che segnali l’esistenza dell’operazione in questione.
In relazione al diritto di voto nelle assemblee sociali è opportuno inserire nel contratto una clausola che specifichi che lo stesso deve permanere in capo alla società controllante sia perché si tratta di un organismo di diritto pubblico la cui sorte influenza, sia pure in senso lato, il patrimonio dell’ente locale socio sia perché la gestione della società per l’effettuazione dell’intervento di realizzazione dell’autostrada è elemento essenziale.
In linea con la previsione contenuta nell’art. 2792, il creditore non può utilizzare o dare in pegno il bene senza il consenso del soggetto che ha costituito il pegno e, pertanto, è opportuno che la circolazione del diritto di pegno sia limitata ai soli soggetti finanziatori laddove siano più di uno, al fine di consentire sempre la tracciabilità e il controllo pubblico sui soggetti che, in caso di esito negativo dell’operazione, potrebbero escutere il pegno.
Sempre in ragione della necessaria trasparenza che deve connotare l’azione della pubblica amministrazione occorre prevedere che la cessione del credito derivante dal finanziamento e del conseguente pegno sulle azioni possa avvenire solo previo gradimento dell’ente locale.
In considerazione della natura del contratto e della circostanza che la restituzione del finanziamento è assicurata da un apposito piano di rientro occorre prevedere, in deroga alla previsione di carattere generale contenuta nell’art. 2791 cod. civ., che gli eventuali frutti del bene sottoposto a pegno, vale a dire gli utili, siano di competenza del debitore e non del creditore pignoratizio.
In conclusione, può ritenersi che il pegno sulle azioni di una società a partecipazione pubblica destinato a garantire un finanziamento ottenuto dalla stessa società e finalizzato alla realizzazione di un’opera pubblica, idonea a generare i ricavi necessari per il rimborso del debito, mediante il project financing sia uno strumento utilizzabile sia dagli enti pubblici che dalle società a partecipazione pubblica.
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[1] Niccolò A. Bruno, La disciplina del pegno su azioni secondo la prassi giurisprudenziale, Luiss Guido Carli, 2001.
[2] F. Galgano, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, 1998, 133, Cedam Padova.
[3] In linea generale si osserva che ad avviso della giurisprudenza, l’esercizio del diritto di voto del creditore pignoratizio non è illimitato. Esso, infatti, deve essere esercitato coerentemente con la ratio che ha determinato il legislatore ad attribuire al creditore tale diritto. Più specificamente, il creditore nell’esercizio del voto che gli proviene dall’avere un pegno sulle azioni ha solo il diritto a che non soffra pregiudizio la garanzia rappresentata dalle azioni ricevute in pegno e pertanto egli deve, nell’esercizio del voto, ispirarsi all’amministrazione e alla conservazione del valore delle azioni, senza coltivare interessi egoistici che siano in opposizione a quelli del debitore titolare (Cass. 17 giugno 1953, n. 1975).
[4] TAR Lombardia-Brescia - sentenza 26 marzo 2001 n. 140.
[5] Consiglio di Stato, sentenza 7369/2006.
[6] In tal senso si era già pronunciata la Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia della Corte dei Conti, con la Deliberazione n. 15 dell’11 ottobre 2006 (relativa ad un’ipotesi di sale and lease back).
[7] Come ben riassunto dalla Corte – che qui si riporta - la “lettera di patronage o di gradimento” costituisce una forma di garanzia impropria, in forza della quale un terzo c.d. patronnant fornisce alla banca finanziatrice informazioni relative al soggetto patrocinato (di solito una società partecipata dal patronnant) ed ai rapporti intercorrenti con quest’ultimo. Trattasi di informazioni non definite nel contenuto, ma comunque idonee a rafforzare nella banca- creditrice il convincimento che il patrocinato farà fronte ai propri impegni (restitutori), al fine di agevolarne la positiva conclusione di operazioni di finanziamento in corso e/o di rafforzare il convincimento del creditore sul buon esito dell'operazione.
La lettera di patronage costituisce una figura atipica di derivazione anglosassone, individuata dalla prassi giurisprudenziale, in quanto manca ad oggi una definizione tipizzata della nozione e della tipologia.
la giurisprudenza ha individuato una duplice casistica :
lettera di patronage debole, in cui, al di là della dichiarazione e della informazione, non vi è alcuna intenzione di assumere un diretto obbligo di garanzia verso il creditore finanziatore;
lettera di patronage “forte”, in cui il patrocinante non si limita ad esternare la propria posizione di influenza, ma assume veri e propri impegni (quale ad esempio quello di salvaguardia della solvibilità della società controllata, o l’impegno a non cedere il controllo nella società partecipata sino all’estinzione del debito). In questa ipotesi e nella sola circostanza in cui sia indicato il limite massimo garantito (Cass. civ. Sez. III, sent. n. 1520, 26/01/2010) si genera una obbligazione negoziale, assunta in proprio dal patronnant, ed avente per oggetto un facere, avente natura contrattuale e con finalità di garanzia (Cass. civ. sez. I, sent. n. 10235, 27/09/1995; Trib. Milano, 22/06/1995).
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(pubblicato l'8.7.2011)
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